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PIERO CARELLI

I MERCATI AL POTERE

Narrazioni

Un presidente della Repubblica golpista o… l’avvocato difensore dei risparmi degli italiani?

Un traditore della sovranità del popolo in nome degli interessi dei Poteri forti internazionali o un saggio custode delle prerogative del Capo dello Stato contro la… protervia dei partiti anti-casta?

Che dire, poi, della coppia Di Maio-Salvini? Due rivoluzionari all’assalto del Palazzo d’Inverno col nobile scopo di portare il “popolo al potere” o due squadristi che hanno orchestrato tutto (un contratto con un buco da 100 miliardi di euro, un crescendo di ultimatum al Colle) per giungere scientemente alla rottura traumatica per fare poi il pieno di voti, previa messa sotto accusa del presidente della Repubblica?

E che dire di Salvini, l’indiscusso condottiero dell’intera operazione politica (che non si è conclusa per nulla ieri)? Siamo di fronte a un nuovo Mussolini destinato a… guidare gli italiani per il prossimo ventennio e a scardinare, impugnando la bandiera del sovranismo, quel poco di Unione europea che è rimasta, oppure l’interprete autentico delle giuste aspettative del popolo a lungo sottomesso dai Palazzi del Potere (nazionali e internazionali)?

Un laboratorio di ricerca

Tutte narrazioni.

Già, ma siamo in grado di uscire da questi schemi narrativi e capire qualcosa di quanto sta accadendo in questa ora, di sicuro una delle ore più drammatiche della nostra storia repubblicana?

Il “Popolo al Potere” è stato sfrattato dai “Mercati al Potere”?

E che cosa sono questi mercati? Siamo noi, con i nostri risparmi e i fondi internazionali che raccolgono i risparmi di tanti lavoratori e pensionati sparsi un po’ in tutto il mondo, oppure siamo in presenza di un colpo di Stato invisibile della Grande Finanza internazionale che ha tutto l’interesse a fermare il popolo al potere?

Io, amico, mi permetto di aprire un angolo ad hoc nella nostra piazza: giusto per confrontarci, per capire, per individuare insieme delle ipotesi di lavoro che possano aiutarci ad uscire dal tunnel in cui ci siamo trovati.

Un suggerimento: l’angolo che apro vuole essere un “laboratorio di ricerca” (come il post “La fantasia al potere”), non uno speakers corner per comizi. Non sarà facile perché nessuno di noi è una tabula rasa, ma se ce la faremo, sarà un guadagno per tutti.

PIERO CARELLI

28 Mag 2018 in Senza categoria

38 commenti

Commenti

  • Apro il mio… laboratorio con una confessione: mi auguravo sinceramente che ieri sarebbe partorito il nuovo governo.
    Ho fatto il tifo, nel mio ruolo di osservatore, a prescindere dalle mie opinioni personali, perché la formula trovata era quella che avevo auspicata già all’indomani del 4 marzo e che ritenevo l’unica rispondente a quanto era emerso alle elezioni.
    Ero poi curioso di sapere come avrebbero, in concreto, coniugato i due programmi (in larga parte contrapposti perché espressione di interessi e di aree geografiche diverse). Non è un caso che abbia chiamato quel mio… angolo “La fantasia al potere”: ci voleva molta fantasia per arrivare a quella formula, allo strappo Salvini-Berlusconi, al miracolo del contratto.
    Personalmente, avrei certo preferito la staffetta che avrebbe dato più forza al governo: abbiamo tutti compreso che il prof. Conte sarebbe stato una figura debolissima in balia ai due leader.

    Ricordo la mia proposta del premier “terzo”: Carlo Cottarelli, il nuovo presidente del Consiglio incaricato, l’uomo osannato dall’opposizione di allora (dal M5S alla Lega). Sarebbe stato il premier giusto per guidare una transizione dalla seconda alla terza repubblica, per coniugare le idee dei due partiti vincitori con i conti pubblici. Ci sarebbe voluto, naturalmente, di un piano graduale, di un piano che avrebbe potuto realizzare alcune importanti promesse elettorali.

    Ora, Cottarelli è visto dai due leader in questione come l’uomo dei mercati, l’uomo dei Poteri forti.
    Le narrazioni cambiano, ma si tratta sempre di narrazioni (legittime: non mi permetto di giudicare) finalizzate a scopi elettorali.

    Cottarelli farà di tutto per avviare un piano di rientro dal debito e dal deficit, al fine di ridurre quella montagna di interessi che sta strangolando il Paese da decenni (lo stesso ruolo che avrebbe svolto con Di Maio e Salvini), misure cioè utili a tutti i futuri governi che usciranno dalle elezioni, ma non ho dubbi che la maggioranza del parlamento glielo impedirà.
    Non credi, amico?

  • Confido di essere molto preoccupato perché ho la netta sensazione che il trauma istituzionale di ieri sia stato solo l’incipit di una escalation: nei giorni prossimi il parlamento sarà il… megafono del popolo contro il Palazzo e il 2 giugno assisteremo a delle manifestazioni… oceaniche conto i Poteri internazionali che hanno impedito un governo eletto dal popolo sovrano.
    Poi, magari, ci sarà l’impeachment e vivremo una campagna elettorale avvelenata. In seguito alle elezioni, poi (con una valanga di voti alla Lega e a 5 Stelle), un nuovo scontro istituzionale al grido “Savona o morte”.

    E, nel frattempo, il linguaggio dell’odio sta dilagando sul web, un linguaggio che ha generato perfino minacce di morte per il presidente della Repubblica.

    Un’escalation che farà solo bene a due forze politiche, ma molto male al Paese, anche ai 17 milioni di elettori che hanno votato i due partiti in questione.

  • Carlo Cottarelli, incensato dalla lega e dai pentastellati nella sua qualità di commissario alla spending revew, altro non farà che presentare in parlamento le stesse misure che suggeriva allora. Se pensiamo al bene del Paese e al bene degli stessi futuri governi, tutte le forze politiche dovrebbero avere tutto l’interesse ad appoggiare il suo piano (un piano destinato a durare fino alla legge di bilancio, cioè entro la fine del 2018) in quanto sarà finalizzato a rimuovere i tanti lacci e lacciuoli che impediscono a tutti i governi di realizzare le promesse elettorali.

