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ADRIANO TANGO

Associazioni culturali cremasche e storia civica nobiliare

Esco di casa per cercare una sala per una mia prossima presentazione, e mi rendo conto del gran fervore di eventi già in preparazione per la primavera. Dal Museo mi sposto verso piazza del Duomo, per una visita alla proloco  e percorro un pezzo di strada con Walter Venchiarutti; riprendiamo il tema di questo fermento culturale che le città più grandi del circondario ci invidiano, e che non sappiamo ancora, a mio avviso, sfruttare a pieno come attrattiva territoriale. Lascio Walter e un’idea inizia a prendermi forma in mente: questa ricchezza culturale, di eventi, di associazionismo, non è altro che il lascito di una popolazione che ci ha preceduti, caratterizzata da un’elevatissima percentuale di famiglie nobiliari. Oddio, non che contadino si debba associare necessariamente a ignorante, pensiamo solo ad alcuni esempi di coltivatori diretti di prodotti di qualità insaziabili intellettuali (mi viene subito alla mente Agostino, ad esempio, e per la sua filosofale riservatezza ometto il cognome). Tuttavia avere la biblioteca di casa ben fornita e buoni esempi familiari e Istitutori personali certamente aiuta.

Devio di nuovo, verso casa, per fare un po’ di ricerca, capire se poi questa densità nobiliare era davvero così anomala, e perché.  Il mezzo è il solito, internet, ma sto attento alle fonti, sicure, scansioni delle opere originali. Ne considero due:

Piergiorgio Freddi

RAPPORTI TRA VENEZIA E LA NOBILTÀ CREMASCA

TRA QUATTROCENTO E CINQUECENTO

e, vedi caso, del nostro Walter Venchiarutti, appena incontrato:

IL SANGUE E LA CARNE. PROLEGOMENI ALL’ONOMASTICA CREMASCA

Dal primo Autore:

Come si è detto, Bergamo, Brescia ed i loro relativi territori erano già in mano veneziana, ma non Cremona e la Ghiaradadda: Crema risultava quindi un’ulteriore onta per Milano, e soprattutto per il suo futuro signore Ludovico il Moro. Una piccola isola circondata dal mare nemico, quasi un’altra delle tante isole cristiane e veneziane dell’Egeo circondate dal mare ottomano.

…furono molte le grandi famiglie signorili che coltivavano ambizioni territoriali e miravano a costituire un proprio dominio. Questa concezione del proprio ruolo, benché risultasse ormai anacronistica nell’Italia dell’epoca, fu dura a morire, in quanto la nobiltà delle città suddite non ricercava il riconoscimento di una piena e totale autonomia ma piuttosto di un rapporto tra formazioni statali maggiori e minori, vincolato dalla promessa di fedele

servizio, obbedienza e lealtà.

E dall’opera di Walter:

“Questo organismo era composto da tre ordini di cittadini:

1° L’ordine formato per diritto ereditario dall’ antica nobiltà feudale «(.. le

case vecchie, cioè dei primati delle antiche famiglie notabili…»

2° Per reintegrazione «l’ordine dei cittadini che vantavano aver avuto in

esso qualche avo o parente, …»

3° gli uomini nuovi «quello delle famiglie tra cui nessun antenato vi era

mai entrato, …che erano comperati, e per la massima parte avevano titoli

di conte o marchese…» 

Insomma i blasoni si tiravano a lucido, si riesumavano o si fabbricavano nuovi di zecca, ma comunque si moltiplicavano, mentre già erano in declino storico. Ma perché investire tanto su Crema? Per dar vita a una fitta rete di alleanze. Perché era una roccaforte naturale, difesa su tutti i lati dalle acque e punto cruciale di scambi, e, riprendendo l’espressione del Freddi ” Una piccola isola circondata dal mare nemico, quasi un’altra delle tante isole cristiane e veneziane”.

Ora, di tutto questo patrimonio, dopo più o meno cinque secoli, cosa abbiamo ereditato? Bei palazzi? Titoli nobiliari? Le acque sono state prosciugate o tombizzate, Serio escluso, e la posizione difensiva non conta più; degli scambi commerciali… lasciamo perdere: sono stati scoraggiati e deviati per altre vie con determinazione scientifica. Eppure il patrimonio fondamentale resta: la cultura! E con la cultura, parafrasando una storica e stolta affermazione, per quanto poi ritrattata, si mangia, e come! E così il giorno dopo ritorno alla proloco, con un quesito preciso: ” Esiste un’anagrafe delle Associazioni culturali del territorio?””Un dato numericamente rilevante” mi risponde F., una ragazza alta e briosa, un’entusiasta a prima vista. Prosegue: “Non l’abbiamo noi, ma mi permetta una telefonata, perché è un lavoro di schedatura mastodontico di cui si sta già interessando il Gruppo antropologico Cremasco” (e ti pareva che con il G.A.S. non sarei ritornato al tentacolare Walter!)

