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GIORGIO CARDILE

Cosa posso fare per il mio Paese?

Uno dei problemi della nostra Italia è la scarsa attitudine a partecipare alla vita pubblica.

Il cuore pulsante di una comunità che funziona, ossia la società civile, tende sempre più a limitarsi a delegare una volta ogni cinque anni per poi ritornare alla finestra in attesa che passino altri cinque anni per delegare nuovamente qualcuno nei confronti del quale, magari, non nutre nemmeno troppa fiducia.
Come direbbe Gaber:

“alla fine si finisce a delegare un partito che sceglie una coalizione, che sceglie un candidato, che tu manco sai chi è, che tu deleghi a rappresentarti per cinque anni e che se lo incontri, ti dice, giustamente, lei non sa chi sono io”.

Se va bene, allora, ci si limita a recarsi alle urne una volta ogni cinque anni. Magari i più zelanti profondono impegno in realtà associative o in attività di volontariato, gli altri, invece, o restano in silenzio e nemmeno si recano alle urne o chiedono che il politico, l’amministrazione di turno intervenga.
Per carità, non c’è nulla di male, anzi, richiesta legittima. È la democrazia rappresentativa, no?
Eppure c’è qualcosa che non funziona in questo modello. E c’è qualcosa che non funziona anche in quella versione di democrazia rappresentativa in cui qualcuno propone qualcosa, lo carica per 24 ore su una piattaforma online e dice: “Questo è quello che vi proponiamo, cosa ne pensate?”.

Ricordate quando J.F. Kennedy invitava gli americani

“a non chiedere cosa il proprio Paese potesse fare per loro, ma che cosa loro potessero fare per il proprio Paese“?

Ecco, questa è la democrazia rappresentativa.
Se voglio che qualcuno mi rappresenti, specialmente a livello locale, mi devo domandare come voglio essere rappresentato, mi devo domandare quali istanze voglio che il rappresentante porti avanti, ma soprattutto devo presentargli delle proposte di intervento secondo le mie esigenze, le esigenze del mio vicino, le esigenze di tutti gli altri abitanti del quartiere.
Perciò questo impone un incontro tra le persone, fuori dal mondo virtuale, impone che le persone si riapproprino delle decisioni che incidono sulla propria quotidianità.
Perciò serve un confronto di idee dalla cui sintesi possa arrivare una proposta da presentare al decisore politico. A questo punto il decisore politico, insieme ai tecnici, farà le proprie valutazioni sulla fattibilità del progetto, apporterà eventualmente ulteriori modifiche o giustificherà il proprio dissenso.
Indipendentemente dal fatto che l’idea dei cittadini sia realizzata o meno, si raggiungerebbe comunque un grande risultato: cittadini che tornano a partecipare, a confrontarsi di persona, a ragionare, cittadini che passano dalla protesta alla proposta, che passano dalla tacita rassegnazione alla viva partecipazione.

Prendete, per esempio, un cittadino di un quartiere di Crema e supponete che in questo quartiere ci sia uno spazio comune inutilizzato o degradato oppure una piazza mal frequentata e lasciata a se stessa.
Ad oggi nella migliore delle ipotesi ci sarà un’amministrazione lungimirante che deciderà di intervenire e riqualificare, nella peggiore delle ipotesi quello spazio resterà terra di nessuno. Tuttavia manca il passaggio decisivo: il coinvolgimento di chi dovrà aiutare il decisore politico dapprima nella progettazione e in un secondo momento a prendersi cura di questo spazio.
Senza coinvolgere la cittadinanza, senza farla partecipare attivamente nella fase di progettazione, infatti, pensate che il cittadino sentirà proprio quello spazio? Pensate che si impegnerà a prendersene cura? Certo, in una società ideale dovrebbe farlo, ma nel nostro mondo spesso non è un meccanismo automatico.
Immaginate di avere una casa che necessiti di interventi di ristrutturazione. Affidereste i lavori ad un architetto senza dare indicazioni di come vorreste gli spazi che andrete ad abitare o vorreste essere voi a decidere come organizzare gli spazi in cui passerete la maggior parte del vostro tempo libero? Personalmente non avrei dubbi.