    Si tratta, questa, di una proposta che io ho lanciato due mesi fa (la più importante dei tanti commenti alla “Fantasia al potere”) e sono convinto che sia ancora più la soluzione migliore possibile: invece che fare campagna elettorale, tutti i partiti si siedano al tavolo con Cottarelli e studino insieme le misure più idonee per tagliare gli sprechi, per stroncare l’evasione fiscale (magari con misure coraggiose), l’economia sommersa e la corruzione.
    E’ questa la zavorra che soffoca ogni governo e rimuovere questa zavorra è e dovrebbe essere l’obiettivo primario di tutti.
    Ma per fare questo, occorre guadare al futuro, non alle elezioni di settembre, guardare all interesse generale, nona quello dei partiti.
    Occorre cioè che i partiti sappiano dimostrare un colpo d’ala.
    Un colpo d’ala che, purtroppo, non vedo.

  • Leggo oggi che Di Maio e Salvini avrebbero comunicato a Mattarella due nomi alternativi a Savona: Bagnai (economista) e Siri (il teorico della flat tax con l’aliquota del 15%), nomi che tuttavia, il presidente della Repubblica informa di non avere ricevuto.

    Mi permetto un appello: se c’è stato un disguido, si faccia un passo indietro e si costituisca il governo Di Maio-Salvini.

    Un appello che so cadrà nel vento.

  • Come l’Iran è una teocrazia nelle mani dei preti sciiti, così l’Italia è una tecnocrazia nelle mani dei tecnici euroinomani che ci vengono imposti dalle oligarchie finanziarie e dalle potenze straniere.
    Sia lode all’ayatollah Kottarelly.

  • …. Piero, e tutto è avvenuto “in diretta” nella trasmissione pomeridiana Pomeriggio 5 (su Canale 5, rete ammiraglia di B!) , di “accavalla le gambe” Barbara D’Urso, smentita della Presidenza della Repubblica compresa!
    Ma chi ha scritto questa sceneggiatura? Altro che ….colpo d’ala, qui ci si può aspettare solo ….”a mossa”!

  • Pare che il verbale tra Mattarelle Conte sia tutto stenografato. Basta sbobinarlo e ascoltarlo. Perché non credo che le parole di un incontro così importante siano solo affidate al vento. In tutti i casi, senza fonti, come direbbe Rita, l’esito dell’incontro è solo interpretabile. E da subito se ne sono fatte molte, tipo: abile mossa di Salvini per un ritorno immediato alle urne. Mi sembra la più credibile.

  • Tanto Cottarelli la fiducia non l’avrà mai.

  • Caro Piero, i mercati sono al potere da quando eravamo australopitechi.

    Mercoledì scorso non sono riuscito a stringere la mano a Carlo Cottarelli al termine della mattinata al Cittanova. Avrei voluto farlo e dirgli grazie per quanto sta facendo, dicendo e scrivendo da qualche anno. E per come la mattinata fosse stata da lui condotta davanti a tanti giovani studenti (ma anche ex, come gli amici del Manin), scegliendo così il pubblico che da sempre diventa poi il motore della società e del mondo, quello dei giovani e delle scuole. Ma la ressa dei ragazzi e degli insegnanti era troppo forte e ho desistito. Ero riuscito invece a scambiare due parole la volta precedente, il 24 febbraio alla Feltrinelli, quando aveva presentato il suo “I sette peccati capitali”.

    Non avrei mai immaginato che, dopo pochi giorni, l’avrei visto in televisione, in questa sua “missione impossibile”. Ma si sa, persone come Cottarelli, Perotti, Giovannini e Cantone sono già di per loro “persone impossibili” nell’Italia degli spartachismi, dei ciceruacchi, dei masanielli, dei tartarini, dei ruggiti del coniglio, dei tribuni della plebe e dei difensori del popolo, non facendo parte di quella che, sempre di più, si definisce come la “narrazione” popolare. E sono certo che Cottarelli sappia bene quanto l’incarico appena ricevuto sia destinato a risolversi a breve. Non ha certo ambizioni politiche come altri, portati dalla risacca dei naufragi istituzionali italiani, ma solo capacità manageriali. Gli è stato dato il tipico “special assignment”, da svolgere in modo veloce e netto, e lo porterà a termine in modo corretto, togliendo subito il disturbo dal mondo onirico della “narrazione” popolare per tornare al mondo reale dell’economia. Non è certo un uomo che tema di “bruciarsi”. Sa bene che ormai è l’Italia intera che sta andando a fuoco. Il rogo italiano è appena iniziato.

  • Già, Pietro, il rogo italiano è appena iniziato.
    Lo dimostra lo spread che ha superato questa mattina quota 300. Ma… siamo solo alle prime performances.
    Hanno ben da dire sia Cottarelli che Visco che i fondamentali dell’economia sono solidi, che la nostra economia è in crescita, che il nostro export va meglio che quello tedesco, che l’avanzo primario (che non tiene conto degli interessi che lo Stato paga) cresce, vale a dire che continuiamo da ormai parecchi anni a spendere di meno i quanto incassiamo.
    Non sono i fondamentali che in questa ora – che io considero drammatica – contano, ma sono le “tensioni politiche” che cresceranno sempre di più fino alla campagna elettorale, tensioni cioè che dureranno non una settimana o due ma fino a settembre.

    Mesi di passione (per gli interessi che dovremo sborsare: ogni 100 punti di spread valgono 10 miliardi), mesi di passione per il parlamento che si trova come interlocutore senza fiducia, mesi di passione per chi dovrà accedere a dei mutui perché lo spread si ripercuoterà sui tassi di interesse.

    Ma… vale proprio la pena questo terremoto per poi formare un governo che sarà la fotocopia di quello che è abortito domenica sera?
    Non ha sempre detto Di Maio che il vero premier è il contratto?

    Io, dal mio piccolo osservatorio, rilancio l’appello al vento: approfittiamo della richiesta di fiducia da parte del governo Cottarelli (che potrebbe davvero fare grandi cose per rimuovere gli ostacoli che impediranno al governo giallo-verde prossimo venturo di realizzare il contratto, sempre che riuscisse ad avere il consenso di tutte le forze politiche) per fare del parlamento un luogo di riflessione pacata, pensando al bene del Paese e non solo ai due partiti che hanno avuto il 50% dei voti (vale a dire il 37% degli aventi diritti al voto).

    Una pausa di riflessione che non potrà che essere preziosa per riprendere il filo del governo abortito.

    Il mio è un accorato (anche inascoltato) appello alla responsabilità che rivolgo a tutti: alle forze politiche rappresentate in parlamento e allo stesso presidente della repubblica.
    La Politica, quella alta, non ha solo come obiettivo l’interesse generale, ma è anche l’arte della mediazione, dell’ascolto, della pazienza.
    Della… responsabilità.

  • Piero, io non ti capisco: parli di “mercati al potere” e di “politica alta”.
    Come si conciliano le due cose? O stanno al potere i mercati, o ci sta la politica alta.
    Una poltrona per due, è impossibile.