Dopo breve confabulazione mi risponde: “Sono arrivati a schedarne oltre 280, poi si dovrà fare una scrematura di quante realmente culturali, comunque non hanno finito, e sono tante!”

Insisto: “Non le pare che tutto questo patrimonio di iniziative cultuali resti sottoutilizzato come punto di richiamo turistico?”

Non si offende, anzi, precisa: “Come info-point stiamo lavorando per la costruzione di una rete regionale che raccolga su un unico sito tutte le iniziative, e saremo così certamente un punto visibile di gran richiamo!”

Chiacchieriamo ancora un po’, senza voler approfittare della sua disponibilità, ed emergono i soliti problemi:

  1. A fronte di un’offerta di eventi alta, in cui in primavera c’è solo l’imbarazzo della scelta fra due-tre tipologie di manifestazione nel raggio di poche centinaia di metri, si avverte l’assenza di una cabina di regia che coordini il lavoro delle varie Associazioni. Va già bene se c’è una telefonata di cortesia fra i Presidenti, per non pestarsi i piedi a vicenda, ma poi spunta sempre fuori qualche autonomo che nulla poteva sospettare sugli appuntamenti già fissati.
  2. L’offerta delle sale, tante e prestigiose, è suddivisa in vari nuclei (Museo, S. Domenico, Alessandrini…) che tuttavia non comunicano.
  3. I prezzi variano anche dell’orine di uno a dieci, considerato che, fra l’altro, c’è chi dà la disponibilità a fasce orarie e chi solo per intere giornate.
  4. La piattaforma unica darà un quadro informativo a livello regionale, ma i Milanesi, i Bergamaschi… tutti quanti apprezzano il nostro dinamismo e preferiscono disertare il caos delle loro città per venire ai nostri eventi, come ce li portiamo? Fin’ora, entusiasti (parlo di amici personali) son venuti con le loro automobili, ma se vogliamo fare un salto di qualità verso il futuro, potremo mai invitarli a prendere le corse di Trenord, già in passato più simili a carri bestiame che a navette per tratte limitate, come in tutte le comunità europee, e ora con fama di treni a rischio morte?

ADRIANO TANGO

26 Gen 2018 in Cultura

24 commenti

Commenti

  • Concordo, Adriano: a Crema c’è un fermento culturale notevole (nella produzione di libri – mi si dice – superiamo sia Lodi che Cremona), ma quello che manca è – come tu dici – è una cabina di regia che coordini.
    E aggiungo: una cabina di regia che, col supporto di docenti universitari, “promuova” cultura, in particolare nel recupero della nostra “memoria”.
    Quante pagine non ancora esplorate potremmo far venire alla luce! Pagine che costituiscono la nostra storia, la nostra identità, le nostre radici.
    Più il mondo si globalizza, più dobbiamo legarci alle nostre radici.

    • Hai colto il segno, e spero che questo doppio incentivo della settimana, di Ivano e mio, lasci un germe più vitale di tutto il lavoro che abbiamo fatto sui treni, insieme e a sostegno del comitato pendolari, coi tragici risultati che vediamo. già, perché mia moglie domani partirà da Lodi, nnon da Cema. Ora se la cultura è ciò che sappiamo fare meglio allo stato, battiamo il ferro fin quando è caldo, facciamo degli studi, andiamo incontro ai pendolari centripeti della cultura favorendoli con orari e mezzi alternativi… insomma c’è tanto da fare!

  • La cabina di regia è un chiodo fisso per Piero… magari dopo la notte degli Oscar un regista capace salirà a Palazzo. Difficile non essere d’accordo con il Prof. Ancora più difficile metter d’accordo le associazioni… e anche gli assessorati. Però, non voletemene, in questo momento storico baratterei volentieri un po’ di cultura cremasca con la ripresa delle attività produttive aprendo quelle strade alle quali in passato si preferì mostrare il semaforo rosso… con la conseguenza di restare un paesotto “culturalmente avanzato”. E basta.

