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RITA REMAGNINO

Gli anni della decadenza

Dopo i Floating Piers del Lago d’Iseo il performer Christo ha installato nel lago Serpentine di Hyde Park, a Londra, la sua nuova opera: una struttura piramidale composta da 7.506 barili colorati che poggiano su una piattaforma di cubetti di plastica. Tale impianto, a cui è stato dato il nome altisonante di “Mastaba”, avrebbe il coraggio di riallacciarsi a una costruzione monumentale dell’Antico Egitto. “Non ci sono messaggi, c’è qualcosa che bisogna scoprire da soli. Non posso guidarti, devi sviluppare i tuoi sensi“, ha affermato l’autore bulgaro, classe 1935. E’ comprensibile, in effetti, la sua difficoltà nel dare un significato a una cosa che probabilmente non ne ha; tanto vale, a questo punto, che “ognuno si faccia una sua idea”, come si usa dire nell’odierno mondo del nonsense.
Al di là delle feroci polemiche che infuriano nelle ultime ore – anche noi italiani ne sappiamo qualcosa, avendo già dato – è impossibile non farsi cogliere da un sentimento di profonda tristezza. Come abbiamo potuto ridurci così? Attraverso quali terribili traversie ambientali e spirituali la mente aurea e divenuta un’ottusa mente ferrea, dura e incapace di comprendere?

La più grande piramide del mondo, quella di Cholula, vicino a Puebla, in Messico, è di fatto una montagna che misura 500 metri per lato, è alta 64 metri e ha una massa di 4,5 milioni di metri cubi. Vista da lontano sembra una collina naturale in cima alla quale qualcuno ha avuto la brillante idea di costruire una chiesa cristiana. Il principio era quello che la «cosa» sacra avvicinata o sovrapposta ad altre «cose sacre» accumulava sacralità. In questo modo il progresso ha distrutto il pregresso.
Ritroviamo il medesimo concetto di perfezione e armonia nel sito di Teotihuacán, letteralmente «il luogo degli dèi» poiché, si dice, qui si riunirono gli dèi per progettare la creazione dell’uomo. Entrare nella sua area è un’esperienza unica. L’orientamento nord-sud di quello che gli archeologi hanno chiamato il Viale dei Morti è quasi metafisico. E’ il manifestarsi del permanente, ciò che sta al di fuori del tempo e dello spazio. A est, affacciata sul drittissimo viale, si profila la Piramide del Sole che «stampa» senza posa il messaggio matematico per cui è stata programmata, direttamente collegato alla forma della Terra.
C’è poi il celeberrimo sito di Giza con le sue tre piramidi, la maggiore delle quali pesa circa 6milioni di tonnellate, più di tutti i palazzi della City di Londra messi assieme, che consiste di 2.300.000 blocchi di pietra calcarea e granito e, di fatto, è un modellino in scala dell’emisfero boreale del pianeta Terra.
Si potrebbero riempire pagine di numeri a proposito delle piramidi un tempo disseminate ovunque. La loro realizzazione fu probabilmente opera di una civiltà superiore in possesso di un’approfondita conoscenza del globo che, sul finire dell’ultima Era Glaciale, sparpagliò il suo sapere in vari punti della Terra. I costruttori scelsero di proposito di codificare informazioni complesse in monumenti duraturi e lo fecero utilizzando il linguaggio matematico che, a differenza di qualsiasi lingua verbale, può essere decifrato da chiunque in qualsiasi momento, persino da persone appartenenti a culture diverse e a epoche future.

Quei grandi sapienti e «maestri artigiani» devono aver pensato che per quanto drastici potessero essere i cambiamenti climatici e le trasformazioni che avrebbe potuto subire la civiltà umana, il raggio di un cerchio moltiplicato per 2π (o la metà del raggio moltiplicato per 4π) avrebbe sempre dato la misura esatta della circonferenza di quel cerchio. Era un linguaggio comprensibile a tutti. Quale lingua parlano, invece, i 7mila barili di benzina colorati poggiati su una piattaforma di cubetti di plastica nel lago Sepentine? O meglio, parlano? In caso affermativo, poco ma sicuro, nessuno li capisce.