    Ti ricordo anche che l’ultima “pausa di riflessione” – governo Monti, la scuderia da cui attinge Cottarelli è la stessa – ci ha letteralmente distrutto. Non discuto sulle misure di spending review, che sono senza dubbio necessarie, ma ci vuole un politico a guidarle e non un tecnico che fa i conti e basta. E noi oggi un governo politico avremmo anche potuto averlo, se il “politico” non avesse deciso di farlo il presidente incaricato.

  • Come tu hai ben capito, caro Piero, adesso ci siamo. Anzi, come ben sai, ci risiamo. Spread su, borse giù. Perfide albioni, piazze in eccitazione, adunate a Roma. Qualcuno parla già del parallelismo tra oggi e allora. Ma forse esagera. Certi paragoni storici possono anche essere offensivi. Fosse vero il parallelismo, in tal caso come uomo di destra spererei che questa volta noialtri non si faccia lo stesso errore di allora, quando pensavamo di esser burattinai e siam finiti burattini per vent’anni, in mezzo alla cartapesta. Fosse così, questa volta gli si tengan le redini più corte, agli “uomini della provvidenza”. In effetti, la tecnica è la stessa, quella con cui in questi casi si inizia una rappresentazione ricorrente della nostra storia patria. È la tecnica definita “l’assalto al forno delle grucce”, che da qualche giorno è già operativa. Le facoltà cognitive cedono alle pulsioni emotive. Caro Piero, non “la fantasia al potere” ma “l’emozione al potere”. Ira, rancore, rabbia, sciacallaggi, linciaggi mediatici, sceneggiate, piazzate e tutto il collaudato armamentario di queste operazioni devono, in modo preordinato, alimentare il fuoco, il rogo, l’incendio. Fosse valida l’analogia con allora, più le fiamme si leveranno alte, più ci si potrà poi atteggiare a ruoli d’ordine, di forza legittima, di ripristinatori della pace sociale. Ma forse è davvero un po’ eccessivo questo parallelismo, fatto da qualcuno, tra i vecchi e i nuovi “salvatori della patria”.

    Ad esser proprio cinici ed egoisti, si potrebbe dire: vediamo come va. Se funziona o no. Fosse attendibile il paragone, occorrerebbe fare non come Giolitti con Mussolini ma come Cavour con Garibaldi: se vince, come a Calatafimi e al Volturno, si incassa il bottino. Se finisce come a Mentana, perde solo lui. Sarebbe uno spettacolo già visto, come “riordino” istituzionale. Ma sempre interessantissimo. E stavolta, sbarchi permettendo, senza cantar troppo alle faccette nere.

  • Emozione al potere: bella l’immagine, Pietro.
    Io aggiungo: i due leader si muovono esclusivamente sulla base del responso dei sondaggi.
    Salvini ha capito perfettamente che più dà l’assalto al Palazzo, più accresce i consensi: in soli 80 giorni è passato dal 17% al 27%.
    E’ questa la sua spinta, il suo unico punto di vista, il suo osservatorio.
    Di Maio, a sua volta, considerato che viene penalizzato dai sondaggi (lo sappiamo tutti che è ostaggio di Salvini), alza il tiro cavalcando la tigre dell’impeachment e delle… radiose oceaniche giornate di maggio.

  • Se hai letto bene, Rita, ho impostato il mio post in modo “problematico” perché a me interessa capire, non impugnare una bandiera invece di un’altra.
    Solo se riusciamo a capire che cosa sta accadendo (Carlo Cottarelli è davvero il prodotto dei mercati al potere? e che cosa sono, poi, questi mercati, al di là di tanti slogan semplicistici?), siamo in grado di esprimere dei giudizi e magari orientarci nel nostro impegno di cittadini.
    Ho posto domande e solo se ascoltiamo più fonti (più punti di vista), possiamo almeno provare ad andare “oltre le narrazioni” (dello stesso Salvini, di Di Maio, di Matatrella).

  • Già, Francesco, un colpo d’ala.
    Lo voglio vedere nei giorni prossimi in parlamento. Voglio vedere i leader guarda avanti, ben oltre le lezioni di settembre, ben oltre i sondaggi del momento.
    Non sono mai stato democristiano, ma confesso di augurarmi di vedere alcuni uomini della statura di Aldo Moro in grado di traghettare il Paese in questa ora così (lo ripeto senza enfasi) drammatica.
    Guardando al futuro del Paese, al futuro dei giovani..
    E sapendo guardare “oltre le narrazioni di parte”.

    I have a dream (è il mio mantra da due mesi): un governo di solidarietà nazionale, proprio del tipo di quello intuito da Moro, che spiani la strada (con misure radicali finalizzate a stroncare l’evasione fiscale, l’economia sommersa, la corruzione e a tagliare sprechi e privilegi) a qualsiasi governo futuro, anche a chi, come il governo abortito giallo-verde, intende introdurre sia la flat tax che il reddito di cittadinanza che il superamento della legge Fornero.
    I primi nemici dell’Italia siamo noi: non credete, amici?

  • Vedo, Piero, che usiamo termini diversi ma indichiamo lo stesso fatto: tu dici “l’assalto al Palazzo”, io ho richiamato la tecnica che è definita “l’assalto al forno delle grucce”, dal noto testo manzoniano. In Italia è già stata usata parecchie volte. Spesso, come un secolo fa, con successo. Servono tre ingredienti. Dei nemici esterni rappresentati come potenti, subdoli e vessatori (le democrazie pluto-giudaiche, le tecnocrazie finanziarie europee); dei paladini del popolo esibentisi come disinteressati (i manipoli dell’ardita gioventù, gli “avvocati difensori” degli italiani); delle condizioni di crisi economica tali da innescare la miccia del furore popolare (per la vittoria mutilata, per la povertà di fasce sempre maggiori della popolazione). Si mescola vigorosamente il tutto e si serve alle masse popolari, eccitando il più possibile non le facoltà cognitive ma quelle emotive. Ma non subito. Prima dell’assalto vero e proprio, che non si baserà quindi su valutazioni e considerazioni sui dati di realtà ma si organizzerà facendo leva su pulsioni e passioni, occorre infatti una prova generale. Per essere sicuri che “l’assalto al forno delle grucce” funzioni, occorre una prova di messa a punto delle forze e dei mezzi impiegati.