Se, allora, il protagonista di quella riqualificazione è proprio il cittadino, se la piazza viene realizzata secondo la sua idea, in collaborazione con figure professionali, c’è un’alta probabilità che questi la sentirà ancora più sua e si impegnerà a difendere lo spazio comune riqualificato perché è frutto soprattutto del suo impegno.

Seguire questo modello non comporta una sostituzione del cittadino al decisore politico, all’amministrazione, al pubblico, ma significa creare un circolo virtuoso, dare vera e concreta attuazione a quel principio di sussidiarietà che la nostra Costituzione prevede all’art. 118 Cost.
Esso recita così:

“Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

Il cittadino in un modello simile non si deve sostituire alle istituzioni e le istituzioni non devono scaricare i propri compiti  sui cittadini, bensì questo modello vuole che il cittadino e le istituzioni collaborino, vuole che le istituzioni facilitino e promuovano l’iniziativa dei cittadini affinché essi possano aiutare il miglioramento della società.

La democrazia rappresentativa, in definitiva, non esiste senza la democrazia partecipativa e anche i meccanismi di democrazia diretta non sortiscono risultati se non supportati da quella conoscenza della materia oggetto di discussione che si può conseguire solo tramite la partecipazione e la condivisione.

GIORGIO CARDILE

09 Giu 2018 in Attualità

15 commenti

Commenti

  • Caro Giorgio
    io condivido, ma mettiti dei panni di chi fa spallucce e dice: un altro proclama!
    O di quello che sarcastico commenta: tanto fanno quello che vogliono e magari il contrario di quello che avevano dichiarato.
    Rispondo io per te a questi disfattisti: lo fanno perché lo permettiamo! Proprio quando la barca è in acqua bisogna seguirne la rotta!
    E non posso non ricordare che la nuova legislazione sul fine vita, incompleta ma sempre qualcosa, è partita da una fiammella accesa da Cremascolta, che poi ha assunto ruolo di fuoco su una più ampia piattaforma nazionale!
    Non posso non citare Franco Torrisi, che a mia insaputa stralcia alcune mie soluzioni in tema di salute pubblica e, che fa? Le manda al Ministro Grillo!
    E non è la prima volta, per Piero era abituale, perché Cremascolta è nata con un’idea: prima di parlare individuare l’interlocutore, che può essere il vicino di casa come il Presidente degli U.S. d’America, senza lasciarsi intimorire dalla sperequazione di dimensioni! L’importante è non mollare la presa.

  • ….nella mia veste di C/Redattore mi sento di gonfiare il petto per la conduzione ed esito della “campagna acquisti” condotta per aggiornare la “squadra”!
    Ed il bellissimo post di Giorgio ne è la prima tangibile dimostrazione.
    Mersì e anche bocù, toh! (parla kume ta manget….)

  • Trovo molto interessante questa riflessione sul che cosa possiamo fare per il nostro “Paese”, che mi pare d’intendere sia l’Italia. Una riflessione, anche e non solo, sull’impegno politico e sulla possibilità di evitare una morte della politica spesso annunciata e talvolta confermata.

    E trovo davvero stimolante questo rifarsi a concetti come quelli di “comunità” e di “società”. Concetti che forse potrebbero risentire, nella loro collocazione storica, di molti fattori d’influenza, tra i quali probabilmente quelli economici. Come se, per certi versi, i processi economici avessero, tra i molti, anche poteri di maggiore o minore condizionamento delle volontà e delle propensioni a fare politica attiva, ad impegnarsi per la collettività.