 

Sono un monumento all’Era dell’incomunicabilità globale. Dal Cubito Reale, che nasconderebbe dietro i suoi decimali il «vero cubito», sconosciuto ancora oggi e derivato da una funzione matematica speciale simile al Numero della Sezione Aurea (1.618), siamo passati ai barilotti di greggio. Certo che ne abbiamo fatta di strada. Le antiche piramidi sono ancora lì che ci guardano, cosa lasceremo invece noi ai posteri? Un’intera isola, o continente, di rifiuti. Come nel romanzo Underworld, dove il protagonista assoluto del testo è la spazzatura. L’immensa scia di detriti che il pasto dell’Occidente lascia sul pianeta, allungando le mani sul piatto degli altri, difendendo con i gomiti il proprio posto a tavola. Riusciranno le prossime generazioni nell’impresa di riannodare i fili spezzati? Poiché la ruota del Tempo è inarrestabile, la risposta più logica sarebbe: si, ce la faranno. Ma noi non ci saremo.

RITA REMAGNINO

20 Giu 2018 in Cultura

11 commenti

Commenti

  • Avere domande facilita l’attenzione…
    Esperienza messa in gioco ?
    Rimanda ad un oltre cui non si pensa più.
    Ricordo al pomeriggio, dopo tre ore di coda,nell’ultimo tratto di camminata gialla sul lago,
    la montagna s’imponeva sempre di più .

    • Bisogna riconoscere che per rappresentare l’impercettibile dimensione dello Spirito la montagna è un simbolo perfetto: tocca tutti i «mondi» e crea un circuito vibrazionale invisibile e virtuoso tra Cielo, Terra e mondo sotterraneo. Sull’antica sacralità rivestita dalle montagne pesa tuttavia anche l’aspetto, diciamo così, geologico. Il sodalizio tra l’umanità reduce da un’intera Era glaciale e da un diluvio universale e le montagne, segnalato da tutti i racconti della Terra, ha anche un risvolto pratico. Da certi documenti ritrovati in alcuni monasteri tibetani abbiamo saputo che i «rifugi» della grande cultura umana durante l’alta marèa permanente del Terziario furono l’Abissinia, le Ande, il Messico, la Nuova Guinea e il Tibet. Lassù fu messo in salvo di tutto, dai beni materiali a quelli soprattutto spirituali, ovvero le preziose «eredità» sapienziali provenienti dal primi Maestri dell’umanità. E’ ovvio, dunque, che con quelle cime gli uomini avessero un grosso debito di riconoscenza: se non ci fossero state, loro sarebbero sicuramente morti. Può darsi perciò che proprio sulla scia di questa immensa gratitudine si sia iniziato, una volta passata la buriana, ad innalzare delle imitazioni di pietra, ovvero le enigmatiche e stupefacenti costruzioni che chiamiamo «piramidi». E lo si è fatto con una tecnica oggi irripetibile e con conoscenze che non abbiamo ancora del tutto capito.

      Quindi, la domanda è: qual’è il senso di costruire l’imitazioni di un’imitazione con (tra l’altro) materiali di scarto? E’ bella? E’ sacra? Significa qualcosa? A me sembra solo arido business, il ben noto giro di soldi prodotto dai soliti idioti che andranno lì davanti a scattarsi milioni di selfie. Non c’entra l’arte, non c’entra alcun messaggio da tramandare, non c’entra neppure l’estetica poiché “quella roba lì” deturpa il paesaggio. E’ questo che oggi sappiamo fare? Impossibile dare di più?

  • Confido anch’io, Rita, che le nuove generazioni sappiano riannodare i fili spezzati.
    Ma ci vorrà del tempo, tanto tempo: il numero delle persone del pianeta escluse dalla tavola imbandita, nonostante i progressi effettuati dalla Cina e dall’India grazie a una versione della globalizzazione “governata” – sono sempre di più e sono sempre di più anche i giovani occidentali.