    Abbiamo assistito a questa prova generale proprio nei giorni scorsi. Siccome era una prova, occorreva a un certo punto staccare la spina. Con qualsiasi pretesto, come è stato. Non era l’assalto vero e proprio. Le forze e i mezzi non erano ancora quelli giusti. Occorre infatti avere il doppio delle forze degli alleati, non la metà. Bisogna che gli avversari siano ancora più screditati, divisi, impotenti. È necessario che le affabulazioni propagandistiche abbiano portato a termine la “narrazione” popolare senza più troppe voci di dissenso sui media. Oggi non si recluta più sulle piazze ma nelle urne. Adesso, manca poco all’assalto finale. Mentre la collettività discetterà (sorda e grigia) sulla carestia e sulla mancanza di pane, l’avanguardia dei liberatori condurrà il popolo all’assalto del forno. Certo, finite quelle ultime quattro pagnotte si resterà tutti più affamati. Tutti pieni di debiti e di miseria. Ma intanto i protettori del popolo saranno montati in scragna. Che è l’obiettivo dell’operazione, non quello urlato nei comizi dai tribuni della plebe. Il potere si prende per se’, non per il popolo. In Italia, gli ultimi a credere il contrario sono stati Mazzini e Gobetti.

    “L’assalto al forno delle grucce” dovrà avere caratteri di spettacolarità e simbolicità. Quando sarà il momento, gli istinti opportunamente aizzati e indirizzati dovranno sfociare in comportamenti collettivi di forte impatto scenico, convogliando rancori, rabbie e ire popolari verso una meta, una situazione, una realtà che dia la misura della forza inarrestabile di questo fiume in piena. Si potrebbe trattare di una marcia emblematica, la Marcia del Cambiamento, sulla capitale dell’Italia rinata, libera dall’oppressione europea e dal debito, dall’economia e dalle borse, l’Italia onirica, l’Italia Shangri-la, fatta sognare da sempre, nei secoli, alle plebi urbane e del contado. Un’Italia fuori dall’euro, dall’Europa, dai mercati globali. Ecco, allora l’Italia sarà pronta. Per che cosa, oggi qualcuno dice, l’abbiamo già visto nei libri di storia.

  • …..in tutta questa temperie, il silenzio assordante di quella che ambiziosamente si chiamava “la sinistra”!
    Da “APRILE” (1998, vent’anni fà!!!), quando Nanni Moretti, di fronte all’arroganza di Berlusconi, implorava Dalema : ” ….. Dalema, non farti mettere in mezzo, sulla giustizia, DI QUALCOSA DI SINISTRA”!!!”, questo silenzio spiana la strada ai Salvini, ai DiMaio, alle Meloni, a una …..riesumazione, incredibile del “Caimano” ……vent’anni dopo!!!!
    Il tristo declino della nostra democrazia…… che si celebra. ahimè nel talk pomeridiano di “accavalla le gambe” Barbara D’Urso a Pomeriggio 5, giustappunto sulla rete ammiraglia dell’ impero TV di Berlusconi!
    Mei kùrà l’ort ……

  • Ricevuta stamattina, e autorizzato, invio questa mail di un amico, indeciso (il sottoscritto) tra questo post e l’Impero , tanto l’argomento è lo stesso. Intanto che anche Cottarelli non scioglie la riserva o rinuncia:
    “Con i dovuti distinguo storici, ritengo che se in epoca fascista e nazista ci fosse stato un Mattarella, l’ascesa di questi poteri dittatoriali sarebbe stata quantomeno più ardua. Invece, la condiscendenza di un re inetto da un lato e la debolezza di un presidente ( Hindenburg) dall’altro, ha reso quell’ ascesa più facile con le conseguenze devastanti che conosciamo. Ora anche illustri opinionisti ci dicono che la mossa coraggiosa del Quirinale favorirà l’affermarsi dell’ideologia leghista. Mi sembra un ragionamento sconcertante. Come dire che, di fronte al pericolo di un’infezione virulenta, non bisogna usare antibiotici perché, di sa, potrebbero indebolire tutto il corpo. Occorre invece chiamare a raccolta tutte le difese possibili e sostenere l’organismo che si sta ammalando con tutte le cure del caso. Individuare nella società tutti gli anticorpi possibili, chiamare a raccolta tutti gli uomini liberi e ragionanti / ragionevoli, impedire che questa pericolosissima ondata populista ci travolta. Perché tutti costoro spacciano per ” democrazia” e per pensiero democratico quella che invece si deve definire ” oclocrazia “, cioè solleticare i peggiori istinti insiti nell’uomo e nelle masse per spingerle alla rivolta e poi assoggettarle in una dittatura. Che tutti gli uomini e donne pensanti battano un colpo!”

  • Ho letto bene, Piero, e non mi sembra affatto che a te non interessi “impugnare una bandiera invece di un’altra”: stai visibilmente impugnando quella del Pd e denigrando chi ha ricevuto più voti alle elezioni e “cavalca la tigre dell’impeachment e delle… radiose oceaniche giornate di maggio.” E’ tendenzioso dire che il governo giallo-verde intendeva “introdurre sia la flat tax che il reddito di cittadinanza che il superamento della legge Fornero”. Detta così, sembra di parlare di Gianni & Pinotto che svaligiano la cassaforte di famiglia e poi scappano. Chi ha letto attentamente il programma sa che i vari provvedimenti erano scaglionati nel tempo e dovevano procedere sotto le opportune coperture. I due gruppi hanno lavorato sodo nelle ultime settimane per tagliare, cucire, rammendare, mediare. Inutilmente. Gli altri cos’hanno fatto? Che programmi hanno? Perché, sia chiaro, se ne hanno uno gli italiani non lo hanno capito.

    Senza avvedersene Mattarella il Lento ha fatto una cosa che una rivoluzione popolare non sarebbe stata in grado di fare: in dieci minuti ha smascherato il burattinaio facendo capire anche alla casalinga di Voghera che nel Paese c’è sia un grave problema di democrazia che di sovranità. A nulla servirà lo spauracchio dei numeri perché la stragrande maggioranza degli italiani non ha un euro investito in banca, soprattutto i giovani, e non gliene frega niente dello spread.

    Impedire ad ogni costo la nascita di un governo giallo-verde è stato un clamoroso autogoal. Il commissario europeo al bilancio Oettinger, che da buon tedesco di potere non riesce a trattenere la sua arroganza, ha dichiarato pubblicamente: “i mercati insegneranno agli italiani a votare nel modo giusto”. Come ha detto Pietro certi paragoni storici possono anche essere offensivi, ma qui il paragone è presto fatto.

  • Io sto facendo da tre mesi il tifo per il governo giallo-verde (altro che tiferei per il Pd!), ma non ho la pretesa che tu abbia la pazienza di leggere tutte le mie riflessioni.