    È stato detto che, in antico, “comunità” e “società” convivessero nella “civiltà”. La stessa organizzazione non era che un metodo per superare all’inizio gli ostacoli naturali: nessuna civiltà, volendo sopravvivere e affermarsi, è mai stata disorganizzata. Tuttavia, a mio parere i processi economici di questa epoca hanno separato comunità e società. La “scarsa attitudine a partecipare alla vita pubblica” e la “democrazia rappresentativa senza democrazia partecipativa” sono a mio giudizio tra gli effetti del venir meno del senso di comunità militante e del sopravvento della società indifferenziata, utilitaristica, senza tradizioni e radici. Forse l’impegno disinteressato e l’impulso realizzativo cedono, in tempi di mercificazione pervasiva, all’apatia civile, alla tecnologia globalizzata, al consumismo eterodiretto.

    Nella parola latina “communitas” il sostantivo “munus” è sotteso e indica il dono senza tornaconto e lo spirito di servizio, per forza spirituale. È la dimensione verticale dell’essere, dell’uomo, anche della politica. La “societas” mantiene invece un significato originario con valenza contrattuale e mercantile, per avere dei vantaggi e degli utili, per un “do ut des” di forze materiali. È la dimensione orizzontale in cui l’essere, l’uomo e la politica si risolvono secondo le logiche dell’avere e del possesso di beni e servizi. Quasi tutte le persone e le cose, quindi anche la politica, sono oggi figlie di questa materialità senza più identità e appartenenza, senza più spirito di popolo, di nazione e di stirpe. Sono gli “sciami” umani, estemporanei e disarticolati, che come tali si muovono senza costrutto e senza energia che non siano quelli del liberoscambismo consumista. E ciò proprio grazie alla scomparsa delle identità e delle appartenenze, alla perdita dei fondamenti tradizionali, alle migrazioni di massa, alla multietnicità, al genderismo, ai non-luoghi delle metropoli, ai non-valori dell’isterilimento etico, alla non-vita della compulsività digitale.

    Fuori da ogni “communitas”, queste masse vivono in una “immunitas” verso ciò che fino a ieri muoveva l’asse del mondo, politica compresa. Ecco allora la “delega” deresponsabilizzante, ad eccezione, ogni tanto (ma neanche per tutti), di una scheda in un’urna. L’individuo, atomizzato e depotenziato, non ce la fa più a trovare motivazione e impulso politico, malato di bulimia economica. Al massimo, fa da stampella a qualche partito o consorteria politica in debito d’ossigeno. Forse, la vera partecipazione politica ha ancora un rapporto, un ultimo legame solo con la comunità militante. Esistono ancora comunità militanti? Ad esempio, in Italia?

    • Grazie Pietro per aver detto quello che anch’io avrei detto, se non fossi itinerante e munita solo di telefono. Provo a rispondere in poche parole alla tua ultima domanda: una comunita’ militante presuppone la condivisione di valori, principi e persino religione, del gruppo sociale su cui e’ fondata; nel melting pot italiano e mondiale non mi sembra di scorgere nulla del genere. E’ assai difficile che visuali diverse possano lavorare a un grande fine comune. Ci sara’ pertanto una miriade di “piccoli fini” che potranno ottenere piccoli risultati. In un momento come questo, ci si deve accontentare.

  • Mi collego alle prime righe del commento di Martini;
    che s’intende per nostro paese, in un’Europa unita, in un mondo coalizzato ?

  • Hai colto pienamente, Giorgio, lo spirito da cui è nata questa avventura che è CremAscolta.
    Non sempre, è vero, siamo stati fedeli a quello spirito (al che cosa possiamo fare per la nostra comunità?), ma il filo conduttore – a volte sotterraneo – è stato quello e il tuo contributo (il contributo di un giovane come te che da anni sta dimostrando sul campo che cosa vuol dire in concreto fare per la nostra comunità) non può che essere un forte richiamo a perseguire quella strada, in sintonia, del resto, con uno dei motivi dello stesso governo Conte (a prescindere dalla nostra simpatia o meno): “integrare” (non sostituire) la democrazia “rappresentativa” con la democrazia “diretta”, quella che tu chiami “partecipativa”, quella che Pietro Martini, richiamando l’etimologia di “comunità”, definisce “il dono senza tornaconto”, “lo spirito di servizio” nei confronti della comunità.

