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RITA REMAGNINO

CONFUSIONI CONTEMPORANEE

Una delle più diffuse immagini retoriche attualmente in voga recita: “Costruite ponti, non muri”. Lo sentiamo dire in continuazione, ma è uno slogan senza costrutto dato che i «ponti» in questione non hanno alcuna connotazione spirituale ma sono il sostegno materiale del dogma globalista che auspica l’allegra fusione di popoli, razze, culture, identità allo scopo di manipolare masse sempre più consistenti di consumatori. Pochi sanno, tuttavia, che oggi siamo lontani anni luce dal significato originario di questo antichissimo simbolo dell’umanità: il ponte.

Già suggerisce qualcosa il termine latino pontem deriva da una comune radice indoeuropea, *path, che indica molto semplicemente l’azione di «andare» da qualche parte. Da qui deriva anche il vedico pànthah, ovvero «sentiero», «via». Il significato profondo di questo vocabolo ha dunque poco a che vedere con il «collegamento», indicando più precisamente un cammino che non è semplicemente il percorrere una distanza da un punto all’altro ma che implica difficoltà, incertezza e pericolo.

Il «ponte» per i saggi Antichi rappresentava sempre un’incognita perché poteva crollare di sotto da un momento all’altro, cambiando aspetto insieme a colui che lo percorreva. Inoltre, non si poteva mai sapere cosa si sarebbe trovato dall’altra parte di un ponte, il valico del quale, per inciso, costringeva l’attraversatore a mettere i piedi su una superficie malferna che non c’avrebbe messo molto a rivelarsi ostile, qualora lo avesse deciso.

Ieri come oggi colui che getta un ponte sull’ignoto, un’azione che gli Antichi non compivano mai a cuor leggero, deve conteplare tra le possibilità anche quella di sfracellarsi. Ne consegue che usare la parola «ponte» come sinonimo di «collegamento», o «dialogo», è un’invenzione di questi tempi degradati che nasconde non poche insidie poiché il percorso è immancabilmente rischioso, accidentato, e richiede particolari abilità per essere affrontato.

 

Non è da tutti saper costruire un ponte, bisogna esserne all’altezza.

L’«attraversamento», poi, richiede il possesso di qualità ancora superiori.

 

La cultura e la saggezza degli Antichi non furono mai neppure sfiorate dalla tentazione infantile di trasferire una simbologia alta e importante come quella del «ponte» al piano terreno del sociale per poi farne, come se ciò non bastasse, una cerniera tra i vari raggruppamenti umani. Il ponte riguardava affari di ben altro livello, la Terra e il Cielo, un popolo e i suoi dèi, una comunità e i suoi valori, una tradizione e i suoi insegnamenti; che abbia finito quindi per diventare il manifesto dell’ideologia globalista è davvero deprimente.

Da qualsiasi parte lo si guardi, il ponte è un «corpo estraneo» che viene ad inserirsi in una realtà consolidata, stabilendo una situazione di pericolo. Anche per questo motivo i ponti non erano particolarmente ben visti nell’antichità. Venivano tollerati se s’integravano nel paesaggio, lo completavano, davano un senso di sviluppo armonico, organico e logico all’insieme. In alcune tradizioni il «ponte» è assimilato persino al «raggio di luce», o descritto come il «filo di una spada», o un «palo» se formato da una sola trave, e allora può assumere il significato di axis mundi. Ma nella maggior parte dei casi la sua presenza violentava la bellezza della Natura, unendo ciò che invece era stato creato per restare separato, perciò lo si guardava con sospetto.

Solo un’umanità superficiale come l’attuale poteva considerare il «ponte» come un facilitatore delle relazioni tra uomini, nonostante tutti i pericoli siano ben visibili. Avventurandosi sopra di esso si spera sempre che la struttura tenga, mentre sotto i ponti vivono barboni, sbandati e sradicati, un’umanità «senza casa», cioè senza radici, che non ha patria né lì né altrove, che non risiede, non si stabilisce, ma transita, vaga, senza meta e senza senso.