    Io sto sostenendo che le promesse elettorali che poi sono entrate nel contratto possono essere realizzate se si spiana la strada: anche il superamento della legge Fornero, anche la flat tax, anche il reddito di cittadinanza.
    E mi auguro sinceramente che si creino le condizioni e i miei suggerimenti degli ultimi commenti sono tutti in questa direzione.

  • La tua analisi, Pietro, con quel tocco di ironia che a me manca, mi pare descriva bene la situazione attuale, anzi in modo magistrale: “Si mescola vigorosamente il tutto e si serve alle masse popolari, eccitando il più possibile non le facoltà cognitive ma quelle emotive. Ma non subito. Prima dell’assalto vero e proprio, che non si baserà quindi su valutazioni e considerazioni sui dati di realtà ma si organizzerà facendo leva su pulsioni e passioni, occorre infatti una prova generale. Per essere sicuri che “l’assalto al forno delle grucce” funzioni, occorre una prova di messa a punto delle forze e dei mezzi impiegati”.

    E ancora: “Si potrebbe trattare di una marcia emblematica, la Marcia del Cambiamento, sulla capitale dell’Italia rinata, libera dall’oppressione europea e dal debito, dall’economia e dalle borse, l’Italia onirica, l’Italia Shangri-la, fatta sognare da sempre, nei secoli, alle plebi urbane e del contado. Un’Italia fuori dall’euro, dall’Europa, dai mercati globali. Ecco, allora l’Italia sarà pronta. Per che cosa, oggi qualcuno dice, l’abbiamo già visto nei libri di storia”.

    Delle pennellate di grande impatto.

    Si tratta, Pietro, di un tentativo (quello che io modestamente sto facendo) di andare “oltre la narrazione” di Salvini e Di Maio.
    Oltre: se rimaniamo prigionieri delle narrazioni dei politici, non capiamo nulla, ma il laboratorio che mi sono permesso di aprire ha proprio l’obiettivo di “capire”.
    Capire, oltre gli slogan di tutti (anche il Pd, Rita, ha i suoi slogan “di parte”, come tutti).

  • Un’analisi, quella del tuo amico, Ivano, molto interessante.
    I confronti storici sono sempre un po’ ardui, e quindi mi è difficile esprimere un giudizio netto.
    Quello che posso dire è che Mattarella non ha voluto “fermare” il governo giallo-verde” (avrebbe, forse, potuto farlo, considerato che il contratto prevedeva un buco di 100 miliardi e una copertura di un miliardo) e non l’ha fatto perché rispettoso della volontà delle forze politiche vincitrici.
    Non ho dubbi che, se si riavviasse il “dialogo” interrotto bruscamente, e se davvero i contraenti fossero intenzionati di varare un governo, la soluzione si troverebbe.

    Un’altra cosa posso dire: l’interruzione del dialogo sta provocando disastri che forse nessuno dei protagonisti avrebbero immaginato.

  • È interessante vedere l’evoluzione del nostro debito dal 1861 ad oggi, soprattutto il passaggio dal 56% al 106% circa sul PIL nella dozzina d’anni dal 1980 al 1992, l’aumento moderato ma costante del ventennio successivo e l’ulteriore aumento progressivo dello scorso lustro, fino all’attuale 132% circa. Così come è interessante approfondire, in questa serie storica, sia i principali fattori causali effettivi, sia l’abbinamento temporale ai governi dei vari periodi. Non tutto è ovviamente accertabile da parte di chi, come me, non ha una preparazione specifica nel merito. Ma applicandosi col giusto studio e la dovuta cognizione di causa, si può almeno riuscire ad evitare la ridda di stupidaggini, luoghi comuni, lamenti piagnoni e paranoie vittimiste che non hanno altro scopo se non quello di dare all’Europa la patente del lupo cattivo, agli italiani quella dell’innocente cappuccetto rosso e agli arruffapopolo di turno quella dei cacciatori salvifici.

    Che ci sia molto da fare per rinnovare l’attuale establishment europeo è evidente. Che in Italia la partitocrazia sinora al governo abbia commesso danni economici e sociali notevoli, anche. Che con le recenti elezioni molti italiani abbiano riversato le loro ultime speranze nei due partiti meno compromessi in tali errori, pure. Che le oggettive difficoltà di accordo (o “contratto”) abbiano reso tutto più difficile tra queste due forze politicamente piuttosto antitetiche, puranco. “Quer pasticciaccio brutto der Quirinale” è solo un pretesto per non guardare in faccia la realtà: che non si salva l’Italia facendo altri 125 miliardi di debito senza coperture. Il resto ormai, come diceva Califano, è noia. Noiosissima noia causata dai noiosissimi arraffavoti nostrani, disperatamente impegnati a dimostrare agli italiani che i loro debiti sono colpa dell’Europa, dei tedeschi, del malocchio, e che non sono stati fatti proprio dagli italiani, da ciascuno a casa propria, non tra Bruxelles e Berlino ma tra Rocca Cannuccia e Tor Bellazoccola.

    Perché il problema è che i debiti, dentro o fuori dall’euro, dentro o fuori dall’Europa, si pagano. E se si vuole convincere qualcuno a rinnovarci i debiti, o lo convinciamo che non siamo dei saltimbanchi, cinedi e buffoni, oppure possiamo cominciare a mettere in vendita, come in certi ordinamenti giuridici dell’antichità, le mogli, i buoi e i paesi tuoi. Chi ci prende in mezzo, come il gatto e la volpe con Pinocchio, promettendoci il paese dei balocchi, non fa il nostro bene di Pinocchi dalle future orecchie asinine ma il suo immediato bene di promozione politica.

    L’unica, per farla franca e non pagare i debiti, è uscire da tutti i mercati economici, con generale riprovazione e ignominia. E siccome ormai tutto il mondo è un mercato globalizzato, l’unica è uscire dal mondo. Ma poiché fuori dall’attuale mondo economico restano solo la foresta papuasica e il deserto del Kalahari, se non vogliamo pagare i nostri debiti non dobbiamo solo restituire le tessere elettorali italiane, come ci è appena stato suggerito nella migliore tradizione istrionesca della nostra commedia dell’arte, ma anche farci dare le tessere elettorali dei boscimani o dei cannibali. Vivremo e voteremo là. Un affarone.