    • Analisi impietosa ma centrata. Ma una miopia della passata generazione non può giustificare un analogo atto di disinteresse in un diverso settore, soprattutto quando il momento è propizio, perché qualche spot si accende, se non veri riflettori. Certo, se ho scritto è perché ho toccato con mano come individuare un maestro d’orchestra senza offendere i piccoli detentori dl potere sia difficile. Basta la diseguaglianza spropositata dei prezzi delle sale a darne un’idea. Per questo il quieto vivere, la non rottura di equilibri, impera; ma Cremascolta deve sensibilizzare, trasmettere a chi di competenza, non inserirsi nelle competizioni in prima persona. Lo ico perché qualche sollecitazione del tipo “se non lo fa nessuno fatelo voi” è arivata.

    • E’ di oggi la notizia – molto interessante, a mio avviso – del presidente degli imprenditori di Cuneo che si è preso la briga di scrivere una lettera aperta alle famiglie dei ragazzi che in queste settimane devono scegliere il corso di studi dopo la scuola media. Occhio cari genitori, ha scritto il presidente, e ricordatevi che nell’ultimo anno le imprese della zona hanno assunto soprattutto “addetti ali impianti, operai specializzati, tecnici”. C’è la possibilità d’inserire circa 40.000 nuovi lavoratori, ma di questi il 19% saranno addetti agli impianti e ai macchinari, il 18% operai specializzati, l’11% tecnici specializzati. A tutti gli altri non garantiamo niente.

      Sembra che la qualifica attualmente più richiesta in Italia sia quella del “saldatore”.

      Forse per gli italiani è arrivata l’ora di cambiare mentalità: titolo di studio non è sinonimo di cultura. La scuola può anche dare (non sempre) un’infarinatura generale, ma poi la “vera” cultura ognuno se la fa da sé attraverso letture e approfondimenti specifici. Oggi i mezzi non mancano, per cui forse è meglio imparare a fare il saldatore.

  • So bene, Alvaro, che dobbiamo investire intelligenza e risorse su nuove opportunità per i giovani, ma io non trascurerei la cultura come generatrice di lavoro.
    Ho citato più volte un fortunato libro sulla cultura che… dà da mangiare: leggerlo potrebbe essere salutare perché riporta testimonianze di città (soprattutto al Sud) in cui davvero si è investito in cultura con risultati anche economici.

    Sai bene, poi, tu, quanto mi sta a cuore il tuo cavallo di battaglia!

    • L’immagine va tenuta ben lucida per vendere bene qualsiasi prodotto. Un centro di aggregazioni di menti produce sempre risultati, anche grazie alle ibridazioni di pensiero e culture. Per avere treni sicuri e tanto d’altro è importante che la città abbia un’immagine forte, che in questo momento la sola economia non può dare.

  • A proposito della vita culturale cremasca e delle associazioni cittadine che la alimentano, si sono periodicamente formulati auspici, anche da fonti autorevoli, a favore di un ruolo di indirizzo generale, di una funzione di coordinamento, di una cosiddetta cabina di regia in grado di orientare, ordinare e ottimizzare le attività culturali espresse dalle varie realtà associative presenti sul nostro territorio.

    Anche questo articolo di Adriano indica che “si avverte l’assenza di una cabina di regia che coordini il lavoro delle varie Associazioni”. La richiesta di una funzione centralizzata di coordinamento generale, gestita direttamente o indirettamente dall’istituzione pubblica municipale o da altri soggetti investiti di pubblici poteri, torna dunque a manifestarsi anche in questa sede.

    Forse non sarebbe inutile capire le ragioni e i possibili esiti, le cause e i possibili effetti di tale auspicata situazione, oltre che le sue possibili modalità attuative in un contesto come quello cremasco. Sinceramente non saprei che cosa dire in proposito e confesso che non mi dispiacerebbe comprendere qualcosa di più su questo argomento ricorrente ma non sempre ben precisato in termini concreti e operativi.

    • Fin dagli esordi CremAscolta si era proposto esattamente questo: creare una “piazza” della cultura per dare “voce” a tutte le associazioni culturali che operano nel territorio. Il blog c’era, funzionava, sarebbe bastato allargare la mailing list e creare un accesso agli altri gruppi che così avrebbero potuto postare gli argomenti più disparati. L’allora assessora alla cultura sembrava ben disposta, l’idea le piaceva, ma tutto è finito in niente.

