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PIETRO MARTINI

Elogio del Partito Democratico

La sconfitta del PD è evidente. Ma non sottovalutiamo la sua capacità di resistenza e resilienza politica. Oggi sta serrando i ranghi in difesa. Ma contrattaccherà. In questa società liquida, il PD resta una realtà strutturalmente solida, nonostante le croniche lotte di fazione interne. Non è un Movimento, una Lega, un Comitato d’affari. È un vero e proprio partito. Dopo la scomparsa degli altri partiti veri, il PD è “il” Partito. Con l’iniziale maiuscola. Da tempo la liquidità sociale ha contagiato le formazioni politiche, con partiti volatili, disancorati da una concreta presenza sul territorio, soggetti alle fluttuazioni di un’opinione pubblica volubile, di un sistema mediatico ondivago, di social e blog fluttuanti. L’illusione di combattere le battaglie politiche soprattutto con le armi della televisione, della rete e dei social media, dall’alto del satellite o del cloud, è come l’illusione delle nazioni che pensano di vincere i conflitti bellici coi bombardamenti aerei e coi droni. Il risultato è lo stesso. Dopo poco tempo gli avversari escono dai rifugi e riprendono il controllo del territorio. Nelle guerre politiche e in quelle militari si vince non dall’alto ma dal basso, combattendo “boots on the ground”, strada per strada, casa per casa, non lasciando un solo “cecchino nell’abbaino”. La vittoria duratura nasce dalla costante presenza fisica, palmo a palmo, momento per momento. I partiti autentici sono sempre stati così. Chi si illude di vincere con improvvisazioni politiche situazionali o privilegiando la tecnologia digitale vincerà per qualche tempo ma non per molto. Il concetto fisico e territoriale di partito c’è da sempre e da sempre vince. Dalle Polis greche a Mario e Silla, dai guelfi e ghibellini a Lenin, tutti ben piantati in piazza. Il PD ha conservato nei cromosomi questa ascendenza leninista, pur nelle sue varie metamorfosi morfologiche socialiste, comuniste, azioniste, uliviste e via dicendo. L’approccio organizzativo, i dinamismi strutturali, la concretezza nella presa e nella gestione del potere, combattendo campanile per campanile, quartiere per quartiere, gli daranno la rivincita. È una realtà dotata di meccanismi operativi e di strumenti offensivi e difensivi ancora formidabili, pronti all’arrocco come al contrattacco. Adesso c’è la fase di arrocco. Ma il Partito farà come Radetzky nel Quarantotto, trincerandosi dopo questa battaglia persa nel suo Quadrilatero politico, ben munito di potere economico, mediatico e culturale, per poi uscire con i suoi battaglioni riorganizzati e vincere la guerra.

 

Non è paranoia maccartista, non sono i protocolli dei savi della falce e martello. È una fotografia di questa macchina politica da guerra. Che io ammiro. La macchina bellica del Partito c’è ancora tutta. Perché non dipende, se non in parte minore, dal numero dei consensi elettorali. Il Partito non è una conseguenza di questi consensi. Ne è la causa, in senso leninista. Buona parte dei suoi elettori segue i vertici che dirigono le forze in campo per fedeltà. Il loro onore si chiama fedeltà. C’è una soglia sicura, uno zoccolo duro, una ridotta inespugnabile di cinque milioni di baionette elettorali, il dieci per cento dell’elettorato italiano, che segue la bandiera, il motto del reggimento, la sciabola dell’ufficiale. Una base da cui, in caso di sconfitta, si può sempre ripartire per la battaglia successiva, grazie a degli apparati funzionali e logistici unici sulla scena politica nazionale. Questa sconfitta ha preservato quasi il doppio di questa riserva militare, composta da un tessuto connettivo di militanza, risorse, relazioni, basi operative stabili. Nessun avversario conosce così bene il terreno di battaglia, nessuno è così innestato nei centri di potere della politica, dell’economia, dei media, della cultura sull’intero territorio italiano, città per città, parrocchia per parrocchia. Le sue sedi di sezione sono in genere stabili, essendo passate dall’una all’altra “release” del Partito. Esistono sistemi di relazione interpersonali collaudati tra i suoi militanti, che siano tesserati ufficiali, malcelati fiancheggiatori “organici” o “intellettuali d’area”. Dal secondo dopoguerra tutte le istituzioni locali sono presidiate da elementi fedeli alla linea del Partito. Cambiano i simboli e le sigle ma le facce cambiano raramente. Il Partito arriva in quasi ogni casa, ogni famiglia, spesso con innervature pluri-generazionali e tendenziale continuità politica dai padri ai figli ai nipoti. I nonni cantavano bella ciao, i figli erano sessantottini in eskimo e i nipoti hanno creduto alla leopolda. Una fedeltà all’ideologia familiare pressoché unica in Italia. Per me ammirevole. Una stirpe, una tessera. Basta guardarsi in giro.

 

Anche i commenti dei media, delle televisioni e di molti giornalisti sono in queste ore rivelatori di quanto la forza mediatica del Partito rimanga notevole e temibile. La copertura protettiva in TV, sui giornali, sui blog e sui social media è già iniziata con destrezza e bravura, per proteggere la sua ritirata in buon ordine. Tutte le colpe a Renzi, il Partito vero è un’altra cosa. Un classico dell’epica, il sacrificio del condottiero per risparmiare le milizie. In attesa del riscatto con un nuovo condottiero. Pure il mondo della cultura italiana, un arcipelago di conventicole spesso in apparente certame intellettuale tra loro ma sostanzialmente accomunate in maggioranza da residui ideologici marxisti, fa da volonterosa cassa di risonanza e da qualificato serbatoio di voti per il Partito, secondo un altro concetto leninista, quello della cooptazione delle élite intellettuali. Salvini, Di Maio e i loro elettori non appartengono in genere a questa intelligencija e rappresentano quindi un orrore culturale per i salotti fisici e mediatici dell’intellettualismo radicale del Partito. E poi, non c’è oscura provincia che non abbia consorterie culturali, cenacoli intellettuali, centri editoriali, gruppi solidali, circoli ludico-ricreativi ligi alle direttive del Partito. Che in cambio assicura appoggi, sedi, risorse. Guardiamoci intorno. Non c’è parlamentare sconfitto che non trovi un ripiego nelle partecipate, nella cooperazione o in altre riserve di Partito. Non c’è reduce distintosi per benemerenze partitiche che non riceva un premio di fine carriera in qualche ente, fondazione o istituto controllato dal Partito. Il quale, riconoscente, elargisce ai veterani della sua vecchia guardia poltrone, prebende, riconoscimenti.

 

Soprattutto, c’è una cosa che questo Partito dai cangianti nomi e simboli mette in campo, più e meglio degli altri: il vivaio. L’abilità di intercettazione e utilizzo dei “giovani” è tipica del Partito di oggi (PD) come del suo antecedente di ieri (PCI). Basta vedere come a volte spuntino gruppi “spontanei” giovanili, associazioni culturali di “giovani” che, sotto l’ala discreta del Partito, manifestano il loro impegno e la loro volontà di ben operare a favore della società civile. Queste formazioni in genere nascono come entità private, poi qualche articolazione istituzionale del Partito le rende pubbliche, con pretesa di rappresentanza dell’intera comunità. Una tecnica risalente e collaudata. Spesso i cittadini non indagano troppo sulla genesi di questi gruppi “spontanei”, sul loro trasmutarsi in organi di rappresentanza generale e sui rapporti dei loro leader coi locali apparati del Partito. E quindi plaudono al loro zelo civile, ignorando i veri scopi dei loro mandanti politici. Questa dei “giovani spontanei”, che in realtà diventano strumenti di propaganda sul territorio, è una grande forza che gli avversari non hanno o hanno molto meno. Il Partito sa, fin dalla rivoluzione d’ottobre, che l’utilizzo di questo vivaio sulla scacchiera politica è strategico. Parola del grande Vladimir Il’ič Ul’janov. Che cent’anni dopo resta un avversario temibile da battere. Anche per i Di Maio e i Salvini di turno.

PIETRO MARTINI

08 Mar 2018 in Politica

99+ commenti

Commenti

  • ….bel pezzo, Pietro, di ….difficile “gestazione tecnica” (tu sai bene cosa intendo !) ma “cornice” degna dell’importanza storica di queste elezioni.
    Una chiosa però mi sgorga spontanea: adesso tocca a “Don Camillo”, per “par condicio”, dopo questo ….elogio a “Peppone”, no?

  • Grazie, Francesco, per l’apprezzamento (e per tutto il resto). In realtà, l’elogio al partito di don Camillo, magari meritato, sarebbe un elogio post mortem. Le tentate reincarnazioni non hanno avuto fortuna. Per cui, R.I.P.

    In realtà, in tutt’Italia e anche a Crema, non pochi militanti del partito de cuius sono confluiti nella realtà politica che varie metamorfosi hanno trasformato nel PD, incidendo non poco in questo processo metamorfico. Ancor oggi a Crema diversi esponenti PD sono ex del partito di don Camillo. Non è un caso, viste certe tradizionali convergenze tutte italiane, in questo caso ben poco parallele e anzi ben convergenti.

    L’attuale sconfitta del PD è dunque anche la sconfitta di chi ha scelto di contribuire attivamente alla sua politica, provenendo da quel funerale. Spesso con particolare proattività su temi come l’accoglienza e lo ius soli. Pensiamo quale ulteriore calo di consensi avrebbe avuto il PD ascoltando di più questa componente e facendo un simile regalo alla Lega.

  • Ho apprezzato moltissimo, Pietro, la tua accurata ed articolata analisi, decisamente contro-corrente (vedo solo una sintonia con l’intervento di oggi sul Corriere della Sera di Claudio Magris, un uomo di cultura), lontana dalla faziosità partitica, con un respiro storico.
    E poi fa piacere leggere un elogio al Pd da uno, come te, che confessa di avere una cultura di destra.

    Nel merito.
    Che il Pd non sia finito mi pare scontato. E’ finita l’era Renzi (l’uomo che ha galvanizzato il partito e larga parte del Paese per un’epoca che si è conclusa). Non so chi lo traghetterà verso nuovi traguardi. Io vedrei bene, da osservatore, un uomo come Calenda, l’uomo definito da alcuni commentatori come il Macron italiano. Certo, Calenda renderà ancora più aspro il conflitto non solo nei confronti dei fuoriusciti di Leu, ma anche della sinistra interna. Un… papa straniero, dicono alcuni: in effetti non devo all’interno un uomo che sappia dare al partito una nuova identità, a meno che si trovi un Corbyn italiano che faccia una scelta radicalmente di sinistra.

    Io, Pietro, sarei più fiducioso negli altri partiti o movimenti. Di sicuro non hanno la solidità di un partito tradizionale come il Pd, ma è quanto ci aspetta nel nostro tempo in cui le nuove generazioni saranno sempre più il “popolo del web”: avremo partiti meno solidi, ma più capaci di parlare direttamente al cuore e alla mente della gente (non dimentichiamo che Salvini è il secondo leader politico in Italia, dopo Macron, in termini di numero di visualizzazioni).
    Avremo partiti o movimenti più… leggeri e quindi meno costosi e, nello stesso tempo, più in sintonia con… gli umori contingenti dell’opinione pubblica.
    Non credo che questo sia un bene, perché la democrazia, senza memoria e senza una sguardo al futuro, non può reggere.
    E se non regge la democrazia, saranno guai!

  • Complimenti per l’appassionata difesa del più debole, Pietro, qualcuno doveva pur farlo. Ma più che “il” partito il PD a me pare principalmente un nido di vipere dove tutti lottano strenuamente per la propria sopravvivenza. E poi, se M5S e Lega domenica scorsa hanno triplicato le rispettive rappresentanze parlamentari e i loro voti sommati superano il 50%, forse, forse ci sono dei validi motivi.

    – sono d’accordo: “la vittoria duratura nasce dalla costante presenza fisica”, e difatti le sezioni locali “del” partito hanno chiuso i battenti quasi tutte e nelle piazze durante la campagna elettorale i suoi rappresentanti si sono visti meno degli altri;

    – “fedeltà” è una parola, ma in realtà quante persone lavoravano (gratis) una volta alle Feste dell’Unità, e quante ce ne sono adesso? Quanti, i giovani?

    – gravissima è stata la sottovalutazione del Pd (con i vecchi comunisti non sarebbe successo!) che non ha capito che i ceti medi produttivi e quelli delle periferie disagiate stavano combattendo la stessa battaglia, anche molto facile da interpretare: meno tasse e stop all’immigrazione clandestina;

    – imperdonabile la sua conversione alla fede nel mercato, che ha cambiato i connotati dei
    “deboli” da difendere: non più operai e impiegati bensì la comunità LGBT, le aggregazioni indistinte e multietniche, i benestanti del “politicamente corretto”;

    – punita anche la testardaggine di continuare a spacciare come un’”opportunità per tutti” la globalizzazione che chiaramente non può essere governata da nessun governo (perché chi la governa non sarà mai un governante) e sta alla base delle pessime condizioni di vita e di lavoro di milioni e milioni di cittadini colpiti dai suoi effetti:

    – ridicola la retorica antifascista in palese assenza di fascismo. Una categoria come quella dell’antifascismo può forse aver avuto un ruolo storico in qualche modo rispettabile e legittimo in passato, ma il mainstream, ha rovesciamento il suo significato originario allo scopo di marchiare con lo stigma d’infamia i nemici della “società aperta”;

    – irritante il progressismo piangente esercitato dal fronte filo-immigrazione per derubricare a fatti di secondaria importanza le ricadute nefaste che l’afflusso incontrollato e massiccio di estranei nel tessuto di una società nazionale consolidata comportava;

    – inaccettabile ignorare e/o minimizzare l’azione decadente e profondamente borghese dei cosiddetti “antagonisti” che trascorrevano (quasi fosse un rito) ogni sabato pomeriggio a distruggere una città. Figli viziati e ben pasciuti di padri abbienti che giocavano alla rivoluzione, pestando a sangue il malcapitato poliziotto di turno. Ma sì, vabbé, sono “antifascisti”, lasciamoli fare;

    Ho sicuramente dimenticato qualcosa, ma mi fermo. Vedo e prevedo (senza sfera di cristallo) che i mercati e l’Europa finiranno per lasciare al M5s il governo dell’Italia, dettando ovviamente delle condizioni, e allora assisteremo alla calata di braghe dei paladini del salario minimo garantito. Se Salvini è furbo, e sembrerebbe esserlo abbastanza visto dove ha portato il suo partito, gli conviene stare un passo indietro e mandare avanti l’altro. Ma in ogni caso per il PD non ci sarebbe speranza perché le ultime elezioni hanno sottoscritto e certificato il fallimento delle “sinistre” in generale. La gente non crede più al discorso “internazionalista”, e checché ne dica il vecchio Mortadella ho l’impressione che resuscitare il morto stavolta sia un’impresa disperata.

  • Sono in ansia
    Ma dove sono finiti i fascisti ?

  • …..ai, ai ,ai, qui, stanti le grandi manovre Toti/Salvini, mi sa che ci siamo giocati per sempre “bunga-bunga/nipotedibarak”!
    Pietro, preparati a un altro Elogio!

  • Forse, bisognerebbe chiederlo agli antifascisti.

  • …. cmq notizie documentarie in argomento, attraverso immagini spettacolari e spesso a colori provenienti dagli archivi di tutto il mondo questa sera, Giovedì alle 21:17 su Rai 3.
    Il titolo è: La grande storia – Hitler e Mussolini: appuntamento con la morte.
    In un certo senso una ….testimonianza “dal vivo”.

  • Il pezzo di Martini è perfetto con un unico piccolo difetto: è stato scritto con 40 anni di ritardo.

  • Ti ringrazio, Piero, per quanto dici riguardo all’articolo e per le tue osservazioni. Concordo pienamente con te sul fatto che senza memoria politica la democrazia posa correre dei rischi. Oppure, stando all’oggi, che possano realizzarsi situazioni in cui la memoria politica sia superata da elementi di tale rilevanza da far fare un primo passo sulla via che conduce a certi rischi.

    Uno dei numerosi elementi su cui mi sento contro corrente, rispetto a quanto leggo sui media in questi giorni, oltre a quello del de profundis per il PD, è proprio quello della lettura dei risultati elettorali di Casa Pound e Forza Nuova. È vero che quando si stenta ad arrivare all’uno per cento si resta fuori dal parlamento e ci si mantiene nell’irrilevanza istituzionale. Ed è vero che sono i numeri a produrre i fatti delle rappresentanze politiche e dei poteri d’influenza ufficiali. Ma integrare i meri dati numerici con criteri di lettura ulteriori e fare un po’ di “lateral thinking” a volte allarga il perimetro interpretativo e la visione rospettica.

  • Mi sembra, Rita, che vi siano molti punti in comune nelle nostre diagnosi, anche se la tua è molto più tesa, critica e forse anche più aggiornata (in questo potrebbe avere ragione il prof. Cordani, essendo io, da 45 anni, fuori dalla politica) della mia.

    Ed a costo di apparirti ancora difensore di vedove e orfani, mi permetto di aggiungere che il PD sarà anche un “nido di vipere” ma non è il solo. Quale partito non lo è? Vipere, cobra, serpenti a sonagli e altri rettili abbondano in ogni partito, da sempre. Lo si sa e ci si attrezza con sieri e contromisure ai morsi. La “bella politica” è marketing promozionale per il reclutamento.

  • Si, Pietro, nidi di vipere ce ne sono dappertutto: Di Maio ha detto “occhio ai nuovi” (potrebbero pensare con la loro testa) e Salvini deve continuamente guardarsi le spalle dai forzaitalioti. Tuttavia ho l’impressione che i media italiani, i secondi grandi perdenti delle elezioni di domenica dopo il Pd (potresti fare un post anche per difendere questi reietti), stiano sottovalutando i due vincitori che, di sicuro, scemi non sono. Entrambi sono consapevoli della necessità di utilizzare al meglio la loro “grande occasione” e agiranno in questa direzione. Ovvio che non so se ce la faranno, chi può saperlo, ma ovviamente tifo per loro, ovvero per noi italiani. Vogliamo tentare di uscire dalla situazione di stallo in cui ci ha cacciato il Pd, o preferiamo continuare a sguazzare nel pantano?

  • Avevo letto, non ricordo su quale quotidiano che, in presenza di voti “di protesta” o “poco confessabili”, fosse da considerare stabile e pubblicamente esplicitabile con convinzione solo la metà di tali voti. Ferme restando le norme sul divieto di ricostituzione del PNF e le modalità di elusione giuridica di tale divieto, analizzando il voto di Crema e Cremona, per non andar lontano, a favore di Casa Pound e Forza Nuova, potremmo svolgere alcuni rilievi.

    Per quarant’anni, a causa dell’omicida (e suicida) terrorismo nero, quasi nessuno in Italia si è dichiarato fascista, ha pubblicamente salutato romanamente o col Deutscher Gruß, ha cantato Giovinezza o Die Fahne hoch, ha sventolato bandiere con l’aquila e il fascio tra gli artigli o con la Hakenkreuz. Forza Nuova e Casa Pound hanno saputo gestire i divieti normativi italiani, si sono presentate ufficialmente alle elezioni, hanno esibito nelle circostanze opportune tutto l’armamentario del caso e si dispiacciono per non aver raggiunto il 3%. Risultati a Crema: 0,76% alla Camera (solo CP) e 1,43% al Senato (CP + FN). A Cremona: 1,60% alla Camera (solo CP) e 2,03% al Senato (CP + FN). A Crema 746 voti per Fratelli d’Italia alla Camera e 690 al Senato, rispetto ai corrispondenti 199 e 272 voti per CP alla Camera e CP + FN al Senato. Se questa a Crema è la destra “ufficiale”, alla Camera FdI ha preso il 79% dei voti “destri” e CP il 21%. Al Senato FdI il 72% e CP + FN il 28%. A Cremona, rispettivamente, 74% e 26% alla Camera, 68% e 32% al Senato.