    Certamente, non basta passare dalla “protesta alla proposta”: occorre studiare la fattibilità della proposta stessa e collaborare con il decisore politico (come lo chiami tu, Giorgio) a trovare il modo per tradurla in realtà.
    Spesso noi lanciamo delle “proposte”, alcune volte le “inviamo direttamente” al decisore politico perché non è automatico che questi ci legga, e poi stiamo ad attendere per poi, magari, esprimere la nostra amarezza per non essere stati ascoltati e attaccare il Potere, il Palazzo.
    Ci serve un passo in più.
    Grazie, Giorgio!

  • Io vorrei sottolineare ancora il merito delle riflessioni di Giorgio, che consiste nel riattribuire limiti di competenza al blog stesso. Questo non vuol dire che lo spazio comunicativo non possa ospitare “altro”, come un sarto può anche essere un giocatore di golf, ma resta un sarto. In questi anni si è lasciato che il blog, nato con finalità chiare ed esplicitate, assumesse una sua fisionomia dettata dai partecipanti ai temi dibattuti. Giusto, infatti non è un partito, ma un mezzo comunicativo. Il tema della comunicazione nasce anche per un blog in camere del pensiero, per poi prendere la sua via e cambiare magari connotati in itinere. A che serve? A costringere a riflettere. Da ciò deriva che quanti più continuativamente si dedicano alle attività di Cremascolta le hanno dato anche dei connotati, alcuni dei quali esprimibili anche con aggettivi, e questi hanno una loro gerarchia, che, se fosse troppo sovvertita, snaturerebbe il lavoro iniziato e portato avanti con un progressivo passaggio di testimone. Esempio pratico: se Cremascolta avesse accettato le proposte di affiliazione partitica, non sarebbe più coerente con le promesse, quindi il primo attributo di coerenza è apartitica, e così possiamo andare avanti nella graduatoria con ambientalista, plurivocale…
    Un esercizio essenziale per una verifica periodica.

    • Essere apartitici in un’epoca in cui non ci sono piu’ i partiti, nel senso che sono in fase di decomposizione, non e’ un grande vanto. Sarebbe invece un successo riuscire pian piano a “fare comunita’”, cosa assai piu’ difficile poiche’ ci vuole una comune visione della realta’. Proviamoci.

  • La cosa importante – è quanto ci suggerisce Giorgio Cardile anche se il suo discorso ha un ampio respiro e non si riferisce al nostro blog – è creare un circuito virtuoso tra la nostra “piazza virtuale” e la “piazza reale”, è uscire dalla auto-referenzialità (anche il compiacimento di essere “propositivi”) e… fare un percorso nella piazza vera e a diretto contatto con le istituzioni.
    E’ quanto noi abbiamo fatto su non pochi fronti ed è quello che ci apprestiamo a fare a proposito del futuro degli Stalloni, una delle aree strategiche della nostra città: si tratta solo sviluppare questo percorso.

    Di sicuro la democrazia diretta non è quella della piattaforma Rousseau dei pentastellati: “partecipare”, come dici tu, Giorgio, è molto più impegnativo e coinvolgente che scrivere un “sì” o un “no”.

    Partecipare è quanto state facendo voi di Rinascimenti che da qualche anno, con una miriade di iniziative, state cercando di avvicinare le nuove generazioni alla “politica” (quella che io chiamo “alta”, non quella della rincorsa ossessiva del consenso immediato).