      Era stato affrontato anche il tema della location: poiché la maggior parte delle associazioni ha sede in casa del presidente, si era pensato di poter utilizzare le “stanze” vuote dell’ex-CCSA come sedi anche documentali, a tutto vantaggio della cittadinanza che si sarebbe trovata chiavi in mano una bella “eredità”. Faccio un esempio: il Circolo Poetico Correnti, dopo venticinque anni di onorato servizio, ha moltissimo materiale, ivi compresi inediti dedicati e autografati da poeti celebri durante il loro passaggio a Crema. Anche in questo caso sembrava di essere in dirittura d’arrivo, poi tutto è finito in niente.

      Il risultato più evidente dell’assenza di un punto di riferimento è che iniziative ed eventi normalmente si sovrappongono, perché la singola associazione non è al corrente del calendario delle altre. Dalla settimana con l’imbarazzo della scelta (dove qualcuno viene per forza penalizzato) si passa così a quella in cui non c’è niente da vedere/sentire.

      – Il primo problema da risolvere sarebbe dunque una Sede, unica per tutti.

      – Dopodiché si dovrebbe creare l’Albo Comunale delle Associazioni Culturali senza scopo di lucro, da dove ogni anno si cancellano i gruppi che non svolgono almeno un’iniziativa annuale a vantaggio della collettività e in cui si iscrivono i nuovi.

      – Si crea un’unica mailing list per l’invio di un calendario mensile o quindicinale degli eventi.

      Personalmente sarei dell’idea di evitare una gestione a trazione comunale per evitare di salire sulla giostra del “non è di mia competenza”. Magari si potrebbe pensare a una rotazione della gestione, un anno per uno non fa male a nessuno, così alla fine tutte le associazioni sapranno cosa significa mandare avanti la baracca. Non è per niente difficile, basterebbe aver voglia di cominciare. In altre parole: sarebbe sufficiente designare una Sede unica e convocare tutte le associazioni culturali, chi non si presenta resta tagliato fuori.

  • Ti ringrazio per le informazioni. È molto interessante. A me era sembrato che ci si riferisse quasi sempre, almeno nell’ultima decina d’anni, a un ruolo di indirizzo e coordinamento di matrice istituzionale locale, dunque espressione di una funzione pubblica territoriale e quindi, più o meno, in modo diretto o indiretto, con connotati poco o molto marcati, politica.

    Ad esempio, il 16 gennaio 2010, su convocazione dell’allora Assessore alla Cultura di Crema, Paolo Mariani, si era svolta nella Sala Pietro da Cemmo del Museo di Crema una riunione significativa (se non plenaria, almeno di notevole rappresentatività) dei responsabili delle principali associazioni culturali cremasche, per valutare la possibilità di un coordinamento dei calendari manifestazioni e, più in generale, delle iniziative da pianificare e gestire localmente. Sempre ad esempio, il 13 dicembre 2017, nell’ambito della presentazione del numero XLVII della rivista Insula Fulcheria nella sala Cremonesi del Museo di Crema, un coraggioso Piero Carelli, componente del Comitato di Redazione e curatore referente per la sezione di Storia della rivista, ha autorevolmente chiesto all’attuale Assessore alla Cultura di Crema, Emanuela Nichetti, di promuovere, se ben ricordo non solo in ambito storico (ma non rammento bene le parole di Piero), la creazione di un organismo di emanazione pubblica e quindi munito dei relativi poteri, in grado di sviluppare, guidare e programmare con logica unitaria le attività e gli eventi proposti dalle associazioni culturali cittadine.

    Mi sembra quindi di intuire, se non sbaglio e se non ho frainteso quanto hai detto, che sul perché, sul chi, sul che cosa e sul come di questa ipotetica “cabina di regia” (ma pure sul dove, visto che hai toccato anche l’aspetto di una possibile sede) ci possano essere varie e diversificate proposte, frutto di visioni e impostazioni non proprio univoche. In ogni caso, comincio a farmi un’idea. Grazie ancora.

    • Considerando che siamo a fine gennaio, direi che è già passato un mese e mezzo dalla richiesta di Piero. Mi sembra di aver capito che, forse, il Gruppo Antropologico stia facendo una specie di “censimento” delle associazioni culturali del cremasco.
      Se è vero, sarebbe un buon inizio.