    • Più che alle “nuove generazioni”, troppo schiave della tecnologia, io pensavo alle “future generazioni”. Il “salto” potrebbe essere possibile nei prossimi 30-40 anni. Separerei però la questione economica degli attuali Paesi emergenti da quella culturale, che è tutt’altra cosa.

      Sto osservando in questo periodo di mondiali di calcio (che non m’interessano assolutamente) i vari reportage e interviste alla popolazione in terra di Russia. E’ decisamente un altro mondo rispetto al nostro. Le differenze con i paesaggi umani e naturali d’America (e quindi d’Europa) sono enormi. Abissali. Credo bene che Russia e America non riescono a intendersi. Neanche lassù la genuinità del messaggio tradizionale ha potuto mantenersi integra, eppure c’è ancora. Esiste. E io credo che quel seme potrà germogliare molto prima di quanto si creda. Speriamo per i posteri.

  • Riapprodato in terra Campana, non sono stato a vedere se davvero hanno messo il minacciato grande corno scaramantico a galleggiare nelle acque prospicienti Mergellina. Qui c’è un consapevole oltragggio all’armonia! Il senso è quello del vilipendio di cadavere dopo lo stupro e l’uccisione della vittima; orrori che accadono realmente, ma gli autori li arrestiamo e li mettiamoo in isolamento, non gli consentiamo di giiocare a far gli artisti. Isolamento perché il reato ambientale simbolico si dimostra contagioso e trasversale fra culture che si sono appena incontrate! Ho un programma un piccolo cabotaggio fra le isole, e così se c’è il corno ci dovrò passare davanti. Se c’è ed è gonfiabile giuro che gli sparo.

  • Rita, Adriano, non c’è alternativa “estetica”. Vi immaginate se non fossimo andati oltre l’Accademia? Sai che noia la ripetizione senza differenza? Vogliamo dichiarare morta l’arte? La si chiami in altro modo allora la produzione contemporanea. Le opere di Christo deturpano il paesaggio? Solo temporaneamente, con smaltimento controllato pare. Una lettura possibile? Una nuova estetica, che non è depauperamento delle risorse, bidoni di petrolio, ma la visione che attraverso il riciclo si possano creare nuove forme, nuovi paesaggi, temporanei, a futura memoria comunque, ne stiamo parlando e continueremo a farlo. Altrimenti l’alternativa estetica quale sarebbe? Tutte le “forme” sono cambiate, fosse il consumo esasperato, prenderemmo mai una macchina, modello di vent’anni fa, se non in odore di estetica vintage? E poi le generazioni, alle quali cosa offrireste? Ormai è l’arte spettacolo che conta. Del resto basta contare i camminanti sulle acque del lago d’Iseo. In breve tempo quanti ci sono stati? Quali altre manifestazioni attraggono tanto pubblico? Ormai tutto è marketing, comunicazione. E’ il tempo della velocità dell’uomo contemporaneo ormai assuefatto a tutto, assetato di stupore immediato, di spettacolarità. A meno che il fruitore non opti, per scarsa cultura magari, di accontentarsi dei propri rassicuranti limiti estetici culturali. In tutti i casi a me non dispiace vedere un quasi novantenne che non vuole emozionare mettendoti davanti un bel tramonto in invito contemplativo, ma con un pugno nello stomaco. Del resto quali sono gli artisti o pensatori che passano alla Storia? Quelli che vivono nella nostalgia? No, quelli che provocano, che rompono col passato, che escono dagli schemi senza paura di sentirsi dire che fanno solo delle cazzate. Che poi le cazzate vere, cioè le banalità, si vedono eccome. Il nuovo invece si riconosce, anche nel disconoscerlo. Anzi, è proprio nel disconoscerlo che l’uomo dovrebbe imparare la consapevolezza dei propri limiti. Interrogarsi, senza paura di pensare l’impensabile. Al pensabile sono capaci tutti. In questi tempi ad esempio sono di moda le mostre virtuali. Negli spazi fisici non si mostrano più le opere, si espongono le loro riproduzioni, vuoi perché costa meno che trasportare e assicurare le opere. Ecco, qualcuno storcerebbe il naso, ma anche questo non è divulgazione? La tecnologia non ha prodotto cose stupefacenti? Perché non dovremmo usarla quindi? E in genere questi allestimenti sono spettacolari. Certo che se si è ancora desiderosi di quadretti in cornice allora è altra cosa. Ma qui forse sono già fuori tema.
    Rita, Adriano, tutto è molto più complesso del mi piace o non mi piace, al quale non ci si può più affidare. Se poi qualcuno riuscisse a spiegarmi esattamente perché preferisce un Picasso o un Leonardo alle opere di Christo io credo che gliene sarei infinitamente grato. Ripeto, le vecchie categorie sono morte e sepolte. Non posso mettermi di fronte alle opere di Christo come davanti ad un tramonto di Turner. Ma qui il tema diventerebbe psicologico o filosofico o sociologico o antropologico o banalmente culturale. E allora mi fermo qui e sospendo il giudizio, pur continuando a rifletterci.