  • Grazie a te, Rita, per quanto mi hai scritto ieri. Il bell’articolo di Giorgio Cardile, pienamente condivisibile, invita a una politica nuova, non a quella che sino ad oggi ha portato al rabberciamento della vecchia partitocrazia. Per questo mi sono permesso di accennare alle comunità militanti. Se no, sarebbe soltanto il solito reclutamento sul territorio, un trappolone teso dai vecchioni delle sezioni di partito alle giovani e volonterose susanne alla fonte. Lontano dai vivai di partito forse esistono comunità politiche immuni dal tornaconto elettorale partitico a breve termine. Forse occorre cercare dove ancora si sono mantenute le ultime identità, appartenenze, radici, ritualità, tradizioni. Dove ancora si riconoscono differenze, confini, patrie. Dove il cretinismo digitale e il senzafrontierismo non hanno ancora ammalorato.

    Serve una politica dei giovani, non dei vecchi. Dei giovani non preoccupati di risolvere i loro problemi di disoccupazione post universitaria con un impiego in qualche ente, ufficio o istituto grazie al partito. Noialtri possiamo solo dibattere se stare dentro o fuori una moneta, un listino di borsa, un racconto, una finzione. Invece la vita vera è milizia, è roba da giovani. E dove questa politica militante manca, lì vuol dire che mancano i giovani. Ormai le istituzioni sono così in amplesso con mercati e mercature che la vecchia politica è diventata per i galantuomini come il bikini per le signore: oltre una certa età, è più decoroso astenersene.

  • …. per come la intendo io, mi sento di fare parte di una “comunità militante”: questa!

  • Aspettiamo Giorgio!

  • ndr: riceviamo da Emilio D’Ambrosio e volentieri pubblichiamo:
    Egr. sig. Giorgio Cardile
    Ho letto con molto interesse e curiosità il suo post: COSA POSSO FARE PER IL MIO PAESE?
    Mi sono annotato alcune espressioni:
    ” Uno dei problemi dell’Italia è la scarsa attitudine a partecipare alla vita pubblica … J. F. Kennedy invitava gli americani ” A non chiedere cosa il proprio paese potesse fare per loro, ma che cosa loro potessero fare per il proprio paese?”… Un incontro tra persone, fuori dal mondo virtuale … un confronto di idee della cui sintesi possa arrivare una proposta al decisore politico … far partecipare attivamente nella fase di progettazione … il prendersi cura”.
    E poi, l’art. 118, Costituzione della Repubblica Italiana, nata dalla Resistenza “Il principio di sussidiarietà … le istituzioni facilitino e promuovano l’iniziativa dei cittadini … .

    Queste sono affermazioni che condivido, mi permetto di aggiungere le notazioni del saggio prof. Piero Carelli, scrittore ed egr. animatore di cultura sociale, filosofica, politica ed economica, nonchè protagonista autorevole di iniziative creative, tra cui, il blog CremAscolta e Corso di educazione all’economia. Nello specifico il prof. Carelli con molta acutezza mette in rilievo: “Uno dei motivi dello stesso Governo Conte: “integrare” non sostituire la democrazia “rappresentativa” con la democrazia “diretta” … Certamente non basta passare dalla “protesta alla proposta”: occorre studiare la fattibilità della proposta stessa e collaborare con il “decisore politico” e trovare il modo per tradurla in realtà. Spesso noi lanciamo delle “proposte” alcune volte le inviamo direttamente al “decisore politico” perchè non è automatico che ci legga, se poi stiamo ad attendere per poi, magari, esprimere la nostra amarezza per non essere stati ascoltati e attaccare il Potere e il Palazzo. Ci serve un passo in più”.