RITA REMAGNINO

19 Ago 2018 in Senza categoria

22 commenti

Commenti

  • Lettura personalissima, tipico di Rita, anche se riconosco che i Ponti non sono di questa Terra. Prova ne è che nelle guerre le prime infrastrutture ad essere bombardate erano proprio i ponti. Quindi accontentiamoci che rappresentino il passaggio dalla vita alla morte, l’antitesi tra bene e male e dalla cui sommità, nella corrente, placida o impetuosa, si assista al fluire del tempo, allo scorrere della vita. Questa sì che è simbologia. O altrimenti gettare un collegamento verso l’ignoto, con le sue speranze e le sue paure. E mi viene in mente un’altra storiella, quella del peso della croce che ognuno di noi porta e vorrebbe invece sempre leggera tanto da accorciarne sempre di più il tronco principale, fino al baratro che il tronco integro (il Ponte ) permetterebbe di attraversare, ma ormai il danno è fatto. Il baratro e nient’altro, nessun ponte possibile. Quindi che i ponti rappresentino pure favolette, leggende, richiamino l’arco di Baleno, ma che non si riducano a semplici mezzi di comunicazione “umana”. Comunque, non c’è bisogno che lo dica io, anche senza essere coltissimi, c’è tantissima letteratura, arte, storia che inneggiano ai ponti senza cinicamente accanirsi su quelli che crollano. Alcuni hanno fatto la Storia del mondo. Per dire Rita, che la tua lettura è discutibilissima. Comunque grazie per gli spunti che offri in continuazione.

    • Da anni ormai, io imparo solo dall'”antico” non trovando nel nuovo niente d’interessante da registrare. E’ una scelta personale, ovvio, non sono qui a vendere il Folletto. Anche perché ognuno si abbevera alla fonte che più lo ispira e lo disseta seguendo l’istinto e la sensibilità di cui è dotato. Ciò premesso, ho voluto proporre le riflessioni di cui sopra perché meglio di altre sottolineano l’artificiosità del ponte (che è un’opera umana), la sua intrinseca pericolosità (ne sappiamo qualcosa, in tutti i sensi) e, da ultimo, la degenerazione di significato in cui è incappato.

      Mi è sembrata un’alternativa “spirituale” alle varie considerazioni “materiali” che fin qui sono state fatte circa privatizzazioni, appalti, favori, revoche e polemiche. Ogni argomento può essere affrontato partendo da diversi punti di vista, e questo è uno. La croce cristica, però, non c’entra assolutamente niente, visto che la profondità di certi pensieri si colloca in un tempo di gran lunga anteriore rispetto al giovane cristianesimo, che comunque è e rimane una religione.

      Parlare di “storielle” e “favolette” è ingeneroso. Queste letture provengono da tradizioni millenarie frutto del pensiero “alto” di uomini lontani un Eone dal Cretino Globale, i quali, probabilmente, andrebbero ascoltati e trattati con maggiore rispetto. Se solo li capissimo, probabilmente.

  • Questa ricollocazione del ponte nel suo contesto originario mi pare molto interessante e credo che altri contributi sul tema potrebbero ulteriormente sviluppare quanto espresso da Rita, sempre nel senso di una miglior comprensione di attribuzioni e significati riferiti al ponte.

    Personalmente mi sembra che dall’epoca protoromana in poi le valenze critiche abbiano progressivamente lasciato spazio a interpretazioni più positive e, soprattutto, più operative del ponte, proprio svincolando gli elementi simbolici dal forte nesso indoeuropeo tra mondi diversi e ancorandoli a funzionalità più immanenti. Tipico dell’approccio al reale delle leghe italiche e poi dei romani.

    In fondo, è un altro modo di vedere il passaggio dal rapporto con l’alto al rapporto con l’altro.

    A questo punto, Rita, ci manca una riabilitazione del muro.

    • Qui la speculazione è più alta e scevra da secondi fini. La connotazione “positiva” del ponte è tipica appunto, come dici tu, di un’epoca più recente, preromana. Ormai l’agricoltura si era diffusa, gli animali domestici aiutavano l’uomo a produrre più cibo di quanto gli servisse e il surplus alimentava i commerci. Ovvio che i ponti con la nascita del pensiero mercantilista facevano comodo, la loro funzione in fondo era esattamente quella di facilitare gli scambi.

      Ci fu un tempo, tuttavia, in cui l’uomo è stato molto mezzo “grezzo” e faceva considerazioni “altre”, e alte. Ora sta a noi considerarle entrambe e trovare, magari, una terza via. Ponti pericolosi, o ponti utili? Ce ne sarebbe da dire, eccome.

      Faccio un passo più in là: nell’era della tecnologia spinta, delle intelligenze artificiali, delle comunicazioni intercontinentali sostenute da microchip, serviranno ancora i ponti? I componenti microscopici avranno bisogno di mezzi di trasporto per essere trasportati, o viaggeranno via etere? Gli uomini senza lavoro e con tanto tempo libero cosa se ne faranno dei ponti? Noi non ci saremo, e perciò potremmo fregarcene allegramente.

      La riabilitazione del muro l’avevo fatta qualche anno fa, in un post che si chiamava “confini”. Mi sembra comunque che la stiano facendo in modo corale e a livello planetario. Di sicuro, l’uomo primordiale (che non era primitivo!) non ne aveva alcun bisogno. Magari ci torniamo a quel livello, vai a sapere.