      Personalmente sono dell’idea che il Comune potrebbe magnanimamente fornire una “Sede di regia”, ovvero un luogo accessibile e fruibile da parte di tutte le associazioni coinvolte. Lo spazio non manca. Visti i trascorsi, sarei però dell’idea di non far entrare l’Amministrazione nella “cabina di regia”, il funzionamento (e non) degli uffici è sempre farraginoso. Che abbia la supervisione e i patrocini è più che logico, ma per quanto riguarda l’organizzazione vera e propria lascerei fare agli “appassionati” che offrono gratuitamente il loro impegno e mirano a raggiungere dei risultati.

      Il discorso comunque è aperto, se ne può parlare.
      Chiederò all’amico Walter Venchiarutti se davvero stanno censendo le associazioni.

  • Ho il volume del GAC che menziona le centinaia di associazioni operanti a Crema, in ambito culturale, artistico, naturalistico e in molte aree che vanno dal volontariato ai club di servizio. Ha ragione Adriano nel dire che in questo siamo incomparabili, per ragioni secolari che prescindono (questo lo aggiungo io) dall’ultima cinquantennale cultura falce & tortello (a proposito, strano che a Crema non si sia ancora data la stura agli amarcord del cinquantennio, dato il numero di “sinistrati” ex sessantottini sopravvissuti su piazza). Per cui, penso che il censimento gli amici del GAC l’abbiano già fatto.

    Tornando alla proteiforme “cabina di regia”, riguardo alle sedi concesse dal Comune, so che alcune delle associazioni di cui ho mantenuto la tessera hanno la disponibilità della saletta Fra’ Agostino al Museo. Ci sono fasce orarie in giorni prestabiliti e sono circa una decina. Mi dicono che funziona. Certo, quasi nessuna associazione può contare su prebende partitiche locatizie pressoché gratuite nel perimetro federiciano. Intanto, è iniziata l’allocazione di parte dell’area dismessa ferroviaria e probabilmente, se agli Stalloni non ci faranno solo parcheggi (drenanti, beninteso), tra poco potrebbe iniziare quella di alcune delle porzioni immobiliari sul fronte di via Verdi. Insomma, non tutte le associazioni hanno la sede a casa del presidente.

    Sul riconoscimento, basta andare in Comune e depositare atto costitutivo e statuto al protocollo. L’abbiamo fatto con alcuni amici recentemente, per un comitato su un medico di origine cremasca. Una cosa semplice. Ma tornando alla “cabina di regia”, tu dici che “il discorso è aperto, se ne può parlare”. Ma, francamente, credi che possa essere realizzabile? E su quale modello organizzativo? Top down o bottom up? Basandosi su un potere di posizione, sostanzialmente innervato a livello istituzionale locale, oppure su un potere di relazione, sugli accordi paritetici associativi, sulle capacità di networking interpersonale?

    • Va benissimo la Sala Fra’ Agostino come “spazio comune”, ma non circoscriverei all’ambito storico locale il raggio d’azione. Diventerebbe, come già è, un ritrovo per la Terza Età che, seppure costituisce un rispettabilissimo periodo della saggezza, se dissociato da iniziative anagraficamente più “fresche” e comunque spinte da impulsi differenti, alla lunga diventa tristemente l’Età della Vecchiezza. La Pro Loco, ahimé, non fa eccezione.

      Punterei sul modello bottom-up, visto che Pietro lo menziona: una volta individuati i soggetti (CremAscolta, anima virtuale, non avrebbe difficoltà a elaborare il dato), li si mette insieme (chi ci sta, ovvio) e li si fa incontrare in modo da formare sinergie, poi si comincia a stendere calendari di iniziative che talvolta, anche se non sempre, potrebbero completarsi tra di loro. Dopo aver messo in moto la macchina, si perfeziona il funzionamento in corso d’opera.

      L’alternativa è continuare ad assistere ai soliti eventi con le solite facce, i soliti spettatori, i soliti relatori (anche se vengono da fuori), le solite pubblicazioni (che poi giacciono negli scatoloni), le solite cose. Questa non è cultura ma stagnazione. Se in una cittadina di 34mila abitanti si muove sempre lo stesso 3%, qualcosa non va. Si punti almeno al 10!

      Se CremAscolta dovesse ricevere l’incarico di attivarsi in questo senso, lo farebbe.