    Applicando la suddetta regola della metà, a Crema CP + FN avrebbero tra i 100 e i 150 soggetti convinti, stabili ed espliciti. A Cremona tra i 300 e i 400. Non c’è quindi da essere in ansia per loro assenza. Rispetto alle masse dei votanti, ben poca cosa. Ma sono numeri nuovi. E leggibili non solo in termini quantitativi. Chi fa certe scelte vale uno come tutti, al seggio. Ma si attiva con motivazione e impegno diversi. Lo stesso vale per Sinistra Rivoluzionaria e Potere al Popolo, gli ultimi avanzi, con LeU, dei sinistrati d’antan.

    Per cui:
    • localmente la destra è divisa tra un 75/80% con alleanze leghiste e berlusconiane e un 25/20% con tutt’altra e ben identificabile origine e vocazione;
    • l’erosione non sembrerebbe a discapito di FdI, che comunque raddoppia i consensi;
    • l’estrema sinistra è in evidente sbaraccamento, mentre dall’altra parte è il contrario, anche se per ora le cifre fanno sorridere;
    • il cosiddetto “centro-destra” è di fatto un “centro”, a meno di considerare di destra l’intero scenario geopolitico guidato dal capitalismo finanziario, come quando nel Sessantotto tutti gli altri erano di destra secondo il Movimento Studentesco, Lotta Continua e Potere Operaio;
    • Casa Pound e Forza Nuova hanno commesso diversi errori nella tornata elettorale, a partire dalle liste tra Camera e Senato, e non hanno per ora esponenti di richiamo, come accadeva prima di Piazza Sansepolcro o del Bürgerbräu-Putsch di Monaco;

    Perché sta succedendo tutto questo? Chi ne ha la responsabilità?

  • Integro la battuta scritta frettolosamente ieri sera. Ho “fatto il 68” e quindi conosco la realtà dei gruppi (post)maoisti. Poi sono stato iscritto per 10 anni al PCI uscendone schifato nella metà degli anni 80, dopo aver constatato già allora i primi segni di necrosi nel suo corpaccione. E infatti, dopo una breve parentesi interclassista, il PCI si è camuffato con vari nomi per tornare infine ad essere un partito classista ma AL CONTRARIO: se prima era dalla parte degli operai e dei ceti popolari, oggi è diventato il partito dei fighetti benestanti, o peggio ancora di quelli che vorrebbero esserlo, e ha abdicato alla difesa dei diritti sociali per farsi paladino di fantomatici “diritti civili” (cioè, ognuno ha il diritto di fare quel cazzo che vuole). Il PD ha ereditato la struttura e l’organizzazione del PCI ma non le idee che, seppur sbagliate, ne costituivano l’anima, riducendosi a un simulacro vuoto e destinato a sciogliersi come neve al sole. Esattamente il contrario di quanto prevede Pietro Martini (che spero vivamente non me ne voglia).

  • No, non glie ne voglio, prof. Cordani. La ringrazio anzi per avermi indicato con molta cortesia e franchezza le esperienze vissute che motivano la sua posizione. È qualcosa che apprezzo molto, anche perché non capita spesso che le persone dicano, per di più in rete, oltre alla propria opinione, anche le ragioni per cui l’hanno personalmente maturata ed espressa. Inoltre, devo ammettere che, rispetto alla sua valutazione, derivata da una conoscenza dall’interno di questo partito, la mia è invece frutto di un’osservazione svolta dall’esterno. E so per esperienza che, di solito, l’aver toccato con mano certe realtà consente valutazioni più valide rispetto all’aver visto le cose da fuori. Ho infatti avuto, da adolescente, esperienze dall’altra parte della barricata, prima di buttarmi a diciannove anni a testa bassa nel lavoro e mollare tutto il resto. Per cui, pur nella consapevolezza del fatto che abbiamo previsioni diverse sul futuro del Partito Democratico, grazie per questo scambio di opinioni.

  • …..oooooh, quèla l’è la manera!

  • Romano, qui sopra, si chiede: “Ma dove sono finiti i fascisti?” La risposta è molto semplice: la montante marea nera è stata eroicamente respinta dalla forte mobilitazione popolare che ha ricacciato i fascisti nelle fogne. Io invece ho un’altra domanda, dopo l’uscita di Balotelli che ricorda al negro eletto senatore con Salvini di essere tale: ma dove sono finiti gli antirazzisti? Passi per Balotelli, che non è esattamente laureato in ingegneria nucleare, ma la Kyenge, parlamentare eletta coi nostri voti ed ex ministro della Repubblica, che lo ha prontamente approvato? Ma le razze non sono state abolite? Forse è stata abolita solo quella bianca (a proposito: complimenti a Fontana, neo governatore della Lombardia). Del resto non c’è da stupirsi: se esistono gli antifascisti in assenza di fascismo può benissimo esistere la razza nera in assenza di quella bianca.

  • “La vergogna dovrebbe proibire a ciascuno di noi di fare ciò che le leggi non proibiscono” Seneca.

  • Concordo con te, Bruno: la sinistra ha dimenticato nel tempo i cosiddetti “diritti sociali” per portare la bandiera, tutta “liberale”, dei diritti civili “individuali” (stregata dai radicali).
    E’ una critica che, nel mio piccolo, è da anni che esprimo su questo blog.

  • A proposito del Partito Democratico, mi colpiscono in questi giorni due motivi conduttori, molto insistiti sui media, che potrebbero rendere più agevole la strategia difensiva di questo partito e la sua operazione di ricompattamento dopo la sconfitta elettorale.

    Il primo leit-motiv è quello di una maggior governabilità in caso di alleanza tra la coalizione del cosiddetto “centro-destra” e il Partito Democratico, piuttosto che tra questa coalizione e i Cinque Stelle. Soprattutto la stampa vicina all’area cattolica sembra auspicare un simile esito dell’attuale rebus delle alleanze post-elettorali.

    Il secondo refrain è quello di una qualificazione dei Cinque Stelle come “eterodiretti”, mossi da forze retrostanti e da interessi non dichiarati, tesi a utilizzare la vittoria di questo Movimento per scopi molto poco encomiabili. Un po’ come quando il Partito Comunista qualificava come “eterodirette” le Brigate Rosse o come “eterodiretti” alcuni partiti a quel tempo suoi antagonisti. Una critica già sperimentata tempo addietro con qualche successo contro gli avversari politici.

    Non ho le informazioni e gli strumenti interpretativi necessari per entrare nel merito di questa preferenza sulle alleanze o di tale accusa di eterodirezione. Per cui, mi astengo da commenti nel merito. Mi limito a notare come possa rivelarsi molto positivo, in questo momento di difficoltà del Partito Democratico, il lusinghiero appoggio datogli in tema di alleanze da parte di influenze così apprezzabili. E come possa tornare molto utile al Partito Democratico questa insidiosa censura nei confronti dei Cinque Stelle, così reiterata sui media, di essere uno strumento di volontà aliene e pregiudizievoli.

  • I Partiti non incarnano idealità ma rappresentano e difendono gli interessi economici di blocchi sociali. Il PCI-DS quando era finanziato da Mosca difendeva gli interessi di operai e contadini, oggi difende quelli della grande finanza transnazionale. La Lega rappresenta gli interessi dei pochi ceti produttivi rimasti in Italia, cioè la piccola-media industria e l’artigianato del Nord, e proprio per questo è destinata a restare minoritaria. I 5* sono una creatura artificiale, una chimera creata in laboratorio da menti raffinate, assemblando varie idee contraddittorie, con lo scopo di incanalare su un binario morto l’incazzatura popolare. Quale sarà l’esito probabile della crisi mi sembra a questo punto evidente.

  • TRA QUI E “LA FANTASIA AL POTERE”,
    Spiegherò perchè la citazione di Seneca, se mai a qualcuno interessasse. Perché, eludendo per poco il titolo del post, in questo affastellarsi di commenti, mica tanti in verità, c’è sempre un denominatore comune: chiedersi cosa sia il bene comune e chiedersi a quale titolo alcuni si assumano la responsabilità dell’amministrazione, chissà se consapevoli di cosa si stia trattando. Ed è qui che nascono quei dubbi fondamentali che distinguono un elettore da un altro. E nuove elezioni li rinnoverebbero tutti, questi dubbi, un po’ perché si è ricominciato a parlare di promesse non negoziabili, la Lega a gran voce le sbandiera ancora come possibili, e lo stesso i 5stelle, un po’ anche perche’ il Pd non rinuncerebbe alla poca dignità rimastagli. Ed effettivamente su questo si giocherebbe il futuro governo, su una negoziazione da “taia mola e mesega” che snaturerebbe tutte le forze in campo. In verità potrebbero continuare a raccontarci le solite balle e fingere di accordarsi, ma ad ora le avvisaglie non si vedono, se non in nuovi proclami di irrinunciabilità che di fatto comprometterebbero la formazione di un nuovo esecutivo. Che indubbiamente toccherebbe ai primi due classificati, in una società dove le categorie di un tempo cozzano contro un tessuto sociale ormai trasformatissimo dalle leggi dell’economia e del nuovo mondo del lavoro. Quando si dice che la sinistra non ha fatto il suo dovere questo lo si deve di fatto alla mancanza di materia prima, che un tempo era la gran massa di lavoratori che, numericamente aggregati, aveva una discreta forza contrattuale. Ora, sparite le grandi industrie, si assiste da anni ad una parcellizzazione del lavoro che non trova più un denominatore aggregante. Le piccole e medie industrie, per numero di addetti, con gli innumerevoli contratti inventati, sì in questo caso, dalla fantasia al potere, che si barcamenano a tirare avanti, con un costo del lavoro altissimo e la tentazione di andarsene dove costa meno, questi due elementi hanno distrutto la dialettica degli scioperi, degli scontri e della contrattazione. Dieci operai in sciopero non fermano il mondo, invece un tempo le migliaia che con le forze sindacali si aggregavano, sì, ma ora non esistono più. Ce li vedete gli addetti di qualche cooperativa, imprese di pulizia, o chiamati a gettone in sciopero? E’ per questo che la sinistra ha perso il suo ruolo e i suoi voti. E’ cambiata perché è cambiato il mondo. Adesso quindi ci si dovrebbe chiedere se la chiave interpretativa di questo mondo in trasformazione sia stato davvero ben trovata dalle nuove o vecchie formazioni politiche che ne han preso il posto. Perché a nuovi bisogni si devono trovare nuove risposte, e in teoria Lega e 5stelle parrebbe che abbiano trovato, e, se non la quadratura del cerchio, la volontà di trovare alcune di queste soluzioni, non si sa con quale realismo, ma sempre comunque col sospetto di assistere, non alla fantasia al potere, ma all’improvvisazione. In un clima di rabbia che vede anche miei conoscenti, un tempo dichiaratisi di sinistra, più possibilisti nel superamento delle vecchie categorie, col risultato che quello che un tempo diventava solidarietà adesso si traduce in sola contrapposizione. O altrimenti nascondendosi dietro quel superamento, di cui prima, solo perché si vergognano a dichiararsi ormai di Destra (Melloni). Che è di fatto quello che è rimasto, ma ripeto, anche a Destra, in un sopravvivere che rischierebbe di diventare non si sa cosa.
    Insomma, la mia impressione generale è che queste promesse elettorali, lavorando sulle conseguenze, non facciano proposte credibili per rimuoverne le cause.

  • No, nessuna proposta credibile per rimuovere queste case, economicamente strutturali. Tra i tanti vantaggi del non dover tornare a votare, ci sarebbe anche quello del non dover consentire nuovamente ai partiti di fare promesse elettorali impossibili da mantenere. Infatti, al momento uno dei vantaggi di questo stallo politico è che le promesse conclamate sino a pochi giorni fa stanno già dissolvendosi e scomparendo. Il che è un bene, un gran bene per gli italiani. Immaginiamoci se una forza politica avesse vinto in misura tale da poter governare. E se si fosse messa a realizzare le promesse fatte prima delle elezioni. È una fortuna che nessuno possa governare e fare danni del genere. E che tutti possano accusare gli altri per il mancato adempimento delle loro promesse. Meno governano, meglio è. Forse la soluzione migliore sarebbe quella di una riforma costituzionale in cui si abolisca il governo. Almeno fino a quando non siano stati aboliti questi partiti.

    “Flat tax, reddito di cittadinanza, moneta fiscale, riforma delle pensioni, sforamento del tetto del 3 per cento. Sono le principali proposte economiche delle tre forze che oggi si contendono il governo del paese. Sono interventi spesso improvvisati, che avrebbero un impatto in alcuni casi catastrofico sui nostri conti.
    In tutto il mondo le campagne elettorali si combattono con slogan e comizi, ma qui stiamo parlando di cifre enormi, incomparabili con qualsiasi promessa fatta in precedenza: la flat tax della Lega costerebbe 80 miliardi l’anno, quella di Forza Italia 130; il reddito di cittadinanza dei 5 Stelle 30 miliardi, che superano facilmente i 150 insieme alle altre promesse; la riforma delle pensioni che vogliono in tanti almeno 30 miliardi; lo sforamento dei limiti al disavanzo almeno 50 miliardi.
    Attraverso un’analisi chiara e rigorosa, Roberto Perotti mostra agli elettori come queste promesse siano fallaci o pericolose. Il motivo è che non si può contemporaneamente avanzare proposte che costano decine di miliardi, non dare indicazioni realistiche di come reperire i fondi per pagarle, e inveire contro il disastroso disavanzo del paese. Almeno a una di queste posizioni bisogna rinunciare. Perché ogni promessa (elettorale) è debito (pubblico)”.

    Dalla terza di copertina di un libro che ho trovato utile nelle ultime tre settimane: Roberto Perotti, “Falso!”, Feltrinelli, febbraio 2018.

  • Profittando della piacevole, gradita ….”agibilità” del prof Cordani, provo ad infilarmi (atento neh!)
    La crisi profonda nella quale si dibatte il PD deriva a mio parere dalla malriuscita alchimia PCI+DC con conseguente sversamento di buona parte dell’elettorato relativo nelle nuove proposte (Lega/5* indubbiamente presentatesi con contenuti “accessibili” sia nella forma che nella sostanza), in parallelo con la conduzione egoicamente delirante del PD da parte di Renzie (questa te l’ho rubata prof perchè è davvero centrata!) e con la riconversione su scala “nazionale” operata da quel volpone politico del MatteoS (non so fino a che punto completamente metabolizzata da “quelli delle ampolle”) e la ormai patetica senescenza dello sciupafemmine di arcore.
    Socialismo più o meno democratico, dopo hammamet ….non pervenuto!
    Quanto ai 5*, non nego che l’interpretazione del prof .”….una creatura artificiale, una chimera creata in laboratorio da menti raffinate, assemblando varie idee contraddittorie….” abbia un suo portato di suggestione forte , accentuato dalla accelerazione di successo elettorale nel centro/sud (ma le mafie dove sono finite?!?).
    La voglia sarebbe quella (facendomi profonda autocritica) di dire: “arridatece er puzzone”: una bella DC ….”onnicomprensiva” dove far decantare saggiamente i “picchi”, tallonata da un bel “bottegone”, con una altrettanto bella “destra illuminata” (modello “Martini”, il nostro, per esemplificare!), per un Parlamento sfrondato da tutte quella congerie di odiose, volgari, sostanziose prebende che lo rendono così appetibile per i ……”meno idealisti”.
    Ma, si sa, io vengo dal “giurassico” ……
    Cincinnati all’orizzonte …..davvero pochini, ergo la vedrei davvero grigia se non fosse per il fato favorevole che ci ha concesso un Democistianopulito quale il Presidente nostro, che dal bagaglio infinito di risorse mediatorie consolidatesi in tanti anni di “il governo logora chi non ce l’ha” possa estrarre una formula taumaturgica magica che risolva l’empasse.
    Che la “forza” (andreottica) sia con te Presidente!

  • ” Il voto al PD – rispetto al 18,4% dell’intero campione – è del 13,1% nella classe operaia, del 19,4% in quella medio-bassa, del 18,3% in quella media, mentre sale al 31,2% in quella medio-alta.” tratto da https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=60278

  • Per fortuna, Pietro, c’è qualcuno che fa i conti e studia le compatibilità economiche delle promesse e questa è una delle migliori potenzialità della Rete: CONTROLLARE IL POTERE, magari smascherarlo.
    Ho seguito le analisi di Perotti e di Cottarelli (col suo Osservatorio della Cattolica di Milano con la collaborazione della prof. De Romanis) e ne ho parlato a lungo nella nostra piccola piazza, ma quanti dei cittadini italiani hanno avuto voglia, tempo e strumenti per accedere a queste fonti?

    Non sarei, tuttavia, così pessimista, Pietro: un pizzico di utopia, purché si tengano sempre in piedi per terra può essere utile per sfatare il classico mantra dell’establishment “There is no alternative”.
    Ciò che è considerato utopico può diventare realtà: è la storia che l’ha dimostrato.
    Quello che abbiamo conquistato altro non è che la realizzazione dei sogni di tanti “visionari”!

  • Innanzitutto, grazie Francesco per la definizione di “destra illuminata”. Non solo per ricambiare ma anche perché ci credo davvero, ti rispondo che è proprio un peccato che oggi, tra i “non pervenuti”, come tu dici, ci sia quella “sinistra laica illuminata” che tu hai conosciuto molto bene e che ha lasciato un vuoto tuttora evidente. In effetti, attualmente manca proprio questa tradizione politica molto rilevante nella nostra storia nazionale, che ha dato all’Italia, per un secolo e mezzo, davvero cose egregie, anche dal punto di vista di chi, come me, ne apprezzava alcuni principi, spesso i metodi, sempre lo stile, senza però condividerne, per diversa visione politica, talune scelte di schieramento. Questo oggi è un terreno politico vuoto, incolto, con qualche occupante abusivo.

    Caro Piero, forse hai ragione. Probabilmente sono troppo pessimista. Cercherò di inventarmi qualcosa per ritrovare un poco di ottimismo. Il problema è che, non appena mi immagino di esserci riuscito, mi capita tra le mani un quotidiano o sento un telegiornale. Comunque, mi impegnerò. Certi medici sostengono che il buonumore aiuti a restare giovani. Anzi, “giovanili”. Utopie e sogni a noi italiani non mancano mai. Dobbiamo solo stare attenti a non farli diventare incubi. Ti saprò dire.

  • Mi riferivo, ad esempio, Pietro, alla Flat tax. Io ritengo che non sia il caso di snobbarla. Pensiamo alla versione (decisamente più raffinata) del prestigioso Istituto Bruno Leoni. Dietro ci sono economisti seri. Bisogna poi sfatare la leggenda secondo cui la flat tax sia in contrasto con il principio costituzionale della progressività delle imposte: su La Stampa di ieri un economista l’ha chiarito molto bene con degli esempi (e, del resto, lo stesso Carlo Cottarelli l’aveva già puntualizzato sul suo Osservatorio della Università Cattolica di Milano.)

  • Certo, il testo costituzionale parla di progressività come concetto generale, non di misure specifiche degli scaglioni. La discussione mi sembra comunque ancora piuttosto aperta, proprio perché la progressività va assicurata in possibili modi diversi ma va assicurata. E fino ad ora i possibili modi diversi sono oggetto di considerazione e valutazione da punti di vista non sempre univoci, per usare un eufemismo. Questo lo dico da cittadino tra cittadini. Poi, come Pietro Martini, avrei tutto da guadagnarci. Per cui, se proprio sarò costretto a togliermi gli occhiali del Citoyen LEF per mettermi quelli di Guicciardini, allora mi rassegnerò ben volentieri a gioire per questa panacea dei nostri mali, magari atteggiandomi a credere a cappuccetto rosso, al gatto con gli stivali, al nuovo boom economico italiano e all’azzeramento del debito pubblico nazionale. Pecunia non olet.

