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RITA REMAGNINO

Al dè dal dialèt

I tempi cambiano e i dialetti si parlano poco nelle famiglie; si tratta di lingue in via di estinzione? Parrebbe di no, vista la curiosità crescente nelle persone mediamente tra i 20 e i 45 anni che hanno subìto la negazione del dialetto e proprio per questo oggi vogliono sapere da dove vengono detti e forme verbali delle zone di origine.

Si moltiplicano così presso biblioteche e centri culturali le iniziative che riguardano le lingue madri. A Cremona ha appena chiuso i battenti la seconda edizione del festival “Antropologos” e Crema si appresta a dare il via alla prima edizione del “Dè dal dialèt”, espressamente dedicato alle nuove generazioni e alla riscoperta delle proprie radici: conferenze, incontri, teatro, musica, degustazione di prodotti locali e, per l’occasione, un’edizione straordinaria di “Poesia a Strappo” riservata ai poeti locali. Un appuntamento da non perdere.

 

ndr: Considerata l’oggettiva “difficoltà” di lettura della locandina, ci aggiungo 2 dei www (niente internet nè Who/ Where/When)

  • Al Centro Culturale Sant’Agostinio, Chiostri, Salone, Casa contadina
  • Domenica 22 Aprile, tutto il dì

Dopo l’uso generalizzato del dialetto, almeno fino al dopoguerra, dopo la crescita dell’uso dell’italiano a discapito dei linguaggi locali nel periodo compreso tra la fine degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta, si assiste adesso a un’espressione “mista” frutto del desiderio di non di dimenticare le lingue madri che, nonostante tutto, continuano ad essere parte integrante del patrimonio linguistico e culturale delle differenti comunità umane.

Rispetto al passato, il futuro del dialetto è da considerarsi più roseo anche secondo i dati Istat, che registra l’aumento in ambito famigliare della “lingua mista”. Sembra che i promotori di tale cambiamento siano stati proprio i giovani nati in un periodo di forte dispersione culturale e di perdita delle tradizioni, quelli che hanno meno difficoltà ad utilizzare nell’ambito lavorativo la lingua unica comune, l’inglese, ma reclamano nel contempo la conservazione della lingua madre. Chissà che questa tendenza non serva loro da stimolo anche a parlare un “buon italiano”, cosa che attualmente li vede assai carenti, a prescindere dagli studi fatti, dai master e dagli stage. Si sa che la speranza è sempre l’ultima a morire.

RITA REMAGNINO

18 Apr 2018 in Senza categoria

10 commenti

Commenti

  • Piccolo appunto: per capire dove si svolge bisogna guardare il programma, piccolo-piccolo e non espansibile. O sbaglio? Ma io ho una “grande-grande lente d’ingrandimento”. È al museo. Fai qualche precisazione, non tutti avranno avuto le comunicazioni da altre fonti!
    Sul tema, bene, anche se resto un po’ freddo sugli orgogli regionali, soprattutto quelli ormai “vigorosissimi” del SUD, perché il mio pensiero è: “prima mostrate le capacità, poi parlate e rievocate”. Storicamente le ragioni tutti riescono a riaggomitolarsele a modo loro. Comunque un bene storico va difeso: teniamo in vita il Latino, che ha unificato un impero!

  • Centro Culturale Sant’Agostino, chiostri e sale annesse, e’ tutto li’.

  • Guarda Adriano che i giovani del Sud su questo fronte sono molto piu’ attivi dei coetanei del Nord, largamente snaturati. Come dire: un conto e’ la lingua che serve per lavorare e portare a casa la pagnotta, altro conto e’ la lingua madre con cui si esprimono emozioni e sentimenti. E lasciamo stare gli imperi, per carita’.

  • Più il mondo si globalizza, più la cultura si omogeneizza, più forte e diffusa l’esigenza di radicarsi nella propria tradizione, nella propria lingua materna (per noi non più giovani).
    Mi fa piacere, poi, che siano pure gli stessi giovani: l’Associazione “Rinascimenti” coordinata dal vulcanico e intelligente Giorgio Cardile e formata da ventenni – tra i promotori dell’evento – ne è una felice testimonianza.

  • Sta scomparendo anche l’italiano e vi state a preoccupare del rilancio dei dialetti?

  • ….. da bambino, in casa mia l’uso del dialetto era “off limits”, mia madre Iris (prof della “Media Vailati” per ….antonomasia) ne aveva interdetto l’uso in favore di un appropriato uso della lingua italiana! ( + il latino che ho imparato “a orecchio” dalle infinite lezioni /ripetizioni che mamma Iris impartiva agli “n” studenti, per arrotondare il magro stipendio di insegnante) Mio padre Alberto, perdutamente innamorato di Iris ( e provvisoriamente disoccupato, di ritorno dalla prigionia) si era adeguato, salvo per alcune …. esclamazioni, mitico un suo “le togne”, che gli partiva in ….automatico se qualcuno la sparava troppo grossa!
    In cortile viceversa ( e all’epoca in cortile di Via Borgo San Pietro 43 c’era una bella “banda”) il dialetto era il linguaggio veicolare, favorito anche dal fatto che nel primo dopoguerra (si di quell’epoca ….”paleolitica” sto parlando) la fuga dalle campagne verso “le macchinette”, “la Ferriera”, l’Arrigoni”, Il Linificio, il pastificio Zucchi, era massiccio e i bambini arrivavano da Capralba, Campagnola, Madignano portandosi appresso il dialetto che era la loro “lingua madre” dalla nascita.
    Il dialetto era anche la lingua del “Borgo”, si parlo di “Borgo San Pietro” ( della “naia da sanpiero”), dove oltre a una Chiesa davanti a casa, (anzi due, c’era anche Santa Chiara!) c’erano due drogherie/generi alimentari, una macelleria, un fruttivendolo, due latterie e la tabaccheria/tutto quello che può servire (dal merluzzo sotto sale alla paglietta di ferro ) “da Sciur Carlèto”; si, un “borgo” vivo, palpitante di attività e rapporti sociali, dove si parlava il dialetto cremasco, quello di città, per molti versi diverso da quello che si parlava in cortile, con i bambini che in città ci stavano arrivando dai paesi limitrofi.
    Ecco spiegato perchè spesso mi capita di usare con piacere (almeno per me, per gli altri non so!) espressioni dialettali, che mi pare meglio si attaglino, siano più efficaci alla bisogna.
    In questo senso credo anch’io che il dialetto sia una “ricchezza” del patrimonio linguistico, certo non sostitutivo, ma molto “coadiuvante” , della lingua Italiana.
    Come tradurre un “andà a traersa còle” se non con una circolocuzione che ne perderebbe per strada l’efficacia figurativa?!?
    Vabbè, la mia brava …lancia , l’ho spezzata …..fate vobis!