    • Mi scuso, Rita, per gli abusati inglesismi top down e bottom up. Mi sono sfuggiti in un momento di insufficiente contegno lessicale. La sostanza è che l’approccio “cabina di regia”, soprattutto se ad indirizzo istituzionale locale (assessorile oppure tramite organi museali o di promozione territoriale), e l’approccio “condivisione di sinergie” sottendono modelli non solo organizzativi ma anche comportamentali ben diversi. I registi dirigono il film e dicono agli attori come, quando e dove fare la loro parte, già definita nella sceneggiatura. Invece, chi prova a mettersi insieme concordando regole, contenuti e forme lo fa in modo pattizio e paritetico. Una cosa è il potere di posizione, un’altra il potere di relazione. E questo prima ancora di definire se i contenuti sono storici, artistici, ambientali, letterari o filosofici.

      Più in generale, mi pare che, tanto in caso di dirigismo istituzionale, diretto o mediato, quanto in caso di libera determinazione federativa, due plessi di domande si pongano. Il primo. Perché si dovrebbe agire in tal senso, creando un coordinamento, una funzione centrale, una struttura univoca di riferimento? In pratica, quali vantaggi specifici ed effettivi ne sortirebbero rispetto ad oggi? Evitare sovrapposizioni di eventi in calendario? Aumentare la qualità dell’offerta, col supporto di miglior disciplina, metodologia e scientificità grazie a docenti universitari e cattedre accademiche? Sviluppare ulteriormente le iniziative e gli eventi? Molto in concreto, quali benefici reali e misurabili si otterrebbero rispetto ai risultati attuali, passando dalle petizioni di principio a una realtà espressa in dati, fatti e numeri? Il secondo. Una cosa del genere sarebbe realizzabile a Crema? Le varie e differenziate realtà associative sarebbero disponibili a concordare contenuti, programmi, calendari e altri elementi oggi facenti parte delle proprie competenze e attribuzioni? Soprattutto in caso di “cabina di regia” portatrice di indirizzi generali, sarebbe possibile condurre tutte queste associazioni sotto l’egida di un ruolo direttivo sovraordinato? Non ho risposte a queste domande e sarei interessato a conoscere eventuali pareri.

    • Intanto sgombriamo il campo dal termine “cabina di regia” che oltre a non significare nulla fa erroneamente pensare che tutti si possa diventare attori nello stesso film. Niente di tutto questo. La “condivisione di sinergie” significa, al contrario, che le varie associazioni, mantenendo ognuna la propria identità e indipendenza, possano usufruire di un comune punto d’incontro , di uno spazio condiviso, di una “piazza” in cui ritrovarsi, dove poter dare/attingere informazioni e incontrare gruppi operativi (no perditempo) affini ma diversi con cui avere scambi dialettici e progettuali. Il tutto, per rispondere a Mattia, al fine di far pervenire il “messaggio culturale” al maggior numero possibile di persone, attualmente tagliate fuori.

      Ma non siete stufi di partecipare a feste frequentate dai soliti invitati?

      E’ altresì demenziale anche solo pensare di poter proseguire come s’è sempre fatto: ho un lavoro nel cassetto, vado dall’assessore di turno e chiedo il patrocinio, meglio ancora un finanziamento, faccio una mostra che viene dimenticata dopo qualche giorno oppure pubblico libri che se non finiscono in qualche magazzino me li ritrovo nei mercatini a 1€. Ha senso tutto ciò?

      Mi sembra che “sviluppare ulteriormente le iniziative e gli eventi” possa essere un buon obiettivo. I risultati, in concreto, non sarebbero apprezzabili tanto nei numeri (in ogni caso maggiori) ma nella sostanza: più teste pensanti, maggiori spunti di riflessione. E qui, entra in gioco anche il concetto di comunità, di collettività. Già noi italiani, per mentalità e cultura, non siamo assolutamente capaci di lavorare in team, se poi ognuno si ritira nella sua stanzetta siamo fritti. Lo siamo, infatti.

      Ma arriviamo alla domanda delle domande: “una cosa del genere sarebbe realizzabile a Crema?” Per assurdo, sarebbe più difficile che in una grande città. Il provinciale è restio a condividere alcunché, non mira a potenziare la forza intrinseca del prodotto finito, a farla “espatriare”, bensì ad avere il suo nome e la sua foto sul giornale locale, da cui scrupolosamente ritaglia il trafiletto e lo incolla sull’album di famiglia. Peccato che così facendo non si vada da nessuna parte. Per cosa è conosciuta Crema al di fuori dei suoi confini, a parte i tortelli (che sono decollati nel momento in cui i suoi produttori si son messi insieme)? Anche le canne d’organo mi sembrano ampiamente superate.