  • Non credo neppure io alla pamacea di tutti i mali.
    La flat tax, da quanto scrive l’Osservatorio di Cottarelli, è stata applicata in diversi Paesi dell’Europa dell’Est e non ha dato risultati (solo nella federazione russa ci sono stati, ma questi pare siano dovuto all’incremento – appena dopo l’applicazione – del prezzo del petrolio).
    Ieri leggevo un’intervista a un economista che dice che si tratta di una misura applicata in una quarantina di Paesi. Non li conosco, e sarebbe utile conoscerli con l’approccio critico di Cottarelli e di Perotti (l’economista in questione è colui che ha… istruito Lega e Forza Italia sulla flat tax).

  • Hai ragione, Piero: “Ciò che è considerato utopico può diventare realtà: è la storia che l’ha dimostrato.” E difatti, chi l’avrebbe mai detto che gli italiani si sarebbero espressi in massa contro l’Europa? Perché al di là dei giochetti di società di giornali e telegiornali, che a quanto pare non interessano a nessuno, la vittoria in Italia dei due partiti più antieuropeisti e antisistema del panorama parlamentare la dice lunga su molte cose. Ci si aspetta dai prossimi governanti, chiunque essi siano, anche Belzebù in persona, un presa di posizione decisa, la stessa che negli ultimi anni non c’è stata.

    Quanto a Cottarelli e Perotti, non sono la Bibbia ma economisti come tanti altri.
    Metti insieme due prof e fai due scuole di pensiero.

  • Piero, non so a chi ti riferisci quando parli di visionari. Un tempo, ad esempio, ti rifacevi a Ventotene. Ora non capisco di quale utopia tu stia parlando, stante le cose. Perchè le utopie non possono cambiare ad ogni tornata elettorale. L’utopia non è contingente. Queste brevi parole per dire, dopo averti letto in queste settimane, che non capisco più come la pensi.

  • Non facevo nessun riferimento, Ivano, alle promesse contingenti della campagna elettorale appena conclusa, ma a quei pensatori che hanno immaginato – contro corrente per il loro tempo – delle utopie: da Thomas More a Marx, da Gandhi a Martin Luther King.
    Quello che ci manca è un colpo d’ala di fantasia per uscire dalla gabbia del nostro presente, dal mantra del (lo ripeto per l’ennesima volta) del “There is no alternative”.

  • Piero, io ho l’impressione che le utopie siano morte e sepolte, e mai come adesso ci sia bisogno di concretezza. E’ questa l’utopia, venuta meno in questa campagna elettorale che ha promesso risposte immediate ai bisogni di sicurezza della gente. Bisogno di sicurezza e protezione alle fragilità che l’economia ha generato. Michele Serra, nella sua amaca di oggi, plaude al ritorno della Politica basandosi sulla alta partecipazione al voto. Io penso esattamente il contrario. La Politica come bene comune ha lasciato spazio alla Politica come bene proprio. E capisco naturalmente, perché gli ultimi dati della Banca d’Italia sulla povertà delle famiglie e sul divario sempre in aumento tra ricchi e poveri, la dicono lunga sulle urgenze di interventi necessari. Ma il reddito di cittadinanza, ad esempio, costerebbe 10 volte di più dei redditi di inclusione introdotti dagli ultimi governi, e sarebbe di fatto incompatibile, ad esempio, con l’abolizione della legge Fornero. Nonostante questo le forze politiche, alcune, insistono. Creando quella contrapposizione tra due opposte utopie, quella del pane quotidiano, cioè quella dell’ognuno per sé, e quella del potere a tutti i costi, se non l’uomo solo al comando, e nessuna delle tre fa sperare che qualche visionario possa apparire all’orizzonte. Proprio per questo il cammino della Storia, se non uno stallo, sta segnando un pauroso passo indietro. Secondo me.

  • Non so come tu faccia a non capire, Piero, che viviamo in un tempo spiritualmente e moralmente inadatto a “muovere un colpo d’ala”, eppure i nomi che hai citato si riferiscono a personaggi del secolo scorso. Ne è passata di acqua sotto i ponti …… e, come da copione, la globalizzazione che tu pensavi potesse essere “governata” alla fine ha “governato” noi, rendendoci piatti, uguali a noi stessi, amorfi, “governabili” appunto.

    Dubito fortemente che il futuro ci riservi un capo carismatico, i social lo farebbero fuori all’istante con video, caricature e barzellette. Più probabile, invece, in questo mondo atomizzato, che le masse volubili cambino verso. La strada è tutta in salita e abbiamo appena cominciato a camminare, ma personalmente sono fiduciosa e percepisco già i segni del cambiamento. Non è vero che non c’è alternativa. In Italia ce la racconteremo tra qualche mese quando l’inciucio costruito dai poteri forti d’Europa trasformerà il M5s in giacca e cravatta di Di Maio nel nuovo partito della “sinistra globale”, asservita al potere oltre che alla Casaleggio & Co., e allora tanti ingenui elettori capiranno.
    Anche questo sarà un ulteriore passo avanti.

    Quanto al povero PD, dopo aver saputo che Renzi non si toglierà mai di torno, sarà difficile che si risollevi. Ma non è grave, morto un partito se ne fa un altro.

  • Adesso la barra del timone del Partito Democratico è in mano a un nocchiero (pro-tempore) che ha iniziato a delineare la corretta exit-strategy dalla sconfitta. No a un’alleanza con il Centro, definito “centrodestra” solo perché contrario all’affarismo faccendiere del business clandestini. E no a un’alleanza con i Cinque Stelle. Entrambe sarebbero infatti fatali per il Partito Democratico. Per evidenti motivi: in termini di consenso da parte della base, che ha voglia di menar le mani; di immagine pubblica dopo le sberle prese (we’re Democrats, and proud: è il momento dell’appartenenza e dell’orgoglio kennedyano); di calcolo elettorale in caso di altre elezioni ravvicinate.

    Per cui, all’opposizione. E basta là. Maurizio Martina è stato chiaro. Ma un’opposizione nella quale, senza troppo clamore e sparnazzamenti, si possano recuperare le forze, le risorse, la fiducia. Insomma, un’opposizione per prepararsi alla rivincita. Michele Emiliano che voleva andare con i Cinque Stelle e Orlando che “chiede garanzie” perché gli hanno fatto un “vulnus” così, adesso forse hanno capito che è meglio darsi una calmata e finirla di fare le wande osiris.

    Chiarissimo, perfetto il messaggio, sull’unica strategia possibile, che non sia da oligofrenici o psicolabili politici: “Alle forze che hanno vinto diciamo una cosa sola: ora non avete più alibi. Il tempo della propaganda è finito. Cari Di Maio e Salvini, prendetevi le vostre responsabilità: i cittadini vi hanno votato per governare, ora fatelo”. “Ripartiamo con umiltà e unità e con una mobilitazione straordinaria. Organizziamo assemblee aperte nei seimila circoli PD. Ripartiamo dal nostro popolo. Tutti devono essere parte di questo lavoro”.

    Un classico da manuale militare di Scuola di Guerra. “Ripartiamo dal nostro popolo” perché il PD ce l’ha e gli altri no, tranne forse la Lega. Assemblee nei “seimila circoli PD” perché il PD ce li ha e gli altri no, proprio nessuno, e perché si tratta di un apparato circolatorio di forze ed energie formidabile. “Mobilitazione straordinaria” e “tutti devono essere parte di questo lavoro” perché la Grande Patria del Grande Partito è in pericolo, la bandiera chiama, il cuore va buttato oltre l’ostacolo, grillacci e magliette zanza su panza e dentiere no pasaràn.

    Gli avversari? Hanno voluto la bicicletta? Pedalino. Loro, Mattarella, quelli che fuori dall’Europa, quelli che il reddito di nonsisacosa, che la flat tax, che aboliamo la Fornero, che te lo do io l’euro, insomma c…. loro. Vediamo se i vecchi tromboni e i fighetti con gli zainetti lo lasciano lavorare, questo democristiano di sinistra della pianura bergamasca adottato, quand’era un orfano politico adolescente, dall’ultimo Partitone.

    Non è che, con questo mio elogio del Partito Democratico, mi sia convertito al catto-democratismo. Resto un destro laico. Anzi un laico maldestro. Il fatto è che ci dicono di stare allegri perché invece del due di picche adesso contiamo come il quattro di picche. Per cui, eccoci qua a guardare dal loggione della politica, come i loggionisti snobbati da quelli nei palchi. È un po’ come tenere alla Pro Vercelli andare a vedere Roma-Lazio all’Olimpico. Forza Martina, forza lupi, so’ finiti i tempi cupi.

  • Vedrai, Pietro, che alla fine si metteranno d’accordo.
    In fin dei conti sono passati pochi giorni dall’elezione, forse pretendiamo troppo: il Belgio è stato due anni senza un governo, la Germania ha “trattato” per sei mesi, Spagna e Olanda pure. Ora vedremo l’Italia ma ormai s’è capito che va così, sembra che le varie leggi elettorali siano state fatte apposta per ottenere risultati incerti, e decisamente più “gestibili”.

    http://www.ereticamente.net/2018/03/la-grande-sconfitta-umberto-bianchi.html

  • Non ne ho visti neppure io, Ivano, i visionari in questa campagna elettorale, ma solo partiti che, tutti intenti a denigrare gli altri per catturare voti, hanno promesso di distribuire ricchezza che non c’è (spendendo in deficit, cioè indebitandosi e accrescendo così il debito e il suo già mostruoso monte interessi).
    Nessuno ha avuto il coraggio o… la fantasia di… guardare avanti, di guardare al nostro futuro nello scenario della globalizzazione (e delle tentazioni protezionistiche) e della robotizzazione dei processi produttivi e degli stessi servizi.
    Nessuno ha avuto il coraggio, se non a parole (magari promettendo… assistenza con il reddito di cittadinanza), di creare le condizioni perché i giovani non siano costretti a emigrare e perché lo Stato non… regali ad altri Paesi tanti giovani formati in Italia con i soldi dei contribuenti.
    Stiamo perdendo un patrimonio immenso e quasi nessuno ne parla.

  • La chiusa del pezzo di Bianchi in effetti sembrerebbe quasi ottimista, Rita. Grazie per la segnalazione dell’articolo.

    In effetti, non è la prima volta che le elezioni italiane causano uno stallo politico, dovuto alla difficoltà di avere i numeri sufficienti per formare un esecutivo. E che si rischi quindi di restare senza governo per un po’ di tempo. Come è successo anche in diversi altri paesi europei. È come quando nevica a Roma o ci sono troppe zanzare da noi in campagna: tutti strillano all’evento epocale e dimenticano che è già successo un sacco di volte.

    Solo che ogni volta i media ci sguazzano e ci fanno sguazzare, anche per trovar modo di giustificare i loro scombinati palinsesti, le loro costose prebende e la loro sindrome soterica sociale. Probabilmente, però, in questo caso gioca pure il fatto che dalle urne è uscito un risultato piuttosto eclatante, anche se in parte previsto. Per cui, l’agitazione non è solo indotta ma anche spontanea. Magari giustificata. E poi stiamo diventando tutti abbastanza insofferenti, quasi quasi ci arrabbiamo. Ecco, forse il punto è che nessuno si arrabbia più per davvero. È così scomodo.

    (Continuo a specificare a chi indirizzo il mio riscontro perché in questo post non riesco, forse per mia inettitudine come arciere digitale, a far funzionare le “freccette”. Nessun problema, era solo per chiarire tutti questi miei vocativi).

  • In effetti, Pietro, il tasto “rispondi” …. non risponde.
    Il problema è già stato segnalato e presto verrà risolto. Non c’entra l'”inettitudine digitale, patrimonio comune di tutti noi non-nati digitali.

    Sul tema: siamo a nove giorni dal verdetto elettorale, calma! Ma soprattutto, non facciamoci montare la testa dai media che non sanno assolutamente niente (poiché quasi nulla trapela dalle segrete stanze) e ogni giorno spacciano le loro illazioni per “scenari futuri”, a uso e consumo dei pochi che ancora abboccano.

    Direi che al di là di qualche breve considerazione su vittorie e sconfitte, è meglio astenersi da ipotesi fantascientifiche, lasciamo questo goliardico passatempo ai giornali che qualcosa devono pur scrivere per tirare a campà. Dopotutto il 23 marzo, giorno in cui verranno eletti i presidenti di Camera e Senato, è vicino. Se i padri costituzionalisti, con l’articolo 61 della Costituzione, hanno stabilito che il primo atto del nuovo governo dovesse esprimersi non prima di venti giorni dalla data del voto è perché hanno reputato impossibile che si potessero concludere accordi soddisfacenti entro tempi più brevi. Non facciamoci prendere la mano da giochetti oziosi da giornalisti senza notizie. Noi cittadini che siamo stati capaci di dare un segnale forte alle urne, cerchiamo di proseguire sulla strada della sobrietà.

    A questo proposito vorrei aggiungere, visto che Piero vi più sopra accenna, che l’elettore medio italiano (meno stupido di quanto si pensi) non ha affatto votato i due partiti cosiddetti populisti sulla scia di promesse economiche. Qualche eccezione di sicuro c’è stata, come ad esempio i 50 (dicasi cinquanta di numero) che si sono presentati ai Caf per ritirare il modulo di richiesta del reddito di cittadinanza, ma in generale gli italiani hanno capito benissimo (basti vedere la quantità spropositata di sfottò che girava prima del 4 marzo sui social, la bibbia del popolo) che il punto centrale non stava nelle promesse da marinaio dei politici. Molto semplicemente, e capisco che questo è un boccone molto più amaro da digerire, gli italiani hanno votato contro questo modo di gestire la cosa pubblica, contro la burocrazia cieca e sorda, contro questa Europa, contro il rigore idiota che fa bene solo al potere finanziario globale, contro le porte aperte all’immigrazione clandestina. Hanno votato contro. Più chiaro di così, si muore.

    Sbaglia quindi il Pd (di nuovo) se crede che “adesso Di Maio e Salvini non riusciranno a mantenere le promesse e poi torniamo noi alla carica”. Non è questo il punto. Gli italiani continueranno a preferire chi s’impone in Europa per fare gli interessi dell’Italia, come stanno facendo Merkel e Macron per i loro rispettivi Paesi, non voteranno mai più dei servi, basta, qui non c’entrano le promesse di reddito o cose simili. Il messaggio è stato chiaro e forte: se dite di essere dei politici, fate i politici, siamo buoni tutti a eseguire gli ordini di Bruxelles.

  • Il cosiddetto “processo di drammatizzazione” è stato molto studiato in letteratura e più in generale nelle varie arti, nei suoi meccanismi funzionali e nei suoi esiti attesi. Spesso è stato applicato in ambiti derivati, come ad esempio la terapia psicoanalitica, la lotta politica, l’aggiotaggio borsistico, il management aziendale. A volte la drammatizzazione segue dinamiche spontanee e giunge a risultati non condizionati. Altre volte viene gestita con obiettivi specifici e può arrivare o meno agli scopi prefissati. I media in genere e quelli giornalistici tradizionali in particolare, più facilmente controllabili da editori a loro volta controllati da finanziatori, rappresentano un fattore di drammatizzazione indotta particolarmente diffuso ed efficace. Nulla di nuovo o di strano. Dai fogli giornalistici settecenteschi a oggi, a tutte le latitudini e in ogni contesto sociale, lo si sa e lo si accetta come parte delle regole del gioco. E si reagisce cercando di evitare sia un’imprudente black-out informativo, sia un altrettanto imprudente overload di notizie e di sollecitazioni finalizzate ad eccessive drammatizzazioni popolari eterodirette.

    Personalmente, Rita, mi pare evidente come l’attuale fase di drammatizzazione mediatica post-elettorale italiana sia solo in parte spontanea e quindi solo in parte possa produrre risultati non condizionati. Come detto, è cosa ovvia e prevedibile. Ciascuno suona le trombe e rulla i tamburi del proprio reggimento. Il punto però è un altro. Mi chiedo quanto di questo polverone mediatico, di questo martellamento giornalistico e televisivo presenti un effettivo rapporto causale, un reale nesso eziologico con le cose e i fatti, le azioni e gli accadimenti che per davvero stanno succedendo ai fini di una soluzione dell’attuale problema della formazione di un esecutivo. È vero che la democrazia e la libertà di stampa servono anche a questo generale afflato partecipativo, a questa diffusa condivisione quotidiana delle ultime novità, dichiarazioni, indiscrezioni riferite a questo o a quel politico. E che prima di immaginare occulte manovre in segrete stanze occorre stare a ciò che di fatto si sa e si dice. Certo, viva la democrazia mediatica. Ma questo senso di circospezione e scetticismo verso tanti esibiti scenari giornalisticamente accreditati, questa istintiva diffidenza verso tante ultime novità in rincorsa tra loro da uno studio televisivo all’altro, questa percezione del fatto che non è su questi palcoscenici che possano realizzarsi i fattori risolutivi per formare un governo, tutto questo lascia addosso un sentimento di disagio e imbarazzo, una certa crescente insofferenza, quasi un fastidio verso un mondo fenomenico di rappresentazione e apparenza, un mondo di continue “drammatizzazioni”, dietro al quale le volontà noumeniche seguono percorsi e possibili esiti separati, autonomi, altri.

    Il ritardo nella formazione dei governi non è quasi mai stato letale. Le economie nazionali usano i governi come mezzi tra i tanti e possono andare avanti per un po’ anche senza. Come hanno dimostrato il Belgio per 194 giorni nel 2007-2008 e 541 giorni nel 2010-2011, la Spagna per 314 giorni nel 2015-2016 e l’Olanda per 225 giorni nel 2017. Noi, a nove giorni dalle elezioni, ci facciamo mettere in fibrillazione. Perché questa “drammatizzazione”? Cui prodest?

  • Sono arrivata anch’io alle tue stesse conclusioni, Pietro.
    E mi pare che siamo in ottima compagnia: quante delle persone che quotidianamente incontriamo per strada chiede e/o si chiede chi sarà il Presidente del Consiglio?, a chi andrà il Ministero dell’Interno?, e le presidenze di Camera e Senato? Risposta: nessuno. Si parla d’altro perché i problemi sono altri. Lasciamo dunque il Risiko a giornali e tivvù, con l’augurio di un buon divertimento.

  • Mi scuso per “un’imprudente black-out informativo”: era “un’imprudente carenza informativa”, con successiva correzione solo parziale. E grazie, Rita, per l’informazione sulle “freccette”.

    Invece, nel merito del discorso, devo dire, e non certo per piaggeria, che considero il ricercare e l’arrovellarsi e il confrontarsi con noi di Piero Carelli su questo tema, anche con il suo ultimo contributo su questo blog, come l’opposto delle “drammatizzazioni” indotte mediatiche. E come uno stimolo sincero e appassionato. Ci tengo a precisarlo, per chiarezza. Il punto, a mio parere, non è che sia “sbagliato fare analisi o formulare ipotesi” (e in questo concordo col commento di stamattina di Ivano Macalli), ma che certe enfatizzazioni del continuo affastellamento di ipotesi e contro-ipotesi di provenienza giornalistica e televisiva possano sortire l’effetto contrario a quello voluto dai media. Come è risaputo, un effetto di fastidio e progressivo disinteresse verso quei martellanti annunci e colpi di scena. Il cosiddetto “sbadiglio da circo equestre”.