  • Come saggiamente osservava il poeta e drammaturgo Yeats, l’Arte non è figlia di nessuno ma ha un padre (la Memoria) e una madre (la Speranza). Ormai orfano di tutto e di tutti, l’uomo contemporaneo non sa più chi siano i suoi genitori, è uno sradicato cronico, spesso un dissociato, e di conseguenza ha smesso di produrre “arte”.
    Quella che viene spacciata per tale è in prevalenza “commercio”.

    Qui siamo ben oltre la questione degli stili, non si tratta di stare o non stare nell’accademia, di quadretti in cornice che nessuno vuole più vedere. Il fatto è che l’azione dell’uomo – qualsiasi azione – deve avere un senso, la vita deve avere un senso, altrimenti è meglio stare fermi o non vivere affatto. C’è una differenza enorme tra il “pensare l’impensabile” e il “pensare l’inutile”. Alla prima categoria appartenevano i costruttori di piramidi, quelle autentiche, della seconda fanno parte invece coloro i quali passano il loro tempo facendo cose di cui si può fare tranquillamente a meno, tipo assemblare rifiuti. Proprio in questo risiede la noia dell’arte contemporanea, che insiste nel produrre cose senza senso, o forse non può farne a meno, non sapendo fare altro.

    Personalmente posso dire che la “piramide” di Christo né mi ha emozionato né mi ha “dato un pugno nello stomaco”, molto più semplicemente (e tristemente) mi ha fatto pensare a quanto siamo caduti in basso. Ciò detto mi fa piacere che un quasi novantenne giri il mondo per vendere i suoi prodotti, ce ne fossero di nonnetti arzilli come Christo, l’arte però è faccenda diversa e non appartiene più a questo mondo. Rinascerà nel prossimo, quando il business e il politicamente corretto saranno ormai un ricordo lontano e l’uomo avrà ancora voglia di “spaccare” il presente per dire qualcosa di nuovo.

    • Non rinascerà niente di quello che speri tu. E i corsi e ricorsi della Storia ci dimostrano come non è mai stato possibile fare tabula rasa di tutto, pena l’estinzione della nostra specie, in attesa di nuove “creazioni o evoluzioni”. E può darsi benissimo che Christo abbia ragione e tu torto, ma questo lo deciderà la Storia, non noi. Quanto all’arte come mercato invece le cronache delle varie epoche ci raccontano di avidità e mercanteggiamento, di opere rifiutate come blasfeme o non capite, pur trattandosi di quella che adesso per noi è la tradizione, sacra o profana che sia. Perchè ogni epoca esprime se stessa, e se anche una scrematura prima o dopo avverrà, questo è sempre accaduto: artisti dimenticati che ritornano di moda o nuove letture ci raccontano comunque della curiosità di uomini che continuano ad interrogarsi, non di uomini che istintivamente credono di aver capito tutto metabolizzando attraverso il proprio intestino, e tutto quello che ne consegue. Che poi, dal mio punto di vista è quel che succede in Politica, tanto più se come modello culturale mettiamo insieme Alexander Dugin e Fusaro. (ho letto con attenzione l’intervista al filosofo). Sia chiaro, a scanso di equivoci: niente di personale. E lo dico sinceramente perchè spesso si liquida tutto con troppa disinvoltura. E vale anche per me, tanto per non innescare la solita polemica. Anche gli impressionisti ai loro tempi non erano capiti, e neppure i piedi sporchi di Caravaggio.