  • ” L’u’nica roba che cu’nta sa ru’es a dila apò an dialet “

  • Capisco cosa vuoi dire, Franco. Anche in casa mia, quand’ero piccola, si parlava categoricamente l’italiano. Eccetto durante alcune animate conversazioni tra i miei genitori, quando mio padre parlava in genovese e mia madre gli rispondeva in cremasco, o viceversa. Così io sono cresciuta trilingue. Per soddisfare la stessa sete di modernità (le cose “antiche”, o “popolari”, non andavano più) alle bambine della mia generazione non si foravano le orecchie per infilare i canonici “orecchini d’oro della comunione”, giudicati dalle mamme (che li avevano avuti) ormai demodé. E’ andata a finire che a vent’anni i buchi nelle orecchie ce li siamo fatti da soli, maschi e femmine, io stessa ne ho fatti diversi agli amici e un’amica li ha fatti a me usando il sistema tradizionale: ago, filo di seta e disinfettante.

    Per lo stesso motivo gli under40 oggi vogliono riappropriarsi della lingua madre, e non solo di quella. I “corsi di dialetto” nelle biblioteche stanno andando fortissimo tra i più giovani, il ché non esclude che possano parlare anche il cinese. Ma il lavoro è lavoro, mentre la vita privata è un’altra cosa. In fondo, era fin troppo prevedibile: quando in soggiorno non c’è più niente di attraente, è il momento di andare a cercare in soffitta.

  • Una considerazione a margine della bella giornata dedicata al dialetto cremasco (promossa da “Rinascimenti” e da “Concrescis”).
    La mia preoccupazione non è tanto l’estinzione del dialetto (che è pressoché inevitabile – altrove però, come Soncino e Cremona, resisterà di più), quanto la morte della nostra lingua italiana, sempre più piena di anglicismi.
    Lo so le lingue sono vive e si trasformano per contaminazione. E’ anche vero però che noi italiani, a differenza dei francesi e degli stessi tedeschi, siamo di fatto spalancando le porte alla lingua inglese (versione americana).
    Stiamo rischiando di perdere una lingua che rappresenta un patrimonio immenso.
    E il paradosso è che sono non pochi gli studiosi stranieri che studiano l’italiano giusto per apprezzarne i tesori (abbiamo una letteratura italiana dal valore straordinario che altri ci invidiano).
    Qualcosa, tuttavia, si sta muovendo (forse): dopo i bestseller sulla lingua greca (grazie alla nostra cremasca Andrea Marcolongo: 100.000 copie vendute) e sulla lingua latina, ora vedo un libro che inneggia alla lingua italiana.
    Chissà che, dopo tanta esterofilia, torniamo ad apprezzare la nostra… identità “unica”.

  • Piero, perché a Soncino e Cremona il dialetto resisterà di più? L’aria è più genuina?

    Purtroppo nei millenni si sono estinte sulla Terra lingue ben più ricche e nobili della lingua italiana, è nel ciclo naturale delle cose che ciò accada: immancabilmente l’invasore finisce per imporre alle popolazioni sottomesse non solo la lingua bensì la mentalità e la cultura, che è decisamente peggio. Mi sembra che i nostri costumi americanizzati siano più preoccupanti del linguaggio-smartphone.

    Essendo una “lingua imposta” anche l’italiano durerà finché dura. Al contrario dei dialetti, le lingue madri, che hanno alle spalle tradizioni ben più solide e secoli di storia. Sintomatico a questo proposito è l’atteggiamento dei più giovani che chiedono a gran voce il recupero della lingua madre (pensa a esempi eclatanti come Veneto e Calabria) infischiandosene dell’italiano, che ormai è tutto fuorché italiano; basti sentire la lingua bastarda diffusa da giornali e giornalisti. Anche per questo motivo la sua dipartita non angustia il popolo.

    La manifestazione che citi, promossa da “Rinascimenti” e da “Concrescis” con la collaborazione del “Circolo Poetico Correnti”, ha visto anche un’edizione straordinaria della Poesia a Strappo in dialetto. Ti assicuro, come sai ero là, che gli “strappi” sono stati moltissimi e gli “strappatori” erano in gran parte i giovani che hanno animato la giornata. Vorrà dire qualcosa, credo. Questi ragazzi ricordano con piacere il cremasco parlato da genitori, nonni e zii, mentre li lascia indifferenti l’italiano, che poi è fiorentino, dei libri di scuola. Mi sembra un processo del tutto naturale. Una lingua ha bisogno di tempi lunghissimi per essere assimilata e l’italiano non ha fatto in tempo a nascere (17 marzo 1861) che già non c’era più (25 aprile 1945); francesi e tedeschi hanno ben altra storia.

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