    Per cui, caro Piero, sono molto interessato alla tua ipotesi “D”. Perché tu hai fatto il contrario del circo mediatico ufficiale, che ci sta annoiando sempre di più e comincia a farci venir voglia di interessarci di tutt’altro. Tu ci hai incuriosito.

  • Ieri sera ero a casa di amici di Lodi che sono sempre stati di orientamento socialdemocratico e che da qualche lustro votano PD. Si sa che parlare di politica, religione e brutte malattie non è educato, né da parte dei padroni di casa, né degli ospiti. Poiché però altri loro conoscenti invitati hanno, verso il fine serata, fatto alcuni commenti sulle recenti elezioni, avendo anche loro votato PD, ho aguzzato le orecchie mentre la discussione si svolgeva. Infatti, da quando il PD ha perso, nutro un certo interesse per questa vicenda, non so perché. Forse, quando tutti parlano male di qualcuno o qualcosa, si innescano reazioni inaspettate. Quello che mi ha colpito è che anche in questa occasione, come già altre volte negli ultimi dieci giorni, ho sentito su Renzi le stesse due cose già espresse da molte persone in area PD, almeno da quelle che ho incontrato dopo le elezioni. Le due cose sono il medesimo biasimo e il medesimo apprezzamento.

    L’apprezzamento è quello di avere, in pochissimo tempo e con sacrosanta violenza, fatto fuori quasi tutti i malcelati tromboni veterocomunisti ancora annidati nella segreteria e nell’apparato di partito. Senza questa operazione di pulizia, dicono in molti, oggi il PD non avrebbe più voti ma solo più cadaveri nell’armadio. Il biasimo è, con mia notevole sorpresa, quello di un’intesa più o meno sotterranea tra Renzi e Berlusconi. Non so se sia fantapolitica ma ritorna spesso l’elenco di queste convergenze nei tre anni di governo Renzi. Anche Travaglio cita questi fatti nel suo ultimo “B. come Basta”. Relata refero. Il Jobs Act e i regali alle imprese; l’abolizione dell’art. 18; la Buona Scuola; la responsabilità civile dei giudici; le soglie più alte di non punibilità per la frode e l’evasione fiscale; l’aumento a tremila euro per i pagamenti in contanti; la riforma costituzionale per un premier più forte e un parlamento più debole (col Senato come dopolavoro per sindaci e consiglieri regionali in cerca di immunità); l’Italicum, con deputati non eletti ma nominati dai capi-partito; l’abrogazione dell’Imu su tutte le prime case. E molto altro ancora, anche il rilancio del ponte sullo stretto di Messina, sempre ovviamente col voto favorevole del partito di Berlusconi. Insomma, una sorta di tradimento, anche questo “ad personam”, che avrebbe causato un calo di consensi della base e quindi di voti al PD il 4 marzo.

    Non so se le cose stiano realmente così. E avendo scritto un elogio del Partito Democratico non saprei a questo punto se elogiare o criticare questa mancanza di voti da parte di molte persone del PD, sentitesi gratificate dalla rottamazione dei morti viventi ancora aggrappati alla seggiola ma anche irritate e offese dal comportamento di un capo-partito, per dirla quick and dirty, traditore. Da approfondire. Come dice Piero, ricercare, ricercare.

  • Renzi ha indubbiamente “fatto fuori” parecchie cariatidi, Pietro, ma con un goal clamoroso dopo l’altro alla fine si è fatto fuori lui stesso. Per cui, anch’io avevo lasciato la porta semiaperta all’inizio ma poi l’ho chiusa, non so fino a che punto lo si possa considerare un “politico” nel senso letterale del termine. E’ stato il doppio di Berlusconi, che difatti non ha mai fatto mistero delle sue simpatie per il Fonzie di Pontassieve; ma, davvero gli italiani vorrebbero una copia al posto dell’originale? Anzi, allarghiamo pure la platea, chi vorrebbe una copia? La maggioranza degli elettori ha optato infatti per il cambiamento. D’accordo che non ci sono limiti al peggio, però, oggettivamente, al punto in cui siamo cosa avremmo da perdere? Pochino.

  • Che Berlusconi sia interessato a un’intesa con Renzi è acclarato.
    Galli Della Loggia, nei giorni scorsi sul Corriere parlava di un vuoto che si è creato nel “centro politico” (il centro, appunto, rappresentato da Forza Italia e dal Pd), un vuoto che, sempre secondo Della Loggia, avrebbe avuto come causa la rottura del Nazareno, rottura che ha spinto Berlusconi ad allearsi con le estreme (sia la Lega di Salvini che con la Destra della Meloni).
    Oggi ricucire quello strappo è oggettivamente impossibile perché non esistono più i numeri: non esistono cioè più i numeri per un governo dei “moderati” (dei convinti europeisti, ad esempio).

  • Capisco che ormai, con la scelta del PD di stare all’opposizione e visto il possibile accordo tra Cinque Stelle e Lega, parlare di Renzi possa sembrare inutile. Ma non mi quadra del tutto, Rita, questa equiparazione di Renzi a una sorta di avatāra politico di Berlusconi. È una cosa che continuo a sentire da parecchie persone, tra le quali molte di area PD. Ma ci sono allora dei fatti che non mi spiego.

    Ad esempio, quando due anni fa Napolitano ha lasciato l’incarico, Renzi si è messo di traverso a Berlusconi spingendo per l’elezione di Mattarella, mentre l’altro spingeva per Amato. E quelle polemiche tra i due non sembravano artificiali. Mi rifaccio sempre a quanto sto leggendo sull’argomento, senza avere troppe basi informative pregresse. Un anno e mezzo fa, col referendum, Berlusconi in extremis ha virato sul no, con dichiarazioni anti-renziane esplicite, mentre fino ad allora pareva aver lasciato aperta la scelta ai suoi. Uno sgambetto evidente. Ci sono poi altre situazioni di divergenza e anche di aperto contrasto. Tutte manfrine apparenti, per dissimulare intese di sostanza? Mi sembrerebbe eccessivo.

    Comunque, se Di Maio e Salvini si alleano, comprendo come questo possibile legame tra Renzi e Berlusconi possa passare in secondo piano. Almeno che non ricomincino le grandi manovre su qualche altro ipotetico centrismo politico. C’è però qualcosa in questa vicenda che mi sembra porti a fare di Renzi il capro espiatorio di tutto. Va bene che, quando si perde, il capo ha le sue responsabilità. Ma noto una differenza notevole, all’interno del PD e all’interno del partito di Berlusconi, di fronte alla sconfitta elettorale, che entrambi hanno avuto (sia pure, in un caso, in alleanza con uno dei vincitori). Da parte PD sembra una sceneggiata alla Mario Merola, tipo “lacrime napulitane” e “o’ zappatore”. Dall’altra parte, diciamo pure l’opposto.

  • Tieni presente, Pietro, che qualsiasi avatāra porta in dote le caratteristiche del suo tempo. Indubbiamente esiste un gap generazionale, stiamo parlando pur sempre di un signore di 43 anni, credo, e di un altro di 81. Se anche lo stampo è lo stesso, i colori nel frattempo sono cambiati. Il primo deve garantire a se stesso un futuro politico (non sa fare altro) nonostante le sconfitte (referendum + elezioni politiche), mentre l’altro vuole lasciare un’eredità che faccia parlare di lui nei secoli dei secoli, amen. C’è differenza.

    Mai come in questi ultimi dieci giorni il vecchio e il giovane sono apparsi coinvolti dallo stesso destino, imbarcati sulla stessa nave, quella che mestamente torna a casa dopo aver perso la guerra. Se in autunno dovessimo tornare al voto, cosa che personalmente non credo possibile, entrambi verrebbero polverizzati.

    Ma, come osservi anche tu, l’umore delle truppe è diverso: i renziani non hanno chance mentre i berlusconiani sperano ognuno nel suo intimo in una calda e confortevole poltroncina a palazzo, dopotutto i giochi non sono ancora fatti. Ci sarà da ridere quando scopriranno che per loro c’è solo qualche posto libero nel loggione … e allora gli strali di Brunetta si abbatteranno su Salvini mentre Romani tirerà fuori la sua dialettica democristiana per recriminare sul posto di presidente del Senato sfumato …. ma questa è un’altra storia.

    Nessuno ha ancora parlato di Giorgia Meloni, che sta “trattando” in queste ore con il pentastellato Toninelli, che non è propriamente l’autista di Di Maio. Ho l’impressione che i vari cronisti (chiamarli giornalisti è un delitto) la stiano sottovalutando. Eppure, comunque la si pensi, bisogna riconoscere che la ragazza è tosta, e anche preparata. Non dimentichiamo che ha portato il suo partito al 4,35%, mentre i super-pompati (dalla stampa) Grasso e Boldrini si sono fermati attorno al 3%, e possono dire grazie al fatto che l’Italia è il Paese degli over60 sennò non prendevano neppure quelli.

  • E’ stato proprio lo sgarbo fatto da Renzi a Berlusconi sulla elezione di Mattarella che ha rotto il patto del Nazareno e ha portato Berlusconi a votare a favore del No al referendum costituzionale. E’ questo divorzio, secondo Galli Della Loggia che ha portato allo svuotamento del “centro politico” (che è sempre stato il cuore di ogni governo) e quindi della vittoria delle estreme.

    Da anni si dice che per vincere bisogna occupare la posizione del “centro”. Abbiamo visto che oggi il M5S sta occupando, come la Dc di una volta, ogni spazio politico (dalla destra alla sinistra e al centro).

    Abbiamo tutti assistito al progressivo avvicinamento dei pentastellati verso posizioni moderate.

  • Ma allora, stando a quanto dite, sembrerebbe che la fortuna di Renzi sia stata favorita, tra le altre molte cose, anche dall’alleanza, più o meno dissimulata, con Berlusconi. E che la sua sfortuna sia iniziata, tra le altre molte cose, dal momento in cui questa alleanza è terminata. Mi sembra una chiave interpretativa che tenda a dare a Berlusconi un ruolo piuttosto rilevante, rispetto agli apparenti modelli comportamentali piuttosto assertivi, per usare un eufemismo, di Renzi. Anche perché la sfortuna di Renzi ha poi causato, direttamente o indirettamente, a torto o a ragione, la sfortuna del Partito Democratico, vale a dire la sconfitta elettorale del 4 marzo. Naturalmente il termine sfortuna non è qui usato nel senso di pura aleatorietà.

    Se le cose fossero andate veramente così come voi dite, in questo caso, francamente, l’intera faccenda sarebbe alquanto deludente per chi avesse ancora in animo di elogiare il Partito Democratico, dovendolo considerare come diretto da un capo-partito che è stato eterodiretto da un altro capo-partito simulatamente avversario. Una brutta figura, politicamente, per Renzi e un’ottima figura, sempre politicamente intendo, per Berlusconi. Che roba, sembra un plot elisabettiano. Non è che stiamo diventando tutti complottisti? E, più semplicemente, non è che questi qui ogni tanto si strofinano e ogni tanto bisticciano? In fondo sono tutte primedonne, con una forte componente di narcisismo volubile da mente nubile.

  • Le prime fortune di Renzi, infatti, gli sono venute dal fatto che secondo l’elettorato moderato italiano “assomigliava moltissimo a Berlusconi”, del quale avrebbe potuto essere il delfino. Nessun democristiano sano di mente ha mai pensato ad Alfano, e Fini era ingloriosamente caduto in disgrazia per via di una signora bionda e della sua famiglia truffaldina.

    Quando poi s’è capito che non avrebbe mai eguagliato l’originale, lo si è fatto fuori.
    Il destino politico di Renzi è legato a quello di Berlusconi, che sappiamo tutti qual’è.

  • Il patto del Nazareno, Pietro, è stato un tentativo di scrivere una riforma costituzionale con forze esterne alla maggioranza (dopo il referendum che aveva bocciato la riforma della semplice maggioranza che ruotava introno a Berlusconi): ed era giusto così, perché le regole del gioco vanno scritte insieme. Solo che il patto è stato visto dalla sinistra della sinistra della sinistra… (all’infinito) come un patto con il diavolo.
    Ma perché Renzi ha firmato questo patto con Berlusconi? Semplicemente perché il M5S ha rifiutato sdegnosamente di sedersi intorno a un tavolo per scrivere le regole del gioco.
    E’ sempre lo stesso teatrino della politica. ognuno pensa al suo elettorato. Ora, l’opposizione di ieri si rende giustamente conto di questa necessità e chiede alla attuale “opposizione” la responsabilità.

  • Ho capito. E, in effetti, ho letto anche del teatrale rimboccamento di maniche di Bersani in streaming. Prima che gli rimboccassero la coperta.
    Però, se poi è bastato, Piero e Rita, uno sgarro come quello dell’elezione di Mattarella per far iniziare la Marcia funebre di Sigfrido per il povero Matteo I, allora chissà che Caduta degli dei per il povero Matteo II, se convolerà a nozze politiche con Di Maio, cosa ben più grave.
    Se Berlusconi ha tutta questa potenza, soprattutto se ne ha ancora abbastanza, scatenerà le sue Valchirie punitrici contro i Cinque Leghe. Non penso che Forza Italia si faccia beffare così, senza reagire.
    Martina e il Partito Democratico hanno detto dignitosamente e giustamente di voler restare all’opposizione. Ma gli alleati elettorali di Salvini sono disponibili a considerare questa loro alleanza elettorale come i trattati fasulli che venivano stipulati tra i generali americani e le tribù indiane? Non me lo vedo Berlusconi che si rassegna a fare il Sitting Bull nel Wild Italian Show di Buffalo Salvini.

  • Concludo questo elogio del Partito Democratico, dopo una settimana di apprezzamenti, con un ultimo plauso riferito a un elemento che ritengo essenziale, forse ancor più dei molti sinora espressi. Infatti, l’ultimo Grande Partito della nostra storia repubblicana ha avuto una capacità fondamentale, che nessun altro partito ha avuto negli ultimi settant’anni, manifestando in tutte le sue metamorfosi di forma e di apparenza una evidente fedeltà alla sostanza delle sue premesse identitarie e dei suoi metodi originari.

    È la capacità di scrivere e riscrivere la Storia. Da settant’anni un’orchestra ricca di talenti e ben diretta ha suonato e suona una musica che racconta la nostra Storia repubblicana, una musica che, a furia di essere ascoltata, ha finito con l’essere considerata ormai da quasi tutti “la” Storia vera dell’Italia. È stata un’operazione magistrale e ben riuscita. Gli aspetti organizzativi di politica culturale del Partitone, sottesi a questo progetto propagandistico, sono ben noti, come sono noti gli apparati strutturali e i meccanismi operativi di chiara matrice leninista con cui si è giunti a un simile successo. Ci sono stati primi violini a livello nazionale e qualche modesto percussore di timpani nelle retrovie di provincia. Ci sono stati pezzi di bravura ma anche stecche. Comunque, il risultato globale, complessivo, popolare, è stato raggiunto.

    La milizia dei volonterosi storici “d’area”, degli zelanti narratori di una Storia resa “organica” agli orientamenti politici del Partitone hanno dato prove eccellenti di dedizione e perizia. Dopo la scomparsa della Democrazia Cristiana, buona parte della storiografia cattolica si è accodata in ordine di marcia e di scuderizzazione, ad eccezione di poche voci isolate. Questo establishment storiografico, molto agguerrito a livello nazionale e locale, può oggi contare su basi operative, entrature mediatiche, appropriazioni archivistiche, risorse umane, materiali ed economiche ben superiori a quelle di tutte le altre formazioni politiche. Chi non segue questo mainstream è spesso tacciato di “revisionismo”, se non peggio.

    Fino a quando tale monopolio culturale durerà, anche i Cinque Stelle, la Lega e gli altri futuri vincitori delle prossime elezioni saranno comunque presi dalla ragnatela avviluppante, dalle rielaborazioni interpretative, delle versioni dei fatti orchestrate dalle residue e comunque ancora ben munite forze intellettuali del Partitone, mobilitate su un terreno in cui hanno indubbia primazia. La Grande Narrazione monopolistica di una Sinistra sinistrata in politica ma ancora egemone in campo storiografico continuerà fino a quando altri sapranno progettare, gestire e controllare qualcosa di effettivamente alternativo a questa macchina bellica culturale, incaricata della scrittura e riscrittura della Storia italiana dalla Liberazione a Renzi. Dopo l’epopea risorgimentale e dopo l’epopea fascista, questa terza epopea narrativa creata dal Partitone resterà come esempio di callidissimo dirigismo storiografico, forse insuperabile, certamente ammirevole. Da elogiare.

  • Dal 1892 al 2017 si sono contati in Italia 81 partiti, alcuni durati lo spazio di una legislatura. In questo elenco sono inclusi quei partiti che in campagne nazionali hanno raggiunto l’1% di voti e che hanno eletto con il proprio simbolo almeno un parlamentare nazionale o europeo o che sono stati rappresentati in Parlamento da almeno 5 parlamentari. Tra questi nomi fantasiosi subito scomparsi, o quasi, come il Partito dei contadini, Fare per fermare il declino o Partito economico. Senza considerare i Partiti regionali che sono altrettanti come numero. Per dire che se l’ex PCI, pur cambiando nome ed adeguandosi ai tempi, ha retto fino ad ora, significa che qualcosa di buono ha promosso. Almeno fino alla settimana scorsa. Ma non credo sia imputabile solo al Partito, che indubbiamente non ha saputo intercettare alcuni bisogni, ma questi, convogliati da altri, per linguaggio, stile o cultura, o progettualmente, anche se gli stessi, come necessità di risposta, sono stati completamente snaturati nel senso, quello che mai come ora, sta allontanando sempre di più la forma dalla sostanza.

  • Non sapevo degli 81 partiti, oltre a quelli locali e a quegli altri al di sotto dei limiti numerici da lei citati. In effetti, se questo Partito c’è ancora, con una forza attuale tutt’altro che trascurabile in termini di consensi elettorali e rappresentanze istituzionali e culturali, “qualcosa di buono ha promosso”, come lei dice.

    Più che il passato, che conosco poco, mi incuriosisce il futuro di questo Partito storico, l’unico rimasto sulla scena italiana dopo l’esaurirsi delle formazioni politiche liberali, socialiste, azioniste e cattoliche. Cinque Stelle e Lega, che stanno facendo la partita, sono movimenti politici completamente diversi, in buona parte ancora da scoprire nei loro effettivi scopi e risultati.

    Da un paio di settimane non passa giorno che non arrivino contro il PD attacchi molto violenti e pesanti, stringendolo in un continuo assedio politico e mediatico. Martina ha capito che per resistere occorre essere “umili e audaci”. Umili anche rispetto a certe forme relazionali istituzionali che di recente hanno lasciato a desiderare. Audaci anche nella sostanza, nella pratica riformista contro lo schiacciamento dell’economia globalizzata sulla politica sociale. È proprio quello che chiedeva un secolo fa Matteotti a Turati, per scongiurare perdenti alleanze o aventinismi. Non ci sono alleanze o ritiri sabbatici se si è asserragliati a Fort Alamo. Che fuori ci siano i messicani, i sansepolcrini o i Cinque Leghe. Sono davvero curioso di vedere come finirà questo assedio.

  • So che sei uno “storico” e hai dimestichezza con studi di storia e quindi con la storiografia. Che ci sia stata un’egemonia marxista per lungo tempo, questo mi pare indubbio.
    Credo, tuttavia (posso sbagliarmi) , che dopo Renzo De Felice, ci troviamo di fronte nuovi filoni interpretativi.