  • Che ne sai, Ivano, di cosa rinascerà e cosa no?
    Sei Nostradamus? O l’hanno anticipato su Repubblica?
    Dubito, comunque, che la Storia si occuperà delle installazioni di Christo, dato che non ne rimarrà più nulla. I rifiuti saranno stati smaltiti, prima dell’alba di domani.

    L’arte come mercato di cui parli è una creatura degli ultimi secoli, io mi riferisco a monumenti di pietra che hanno più di 10mila anni e sono ancora lì per sorprenderci, più li studiamo e più scopriamo cose nuove. Vogliamo fare paragoni?

    Ogni epoca esprime se stessa, non c’è dubbio, così come ognuno è figlio del suo tempo e altre amenità del genere. Peccato solo che noi non abbiamo più niente da dire. Siamo come prosciugati.
    Mi sfugge invece cosa c’entrino Dugin e Fusaro con il discorso in atto.
    Hai per caso sbagliato post?

    • Siamo prosciugati, è vero, e questa involuzione della Storia, vedi i due pensatori di cui sopra, non mi tranquillizzano per niente. Ne sono l’emblema. Stanno riproponendo modelli, questi sì sinistri, e mai come i bidoni riciclati di Christo di cui comunque rimarrà documentazione. Sperando naturalmente che abbia ragione tu. Se l’involuzione della Storia dell’arte sono i bidoni di petrolio credo che questa involuzione della politica non si potrà smaltire, se non a prezzi altissimi. I materiali che Christo usa li smaltisce a sue spese. Gli scarti della politica ce li pipperemo tutti noi. E l’intestinalita’ della Mastaba londinese sarà un’inezia rispetto alle circonvoluzioni miasmatiche che dovremo affrontare. A ognuno le proprie previsioni e i propri giudizi, artistici o politici che siano.

  • Non buttiamola sempre sul personale, Ivano, con quello che piace a me e quello che piace a te. Chi se ne frega, con tutto il rispetto. Quando parla un filosofo e politologo come Alexander Dugin come minimo lo si ascolta e si riflette, anche se la si pensa diversamente, si tratta pur sempre di una voce autorevole.

    E’ ovvio che i “bidoni” dell’arte contemporanea non sono solo quelli di Christo. Era un esempio fra milioni di altri. Quanto agli scarti della politica, direi che ce li stiamo pippando dalla fine dell’ultima guerra: prima cinquant’anni di DC, con interferenze da compromesso storico, poi vent’anni di berlusconismo, con interferenze socialiste. Dall’estero ci hanno sempre guardato col sorrisetto sulle labbra, come cittadini/governi che potevano essere comprati con un piatto di lenticchie perché noi siamo stati sempre bravissimi a venderci al miglior offerente. Ma adesso, non più. L’Italia s’è desta, a quanto pare. Solo pochi mesi fa non avrebbe potuto succedere quello che è accaduto in questi ultimi giorni: sulla questione migranti la Merkel e Macron fanno il solito accordo due, come hanno sempre fatto, il premier Conte e il ministro degli Interni Salvini alzano la voce e fanno il muso duro e nel giro di poche ore la Merkel si rimangia tutto pur di evitare la presa di posizione dell’Italia. A memoria d’uomo, quand’è stata l’ultima volta che abbiamo piegato la Germania e mandato in tilt la Francia? I tempi cambiano, eh già, quasi quasi possiamo cominciare a vedere il bicchiere mezzo pieno.

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