      Perché un non-cremasco dovrebbe venire a Crema? A fare cosa? A vedere cosa? L’ambiente non è dei migliori e di chiese e palazzi è piena l’Italia. La cultura non potrebbe fare da traino? Certo, non briciole qua e là. Ci vuole la pagnotta.

    • Che botta, Rita, ci hai tirato! Dalle feste sempre con gli stessi invitati all’amato libro trovato sulla bancarella a un euro, dal ritaglio del trafiletto da incollare sull’album agli eterni tortelli e canne d’organo. Una foto notevole. E avrai compreso che stamattina, parlando del tre per cento su trentaquattromila, sei stata larga. Massimo tre per mille.

      Per cui, che dire? Per ora posso solo risponderti come Jessica Rabbit: noi cremaschi non siamo cattivi, è che qualcuno ci ha disegnato così.

    • Quali cattivi! Siete dei dolcissimi pigri che ogni tanto bisogna scrollare.
      Ma non è che poi cade sempre una mela.

      La cosa che più (mi) fa rabbia è che a Crema c’è veramente tutto in termini d’ingegno, capacità e talento. Ma porca miseria se esce dai confini dell’Insula.

  • L’idea della cabina di regia l’ho rilanciata durante la presentazione di Insula Fulcheria, ma si tratta di una idea non originale e ampiamente condivisa.
    Si tratta, tuttavia di definire l’ambito. Io non ho certo pensato a a una cabina di regia per tutte le centinaia di associazioni (molto eterogenee, come dici bene tu, Pietro).
    Il mio sfondo è il museo come “la memoria della nostra comunità” e l’ambito in cui colloco il suggerimento è costituito da tutti i gruppi culturali che fanno “ricerche” di storia locale.
    Ce ne sono di gruppi che operano in tale direzione (con passione e talora anche con molta competenza), ma ognuno segue la propria strada.
    L’esigenza che avverto da anni è che ci sia una cabina di regia, supportata da almeno un docente universitario di storia, che da un lato aiuti tutti i gruppi di volontari ad affinare la metodologia “scientifica” (fare storia – e tu, Pietro, lo sai bene – richiede metodo, disciplina, rigore) e, dall’altro, indichi le “pagine bianche” ancora da scrivere per ricostruire la “nostra storia”, cioè le nostre radici.
    E’ in questa ottica che io vedo bene la Sala Fra’ Agostino come lo “spazio comune” dei vari gruppi di ricerca (compreso il gruppo di ricerca storica che tu e Roberto Provana avete fondato).

    Se invece si vuole allargare il discorso al coordinamento delle iniziative culturali al fine di evitare sovrapposizioni o dispersione di energie, io vedrei bene il ruolo della Pro Loco.

    • Apprezzo, Piero, la chiarezza del tuo commento. Le sinergie riguarderebbero quindi l’ambito storico, con particolare attenzione alla storia locale, magari col supporto di uno o più docenti universitari e senza un ruolo di indirizzo e coordinamento da parte delle istituzioni politiche territoriali. Il Centro Culturale Sant’Agostino sarebbe il luogo fisico ma anche il soggetto funzionale di riferimento. In caso di allargamento ad altri ambiti, anche in ragione dell’ampiezza delle attività culturali realizzate nel complesso, tale soggetto sarebbe la Pro Loco.
      Spero di aver compreso correttamente.
      Sarebbe interessante conoscere anche altre opinioni.
      Riportare il discorso sul Sant’Agostino (museo, biblioteca, spazi espositivi e tutto il resto) mi pare già una scelta importante. E il terreno storico costituirebbe una prima mappatura tematica.
      Potrebbero sorgere alcune domande nel merito di questi orientamenti. Alcune, forse, abbastanza ovvie. Ma per ora mi sembra che il discorso sia un po’ più preciso e ti ringrazio per le utili delucidazioni.

  • Ripeto: l’associazione che intende esplorare la figura di Ferdinando Cazzamalli, che tu, Provana ed altri avete fondato, a mio avviso ci starebbe benissimo nella Sala Fra’ Agostino.
    Io ti consiglierei di rivolgerti all’ass. Emanuela Nichetti.
    E questo, anche a prescindere dall’idea della cabina di regia: perché non potesse trovare ospitalità al museo un’associazione che si propone di studiare una figura cremasca che ha avuto una rilevanza nazionale e che è pressoché sconosciuta?