    Anche nella nostra piccola piazza di Crema l’orientamento, anche grazie ai tuoi contributi nel tuo ruolo di “storico”, sta cambiando da qualche tempo sta cambiando. Ricordo i tuoi saggi apparsi su Insula Fulcheria, ma ricordo anche alcuni saggi pubblicati dal centro Galmozzi (io stesso, che storico non sono ma un… giornalista che si occupa di tanto in tanto di storia locale, ho dedicato nei miei “Appunti di viaggio” un capitolo in cui ho “riscoperto” in una luce tutt’altro che marxista alcune figure del Fascio repubblicano).

  • Non volevo né potevo fare casi personali, Piero, men che meno riferiti alla nostra realtà locale. Fossi matto. Tengo famiglia.

    Ho solo espresso l’opinione di chi al liceo ha dovuto studiare storia sul Catalano, sul Saitta e sul Della Peruta. E arte sull’Argan e su Lukács. E taccio dei viaggi con la classe precettata per andare a Milano a sentire Brecht, Milva e Mackie Messer. E taccio dei testi di filosofia, per decenza. Almeno il Rocci di greco era quello e punto. Consiglio “La storia a sinistra”, di Gilda Zazzara, Laterza, 2011.

    Non porto rancore a nessuno. Nonostante tutto ciò, sono ancora vivo.

  • Della Peruta è stato un mio docente, e pure Smuraglia, so di cosa parli. Meno male che finita l’università ho potuto dedicarmi seriamente allo studio, e ancora non ho finito. Anzi, non finirò, mai. Una vita non basta.

    Neppure io porto rancore, credo tuttavia che oggi il Pd stia pagando anche questo.
    Con gli interessi, s’intende.

  • Dei tre che ho citato, è forse l’autore meno impostato ideologicamente. Io ho conosciuto solo i suoi libri di testo al liceo e poi altre sue opere su temi italiani più specifici, mentre lui non l’ho mai incontrato. Hai comunque avuto un docente molto importante in Italia, anche a prescindere dall’orientamento.

    L’adozione di testi di autori di una certa area culturale nella scuola italiana è stata una delle strategie che ammiro di più in questo Partito. Con le elezioni vinci per cinque anni. Con la formazione scolastica delle nuove generazioni vinci per cinquanta. Niente di nuovo.

    Nel periodo repubblicano, nessuna formazione politica ha fatto meglio di questo Partito in termini di realpolitik educativa scolastica, neppure la munitissima Democrazia Cristiana. Chapeau.

  • Su Martini, e mi riferisco al suo commento del 19 marzo 2018 alle 00:23, non faccia così la vittima. E’ vero che un’egemonia culturale di sinistra in questi decenni c’è stata, ma mi chiedo come sarebbe stato possibile il contrario. Ricordiamoci che questi settant’anni sono stati preceduti da quei venti che forse qualche problema all’Italia l’han creato. E tutto è così documentato che non credo possa essere smentito. In tutti i casi pare che questi tempi siano ormai passati. I tre partiti usciti vincitori dalle ultime elezioni non mi pare proprio che si possano definire di sinistra. Casa Pound e Forza nuova, se non in Parlamento, in qualche Municipio sono entrati, e negli anni spesso si è detto che con Fini , ad esempio, il fascismo era stata sdoganato, e ad Almirante e alla signora Assunta non sono mai stati negati spazi televisivi o su carta. Quindi la Destra avrebbe potuto trovare espressione, non dico egemonia, alcuni ricordi sono ancora vivi, e proporsi dialetticamente come in ogni stato democratico. Non c’è riuscita? E’ un problema suo. Sa qual è il problema secondo me? E’ che sono stati scelti male i personaggi, come ora si sta sobillando non la Destra illuminata che Lei auspica, almeno credo, ma quella estrema, piena di nostalgie, che non lascia presagire niente di buono. Anche se io fatico ad identificare una Destra moderata, e non saprei bene a quali idee o valori assimilarla. L’anticomunismo? Va bene, ma questo sarebbe troppo scontato – se non c’è più il fascismo tanto meno c’è stato il comunismo, almeno da noi, e poi? Cos’ è mai questa Destra da alcuni invocata? Quali principi la ispirerebbero? Senza dimenticare che a Lei, come ad altri, non è mai stato impedito di dichiararsi di Destra, cosa che nel ventennio di prima sappiamo tutti cosa ha significato dichiararsi di sinistra, tanto per capirci. Senza considerare, se n’è parlato molto sul blog, di tentativi di revisionismo, se non negazionismo, che sono una tentazione forte per i nostalgici. Qualora questa operazione riuscisse sarebbe più o meno grave dell’egemonia di questi ultimi anni tanto deplorata?

  • Senza andare tanto distante, tra ventenni e settantenni ormai consegnati alla storia, guardiamo a cosa accade nell’Italia di oggi:

    https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=60099

    https://www.ilfoglio.it/cultura/2018/02/09/news/cacciari-e-lerner-ci-spiegano-perche-de-benoist-non-e-un-fascista-177860/

    http://www.marcelloveneziani.com/articoli/de-benoist-cinquantanni-solitudine/

    E c’è anche chi si chiede come mai dal dopoguerra in Italia non sono emersi intellettuali di destra (si fa per dire, perché andavano a farsi pubblicare all’estero). Ma di chi erano le case editrici?

  • Certo che la Destra in questi settant’anni avrebbe potuto fare meglio della Sinistra. Però è successo il contrario. Dico infatti che sono stati molto più bravi da una parte che dall’altra.

    Che cosa siano i partiti oggi e in particolare quelli a cui è andata meglio il 4 marzo, non lo so proprio. Non so nemmeno se lo si potrà mai capire, usando le coordinate destra e sinistra. E non per demerito di chi vorrebbe capirlo.

    Sulla scelta di certi personaggi, “mi rimetto al quinto emendamento”, invoco la facoltà di tacere.

    Sulle definizioni di Destra più o meno moderata o estrema, più o meno illuminata o buia, più o meno questo o quello, “ci sono più cose tra terra e cielo di quante eccetera eccetera”. Ogni tanto rischio di perdermici anch’io. Ma, in questo, se fossi di Sinistra non starei meglio.

    Il revisionismo è semplicemente “in storiografia, la tendenza a riconsiderare le interpretazioni ormai consolidate dei più importanti avvenimenti storici” (Devoto-Oli). Sulla shoah e simili, sono sionista. Sulle altre “interpretazioni ormai consolidate”, penso dipenda dagli argomenti, fatti, elementi probanti, molto dalle fonti. Insomma, dipende da chi ha scritto prima e chi dopo.

    Lei ha ragione, forse ho fatto troppo la vittima rispetto a certa cultura di Sinistra. Però, vede, a quei tempi, alcuni di noi, almeno un po’, vittime lo sono state per davvero, mi creda. Al ginnasio, siamo sopravvissuti alle musiche di Kurt Weill solo grazie ai Cream e ai Led Zeppelin. L’antidoto alle deportazioni al Piccolo era Radio Luxembourg. Di nascosto, la sera, come Radio Londra.

    Credo che da piccolo Vallanzasca abbia dovuto assistere alle regie di Strehler.

  • Scusate, non trovo in questa sequenza di commenti quello di Rita delle ore 19,18 di oggi, successivo a quello di Ivano Macalli delle 18,23.
    Invece, questo commento di Rita appare menzionato come esistente e riferito a questa sequenza nel riquadro “Ultimi commenti” di fianco ad “Articolo in evidenza”, sulla home page.
    Per cui, non capisco se c’è oppure no. Grazie.

  • Martini, ha ragione. Io l’ho letto, tanto per incazzarmi per l’ennesima volta, ma non esiste più. Mi pare parlasse di intellettuali di destra pubblicati all’estero, non trovando udienza in Italia.

  • La ringrazio per l’informazione.
    Stessa cosa, da parte mia, per l’ultimo commento di Rita delle 17,10 di oggi. In pratica, di un quarto d’ora fa.
    Io non sono riuscito a trovarli e ad aprirli, nessuno dei due, sin dall’inizio.
    Però sono ancora entrambi indicati in “Ultimi commenti”.
    Invece i commenti di Rita all’altro argomento li vedo.

  • Mattia sta risolvendo il problema.
    Ci scusiamo per il disagio, come FFSS.

  • Lo sa anche il business che se va avanti cosi si perdono capre e cavoli…( Vogons ? )
    E intanto la tazzina di caffè va a un euro e dieci.

  • Certo, “se si va avanti così si perdono capre e cavoli”. Perché anche il Business fatica a fare business. Non c’è più il Business di una volta. Dire che era globalizzato non era una critica ma un apprezzamento. Almeno ci fosse ancora un baricentro economico, un Frassino intorno al quale creare mondi finanziari e narrazioni borsistiche. Adesso si fa business in modo sgranato, disordinato, caotico. Per cui, eccoci qua, tutti agitati senza costrutto, senza considerare la prospettiva e facendo man bassa di quel che si può. Ci sono tanti piccoli business ma manca il Business, che implica visione, pianificazione, strategia. Ci stiamo giocando non solo i mercati ma l’intero pianeta, le sue risorse, il suo futuro. In pratica, stanno venendo a mancare la borghesia e gli ordinamenti nazionali. È la proletarizzazione storica del Business, che canta la sua nuova Internazionale. Verissimo, “se si va avanti così si perdono capre e cavoli”. Manca un principio unificatore del molteplice, un motore ordinatore, un senso, uno spirito. Siamo in ritardo nel sostituire gli ultimi dei.

  • Pietro, il frassino in realtà c’è ancora. Ma, come accadde alla vigilia di “quell’altra” fine, le radici di Yggdrasill cominciano marcire a causa delle alluvioni (in Borsa) e le sue fronde (le multinazionali del web) scosse dai terremoti e sferzate dal vento, avvizziscono. Una dopo l’altra le creature del Caos (il Deep State), escono dall’ombra dov’erano confinate: il lupo (il popolo) si sta liberando della sua catena, il serpente (il buon senso antico) emerge dalle profondità delle acque mentre al comando del gigante (il Pentagono) la nave infernale leverà presto le ancore per trasportare le potenze del Male sul campo di battaglia. La forza inesauribile del mito sta nel suo messaggio immortale. Si narra che i giusti durante il Ragnarök trovarono rifugio in una casa ricoperta d’oro e poco alla volta essi ripresero a passeggiare all’aria fresca. Chissà che non vada così anche stavolta, in questo caso non ci resta che sperare di far parte di questa schiera.

  • Ma allora, tra terremoti e alluvioni, in questo sepolcro pasquale in attesa di rinascita, ci serve l’Uovo di Adriano, un nuovo punto di unione tra terra e cielo, un fulcro dei quattro elementi. Come simbolo di rinascita, l’Uovo di Adriano sarebbe perfetto, intanto che lupi e serpenti procedono. Spero, da italiano, che anche per noi, come per altri popoli in passato, sia possibile rinascere dalle ceneri attuali.

    Adriano parla di “sacralità della natura” e credo che sia un elemento che non si può più ignorare. Intanto che i destini politici (altrui e altrove) si compiono, se si vuole veramente “rinascere”, si deve ricominciare da lì, tra terra e cielo. Le metropoli malate ammalorano. Occorre tornare al senso della terra e ridurre sempre di più i bisogni indotti, non naturali, compulsivi. Non si può vivere senza soldi. Ma si può vivere anteponendo ai soldi la libertà. E il “rifugio” di cui tu parli, Rita, ormai in assenza di boschi (Walden esauriti), resta per me la nostra ultima res rustica.

    In questi giorni la campagna è bellissima. Sole e pioggia stanno sviluppando il verde, le essenze e le gemme con forza e impulso. E la percezione del mondo si fa pratica, essenziale, nitida. Basta, smettiamo di comprare. Basta roba. Bisogna semplificare, togliere, tagliare. Ci siamo venduti tutto e tutti, adesso proteggiamoci, chiunque eleggano alle presidenze di Camera e Senato, qualunque governo facciano. Occorre più tetrafarmaco. Lathe Biosas.

    Però l’elogio del Partito Democratico, a questo punto, non c’entra più. Forse occorre trasferirsi altrove. Magari da Adriano, tra le sue Uova sapienziali, etrusche.

  • Sfondi una porta aperta.

    Abbandoniamo il Partito Democratico al suo inesorabile destino e trasferiamoci altrove, nella Natura non più vergine ma sempre meglio di niente, vicino ai mari, ai corsi d’acqua, in campagna, sui sentieri popolati da leprotti e simpatici ricci, simboli anch’essi di un mondo che prosegue oltre le apparenze.

  • A parte il fatto che i ricci sono animali notturni… e i leprotti? Ma quando mai? E soprattutto, quanti? Dai Rita… Quanto al ritorno alla natura e a costumi sobri, dai Martini, è come quando tempo fa si parlava di decrescita, senza considerare che da che mondo è mondo ne parla solo chi è garantito. Andiamo a raccontarla a chi nella privazione ha sempre campato, nolente.

  • Non credo, signor Macalli, che Rita volesse semplificare in termini disneyani il nostro discorso. Penso fossero solo esempi. Immagino che nessuno, se ha veramente a cuore la tutela ambientale, si illuda di favorirla con rappresentazioni edulcorate. Che certi animali girino di notte e altri di giorno è pacifico. Che i conigli selvatici attraversino sempre più spesso i sentieri di campagna mentre si passa a piedi o in bicicletta è altrettanto pacifico. Penso che Rita ne parli perché li veda spesso anche lei e li preferisca a certe porcherie urbanistiche della città e a certi orridi capannoni della periferia. La bella notizia è che si stanno avvistando specie molto più rare, che forse potrebbero ritornare. Ma non mi sembra questo il punto.

    Il punto è che lei ascrive i costumi sobri e certe scelte di vita a categorie sociali “garantite”, a chi si può permettere il lusso di giocare con l’ecologia. A quelli della “decrescita”, ai fighetti e ai salottieri che posano a fare i verdi e hanno ricche eredità di pertiche. Effettivamente, ci sono pure questi farisei. Ma ci sono anche altri. Che magari non sparnazzano ecologismo sui media. Costumi più sobri e una minore ossessività consumistica, uniti a una ripresa di contatto diretto e duraturo con un contesto rustico reale, anche duro e faticoso nella sua quotidianità, sono oggi qualcosa che non si esaurisce in una posa snobistica ma che potrebbe costituire una risposta, probabilmente l’unica ancora praticabile, alla devastazione del nostro paese. Forse non da parte di noi adulti. Forse da parte di persone più giovani. Non gli imbecilli della compulsività digitale e dei selfie.

    È interessante notare come siano proprio gli indigenti di ieri, volendo legittimamente diventare i benestanti di oggi, a potenziare il modello consumistico, rigettando ogni prospettiva di sostenibilità: anche noi, dicono, vogliamo uscire dalla “privazione”, vogliamo cose, beni, roba, vogliamo consumare. Il che è giusto in termini di equità sociale. Ma aumenta il consumo e la distruzione di risorse, di suolo, di ambiente, di tutto, accrescendo la devastazione. Si continua così ad alimentare il meccanismo, utilissimo alle nostre élite traditrici, della possessione consumistica. Il voler interrompere tale possessione, questo diverso modo di vedere le cose, di tutelare l’ambiente, di rispondere con sobrietà e rigore alle sirene del mercato e della “roba”, di ripensare un’Italia non più serva della plutocrazia, per me, è di Destra.

  • Signor Martini, leggo con interesse il suo commento, per molti aspetti condivisibile. Premetto che non faccio parte della categoria dei benestanti, ma non ho dubbi nell’affermare che i giri in campagna ristorano anche me. Ho solo un occhio più indulgente nel categorizzare usi e costumi che potrebbero allettare ancora oggi, forse di più, quei molti che ne sono sempre stati esclusi. E ai quali non si può e non si deve chieder conto dello sfacelo del mondo contemporaneo. Questo pianeta, per avidità e consumo esasperato l’hanno distrutto in pochi, mentre i molti, alla finestra, hanno assistito inesorabilmente, rodendosi di invidia per coloro ai quali, o per nascita, o anche per capacità e scaltrezza, è stata data piena legittimità di predazione. Che poi siano proprio gli esclusi a rivendicare consumi riservati a pochi mi sembra così normale, in un mondo dove questi modelli culturali sono vincenti, che io andrei piano a metterli sul banco degli imputati. Del resto non si può neanche immaginare un temporaneo capovolgimento economico in modo da far vivere sulla propria pelle, e a tutti, cosa significhino il più o il meno. Che idealmente sarebbe l’unica proposta o auspicio sensati se non fosse che, assolutamente impraticabile, cozzerebbe con quell’ideale di poco fa che appunto non trova nessuna attinenza col reale. Perché alla fine, in qualsiasi analisi antropologica o sociale, credo proprio che il reale, con tutte le sue contingenze, debba essere l’unico parametro di lettura e conseguente valutazione dello stato delle cose. E questo secondo me è essere di sinistra, non la presa di coscienza da parte di alcuni che si debba fare un passo indietro quando altri un passo in avanti non l’hanno mai fatto. E’ come quando si dice che gli altri mondi dovrebbero rinunciare a tutto quel consumo solo perché noi occidentali, questo mondo, in termini di risorse l’abbiamo spremuto come un limone. In verità penso anch’io che dovrà essere per forza cosi, perché in termini di quantità non c’è trippa per tutti. Le risorse si stanno esaurendo e non vedo ad esempio nella ricerca risultati tali da far sperare in altre fonti. Continuiamo ad estrarre petrolio, le pale eoliche non si montano neppure dove c’è vento di maestrale, il problema idrico esiste, continuiamo ad inquinare come se questo pianeta fosse di nostra proprietà. E allora ecco che arrivano i guru di stili alternativi che predicano come se però azzerassero la Storia. Quando Asia povera o Africa superabitata cominceranno a rivendicare quanto abbiamo noi allora a quel punto credo che piangere sul latte versato servirà a ben poco. Che poi è quello che capiterà presto a questo Occidente, col suo stile, che tutti abbiamo contribuito ad alimentare e divulgare. Allora arrivano i guru di prima, e anch’io l’altro pomeriggio mi sono sentito così, salvo ricredermi, rientrando in città, che non era cambiato niente. Io sono stato comunque bene, tra palata del Menasciutto, vivace d’acqua per le piogge dei giorni scorsi, il Laghetto dei Riflessi di filmico richiamo, le folaghe e qualche garzetta. E a quel punto avrei dovuto anch’io sentirmi di destra, per essermi ritagliato quel tempo, che molti, per pensieri, turbamenti o fatiche non sanno crearsi. Mi sono invece dispiaciuto per loro. Ho anche, in quel silenzio rotto solo dal rumore dell’acqua, pensato che forse un consumistico bianco d’aperitivo me lo sarei concesso al ritorno, e a quel punto il mio essere di sinistra avrebbe trovato conferme o compiacimento. Al bar ci vanno i poveracci, non i signori che il bianchino in flut se lo sono sempre bevuto nelle loro belle e comode case. Perché i poveracci non possono scegliere la riflessione o la contemplazione in riva al mare, che il bianchino non servirebbe più, come invece serve a chi, tra inquinamenti da Ilva o Terra dei fuochi, o tra polveri sottili padane, ma traino di tutta l’economia, secondo Confcommercio, non so se troverebbero ristoro sulle rive del Serio. Quanto al resto signor Martini, se avrà avuto la pazienza di leggermi, non posso che essere d’accordo con Lei, sperando che l’azzeramento coercitivo dei consumi non sia troppo doloroso. E non per i soliti e proverbiali rari nantes. Cari saluti.

  • Concordo sul fatto che non tutti abbiano le stesse colpe sull’attuale scempio. Da sempre, chi sta più in alto ha responsabilità maggiori. E concordo sull’ingiustizia che si crea tra chi arriva prima, potendo banchettare, e chi arriva dopo, rimanendo a bocca asciutta. Ma è così. E l’ira soggettiva degli esclusi si aggiunge al risultato oggettivo, che non cambia, della devastazione. Identifico gli anni Cinquanta come il punto d’avvio del disastro. Ahimè, ci sono nato.