  • ….parole di saggezza, di semplice ordinaria saggezza, Pietro.
    Però. parole che non valgono più, oggidì.
    Si tratta di moneta, oramai andata fuori corso, non più spendibile!
    Ho assitito (a mia insaputa, perchè proprio non …..ce la sapevo!) come amministratore di ente locale, Comune di Crema, ramo cultura, all’innescarsi della spirale totalizzante del debito. Autorevoli esponenti del PSI (era allora il ….moscone cocchiere dei quadri/penta partiti) teorizzavano che i B ilanci dei Comuni DOVEVANO essere in passivo! Io repubblicano (poco consapevole) non capivo, ma mi adeguavo, erano gli anni 80, i BOT ti davano il 20% ed eravamo tutti felici! Si, felici di correre verso il baratro, assolutamente inconsapevoli, che quel “carpe diem” ci stava bruciando tutti i ponti alle spalle!
    Ma quelli che “lo sapevano” c’erano, tra i “partitoni” e non solo non facevano nulla per fermare la corsa al massacro, me se ne inventavano di tutte perchè il “popole felice” non se ne rendesse conto!
    E adesso è irrimediabilmente tardi, siamo immersi in questo “truman show” e le n televisioni/social piacevolemte condotti da “accavalla le gambe” e consimili, ci tengono avvinti (sempre piacevolmente) in tempo reale alle “sorprese” della perfida sceneggiatura.
    Più sopra avevo concluso con un ” Mei kùrà l’ort ……” e concludo ancora così, caro amico Pietro!

  • Ieri, Pietro, scrivevo che i nostri nemici siamo noi stessi e alludevo proprio alla montagna di debito pubblico che abbiamo accumulato e ora vedo che la tua analisi puntuale è dello stesso tenore (è tipico dei politici scaricare sugli “Altri” le colpe, dall’Unione europea ai banchieri, alla speculazione internazionale).

    Mi permetto solo un’a considerazione.
    Da tempo mi assilla una tesi che trovo sia a sinistra (estrema) che a destra (mi riferisco, ad esempio, a Luciano Gallino e a Alberto Bagnai, economista oggi parlamentare della Lega): che cioè il nostro debito pubblico ha una sola origine: il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia avvenuto nel 1981.
    Sto cercando argomentazioni opposte, ma confesso che la tesi di cui prima non mi ha mai convinto del tutto: di sicuro ha avuto un suo peso (è naturale che gli interessi lievitano inevitabilmente quando si rastrella denaro sul mercato), ma non credo esaurisca la spiegazione.

    Ricordo (e lo ricordo anche a Francesco) che a quel tempo io mi sentivo in sintonia con Ugo la Malfa, il politico che più di tutti si batteva contro la spesa pubblica dissennata e per il rigore nei conti pubblici) .

    Forse siamo di fronte a due concause e siamo comunque sempre in presenza di misure di… casa nostra.

    Questo non vuol dire che la nostra “spesa sociale” sia stata alta, semmai più bassa che in altri Paesi europei, ma la spesa pubblica non coincide con la spesa sociale.

  • Confesso che ieri sera ho avuto la tentazione (velleitaria) di inviare una mail a Carlo Cottarelli per invitarlo a rinunciare all’incarico, giusto per creare un vuoto e costringere i due leader in questione a riprendere il dialogo con Mattarella e formare il governo giallo-verde.

    Questa mattina ho letto con piacere che in effetti i due si sono liberati dall’ossessione dei sondaggi (non a caso Di Maio ha messo nel cassetto la folle idea dell’impeachment) hanno riaperto questo dialogo.

    Una bella notizia. L’Italia non merita di vivere mesi e mesi sotto i colpi di scena istituzionali, di assalti ai Nemici, di spread in crescendo.
    Gli italiani hanno già sofferto abbastanza per la crisi da cui non ci siamo ancora del tutto liberati: sarebbe masochistico farci ulteriormente male.

    La politica è l’arte della mediazione paziente, dell’ascolto, della collaborazione.
    Magari, invece che rilanciare un premier terzo debole, potrebbe essere più politicamente utile coinvolgere proprio Carlo Cottarelli: solo lui, se dovesse accettare, sarebbe in grado di spianare la strada (ci vorranno, naturalmente, cinque anni) al contratto di Di Maio e a Salvini.

  • Amico Vittorio (non ho il piacere di conoscerti), posso solo dirti che Di Maio in più occasioni ha dichiarato che il piano di Cottarelli del 2014 era una una buona base di partenza per la spending revew.
    Su lavoce.info, poi, potrai trovare un articolo che dimostra come il contratto Salvini-Di Maio si è ispirato in più punti proprio al piano Cottarelli.

  • So bene che Salvini e Di Maio non hanno bisogno i suggerimenti, ma se io potessi comunicare con loro li inviterei, considerato che in queste ore sta prevalendo la saggezza, di rendere più forte la compagne governativa (giusto come auspica Salvini).
    Se davvero si vuole che il governo duri una legislatura, occorrerebbe inserivi figure politicamente “rappresentative”, ma anche con un grado almeno discreto di “competenze” (ciò che non ho visto soprattutto nella… delegazione dei pentastellati).
    Io suggerirei anche l’inserimento di uno dei due ex commissari alla spending revew (anche se ho molti dubbi che uno di loro sia interessato), magari proprio come premier terzo o come ministro ad hoc (della spending revew).

  • Mi permetto una considerazione aggiuntiva a proposito della tesi che indica il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia come il vero responsabile della montagna del debito pubblico (chiamato eufemisticamente “sovrano”).
    E’ vero che da allora il Tesoro ha dovuto finanziare il suo debito misurandosi col mercato, ma è anche vero che questo accade anche in moltissimi altri Paesi: gli stessi Usa – lo sanno tutti – sono largamente finanziati dai cinesi.
    La Federal Reserve, è vero, ha degli obiettivi (a livello di statuto) più elevati rispetto a quelli della Bce perché non si propone solo di controllare il livello di inflazione, ma anche di puntare alla piena occupazione, ma questa è un’altra storia (la Bce, invece, ha come obiettivo primario quello di salvaguardare il potere di acquisto – interno ed esterno – della valuta.

  • Parlando con tanta gente di ogni colore politico (è un fatto positivo che lo scossone a cui stiamo assistendo abbia risvegliato la passione politica), sento che molti sono molto preoccupati perché temono che un programma senza adeguate coperture rischia di far fallire clamorosamente il cosiddetto governo del cambiamento.
    Leggo oggi che un costituzionalista tutt’altro che allineato come Donida nutre forti dubbi “costituzionali” a proposito di alcuni contenuti del contratto (dalla giustizia alla flat tax).
    Sento altri che hanno la convinzione che il programma è stato costruito in tal modo proprio perché i due leader, in particolare Matteo Salvini, non hanno davvero la ferma volontà di andare a governare, ma solo di andare alle elezioni.

    Preoccupazioni e dubbi legittimi (ed è bene che escano qui in questo spazio che io ho concepito come un “laboratorio”).