    • Mi permetto di suggerire di considerare da subito quali sono gli obiettivi, in termini di prodotti, della ricerca locale. Intendo che se tutta la regia si traduce in qualche libro / articolo, il lavoro finisce per essere “sprecato”, destinato a essere conservato su uno scaffale in attesa che il prossimo studioso lo cerchi. Se si vuole che la cultura raggiunga la gente è fondamentale che la ricerca si traduca in eventi e, data l’attuale tendenza comunicativa, video, video, video.

    • Grazie, Piero, per il tuo buon consiglio e per aver voluto generosamente citare il comitato. Riguardo ai video, come non essere d’accordo con Mattia Bressanelli? È verissimo, si tratta di una delle vie da percorrere per comunicare e coinvolgere. Non ci sono dubbi.

      Mi permetto solo di aggiungere che anche un articolo di rivista o un libro possono, a volte, costituire contributi alla costruzione di una realtà culturale, beninteso senza alcuna spocchia intellettuale e con molto spirito di servizio. Per costruire ci vogliono i mattoni, mi pare dicesse un nostro concittadino molto tempo fa. I video possono essere ottime facciate e magnifiche intonacature, così da creare interesse e apprezzamento nei passanti. Per cui, grazie del suggerimento.

      Forse però qualche pietra d’angolo va messa nelle fondamenta. Certo, lì rimane e non si vede passando per strada. Proprio come un libro riposto in uno scaffale, in attesa di essere trovato e aperto.

  • Letto tutto e riprendo il tema.
    Mi scuso se mi rifaccio alla mia passata, ma non defunta, attività societaria e di ricerca scientifica, quella in cui ho fatto la mia esperienza in più decenni.
    La “casa madre” nazionale aveva il problema di limitare i costi, che gravando sugli sponsor incidevano sui prezzi dei prodotti in vendita agli ospedali, e di evitare i doppioni (la regionale, la superspecialistica, che poi dicevano la stessa cosa). Inoltre si voleva scongiurare il turismo parascientifico (crociera con… settimana bianca con…). Il primo problema si è quasi risolto con l’istituzione di congressi congiunti, accorpamenti…
    La vocazione di creare un’unica sede, la più economica, per gli eventi, a Rimini, è caduta, perché i Chirurghi hanno spesso quale unico momento di stacco dal ritmo frenetico proprio il congresso, e si son ribellati (e così le consorti…).
    La differenza nella situazione, il confronto con il locale, sta nel fatto che la casa madre aveva diritto di veto, perché non avere il patrocinio era cosa grave, uno smacco. Quindi non vedo altra regia che quella del Comune e dell’Assessorato alla Cultura in particolare. Se poi facciamo un paragone con lo sport scopriamo che inquadrare troppo una squadra la impoverisce di guizzi propositivi, quindi ci vuole una giusta mediazione.
    Conclusione: dialogo con gli erogatori di sedi, dignitose, ma non con prezzi fuori di testa, per abolire la sperequazione di costi, e con le Associazioni, per favorire le fusioni di realtà consimili, cosa che evita anche la critica di sperpero, la defezione agli eventi, e favorisce il buon utilizzo della risorsa fondamentale: la sponsorizzazione, perché solo poche ed eroiche realtà vivono con le quote dei soci, oppure ci sono quelle blasonate, snob, con alti prezzi di accesso, che non fanno testo, in quanto generalmente aggregazioni di potere, e non di finalità di ricerca.
    Riprendiamo il dialogo da questo punto?

    • Sono molti gli stimoli che ci offri, Adriano, e mi sembrano punti rilevanti per possibili sviluppi di un dialogo e di un confronto su questo tema, che tu stesso hai così opportunamente introdotto sul blog una settimana fa. Mi pare di intendere che tu ritenga importante un ruolo di indirizzo e coordinamento da pare del locale Assessorato alla Cultura; che torni anche nel tuo commento, come in quelli di Rita, l’elemento di una sede associativa facilitata da disponibilità istituzionali locali quale requisito fondamentale; che l’aspetto delle sponsorizzazioni economiche sia tra quelli prioritari per l’efficacia di queste realtà associative; che si debba procedere a “fusioni di realtà consimili”. Per non citare altre indicazioni da te fornite. Direi che ci sono spunti in abbondanza per, come ci hai proposto, “riprendere il dialogo”.

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