    L’Italia si deve preparare a soffrire più degli altri, avendo sbagliato più degli altri. Che si legga Repubblica e si comprino i libri di Rampini oppure che si leggano giornali diversi e si comprino libri di altri autori, il “tradimento delle élite” è sotto gli occhi di tutti. I consumi non si potranno mai azzerare. Si potranno solo contenere e normalizzare rispetto all’attuale possessione di massa. Ma sarà molto doloroso, per tanti neofiti del delirio consumistico, uscire dallo shopping compulsivo, appena acquisito come Weltanschauung riparatrice dei torti aviti.

    Il rapporto Censis 2017 dice che il 64 per cento degli italiani è convinto che gli elettori non contino nulla, l’84 per cento non ha nessuna fiducia nei partiti, il 78 per cento nel governo e il 76 per cento nel parlamento. Una ricerca dell’Ipsos Mori, del novembre 2017, rileva che un italiano su due (il 49 per cento) si sente straniero in Patria e il 73 per cento soffre perché l’Italia è un paese in declino. Anch’io, negli stessi luoghi da lei citati e in altri lungo il fiume, non riesco a dimenticare del tutto, pur calato in questa nostra bellissima campagna, ciò che stiamo patendo in Italia. Condivido quindi le pedalate, i bianchini (lisci o corretti) e molte sue riflessioni.

    Gli italiani sono già passati da periodi storici simili. Siamo nella fase in cui uno strapotere non resistibile ci opprime e ci deruba. Noialtri anziani non possiamo che farci dignitosamente da parte, riducendo il più possibile, per quanto ci resta, i danni e i dolori. La nostra generazione, visti i risultati, meno fa, meno fa danno. Voci autorevoli del nostro passato possono aiutarci a tener accesa qualche luce. Ahi serva Italia, di dolore ostello / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello! C’è anche la Canzone all’Italia di Petrarca, la 128 del Canzoniere. C’è poi All’Italia di Leopardi, soprattutto la prima parte. E Machiavelli: a ognuno puzza questo barbaro dominio.

  • Io però tutto ‘sto “delirio consumistico” non lo vedo proprio. Giusto ieri Sangalli (Confcommercio) si lamentava dei consumi ai minimi storici e diceva che le previsioni per l’anno prossimo non cambieranno la situazione. Lo shopping, e già da qualche anno, non è più uno status symbol. Al contrario, le “sciure” si vantano di comprare a 3-5 € sul mercato il capo firmato in stock, un tanto al chilo. Poi, magari, spendono 10mila euro per la liposuzione, ma questa è una faccenda che non riguarda “i consumi” da paniere Istat, e di sicuro non fa lavorare le aziende. Si arricchisce solo il chirurgo plastico, che a sua volta va a consumare alle Maldive, e via così.

    Ho l’impressione che stiamo assistendo a una metamorfosi dell’italiano medio.
    Ci pensavo oggi a pranzo, ascoltando i discorsi dei neo-presidenti di Camera e Senato.
    Sta cambiando un mondo, se in meglio o in peggio è presto per dirlo. Ma sta cambiando.

  • Non so quanto certi apparenti ravvedimenti siano solo forzati da contingenze di fatto, quindi momentanei e coatti. E quanto certe lamentele e querimonie siano più o meno tipiche di collaudati stili di relazione categoriali. Comunque, vediamo se la metamorfosi che tu dici c’è davvero e come va a finire, sperando in esiti non alla Kafka.

  • Chi non ha avuto la sensazione, nel caos politico d’inizio crisi, del :” Sono tutti d’accordo ” ?
    E superato in fretta lo scoramento del camionista spennato all’autogrill dal gioco dei
    bicchierini, non si auguri sollecita e tenace ripresa dalle decisioni dei
    “Vecchi sognatori e giovani profeti “…(Dal libro “Dio è giovane)
    della politica ?

  • Quando la settimana scorsa è uscito il libro, signor Calzi, non pensavo che Riccardo Clementi l’avrebbe presa così bene. Se nella storia della letteratura si fossero accontentati in numero maggiore di una “paterna carezza”, come ha fatto lui, ci saremmo però persi gustose polemiche e corrispondenze tra autori. Comunque, adesso il libro di Clementi avrà qualche lettore in più, proprio per questo motivo.

    A parte ciò, sono convinto anch’io che tutti gli dei, quando gli uomini li hanno conosciuti, fossero giovani. Quando sono scomparsi, lo hanno fatto in genere con dignità, non mostrando agli umani, per divino pudore, i segni della vecchiezza fisica e intellettuale. Per questo li pensiamo in una eterna giovinezza o al massimo (però solo quelli giunti al vertice) non oltre la quarantina. Del resto, come può un dio degli eserciti condurre alla vittoria il suo popolo se non nella piena baldanza dell’età e della forza?

    Ben riuscita ed efficace l’inversione dell’assioma tradizionale che descrive, in molti libri sacri dell’umanità, quasi sempre, vecchi profeti e giovani sognatori.

    Il gioco dei tre bicchierini o delle tre carte (o dei tre partiti, in questo caso), a cui lei fa cenno, dura ancora e consiste proprio nel “mettere tutti d’accordo”, dopo il temporaneo disaccordo causato dal riequilibrio delle forze politiche emerso dalle ultime elezioni. Morto un partito se ne fa un altro. Negoziazione e mediazione sono cose belle o brutte a seconda del loro scopo.
    Sarebbe sin troppo sdato e banale citare Tancredi Falconeri.
    Tutt’altro che appassionante.

  • Ho letto poco fa sul Torrazzo la lettera di Cinzia Fontana al settimanale locale. Sentivo in autostrada alla radio, stamattina, l’intervista a Maurizio Martina su una rete nazionale. Non so se quello che il Partito Democratico sta facendo sia giusto o sbagliato. Ma mi sembra che la scelta di questa formazione sia chiara, almeno per ora. Che non ci siano dubbi o equivoci sul comportamento del suo leader attuale. Quella di stare all’opposizione, senza cedere a “tirate di giacca”, mi sembra una decisione sofferta ma coerente e, soprattutto, rispettosa della volontà dell’elettorato. Per questo mi permetto un ulteriore commento positivo su questo tema.

    Non si può sempre dire lo stesso per altri partiti, altri leader, altre realtà politiche che riempiono la cronaca attuale. Dire come andrà a finire è difficile. Intanto, qualunque sia l’esito, è interessante osservare come adesso i vari protagonisti si comportino sulla scena pubblica, nel bene e nel male, e che profilo abbiano, in termini di maggiore o minore definizione e coerenza con i discorsi precedenti alle elezioni. C’è uno stacco netto tra la presa di posizione chiara ed evidente di un partito e le manovre, le contraddizioni, le ambiguità degli altri. Tra non molto il Partito Democratico, si dice, dovrà assumere decisioni organizzative che risentiranno della strategia da attuare. Ma è vero soprattutto il contrario. Dipenderà infatti dagli uomini che guideranno il partito il mantenere oppure il modificare l’attuale strategia. La fretta nel rispondere con eccessiva disponibilità a certe “tirate di giacca” potrebbe essere deleteria oppure, come qualcuno azzarda, potrebbe far ritornare nel “grande gioco” il partito, con esiti positivi?

  • In tutti i casi si deve ricordar che il Pd è il secondo partito in Italia. E nonostante inciuci o contratti che siano, o saranno, credo che gli si debba riconoscere una certa dignità. Del resto, se si guarda la carta a colori del paese, e le nette divisioni geografiche tra gialli, rossi, e verdi e azzurri, verrebbe da dire che le coalizioni che si prospettano smentiscono la realtà della globalizzazione che in politica proprio non è espressa. Abbiamo ancora un nord e un sud dove i risultati rimarcano le differenze che ci sono sempre state. Per questo forse non sarebbe sbagliato pensare ad un Pd nel governo, un Pd capace, o col dovere morale, secondo me, di mediare su quelle distanze che ad oggi sarebbero solo superabili da una maggioranza da calcolo matematico insufficiente a garantire la governabilità e un suo pur limitato successo. Anche se a smorzare i toni delle promesse elettorali se la stanno cavando benissimo da soli, pur puzzando di strategia combinatoria. Ora, ma poi?

  • Concordo: sia sulla fine che stanno facendo le varie promesse elettorali, sia sulla rilevanza oggettiva che questo partito mantiene. Del resto, sulle sparate col botto ma senza gittata ci eravamo detti tutto prima del voto, commentando l’articolo specifico di Piero Carelli. Tra l’altro, non ci volevano doti di spiccata preveggenza o particolari esegesi cottarelliane per prevedere balletti e giri di valzer come quelli di oggi. “Dignità” mi pare un termine appropriato per l’attuale scelta di mettersi all’opposizione, mentre gli altri piroettano sulla pista da ballo. E poi, troppi errori sinora, adesso è giusto purgarsi. Questo in termini generali, come partito. A livello individuale, per dirla come gli americani, da Maurizio Martina un’auto usata la comprerei. Dagli altri, non so. Certo, l’onestà non è, in politica, la dote principale, anzi, per cui l’elogio rischia di diventare biasimo, in un paese come il nostro attuale.

  • Hai citato, Pietro, Maurizio Martina.
    Io cito Graziano Delrio che ho sentito ieri sera su La7: mi ha letteralmente impressionato per la sua umiltà, per avere ammesso errori, per no avere attaccato nessuno.
    Un profilo scelto apposta dopo la batosta elettorale?
    Non credo: Delrio è uno dei politici che hanno sempre avuto questo atteggiamento, che hanno sempre concepito il proprio lavoro di ministro come un “servizio”. Mi ricorda alcuni uomini della Dc della prima Repubblica. Un uomo pragmatico e nello stesso tempo ispirato a valori.
    Peccato che non si candidi alla segreteria (una scelta che ha maturato in famiglia: la famiglia è uno dei suoi valori).

    Sia chiaro: non sto facendo l’elogio di una parte politica, ma l’elogio di un “profilo di politico” che riscontro anche in altre forze politiche (vere e proprie mosche bianche).
    La politica muscolare non mi è mai piaciuta, né la politica manichea, la politica… sfascista.
    O i politici si rimboccano le maniche per risolvere i problemi del Paese, con umiltà, ascoltando altri punti di vista, mediando con pazienza interessi contrapposti, o… non servono se hanno in mente solo il proprio orticello elettorale.

  • Il Pd – dici bene, Ivano – è pur sempre il secondo partito e quindi merita non solo rispetto, ma potrebbe dare un suo contributo al Paese in questo momento così… bloccato.
    Da osservatore ritengo che sia una bene per il Paese se si riuscisse a costruire un esecutivo che rappresenti un mix equilibrato di energie fresche (che esprimono il cambiamento voluto dagli elettori) e di politici “con esperienza” e in questo scenario vedrei bene la presenza nel governo di uomini come Minniti agli Interni e Gentiloni agli Esteri (due uomini che hanno dimostrato di “saper fare” e di saper muoversi nel contesto internazionale).
    Ma… dubito che si arrivi a questa scelta: troppo cocente la sconfitta e troppi insulti ricevuti dal M5S!

  • Anche da parte mia non si trattava di un elogio di questa parte politica. Volevo solo aggiungere poche noterelle sul semplice modo di fare di alcuni esponenti piuttosto differenti dal modello politico aggressivo mostrato agli italiani negli ultimi anni da questo partito. In effetti stiamo facendo esempi, con Martina e Delrio, non tanto di una struttura organizzativa oggettiva ma, direi, quasi di profili soggettivi ascrivibili a una certa “estetica morale politica”.

    Hai ragione, Piero, Martina e Delrio sembrano superstiti, un po’ spaesati, di quella Democrazia Cristiana lombarda ed emiliana, di una Democrazia Cristiana poco affarista e quindi molto minoritaria, dei tempi che furono, che è scomparsa con la prima repubblica. Non è un caso che entrambi rappresentino in questo partito una tradizione che deriva da quella scomparsa e da quella successiva diaspora politica.

  • Devo un ulteriore elogio al Partito Democratico dopo la sua sconfitta. Il motivo? La sua scelta di un genere teatrale opposto a quello degli altri partiti, in particolare di quelli che hanno vinto le elezioni. Il Partito Democratico ha scelto una ontologia drammaturgica, una rappresentazione modellata sui canoni tradizionali dell’epica e, soprattutto, della tragedia. È infatti un canovaccio di “tragedia della storia”, in aderenza alla Poetica aristotelica (1448-1450, passim) quello recitato da oltre un mese dagli esponenti di questo partito. La narrazione è allestita come un evento di sconfitta tragica, un atto funesto del nostro vivere comune, un “dramma nefasto rappresentato come parte della vita della Polis”. C’è il rimorso, lo smarrimento davanti alla punizione divina, l’aria dimessa e dismessa. Tutti, anche i saccenti, gli spocchiosi, gli iattanti di ieri, a mormorare sottovoce, con l’occhio dolente degli autori di ὕβρις colpiti dal Fato. Bellissimo, questo senso del tragico elettorale, della drammaticità dell’urna che da elettiva si fa funebre. Soprattutto, recitato alla grande.

    Gli altri? Il tripudio della commedia comica. Plauto e Terenzio, in primis, ma anche l’Aretino, Ruzante, la Commedia dell’Arte, con farse, giravolte, colpi di scena, misteri buffi, trovate istrioniche, mascherate. E, ancora, Calandrino e Buffalmacco, Fregoli (con fregolismi, fregole e fregature), Petrolini, il sommo De Curtis. Ma anche Gloria Swanson, Wanda Osiris, l’Operetta, ci sta, non ci sta, lui sì, lui no, oh Cin Ci La! E Mattarella che apre le quinte, entrano, escono, dentro, fuori, si, no, forse, su il sipario, giù il sipario, daccapo, si ricomincia. Bellissimo anche questo, però è un altro genere, altro che il Partito Democratico, tutto così Eschilo e Siegfried Trauermarsch.

    Due riferimenti narrativi balzano alla memoria. Per il Partito Democratico, il “Saul” dell’Alfieri. Il Partito Democratico è Saul, con la sua grandezza tragica della colpa e dell’empietà, ormai privato del suo precedente titanismo. È l’usurpatore delle prerogative divine e del popolo, reo di patti scellerati, avviato all’epilogo, circondato da schiere sconfitte e sgomente. Il problema è che poi nell’Alfieri c’è Davide, che rimette in gioco la trama e l’epica del racconto drammatico. Per adesso, nel Partito Democratico il pathos alfieriano si ferma un po’ prima. Vedremo, magari un Davide lo trovano. Invece, per gli altri partiti, soprattutto per i partiti vincitori, beh, di riferimenti ce ne sarebbero diversi. Forse quello più calzante, visto che in questa “comoedia ridiculosa” a sgambettare sul palcoscenico politico sono ormai alcune decine, è “Il Trentuno della Zaffetta” di Lorenzo Venier, dove naturalmente la povera Zaffetta, in mano loro, sta diventando l’Italia.

  • Una ridda di citazioni colte: si vede, Pietro, che la tua cultura letteraria e, in senso più ampio, umanistica è solida.
    Come è solida (o raffinata) è la tua ironia (o sarcasmo?).

    Io, da osservatore illetterato, dico solo che il Pd sta aspettando il suo momento (sempre che ci sarà), il momento cioè in cui i due vincenti non riusciranno a raggiungere la quadratura del cerchio: allora, sì, che tirerà fuori la sua… sapienza (tattica? strategia?), pur di non andare a nuove elezioni che sarebbero davvero una tragedia (ora, comunque, è pur sempre il secondo partito, prima della Lega!).

  • Sono molto sorpreso che i coltissimi “blogger” (si dice così?) che intervengono non si pongano mai quella che per me è l’unica vera domanda: ma gli interessi di quali blocchi sociali difendono i vari partiti in gioco? Possibile che il sottoscritto (non-marxista) sia l’unico a ragionare in termini marxisti? Posso anche ammirare la raffinatezza delle varie analisi psicologiche, che però, proprio perché tali, mi sembrano totalmente irrilevanti.

  • Martini, bellissimo il suo commento di ieri.

  • La ringrazio molto per il suo apprezzamento. Si figuri che non avevo ancora visto la breve conferenza stampa del centrodestra dopo il colloquio con Mattarella di ieri, ulteriore esempio del teatro di genere indicato nel mio commento. Ma, su questo, mi riprometterei un commento successivo, in particolare sulle modalità di comunicazione non verbale espresse in questa rappresentazione e su questo spettacolo di public speaking.

    Più in generale, mi permetto di ribadire che la situazione attuale di queste consultazioni e di queste dinamiche tra i partiti, a un mese e mezzo dalle elezioni, è tale da rendere ogni volonteroso tentativo di decifrazione e interpretazione di carattere politico, per quanto encomiabile, alquanto utopico e infruttuoso. Arrivano momenti in cui l’analisi politica mal si attaglia a situazioni in cui la politica cede allo spettacolo e all’avanspettacolo. Ecco perché non resta che la possibilità di un’analisi di carattere teatrale, drammaturgico, di tipo tragico o comico, a seconda della rappresentazione recitata sul palcoscenico. Non resta che la lettura dei linguaggi scenici e dei virtuosismi drammatici o farseschi, posta l’ormai acclarata inconsistenza della sostanza politica su quei palcoscenici, animati dai movimenti dei figuranti che vi si esibiscono, con i loro sketch, le loro gag, le loro trovate di scena per accattivarsi la platea.

    Tentare letture politiche, sociali, istituzionali, cercando una qualche sostanza tra tante forme di esibizione e rappresentazione, è come voler applicare le categorie aristoteliche o gli imperativi kantiani al cabaret. Sono letture purtroppo irrilevanti.

  • Martini, come ha ragione. Campagna elettorale e post voto leggibili solo attraverso la categoria dell’inconsistenza politica, con una massa di psicopatici indagabili solo dalla psichiatria, tra narcisismi patologici e volatilità di pensiero se applicati ad un necessario pragmatismo in grado di aggredire il reale contemporaneo. Solo vuote parole senza conoscenze né abilità. Un’ignoranza istituzionale mascherata, in perfetta sintonia con i metodi della società spettacolo tanto cara ai populisti!

  • Mi scuso se torno sull’elogio del PD. Mi rendo conto, scrivendone ancora, dell’effetto alla “caro diario”. Ma la situazione attuale mi porta a elogiare di nuovo la Balena Rosa, come di recente ho sentito definire il PD. Essendo l’argomento identico, evito un nuovo post e accodo al vecchio post questo commento, scusandomi anche per la sua lunghezza.

    La Balena Rosa (figlia della Balena Bianca e di quell’altro indimenticato, rosso ed estinto cetaceo politico) sta infatti dimostrando, per l’ennesima volta, le sue abilità di manovra anche in situazioni di notevole difficoltà. Due mesi fa pareva che il PD fosse ormai crocifisso e che Cinquestelle e Lega, i grandi vincitori, potessero spartirsi la sua tunica, le sue poltrone e le sue prebende, in nome della terza repubblica e dei luminosi destini di un’economia resa florida dal reddito di cittadinanza, dall’abolizione della riforma Fornero, dalla flat tax, dagli spartachismi contro i satana di Bruxelles e i loro complotti plutogiudaici (viva Abu Mazen). E oggi?