    Personalmente – lo scrivo da troppo tempo – ho fiducia che una volta sarà costituito il governo (e mi auguro che sia politicamente forte), questo si rimboccherà le maniche per cercare le coperture (magari utilizzando proprio le ricette di Cottarelli) e studieranno le misure in modo che siano coerenti con la Costituzione: due scelte che non potranno che essere fatte perché, in caso contrario, non potranno avere la firma del presidente della repubblica.

    Ripeto: sono in attesa fiduciosa.
    Governare, poi, fa bene perché forze politiche a lungo abituate a mobilitare la piazza, dovranno misurarsi con la complessità della realtà che andranno ad affrontare.
    Passeranno – freudianamente – dal “principio del piacere” al “principio della realtà”.

  • Finalmente il governo!
    Chi ha vinto?
    Vi è chi sostiene che ha vinto Mattarella che, giocando la carta di Cottarelli e delle elezioni immediate, ha costretto i due leader a trovare la soluzione.

    A mio avviso, hanno vinto i mercati: la loro reazione è stata una vera e propria “lezione” per Di Maio e Salvini che, dopo la lunga campagna elettorale durata anche durante gli ottanta giorni di gestazione, hanno toccato con mano la durezza della realtà, vale a dire che l’Italia non è un sistema chiuso e che lo Stato italiano (qualsiasi sia il governo) si deve misurare col mercato per finanziare il debito pubblico.

    Hanno vinto, naturalmente, Di Maio e Salvini che hanno saputo cogliere al volo la lezione: il Paese non poteva soffrire altri mesi di tensione, di colpi di scena, di prove di forza, di incertezza politica e con costi crescenti del debito pubblico.

    Ed ha vinto, ovviamente, il Paese che finalmente ha un “governo” e un governo formato dai due partiti che hanno raccolto, in termini di balzo elettorale, più voti, e che quindi sono perfettamente legittimati a governare.

    Penso che tutti abbiano tirato un respiro di sollievo.

    Vedo una squadra più forte rispetto alla prima composizione, con uomini di statura in dicasteri chiave e vedo, in particolare, i due leader nel ruolo di vice-presidenti del Consiglio (oltre ad avere ministeri molto impegnativi), ruolo che non potrà che rafforzare il governo.

    Di sicuro i “tecnici”, di grande competenza nel loro ambito, accompagneranno i “giovani politici” senza esperienza e, viceversa, i giovani politici spingeranno i tecnici ad accelerare il passo e dare degli immediati segnali positivi al Paese.

    Da cittadino e da osservatore sono soddisfatto.
    E sono fiducioso che il nuovo governo contribuirà (assieme a tutti gli italiani) a “risolvere i problemi”, in primis il lavoro per i giovani e la solidarietà della collettività nei confronti delle tante vittime dei mali strutturali dell’Italia e della crisi economica che, nonostante segnali di ripresa, sta ancora facendo soffrire molta gente.

  • I mercati al potere.
    Già: leggo che i titoli di Stato greci ci hanno… sorpassato in termini di affidabilità. Registrano, cioè, un tasso di rendimento inferiore al nostro.
    Vuol dire che i mercati contano e noi, se non teniamo sotto controllo i conti pubblici, rischiamo di far pagare alla collettività (i costi dello spread) molto di più di quanto l’attuale governo legittimamente vorrebbe distribuire ad essa.

    Piaccia o non piaccia: il governo giallo-verde dovrà imparare a misurarsi con le aspettative dei mercati (banche, risparmiatori…) e con il loro “grado di fiducia”: meno hanno fiducia, più esigeranno alti rendimenti e più noi pagheremo

    Qualche anno fa Mario Draghi ebbe a dire in una intervista al Corriere della Sera che gli Stati hanno perso da un pezzo la loro sovranità e l’hanno perso dal momento in cui hanno lasciato esplodere i conti pubblici e quindi hanno avuto un bisogno crescente di farsi finanziare dai mercati stessi: sono loro che… sono al potere (con qualsiasi governo).

  • È vero. Però solo sulle scadenze a breve termine. Comunque, i titoli di Stato greci hanno iniziato a offrire un rendimento più basso di quelli italiani. Da ieri, infatti, il premio richiesto dagli investitori per il rischio di comprare un nostro buono ordinario del Tesoro rimborsabile a marzo 2019 è più alto (0,79%) di quello che si corre comprandone uno greco (0,75%). Eccoci in ultima posizione in area euro, dopo il sorpasso greco. La Grecia ha oggi un futuro meno incerto del nostro, in quanto sta seguendo un programma europeo di assistenza e i partiti ellenici sono esplicitamente impegnati sul futuro della loro nazione nell’euro e su un controllo dei conti basato su cifre sicure riguardo alle entrate e alle uscite. In Italia manca proprio il requisito delle coperture economiche necessarie ai programmi dichiarati dall’attuale governo. Le scoperture sono quantificate tra i 90 e i 130 miliardi, una cifra spropositata, con una quantificazione più attendibile sui 110 miliardi. Il problema è che il governo continua a ignorare il problema, fingendo che non esista. Oppure, si rilasciano dichiarazioni per cui “si chiederanno le risorse all’Europa”, cosa al di fuori di ogni logica non solo politica e istituzionale ma anche contabile e logica.

    È iniziato il disimpegno degli investitori esteri dal mercato finanziario italiano. Ma anche degli investitori italiani. Nelle ultime settimane sono usciti dall’Italia 38 miliardi di euro, secondo il sistema Target2, il sistema pagamenti reciproci in zona euro (criticabile per alcuni aspetti ma, su questi dati, del tutto oggettivo). Nei giorni scorsi, buoni conoscenti mi hanno confermato di aver riconvertito i loro risparmi tenendo conto di questi fattori di rischio. Anche persone di Crema. Personalmente non ho investimenti in titoli di stato ma avrei certamente provveduto anch’io in tal senso. So di richieste in diverse banche, anche locali, sui limiti di restituibilità dei depositi in conto corrente. La mia è una banca francese, anche se sta in via Matteotti, e non ho questo problema. Va detto, in effetti, che non sono in molti a tenere più di centomila euro sul conto, però la corsa al ritiro è ormai nell’aria. Certo, si dirà, “problemi da ricchi”. Si sosterrà che “quelli che non arrivano a fine mese” non hanno questi problemi. E si liquiderà il tutto col solito elogio del povero lavoratore senza risparmi, senza rendite, oppresso dai padroni capitalisti e quindi, di tutto questo, chissenefrega, che c’importa, avanti popolo, alla riscossa. Però, se non si farà chiarezza sui conti, la crisi economica riguarderà tutti, anzi, soprattutto i meno abbienti.