    Aggiungo subito che condivido per aver provato sulla mia pelle l’amarezza del prof. Piero Carelli perchè il Potere non ama essere disturbato nel suo operare: A Crema ho avuto modo di conoscere e apprezzare il Consigliere Regionale Agostino Alloni per la tempestività di risposte ai quesiti postigli. Un esempio da imitare! La percezione di un dovere che si sposa felicemente con la passione e l’entusiasmo per la bella Politica e l’etica nel saper progettare e realizzare un servizio nobile con e per la comunità.
    Egr. Giorgio, del suo intervento ho evidenziato alcuni passi significativi. La bellezza della nostra Carta Costituzionale vera e autentica casa di convivenza civile degli italiani, con valori che attendono ancor oggi di essere incarnati nella realtà. Ferite che rilevano pesanti situazioni: stridenti disuguaglianze sociali, illegalità diffuse, corruzione, poteri occulti che infestano il tessuto della società con mafie e camorra. Da qui il contrasto stridente tra la Costituzione formale e quella materiale. Le narrazioni della politica e il distacco sempre più marcato dalle esigenze e dai bisogni percepiti dalla societa civile. Si tratta di cecità e sordità, nonostante l’impegno di quanti nella società civile pongono in essere proposte e riflessioni mirate. Da qui l’amarezza del prof. Piero che condivido. Preziose risorse di saperi e competenze messe generosamente a servizio della comunità. Proposte ignorate, meritevoli invece di attenzione, per cogliere le opportunità di sviluppo, e la valorizzazione di una cittadinanza attiva degna di interlocuzione e confronto.
    Egr. Giorgio la sua passione contagiosa e il suo argomentare mi riportano ad una storia ricca di creatività sociale che ha registrato il farsi della comunità che ho avuto modo di raccontare nella mia ricerca/esplorazione sociale, “UN VIAGGIO TRA SENTIMENTI, EMOZIONI E SOLIDARIETA’ Frammenti di storia”. Un intreccio di situazioni hanno determinato il farsi di una molteplicità di esperienz sfociate in una costruzione sociale. La bellezza di nascere, evolvere e riconoscersi come comunità. Diversità, autonomia, rispetto della singola individualità e sua funzione nell’ambito delle esperienze di gruppo. La dialettica MOVIMENTO E ISTITUZIONE ben descritta dal sociologo Francesco Alberoni ha visto nel conflitto con le istituzioni esistenti il rinnovamento sociale e politico.
    Segnalo, il saggio coraggioso ” UTOPIA PER REALISTI Come costruire davvero il mondo reale” il punto di vista di un giovane studioso, Rutger Bregman, del pensiero rivoluzionario che dimostra quanto le utopie possono diventare concrete.
    La sua esperienza nell’ambito della Consulta sportiva mi richiama alla mente, passione ed entusiasmo in tante iniziative. Dalla formazione degli animatori sportivi con la progettazione del corso psicologia dello sport, alla cultura dello sport rispettosa dei ritmi evolutivi di ogni fascia d’età.
    Il rapporto con la POLITICA, risulta presentare difficoltà, ma CREMA è una città che si caratterizza per la presenza di un VOLONTARIATO creativo e multiforme in diversi campi delle realtà socioculturali e assistenziali. Un elenco lungo, mi limito a citare, mi scuso per la brevità: Il Centro Ricerca Galmozzi, il blog CremAscolta, I di processi democratici di partecipazionel Caffè filosofico, il gruppo antropologico, le numerose associazioni parrochiali, l’UNI-CREMA, l’AMA, l’Associazione Cremasca Cure Palliative Alfio Privitera Onlus, la SIEMBRA, le cooperative, FIAB ecc. ecc.
    Il punto fondamentale riguarda la costruzione, step by step, (è lo slogan coniato da Piero Carelli) collettiva del progetto, la sua realizzazione e modulazione, passo dopo passo. Un protagonismo vero senza deleghe. Partecipazione attiva, condivisione di un cammino in cui sono possibili inciampi e cadute unitamente alla forza e determinazione per ripartire con nuove idee e iniziative. Vicinanza/distanza, stile di leadership democratica, autorevolezza/autoritarismo, complessità/semplificazione, comunicazione/informazione, autoreferenzialità/ democrazia senza popolo, sono alcuni dilemmi con cui misurarsi. Spunti di riflessione.
    Il contributo del blog CremAscolta alla formazione della CITTADINANZA ATTIVA è veramente di grande rilevanza. Saperi e competenze messi a servizio della comunità. L’iniziativa sul fine vita, indica un percorso da seguire con lucidità e tenacia. I risultati arriveranno, con la pazienza dei tempi lunghi e l’immersione nei luoghi della società civile.
    Studio, fattibilità delle proposte e poi, il coraggio della mobilitazione sociale a sostegno di qualifificanti e irrinunciabili progetti e iniziative per il progresso del paese e della comunità.
    La POLITICA oggi deve ripensarsi e rifondarsi, non servono gli slogan, le contrapposizioni sterili, l’evocazione del meccanismo che fa leva sulla contrapposizione amico/nemico, la verità assoluta che sta solo da una parte. Serve un pensiero nuovo per identità in crisi. Questa è la lezione del 4 marzo 2018. E’ venuta ai pettini l’esaurirsi dei modelli nati nell’ottocento. Inoltre gli inediti processi di globalizzazione economica, finanziaria e tecnologica, richiedono un approccio multisistemico così come disegnato nel CORSO DI EDUCAZIONE ALL’ECONOMIA. La fatica dell’esercizio democratico esige di capire per governare la complessità. In questo contesto il ruolo dell’EUROPA risulta inadeguato e richiede il formarsi e riconoscersi come popoli in cammino. Il rinnovamento esige politiche condivise e processi di partecipazione democratica con la definizione e l’elaborazione di scelte, politiche, sociali, economiche e istituzionali di sviluppo rispettose di storie e identità in evoluzione.
    Carissimo Giorgio sono lieto della tua conoscenza, ti esprimo gratitudine per aver colto nella tua lucida riflessione le suggestioni e il bisogno di pensare…
    Un cordiale saluto Emilio D’Ambrosio