    Oggi il PD esce pulito da due mesi di sceneggiate e operetta, di pianerottolo e ringhiera, di bisticci e pasticci, vengo anch’io, no tu no, due mesi di avanspettacolo in cui il PD ha fatto come i bravi judoka: ha usato la forza dell’avversario per farlo finire prima sul tatami. Ha fatto come Penelope, negandosi e disfacendo tele (tanto la colpa è sempre di Renzi, il poliziotto cattivo, mentre Martina e Del Rio fanno i poliziotti buoni). Una Penelope che non si concede ai Proci, mesta e dolente, sempre a dire ho perso, mea culpa, penitenziagite. In questi due mesi i dilettanti sono andati allo sbaraglio, i tromboni si sono sfiatati, le comari si sono accapigliate, i buffoni han fatto le loro piroette, le botulinate le loro dichiarazioni. Tanto rumore per nulla. Primo, secondo, terzo mandato di Mattarella? Zero. È adesso che la partita entra nel vivo. Ma sul terreno che voleva il PD, non su quello che volevano i Cinquestelle o la Lega. Con un governo Cinquestelle + Lega, al PD rimarrebbe solo il purgatorio dell’opposizione. Ma adesso lo scenario cambia e la Balena Rosa potrebbe giocarci un ruolo ben diverso, come seconda forza politica per fatti e numeri.

    Quale scenario alternativo si prospetta oggi? Quello della governance di tutti e di nessuno, così italiano, così embrassons-nous, quello dell’eterna terra di mezzo, della ritrovata concordia spartitoria. Si parla di governo di tregua, di responsabilità, di garanzia, di servizio, del presidente, super partes. Si parla di larghe intese, grande coalizione, incarico a persona terza, “di alto profilo”, manco fosse il governo Orlando della Grande Guerra invece del governo Salvapoltrone della Grande Abbuffata (da due mesi li paghiamo comunque tutti). Un partouze politico che tirerebbe fuori dall’angolo il PD, ridandogli ruolo e peso.

    A quarant’anni dalla scomparsa di Moro, l’anima morotea del compromesso, l’anima materna della Balena Rosa, trova ora il giusto momento e i giusti interpreti per manifestarsi. Un’anima materna morotea cresciuta tra anticamere partitiche e sacrestie, però rinforzata oggi dagli intellettuali organici e dall’associazionismo d’area ereditati dal quondam babbo. Ecco dunque l’attuale mobilitazione sui media, su input delle sezioni del partito, per riguadagnare il terreno perduto il 4 marzo, con cori ben orchestrati di incoraggiamento al dialogo, alla partecipazione, alla responsabilità. Tutti insieme per il bene comune, l’emergenza, la salvezza. In pratica, per la grande ammucchiata che rimetta in pista la Balena Rosa. Basta guardare quale stampa, nazionale o locale, e quali voci di sicuro orientamento si facciano zelatrici di tale operazione. Riuscirà al PD questo recupero politico, con un governo definito “neutrale” dopo che son girati i nomi del Cassese sostenitore del referendum renziano e della figlia di Reichlin e Castellina? Difficile dirlo. Una pietra d’inciampo potrebbe essere l’ultimo tentativo di accordo in corso tra Di Maio e Salvini, quello delle “24 ore” e della “astensione benevola”.

    In ogni caso, comunque vada, fin qui non si può non lodare questo piccolo capolavoro del PD, se non di strategia (in politica è un’altra cosa, in Italia manca da molto tempo), almeno di tattica postelettorale. Per cui, ancora una volta, un grande, ammirato elogio alla Balena Rosa, che rappresenta benissimo gli italiani attuali. Il PD è infatti un roseo soggetto politico che esprime appieno i rosei italiani dell’ultimo settantennio. Il voto dispettoso delle ultime elezioni si sta già stemperando. Ogni tanto gli italiani di oggi lanciano il sasso ma poi ritirano la mano. Fanno finta di non vedersi allo specchio, per ciò che sono davvero, e credono di essere quelli che si arrabbiano, protestano, vogliono cambiare tutto. Poi tornano dei posapiano, ripiegano sul sicuro, non si sa mai. Rosei. Metà Peppone e metà don Camillo, ormai da tempo cromaticamente fusi. La Balena Rosa è lì per loro. Sa bene che gli italiani ogni tanto amano sentirsi baroni Unger. Ma che poi tornano sempre all’ovile, tutti casa, chiesa e coop.

  • Pietro, hai un futuro nell’ufficio stampa del Pd. L’immagine dell’italiano tutto chiesa e coop è stata vera fino a ieri, prima che arrivasse il burino di Firenze, adesso siamo allo smartphone (il nuovo vitello d’oro) e discount.

    https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=60490

  • Pietro Martini, io vedo un partito che dice ad altri due schieramenti: “Voi avete preso più voti di me, quindi vi dovete mettere insieme e governare, non importa se siete antitetici su molte cose da fare. Da parte mia starò all’opposizione, cioè vi voterò contro.” Le sembra normale che un partito dica ad altri due quello che devono fare, preannunciando che se lo faranno voterà loro contro? A me sembra demenziale.

  • Non so, Pietro, se il Pd avrebbe potuto seguire un’altra strada dopo la pesante sconfitta.
    Una cosa la escludo: l’ipotesi accarezzata dai cosiddetti giornalisti di assalto e dai filosofi cosiddetti progressisti che, dopo avere attaccato il Pd per cinque anni, strizzavano l’occhio ai pentastellati e pntavano a governo Di Maio con l’astensione benevola (si direbbe ora) del Pd.
    Un’ipotesi del tutto irrealistica: una forza politica perdente non poteva essere determinante per un governo grillino. Del resto, Salvini, forte del 37% del centro-destra, avrebbe scatenato la piazza e il governo sarebbe stato spazzato via da una marcia (passeggiata) su Roma.

  • ….. epperfortuna che in mezzo a questi “incoscienti” , quando è stato il momento si è materializzato l’epigono della “balena bianca” che con un “control/alt/delete” ben assestato ha resettato il sistema!
    E la …. giostra riparte; ma sarà il caso che si materializzi anche un epigono della “falce e martello” a dare una resettata a quel che resta della “sinistra”, perchè, se tutto va bene, la “balena rosa” prosegue la sua navigazione verso la “destra (seria) che non c’è”, ma di qualcuno che ….. “dica qualche cosa di sinistra” si sente proprio la mancanza!

  • Rispondo al commento di Rita. Grazie per la segnalazione dell’articolo. Sulle generazioni “smartphone e discount” immagino che tu possa avere probabilmente ragione, anche se ci sono oggi parecchi giovani diversi per pensiero e azione. Visto che però i giovani sono sempre di meno e i vecchi sono sempre di più, mi pare che per parecchio tempo ancora il “PD che è dentro di noi” a livello generale, quello nato (non partiticamente ma ideologicamente) proprio con un certo moroteismo, con l’idea della politica come rassicurante compromesso e continua mediazione e non invece come opposizione alternata e riformismo reale, continuerà a mantenersi ben presente e resiliente nella nostra realtà sociale e culturale.

  • Rispondo al commento del prof. Cordani. Lei ha ragione. Apparentemente il comportamento del PD in questi due mesi potrebbe essere visto come piuttosto demenziale. Ma se l’obiettivo era quello di mettere in stallo i vincitori e creare le condizioni per un rovesciamento di scenario, allora forse non lo è stato affatto. In effetti, le cose sono andate proprio così, le trattative tra i vincitori si erano ingrippate e lo stallo è sembrato, fino a ieri, totale. Solo per poche ore Mattarella non ha dato corso alla sua designazione “di alto profilo”, per un governo “neutrale” in cui il PD avrebbe potuto far sentire la sua voce e svolgere il suo ruolo di seconda forza politica nel nuovo scenario. Il PD ha fatto tutto quello che poteva, e molto bene, per tornare in pista. Un’ammirevole mazzarinata politica. Buon sangue non mente. Ma ha avuto sfortuna, proprio all’ultima ora dell’ultimo giorno. Il PD era già lì pronto, a riprendere l’osso tra i denti. Cosa che era nelle preghiere e nei ceri accesi e nelle giaculatorie di una bella fetta di italiani. Peccato. Una sfortuna incredibile. E la sua sfortuna si chiama Matteo Salvini, con la sua consapevolezza che “ora o mai più” (Salvini conosce bene l’anima “rosa” degli italiani e il loro tornare sempre all’ovile). Però, vediamo. La faccenda è ancora tutta da capire. E da gustare.

  • Rispondo ai commenti di Piero e di Francesco. Condivido pienamente quanto dici, Piero: il PD non poteva fare diversamente. Personalmente, mi permetto di aggiungere che non poteva fare diversamente proprio volendo fare il meglio possibile. Avrebbe infatti potuto fare peggio, commettere errori, sbagliare qualcosa. Invece no. Ha aspettato che gli avversari inciampassero l’uno nell’altro e che i vincitori si ingarbugliassero nei loro veti incrociati. E si è preparato alla chiamata presidenziale, quatto quatto, ben sapendo che solo Mattarella avrebbe potuto ridargli spazio e ruolo. Che poi Salvini abbia soffiato a Mattarella l’iniziativa all’ultimo momento, veramente in extremis, beh, questo non solo non è imputabile al PD ma rappresenta un maledetto colpo di sfortuna, di quelli che capitano in Eschilo come volere del Fato. Se invece di Salvini ci fosse stato il Trota, al PD il colpaccio riusciva, eccome. Mattarella aveva già pronto il discorsetto, tutto stringiamci a coorte ed elevati profili. In pratica, mano libera al PD. A meno che, come adesso qualcuno salterà fuori a dire, i due giovinotti fossero d’accordo fin dall’inizio.

    La Sinistra, Francesco, sarà all’opposizione. Ma non a parole, come ha detto per due mesi, ma per davvero. Dovrà rinunciare a parecchi conforti e rassicurazioni. E chissà che perda un po’ di tutto questo compromessismo e mediazionismo di ascendenza “materna” morotea. Certo, a trovarla, la Sinistra di oggi. E ammesso che non ci fosse già da prima, all’opposizione, la Sinistra vera, col PD che stava al Centro. Invece, non so quanto Lega e Cinquestelle si possano considerare di Destra e non invece anche loro di Centro. Sono tutti al Centro, accidenti, e quindi anche il Centro non si capisce più che cosa sia. Forse noi stiamo applicando queste definizioni di Sinistra e Destra a cose e fatti nuovi, di decifrazione ancora difficile. Mi sa che a noi della vecchia guardia hanno cambiato le scritte sulla bussola e che ai segni cardinali ne abbiano sostituito altri. Comunque, lo spettacolo è solo all’inizio. E lo show promette bene.

  • gulp, gasp, e l’elettore?

  • Sob, sigh, buona la domanda, ardua la risposta.

  • Non possiamo comunque non vedere e non sentire il “non detto” e il “non visto” degli ultimi due mesi, che pure c’è, esiste. Più leggo i commenti, sorseggiando il primo caffè del mattino, più capisco che i miei timori erano fondati. E temo, purtroppo, che “il malato” non sia ancora fuori pericolo.
    Mi “attacco” a questo post di Pietro perché Mattarella s’intona col Pd.

    https://scenarieconomici.it/siamo-proprio-sicuri-che-il-governo-neutrale-di-mattarella-sia-conforme-alla-costituzione-di-p-becchi-e-g-palma/

    http://www.marcelloveneziani.com/articoli/neutrale-e-una-presa-in-giro/

  • Formalmente il percorso seguito da Mattarella nel conferimento degli incarichi esplorativi non mi sembra pregiudizievole di norme o consuetudini o prassi operative. Non entro nel merito di quanto indicato nelle fonti da te citate, Rita, riguardo agli altri aspetti lì evidenziati, anche perché farei solo il costituzionalista dilettante del venerdì pomeriggio. Però, sull’incarico ai due presidenti di camera e senato e sul terzo tentativo di verifica, mi pare che non ci fosse molto di diverso da fare o da tentare.

    Certo, adesso il problema, per i giamburrasca che ci han cantato viva la pappa col pomodoro in campagna elettorale, sarà quello di confrontarsi da adulti con il nostro debito nazionale, che abbiamo fatto noi e che continuiamo a fare noi, non il lupo cattivo, e con le istituzioni europee, visto che i trattati internazionali o si rispettano o si denunciano. In passato avevamo dimostrato quanto non fosse vero che gli italiani non si battono (“les Italiens se ne battent pas”, poi s’è visto il garçon quante ne ha prese). Adesso sarebbe ora che cominciassimo pure a dimostrare quanto non sia vero che gli italiani non pagano i loro debiti.

    I soldi ci sono, lo sappiamo tutti. La criminalità organizzata, l’evasione fiscale e la corruzione politica sono lì, davanti ai nostri occhi. O dobbiamo fare i samaritani evangelici, oltre che con i diletti fratelli clandestini, anche coi diletti fratelli delle mafie, coi ladri evasori e coi banditi della politica? Facciamo delle onlus per dare una mano anche a mafiosi, camorristi e ‘ndranghetosi? Agli esportatori di capitali e ai ladri tributari? Alla cleptocrazia dei politici faccendieri? Cominciamo a mettere le mani nelle tasche giuste, non in quelle sbagliate. Un pezzo d’Italia è sempre più povero, mentre un altro pezzo deruba e vampirizza. La Sinistra, in questo, ha fallito. Il PD, in questo, ha fallito. E qui, nessun elogio al PD. Se ci fosse ancora, in Italia, una Destra degna di questo nome, proprio lì dovrebbe attaccare, colpire e risolvere, con ogni mezzo e senza troppo rumore mediatico. Va be’, lasciamo perdere. Dimenticavo che Destra e Sinistra non ci sono più. Come non detto. Quindi, Rita, la scoperta dell’acqua calda è che, nonostante le promesse elettorali dei nostri pinocchi, in realtà mancano i soldi, perché certi italiani continuano a rubarli agli altri italiani.

  • Diciamo che in caso di vittoria non-conclamata, nel 2018 come nel 2013 (ma mi sa tanto che diventerà una prassi), il Presidente della Repubblica ha tre possibilità per tentare una conciliazione: pre-incarico a un leader politico o coalizione (di solito, quello che ha raccolto più voti), incarico esplorativo al presidente del Senato, incarico esplorativo al presidente della Camera. Nella fattispecie Mattarella ha saltato a piè pari il primo passaggio (perché sarebbe toccato a Salvini, o meglio a Giorgetti?). Proprio questo gli viene contestato da più parti.

    Inutile, comunque, piangere sul latte versato. Ora siamo qui, in attesa del messia, e vediamo cosa succederà. Sul fatto comunque che “manchino i soldi”, non sarei tanto sicura. Ne buttiamo via talmente tanti, che metà basta; dagli 830mld. annui di spesa pubblica (ma forse sarebbe più giusto chiamarla “spreco pubblico”) a quei pozzi di sanpatrizio che cadono sotto il nome di Regioni a Statuto Speciale, poi ci sono i 500 enti inutili, migliaia di “partecipate” altrettanto inutili, prebende e vitalizi fino alla terza generazione e via di questo passo. L’Italia è uno stipendificio a spese del contribuente.

    Nessuno fino ad ora ha mai messo mano (veramente) allo spreco pubblico.
    Riusciranno i nostri eroi … ? Boh!, chi lo sa.
    Staremo a vedere. Forse.

  • Ma tu, Rita, hai capito dove pensano di trovare i soldi per il reddito di cittadinanza, l’abolizione della riforma Fornero e la flat tax? So che il balletto sulle cifre è ormai un ballo da tarantolati, però almeno sulle cifre che dicono loro tu hai capito come pensano di pagare le promesse fatte? Anche ammesso che Cottarelli e Perotti (e molti altri) siano due bari infami, schiavi delle demoniache oligarchie finanziarie europee, e abbiano diabolicamente triplicato i costi, comunque i costi che dichiarano loro, volendo proprio far finta di credergli, come pensano di fare a pareggiarli?

  • Pensavo che, con il passaggio del PD dalla greppia governativa all’opposizione, sperabilmente di Sinistra (la cosa potrebbe essere uno stimolo a chi di noi è ancora di Destra), tutti gli elogi da indirizzargli si fossero esauriti.

    Mi sbagliavo. Il PD va anche elogiato per non aver mai coperto di ridicolo noi italiani davanti a tutto il mondo, chiedendo evangelicamente ai nostri creditori di “rimettere a noi i nostri debiti”, così, vista la nostra bella faccia, per l’importo di 250 miliardi di euro. Debiti fatti da noi, non da altri. L’ultimo che predicava così ha fatto una brutta fine. Chissà se diceva anche lui ai suoi discepoli che era ben contento e si sentiva sulla strada giusta per aver fatto diventare Pilato coi suoi centurioni e Caifa coi suoi sacerdoti, tutti quanti, incazzati neri. Grazie, PD.

  • In cento giorni l’operazione di cambiamento d’immagine del PD sembra riuscita. Il partito è sempre lo stesso, né si poteva in cento giorni derogare troppo dalle strutture organizzative e dagli apparati di potere che si sono mantenuti per oltre settant’anni sotto le etichette succedutesi, ad usum plebis, come PCI-DS-PD, sedi territoriali, associazionismo d’area e militanza mediatica compresi. Tanto che quando esce una loro “storia”, il libro contiene l’intera storia del PCI-DS-PD, a livello sia nazionale che locale. Tuttavia, in un’epoca in cui l’immagine è tutto, l’essere riusciti a rovesciare la propria immagine pubblica è stato certamente un successo che merita un ulteriore, grande elogio.

    Prima l’immagine del partito coincideva con quella di Matteo Renzi, da Rignano sull’Arno, sostanzialmente fiorentino. Il che comporta in Italia (per di più, il personaggio ci aveva messo molto del suo) un’immagine spigliata, piuttosto polemica, innovatrice ma pure un po’ sopra le righe. Il pensiero ogni tanto andava a Collodi, nel vederlo con quei suoi cappottini e giacchettine, a far battute tra i giornalisti e i passanti, con simpatia e sfrontatezza, effervescente e impertinente. Insomma, come tutti i fiorentini, o li ami o li detesti. Toscano, comunque, molto toscano. Dopo la pesante sconfitta elettorale, proprio l’immagine peggiore. Perché se vinci puoi fare lo sgarzolino e magari l’antipatico, ci può stare, gli italiani accettano la strafottenza dei vincitori. Ma se perdi, eh no, non va bene. Siamo controriformisti e dobbiamo pentirci e dolerci, occhi miti e voce bassa, penitenza e perdono. Perché la sconfitta è una colpa e va espiata. Gli sconfitti si perdonano solo se sono umili e contriti. Devono essere “buoni”.

    Da questa umiltà, contrizione e “bontà” bisognava ripartire. Ed ecco Maurizio Martina, da Cividate, pianura bergamasca. Cresciuto tra Cividate, Mornico al Serio e Bergamo, vicino al mondo agricolo, ecco l’uomo della nuova immagine, tra l’albero degli zoccoli di Olmi e il ricordo del papa buono. Non un Pinocchio collodiano, sbarazzino e troppo intraprendente, ma un Renzo manzoniano, bravo, onesto, appunto “buono”. In cento giorni gli italiani, che dimenticano facilmente, hanno cominciato a identificare il partito con Martina, un po’ goffo ma sincero, tranquillo ma convinto, paziente ma accorato. Fino alle recenti esternazioni in cui l’accoratezza ha, piano e bene, assunto il tono della difesa dei deboli, dell’opposizione agli egoisti, il tono della “bontà”.

    Il discorso di Martina in replica a Giuseppe Conte è stato costruito a questi fini. A parlare non era più il partito dell’affarismo e del trasformismo ma il partito del soccorso ai derelitti, dell’aiuto ai fratelli. Dal partito della rottamazione al partito dell’accoglienza e della solidarietà. Commovente, quel “noi (pausa, voce accorata) non ve lo permetteremo”. Il partito dei cavalieri difensori di vedove e orfani. In cento giorni. Notevole. E le ultime dichiarazioni, sulla vicenda strappalacrime dell’Acquarius, quando Martina, sempre con occhio ispirato a Olmi ed a Roncalli, dice che cosa Salvini non deve sventolare “sulla pelle” dei diletti fratelli? Da Actor’s Studio. Un magistrale cambio di immagine dal cattivo partito di prima al buon partito di oggi. Ma il risultato di questo cambio di immagine ha anche altri, proficui effetti politici.