    Quando ci sveglieremo dall’incantesimo affabulatorio? Quando i nostri governanti smetteranno di far finta di voler “parlare all’Europa”, che tra non molto potrà solo sbatterci fuori, e cominceranno a darsi da fare per imparare a parlare ai mercati? Ci sono italiani pronti a uscire dall’euro, dall’Europa, dal mondo, da tutto, a vestirsi di orbace, fare il caffè con la cicoria e donare la fede nuziale. Ma basta con questo gioco delle tre tavolette. Se vogliamo uscire dall’euro, svalutare enormemente la “nuova lira” e poi prenderci tutti le nostre responsabilità, lo si faccia. Coraggiosamente.

  • E’ si Pietro, è “la madre” di tutti i nostri problemi “parlare con l’Europa”, ma non con Iva Zanicchi (senza offesa per la brava cantante) o con Matteo Salvini che non ci andava mai!
    Europa vuol dire € che vuol dire “mercati”, con regole del gioco che sono pressochè dittatoriali!
    Certo, mandandoci persone credibili, che sanno il fatto loro, ci si può lavorare, ma l’enorme debito accumulato da decenni di “sgoverni” non ci pone certo in condizioni di “forza”!
    Quanto al “senso civico”, al sentirsi parte del “sistema Paese” (buffo stivale) con quel che ne consegue, sacrifici connessi (ed i sacrifici ovviamente li possono fare solo quelli che hanno ….qualcosa da sacrificare, non quelli che non hanno ….circa nulla!) , anche in questo senso, decenni di ….educazione all’opposto (amico caro, fatti l’affari tua e pò/pò/pò di “razziana” memoria) hanno rafforzato a dismisura l’arroganza ignorante, la ricchezza esibita, l’ostentazione di insulsi status symbol la ritualità delle “movide”, questo si!
    Vediamo come butta con questo “arlecchino servitore di due padroni” (e lo dico con tutta la simpatia possibile per quella persona per bene che mi pare il Presidente Conti); certo Mattarella non è Strehler e il “lieto fine” non è per nulla garantito, ma non ci resta che partecipare a questa ….”messa in scena” oramai, ci abbaimo l'”abbonamento” strapagato!

  • Condivido in pieno, Francesco. Questo, oggi, è il mondo dell’economia. Bello o brutto che sia. Vogliamo prenderlo così com’è? Allora basta fregnacce e piagnistei e facciamo vedere agli altri quel che valiamo. Vogliamo riformare il riformabile? Allora niente più chiacchiere a vanvera e avanti con progetti esecutivi, proposte operative, basta con le sceneggiate da paisà, sciuscià, tralalà e tiracampà. Vogliamo dare un taglio a tutto, uscircene fuori, fare la rivoluzione? Allora forza, pronti a sputare sangue, sudore e lacrime per il nostro credo, la nostra bandiera, costi quel che costi. Ma decidiamoci. Questo cerchiobottismo, ti dico e non ti dico, ti vedo e non ti vedo, euro sì, euro no, Europa sì, Europa no, mercati sì, mercati no, è una roba che neanche certe signorine di una volta, bacino sì, bacino no, te la do, non te la do, ah se poi te la do.

    Il problema di questi nuovi governanti è che non hanno mai bigiato al liceo e quindi non hanno imparato a giocare a poker al bar della Stazione o al Garibaldi. Che qualcuno glie lo spieghi, come si fa. Tra una mano e l’altra, puoi anche bluffare. Ovvio che questi abbiano bluffato politicamente, promettendo la luna col gratta e vinci e il paradiso per televendita. E hanno continuato a rilanciare, anche adesso. Però al poker, come in politica, come nella vita, come sempre e dovunque, a un certo punto ti dicono “vedo”. E si devono mettere già le carte. Non si può non “vedere”. Non si può far finta che si possano tenere sempre le carte coperte. Ecco, questi hanno in mano una coppia, o nemmeno quella, e han lasciato intendere di aver in mano un poker. E non hanno capito che il tavolo adesso esige di vedere le carte.

    Il problema è anche che non sono nemmeno dei bari, come chi li ha preceduti. Almeno quelli si tenevano un asso nella manica, usavano carte segnate, insomma erano bravi bari. Così, alla fine, barando, in qualche modo quando mettevano già le carte arraffavano la posta, in nome del popolo, della solidarietà, della partecipazione. Ma questi, che non sono nemmeno capaci a barare, adesso non sanno a che santo votarsi e cominciano a sbroccare e sbarellare.

    Il problema è che le carte grame sono le loro ma che stanno puntando, rilanciando e perdendo, in mezzo a giocatori di poker armati come nel far-west, con i nostri soldi.

  • Nel 1981 Beniamino Andreatta, allora ministro del Tesoro, dipingeva l’indebitamento pubblico come il “potenziale devastante” di una mina che avrebbe impoverito il Paese con conseguenze nefaste sulle nuove generazioni.
    Un monito che nessun governo (o quasi) ha seguito.
    Un monito particolarmente adatto se rivolto al nuovo governo che nel suo programma ha sommato (come scrive Pietro) la… luna e il… paradiso.
    Le miracolose promesse elettorali fanno parte della propaganda politica, ma poi, se si vuole davvero realizzarle, occorre trovare le coperture: spendere in deficit (come vorrebbero i nostri cavalli di razza politici) significa accrescere ulteriormente il debito pubblico e aumentare la forza (anche ricattatoria) dei mercati.
    Piaccia o no, il nuovo governo non può non tener conto che lo spread si è piazzato su un livello più che doppio rispetto agli ultimi sei anni, spread che significa (come è stato detto ieri) una vera e propria “tassa”, non decisa dal parlamento, sugli italiani.
    Conquistare la fiducia dei mercati è un obiettivo che stanno perseguendo i saggi del governo (cioè i tanto demonizzati tecnici).

  • Consiglierei non solo a tutti i componenti del governo, ma anche a tutti i cittadini interessati al “bene comune” di leggere l’ultimo libro di Valerio Castronovo, “L’anomalia italiana”: vi troviamo, tra l’altro, nomi e cognomi dei responsabili (dal governo Rumor a oggi) del nostro gigantesco debito pubblico che ci sta strangolando, tutti politici alla ricerca ossessiva del consenso, tutti attenti… ad ascoltare la gente.
    Un libro da leggere.
    Da meditare.

  • Il prof. Tria darà di sicuro filo da torcere ai due cavalli scalpitanti: suggerisco a tutti di leggere l’ampia intervista da lui rilasciata al Corriere della Sera di ieri (altro che deficit spending!).

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