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WALTER VENCHIARUTTI

Marc Augé, Momenti di felicità, Raffaello Cortina Ed., Milano 2017, € 12.

Dopo aver abbandonato le indagini rivolte ai popoli del continente africano e raccontato le storie dell’uomo d’oggi, affaccendato a rincorrere i metrò e a sostare nei bistrot, l’ultimo libro di  Marc Augè pone attenzione ad una antropologia basata soprattutto sull’introspezione. In “Momenti di felicità” il soggetto considerato è l’autore stesso o meglio i suoi ricordi e le esperienze maturate nell’arco di una ormai lunga esistenza.

Ė opportuna una buona conoscenza della narrativa di derivazione francese (Proust, Cioran, Flaubert, Dumas, Molière, Rousseau) i cui continui riferimenti sono determinanti al fine di comprendere i paralleli e le considerazioni che nascono richiamate dai tanti piccoli momenti di un passato personale. Se è vero che “… ogni individuo ha bisogno di incontrare l’altro per realizzarsi” occorre però prima, come  preliminare, scoprire l’altro che c’è in noi. Ė questa la ricerca a cui tende Augè, un viaggio interiore nell’intimità del trascorso alla scoperta dei riti della partenza e del ritorno, un cammino pervaso dagli odori e allietato dai sapori di viaggi lunghi o brevi, specialmente quelli compiuti in Italia. Se la cucina e in particolare l’elogio alla pastasciutta evoca volti amichevoli e famigliari, il ricordo delle canzoncine materne che hanno accompagnato l’infanzia, la memoria delle storie e delle passeggiate con il nonno hanno tutte per denominatore istanti di sereno piacere.

Al viaggio nello spazio, prerogativa dell’antropologia tradizionale, si è sostituito quello nel tempo ma la pretesa metodologica è la stessa: poter afferrare e scoprire le dinamiche che hanno portato, in questo caso l’autore, alla motivazione di scelte rivelatesi poi determinanti, a rivedere volti persi nella nebbia degli anni e ormai distanti dalla consuetudine quotidiana.

Non si tratta però di semplici remakes pervasi da una nostalgia romantica e canaglia ma di  percorsi obiettivi, intrapresi nei meandri della memoria “con partecipato distacco”. Sono itinerari che, una volta tanto, ognuno dovrebbe avere il coraggio di compiere per capire ciò che è stato, cosa è diventato e soprattutto dove sta andando.

WALTER VENCHIARUTTI

02 Gen 2018 in Recensioni

5 commenti

Commenti

  • Grazie, Walter, per il tuo puntuale aggiornamento sugli orientamenti dell’antropologia.
    Siamo di fronte, indubbiamente, a una svolta “radicale” rispetto agli studi etnografici (che sono i miei punti di riferimento dal tempo dell’università).

    Da un altro punto di vista (io antropologo non sono), sono anni che mi convinco sempre di più che l’autobiografia spirituale sia fondamentale per ciascuno di noi: è interrogando la nostra memoria, il nostro vissuto interiore, la nostra… anima (tanto più nel tramonto della stagione della vita) che possiamo scoprire ciò che davvero “vale” e “non vale”.
    La mia autobiografia spirituale (chiedo scusa per il riferimento personale, ma qui viene spontaneo) che ho espresso nel mio “Chiunque tu sia”, mi ha insegnato più cose di quanto avevo appreso da una miriade di libri.

  • “scoprire l’altro che c’è in noi” tu scrivi. Bene, visto che questa settimana ce l’ho con le neurosienze, da sperimentazioni su volontari nelle loro fasi di dialogo intimo, cioè quando ci parliamo da soli, magari mandandoci un avvertimento del tipo “stai calmo adesso” c’è davvero “un altro” in quanto usa una parte del cervello vicina, ma distinta dall’area di Broca che ci serve per la comunicazione interpersonale. Chiaramente anche in questo è stata la RMN funzionale a illuminarci. Il fenomeno del quale tutti abbiamo esperienza nulla ha a che vedere col subconsio o altro non misurabile. Sembra più legato alla creatività e alla revisione profonda del vissuto, priva di censure, perché a nessuno dobbiamo render conto.

  • Semplificando…”Felicità, è un bicchiere di vino con un panino la felicità”

    (Al Bano e Romina)

    • Sempre tenedo presente quale sia il motivo della vita. La felicità?

  • …E’…L’avvenimento di un incontro.

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