    Sapevamo tutti che le reazioni d’oltre Tevere ai tentativi italiani di evitare la sostituzione etnica non si sarebbero fatti attendere. A voler pensar bene, andrebbe applicato il vangelo oggi in Italia. Perbacco, un esperimento mica da poco. A voler pensar male, basta far due conti sul business dei clandestini. Comunque sia, il nuovo PD, diventato così “buono”, può contare su appoggi di sicuro interesse per la sua ripresa elettorale. È un film già visto. Si potrebbe tenere uno storyboard con le prossime mosse, di questo e di quello, che cosa diranno la CEI, i Gesuiti, l’Avvenire, le ACLI, Sant’Egidio e Santa Scarsella, e spuntare ogni volta l’accaduto, ecco fatto, è successo. Non sarà il PD ad andare in goal contro gli italiani. Ma fornirà ottimi assist. Godiamoci la partita.

  • Smentiti i vaticini di crollo del PD. Smentiti i responsi oracolari sulla sua scomparsa. Smentite le iettature, le gufate, le iellate. Passare dal 19 scarso a quasi il 23 per cento non è eclatante. Ma non è poco, per un PD su cui tante cassandre grilline predicevano sciagure e tante prefiche leghiste intonavano il de profundis. È un 4 per cento di tutto rispetto. Soprattutto in un clima politico così turbolento.

    Il PD oggi è il secondo partito italiano. Il sorpasso dei Cinquestelle è stato clamoroso. Il quasi 5 e mezzo per cento in meno di Forza Italia rende poi questo 4 per cento in più del PD ancora più rilevante in certi rapporti di forza. Se si aggiungono i risultati delle elezioni amministrative per le realtà in cui si votava, il quadro che ne esce è tutt’altro che negativo.

    Ha tenuto la struttura, l’organizzazione, la macchina del partito. Nemmeno la Lega ha sedi operative, processi organizzativi, meccanismi operativi così ben funzionanti. Sono gli stessi del PCI, dei DS, a partire dalle sedi e dal nocciolo duro dei vecchi militanti. Il vivaio non è più quello di una volta ma le associazioni giovanili fiancheggiatrici, i comitati e le consulte in cui il PD alleva la sua “meglio gioventù” funzionano sempre.

    Soprattutto, la sempre maggiore convergenza con la Chiesa cattolica fornisce al PD un consenso silenzioso ma massiccio, da non sottovalutare. Ne ha di rosari da ciucciare, il povero Salvini. La continua offensiva confessionale su migranti, accoglienza e relative rassicurazioni economiche è condotta in palese sinergia con il PD, in cui sopravvivono, più o meno malcelati, persistenti focolai di reduci dal cattocomunismo.

    Manca il leader. Dopo il Nipote di Letta, il Pinocchio collodiano, il felpato Nobiluomo e il dolente Fracristoforo, è arrivato un altro personaggio in cerca d’autore. Questo è il vero problema del PD. Sembrano tutti usciti dai country club e dai circoli del bridge. In realtà, forse uno che sa parlare al popolo c’è. Il suo discorso, il primo maggio, mi ha colpito e, essendo dall’altra parte, un po’ preoccupato. Ma è un personaggio isolato, fuori dai salotti e dalle sacrestie di questo PD, per cui posso stare tranquillo. Pensare che Craxi, con meno della metà dei consensi, aveva ribaltato l’Italia.

    Comunque, come mi ero permesso di dire a suo tempo in questo post, il PD ce la sta facendo e, dopo questo risultato elettorale, può farcela ancora meglio.

  • Accostare le due fotografie politiche del marzo 2018 e del settembre 2020 potrebbe forse suggerirci alcune riflessioni sui vari soggetti partitici che in entrambe vi compaiono.
    Come erano e come sono.
    Ogni tanto mi rileggo i commenti ai post precedenti, quando è passato un po’ di tempo.
    Mi sembra spesso una cosa istruttiva.
    Riguardo al Partito Democratico, ma non solo, credo che ci siano spunti interessanti offerti dalla sua ripresa politica.
    La situazione attuale è ormai ben diversa da quella di un paio di anni fa. Ovviamente, è sempre una realtà piena di problemi. Ma ancora una volta, una volta di più, ecco che ce l’ha fatta a “cavarsela”.
    Tramontata l’epoca delle ideologie, archiviata la stagione delle “rottamazioni”, superato il momento di sbandamento di due anni fa, ecco qua il Partitone, l’ultimo dei Partitoni, riprendere i suoi riti e le sue liturgie, di nuovo in un ruolo di primo piano.
    Forse è una questione di “mestiere”. E proprio grazie al suo gran “mestiere”, senza più troppe fantasie ideologiche, il Partitone tira avanti e tira pure, se non diritto, almeno dove più conviene.
    In uno scenario politico di “dilettanti”, la spuntano i “mestieranti”. Sarà triste, però ancor più tristi sono stati certi esempi d’improvvisata militanza e volonterosa inconcludenza.
    Un altro modo per confermare questo “elogio del Partito Democratico”.

    • Il problema della democrazia sono spesso i piccoli partiti che non servono a niente se non a dare spago e sfogo al leader del 2-3%. Faccio un’eccezione per un partito ecologista che c’è in tutta Europa con numeri consistenti, eccetto che in Italia. Un grande partito ha le sue correnti, i suoi problemi, il difficile equilibrio, ma questa è la democrazia, e va bene così. Ho rispetto per Zingaretti che a differenza di altri, per fortuna non ha l’ego a mille, parla continuamente di gestione collegiale, lavora per ricucire, piuttosto che strappare. Sostengo da sempre che un leader carismatico può piacere, rendere elettoralmente, ma alla fine della fiera è dannoso, e il grande carisma lo si paga. Chi sa incantare è sovente qualcuno più preoccupato di se stesso, piuttosto che della collettività. Lasciamo stare i santi e Mahatma Ghandi, e stiamo con i piedi per terra: Zingaretti non scalda la folla, ma è venuto dopo l’epoca ridicola del rottammaio Matteo Renzi, della pugnalata alle spalle dei 101 a Romano Prodi. Piccoli passi avanti, gestione seria, senza esagerare i toni. Tanta manna averne, con complottisti, gradassi, e negazionisti della destra che se fossero stati al governo sarebbe stato un guaio vero durante la prima fase della pandemia.

  • Bella pensata Pietro fare un rewind fino a 2 anni fa (questo vuol dire “voler bene” a questo blog!) e ….. ragionarci su.
    Il punto, secondo me è l’art. 49 della Costiruzione: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in PARTITI per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
    Hanno provato a fare diversamente (vedi 5*) e ne stanno pagando le conseguenze.
    Al tempo è stato un bel ….”colpo di vita” sorpassare addirittura il PD, “la balena rosa”, ma poi?!?
    Credo proprio che coloro che hanno scritto la Costituzione (sono volati un pò di stracci sul numero dei parlamentari, ma non si è cambiato quello che avevano deciso loro, si è cambiato quanto era stato già cambiato successivamente!) non fossere degli sprovveduti e i Partiti polici hanno da essere il riferimento sostanziale se si vuol “governare” in modo democratico.
    Che la lezione serva all’evoluzione in atto nei 5*!

  • Trump e signora positivi, Johnson prima no poi sì quando è toccata a lui, Lukascenco che invita a bere vodka per proteggersi, Bolsonaro che se ne frega spavaldamente. Insomma, dove governano i populisti i casi sono moltissimi. Da noi c’è una maggioranza coi pentastellati, con una segretaria non so a cosa e di nome che mi pare Patuanelli che non sa difendersi, per mancanza di oratoria e argomenti, dalla pitonessa Santanchè che dice che la proroga dello stato di emergenza preventivo è una grande cazzata che vuol dire prima ammaliamoci tutti e poi chiudiamo. La Patuanelli non sa bene cosa rispondere. Intanto che senza identità alcuna, gli stellati, e sempre più divisi da quel Di Battista, di tradizione fascista, anche familiare, ma si sa, le tradizioni contano, che attacca l’alleanza col PD. E intanto i casi aumentano anche in Italia. Ma che bello, come siam messi bene.

  • “sottosegretaria”. Aggiungo che forse sarebbe bastato rispondere alla pitonessa che prevenire è meglio che curare. E lo dice un ipocondriaco che fuma.

  • Scusate la poca sintassi del mio commento delle 19:34. Il soggetto della terzultima ultima proposizione era naturalmente Di Battista, ma nella foga chi se ne frega della forma.

  • SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE. La sottosegretaria di cui ho parlato ieri si chiama Francesca Puglisi e ahimè è Dem. Dev’essere stata colpa dei miei pregiudizi nei confronti dei 5stelle. In tutti i casi mi è sembrata inadeguata, al pari della Melandri contro la Gelmini ai tempi della sua riforma della scuola che non trovò nessun argomento per contrastarla, facendo una pessima figura. Scusate ancora e per espiare, o meglio, concentrarmi, mi tacerò per un po’. Se presenti in questo commento altre inesattezze correggetemi.

  • Caro Ivano, è dall’orazione di Antonio (ma anche da molto prima, quando si era parecchio più pelosi) che sappiamo tutti molto bene quanto sia importante avere delle buone ragioni (cosa diversa dal pretendere sempre di “avere ragione”, con in tasca la via, la verità e la vita) ed essere però al tempo stesso in grado di esporle in modo adeguato, onesto ma valido.
    Il fatto che dei politici muniti di buone ragioni le espongano in modo poco convincente mi preoccupa molto meno del fatto che oggi girino tanti politici, in Italia e nel mondo, muniti di pessime ragioni esposte in modo molto convincente.

  • La sconfitta del PD è evidente. Ma non sottovalutiamo la sua capacità di resistenza e resilienza politica. Oggi sta serrando i ranghi in difesa. Ma contrattaccherà. In questa società liquida, il PD resta una realtà strutturalmente solida, nonostante le croniche lotte di fazione interne. Non è un Movimento, una Lega, un Comitato d’affari. È un vero e proprio partito. Dopo la scomparsa degli altri partiti veri, il PD è “il” Partito. Con l’iniziale maiuscola. Da tempo la liquidità sociale ha contagiato le formazioni politiche, con partiti volatili, disancorati da una concreta presenza sul territorio, soggetti alle fluttuazioni di un’opinione pubblica volubile, di un sistema mediatico ondivago, di social e blog fluttuanti. L’illusione di combattere le battaglie politiche soprattutto con le armi della televisione, della rete e dei social media, dall’alto del satellite o del cloud, è come l’illusione delle nazioni che pensano di vincere i conflitti bellici coi bombardamenti aerei e coi droni. Il risultato è lo stesso. Dopo poco tempo gli avversari escono dai rifugi e riprendono il controllo del territorio. Nelle guerre politiche e in quelle militari si vince non dall’alto ma dal basso, combattendo “boots on the ground”, strada per strada, casa per casa, non lasciando un solo “cecchino nell’abbaino”. La vittoria duratura nasce dalla costante presenza fisica, palmo a palmo, momento per momento. I partiti autentici sono sempre stati così. Chi si illude di vincere con improvvisazioni politiche situazionali o privilegiando la tecnologia digitale vincerà per qualche tempo ma non per molto. Il concetto fisico e territoriale di partito c’è da sempre e da sempre vince. Dalle Polis greche a Mario e Silla, dai guelfi e ghibellini a Lenin, tutti ben piantati in piazza. Il PD ha conservato nei cromosomi questa ascendenza leninista, pur nelle sue varie metamorfosi morfologiche socialiste, comuniste, azioniste, uliviste e via dicendo. L’approccio organizzativo, i dinamismi strutturali, la concretezza nella presa e nella gestione del potere, combattendo campanile per campanile, quartiere per quartiere, gli daranno la rivincita. È una realtà dotata di meccanismi operativi e di strumenti offensivi e difensivi ancora formidabili, pronti all’arrocco come al contrattacco. Adesso c’è la fase di arrocco. Ma il Partito farà come Radetzky nel Quarantotto, trincerandosi dopo questa battaglia persa nel suo Quadrilatero politico, ben munito di potere economico, mediatico e culturale, per poi uscire con i suoi battaglioni riorganizzati e vincere la guerra.

    Marzo 2018 – Ottobre 2021

    Il “Quadrato di Villafranca” del PD (dal quadro di Fattori, nella foto), dopo la sua “Custoza” elettorale di tre anni fa, ha tenuto in modo esemplare.
    E oggi la realtà del PD è sotto gli occhi di tutti.
    Detto da uno di destra, può sembrare un apprezzamento ben strano, ne convengo. Ma ogni tanto anche a destra non si è orbi del tutto.
    Davvero incredibile come, persino in politica, persino dai politici, nella Storia ci sia sempre così tanto da imparare.
    E dire che tre anni e mezzo fa (e anche nel periodo successivo) eravamo qui a scrivere non solo di un PD finito e sbaraccato ma anche di un’Europa finita e deceduta, di un Draghi mefistofelico da mettere al rogo, dei vaccini assassini e delle cure dei virus ayurvediche (un prolegomeno del fatto. poi, che il Covid “è solo un’influenza delle solite”), dell’Asia salvatrice e dei Cinesi altruisti e beneficenti, di Grillo, Di Maio e Toninelli salvatori della patria, dell’abolizione della povertà e dell’inutilità del lavoro perché l’hanno detto i Greci e Di Masi, dei brutti americani e dei bravi talebani, dell’uscita imminente dall’Euro, fonte di ogni nequizia, e quindi del genio economico dei vari Bagnai, Rinaldi, Borghi e Durigon, del fatto che il più grande politico italiano è Rizzo (non Jessica, l’altro). Ma potremmo continuare ancora parecchio.
    Davvero incredibile quanti ci sia da imparare, e quindi ben valutare, nel rileggere i commenti dei blog, anche di questo.

  • Correva l’8 del mese di Marzo 2018 ( a.c.*), “tre anni e mezzo fa” (!!!) e Pietro Martini firmava lo splendido post al quale lui stesso oggi si aggancia per commentare.
    Solo chi ha capacità di “memoria storica” può permettersi performances di questa portata!
    Tant’è che i commenti riportati in sequenza al post “madre”, così come gestiti dal sistema del blog, ci danno solo il riferimento di ora/giorno/mese, ma non dell’anno. Noi “comuni mortali” (consentimi un filino di autoironia, da …..consapevole pochezza storico-culturale, caro Pietro!) non siamo attrezzati per ….”vasti orizzonti storici” di tanta portata!
    Hai detto benissimo : “Davvero incredibile quanti ci sia da imparare, e quindi ben valutare, nel rileggere i commenti dei blog, anche di questo” (al limite, ci aggiungo io, con un una soprassalto di consapevolezza dei miei, di limiti!).
    Una domanda del tutto ininfluente rispetto alla portata del contesto: iI “DiMasi” che hai citato assieme a “i Greci” è proprio un DiMasi (ce n’è anche uno collaboratore di Giustizia della Piana di Gioia Tauro!) o il Domenico DeMasi che fu nostro graditissimo ospite-relatore al primo “Corso di economia”?

    ——-
    * ante covid !

  • Intanto, Francesco, sei troppo buono e clemente nei miei confronti: i post sono tutti belli, il blog vale per l’insieme e non per i singoli e personalmente di errori di analisi e diagnosi riguardo ai fatti e alle persone ne ho commessi anch’io. Fatta salva naturalmente la tua sempre signorile ironia nei confronti di chi, come me, a volte va un po’ troppo sopra le righe. Il Di Masi è il Domenico sociologo, molto bravo ma ogni tanto strumentalizzato dai profeti della “fine del lavoro” e dagli apostoli dell’ozio creativo (e va bene), ricreativo (e ci può stare) e intellettivo (perché tanto ci pensa l’intelligenza artificiale e tutti dobbiamo incassare senza lavorare: non a caso Di Masi era diventato qualche anno fa uno dei guru più citati da una certa formazione politica, che stava introducendo una certa misura economica di sostegno).

    • Scusa, Francesco, ovviamente De Masi. Un buon esempio di errore, come dicevo, stavolta di memoria. L’età. Dopo tre suoi libri, anche apprezzati, non ricordarsi nemmeno il nome corretto è grave. Appunto, l’età.

  • Chissà Pietro cosa pensa del Pd di oggi, se ne tesserebbe ancora le lodi. P.s: so bene che Cremascolta è finito, ma io ne ho nostalgia e stamattina ho fatto una veloce ricognizione in archivio, e finchè il sistema lo permetterà continuerò a scrivere qualche riga.

  • Ciao Ivano, che sorpresa trovare una mail di quelle di CremAscolta, di quando all’autore di un testo un qualche sistema informatico inviava (e vedo che invia ancora) i commenti dei partecipanti al blog.
    Grazie per il tuo ricordo dei tempi che furono.
    Le mie lodi del Partito Democratico, anni fa, erano sincere ma espresse da posizioni politiche diverse, come forse sai.
    Tutto sommato, loderei ancora questo Partitone, che tempo addietro tutti davano per spacciato, anche su CremAscolta, mentre a pochi anni di distanza da quel post assistiamo a ben altri declini politici e rovesci di fortuna elettorali. Il grande Partitone, unico sopravvissuto del Novecento politico italiano, tiene ancora e anzi rappresenta oggi la principale forza di opposizione parlamentare. Un successo non eclatante ma strisciante, non clamoroso ma avventuroso, non logico ma eroico.
    Per non dire della situazione cremasca, dove con un pugno di tesserati si riesce a governare una città dura, scontrosa, testarda, diffidente e indomabilmente edonista. Bravi, bravissimi, bis (e bis lo dicono in tanti, un bis di ovvio significato: ormai i bis sono una nostra tradizione municipale – chissà, vedremo).
    Se CremonaSera di ieri non sbaglia (e di solito non sbaglia), il congresso del Partitone e le elezioni interne da poco concluse dicono che ci sono, da noi in città, 98 iscritti al locale circolo partitico e che hanno votato in 38: Bonaccini 18 voti, Schlein 9, Cuperlo 8, De Micheli 3. In provincia di Cremona, tutti i circoli della federazione contano 1.023 iscritti. Ovviamente, quando ci sono le elezioni, contano i votanti, non solo i militanti. Però, una volta, questi militanti riempivano le feste della “falce & tortello”.
    Su 34.000 residenti in città, 98 tesserati e 38 voti. Il rapporto tra il vecchio consiglio dei nobili e la popolazione, ai tempi della Serenissima, era di maggiore rappresentatività.
    Per cui, come non lodare il Partitone dei Sinistrati dalla Storia, questa sempre rinascente Araba Fenice della Realpolitik?
    Bravi, bravissimi, bis, eccetera.
    Soprattutto per il monopolio della Cultura. Storia risalente, evidentissima.
    Certo, una riflessione su qualcun altro non guasterebbe.
    Ma il discorso sui Maldestri, soprattutto locali, porterebbe lontano. Troppo.
    Ciao, Ivano.

  • Finché é possibile, non avendo altri canali e perché affezionato a questo. Una domanda, anzi due o tre, a questa Amministrazione cremasca a maggioranza Pd: qualcuno mi sa dire a cosa serve la ciclabile in fieri che dal cimitero porta alla Coop? Non c’è già quella parallela alla gronda Nord? Non ci sono a Crema strade da mettere in sicurezza? Le strade sono un colabrodo, i marciapiedi dissestati e l’erbaccia in città è da savana africana?

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