  • A parte gli apprezzamenti nei miei confronti (che non merito: se ho una virtù – o un vizio? – è quella di non accontentarsi mai delle opinioni degli uni e degli altri, delle narrazioni e delle contro-narrazioni), condivido, Emilio, la tua passione “politica”.
    Si tratta di lavorare “insieme”, noi ormai molto maturi (e con qualche esperienza alle spalle) e giovani come Giorgio (con nuove energie e idee), e il lavorare politico è faticoso (non basta la sparata) perché, oltre alla “proposta”, occorre – come dici bene tu – studiare la fattibilità della proposta stessa (altrimenti lavoriamo a vuoto).

    Lavorare con pragmatismo, ascoltando tutti per poi arrivare a una sintesi la più alta possibile, e sempre tenendo presente che, comunque, è l’utopia il motore della storia.
    Ho letto il libro che tu citi (Utopia per realisti) del giovanissimo olandese Bregman, un libro che consiglio a tutti i blogger e lettori di CremAscolta.

    Per quanto riguarda la maggiore o minore attenzione dei nostri politici e dei nostri amministratori alle nostre proposte, io non intendo stigmatizzare nessuno (gli amministratori, in particolare, sono troppo indaffarati, spesso, per leggere stampa scritta e online e tutti i blog locali): da qui la prassi che spesso seguiamo, cioè di inviare di volta in volta all’assessore al ramo le proposte.

    E non si tratta solo di inviare le nostre proposte: la nostra campagna d’autunno (o una delle nostre future campagne) sarà un “concorso di idee” sul futuro degli Stalloni: raccoglieremo quindi anche idee della gente, magari anche di studenti che spesso vedono più lontano di noi adulti.

    Grazie, Emilio, per il tuo sostanzioso contributo!

  • Concordo, Emilio: anche le sfide della globalizzazione (in tutte le sue forme) e delle tecnologie digitali – che non sono tout court un supporto alla globalizzazione stessa – sono in larga parte inedite e richiedono un’attrezzatura culturale che va oltre gli schemi culturali del recente passato.
    Siamo di fronte a problematiche “complesse” e non ho dubbi che le semplificazioni – la merce venduta per nuova un po’ ovunque nel mondo – le aggraveranno più che risolverle.

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