    • Grazie, vado a rileggermelo.

  • Restando nella bella metafora ponti/muri proposta dal post di Rita: ….l’abbattimento del “muro” è stata una scelta.
    Una scelta che ha indotto cambiamenti epocali negli assetti dell’occidente.
    Il crollo “del ponte” (quel nostro “stanco” ponte di Genova) è stato il frutto di una scelta (una non scelta?!?) che abbiamo subito per ignavia, egoismo, colpevole disattenzione.
    Nostra responsabilità fare in modo che che diventi l’innesco di un cambiamento epocale negli assetti del “sistema Italia”.

    • Si, hai ragione Franco, ponti e muri sono scelte umane, e pertanto discutibili. Anche nel caso di Genova la “scelta” di distribuire gli utili in dividenti per gli azionisti anziché re-investirli in manutenzioni è stata una scelta fatale. Le strade italiane hanno da raccontare decine di migliaia di storie del genere, e cambiare verso a questo punto non sarebbe una cattiva idea.

  • Francesco, i ponti e i muri li costruiscono e li abbattono gli uomini. Credo che Pietro intendesse questo, e fuor di simbologia, dall’astratto al concreto, credo si interrogasse, come Rita del resto, sul tipo di società che stiamo per costruire. Perché è ovvio che di svolta si tratti. E qui ritornano per forza quei grandi temi epocali, non nuovi, che hanno rispolverato tutti gli ismi che conosciamo: nazionalismi, sovranismi, europeismi, populismi, globalismi e via elencando. Perché se togliessimo dal vocabolario ponti e muri, o se si rivedessero in termini di Storia ciò che hanno significato, con un’economia geografica in continue e nuove localizzazioni, credo che un rovesciamento in nome di un non ritorno, banalizzando, perché secondo alcuni hanno portato allo status quo, un rovesciamento, dicevo, epocale, debba essere affrontato con tutto il pragmatismo possibile, in modo che quello che “supinamente” subiamo non ci si ritorca contro. Io credo che ponti e muri abbattuti abbiano ancora un senso. Altrimenti qualcuno stenda un nuovo Manifesto dove tutto il nuovo venga elencato. Perché secondo me si sta sempre navigando a vista e andare a sbattere o alla deriva potrebbe essere il destino di naviganti e non. Che alla fine vuol dire costruire ponti. Non esistono turris eburnee dove ritirarsi. Come qualche facilone vorrebbe farci credere.

    • Ponti e muri sono manufatti, creazione umane, che hanno appunto a che vedere con la visione mercantilistica della società. L’umanità del futuro riterrà ancora validi concetti del genere? Chi lo sa. Non è obbligatorio, in effetti. Le società umane cambiano, per fortuna, mentre rimangono tutti i punti fermi che non dipendono da noi.

      I concretissimi simboli rientrano in questa categoria mentre le ideologie (libertà, pace nel mondo, uguaglianza, diritto alla felicità, etc. etc.) passano e vanno. Se non ce ne rendiamo conto è solo perché «invecchiando» non solo non siamo migliorati, umanamente parlando, ma abbiamo perso per strada un immenso patrimonio di conoscenze. Con il risultato che oggi ci risulta difficile anche solo mettere a fuoco un qualsiasi concetto basato sui simboli, divenuti da molto tempo inintelligibili. Come bambini a Gardaland osserviamo nei musei i segni riportati allo scoperto dall’archeologia, che non sono mai esibiti a casaccio ma hanno un loro senso metafisico ben definito, considerandoli dei graziosi motivi decorativi. Pensiamo che quella roba lì «non serva» nella vita di ogni giorno ma stia comunque bene dentro una teca, da dove «fa cultura», un concetto che sappiamo essere importante, anche se non sempre ci è chiaro di cosa realmente si tratti.

      Personalmente, comunque, sono ottimista. Sono in aumento le richieste di una percezione «altra» da quella solita e si rivalutano gli stimoli che dall’inizio del tempo hanno costituito sfida e tentazione per le menti più aperte. Nelle realtà sociali più disparate si comincia a prendere le misure per l’avvicinamento a simboli e segni oggi all’apparenza polverosi ma che, guardandoli da vicino, risvegliano in noi antiche e mai sopite suggestioni. E’ la testimonianza che non sono mai veramente morti ma, anzi, continuano ad emergere dalle profondità dell’inconscio individuale, compiendo incessantemente la loro funzione suggestiva e rivelatrice. E adesso passo e chiudo, vado in stazione a prendere il treno (si spera) che mi porterà a vedere il ponte che non c’è più. Perché non era un simbolo autentico ma un’invenzione umana.

  • Certamente, Rita, l’umanità ha alle spalle una lunga storia di tradizioni, valori e significati simbolici. Il passato ci parla e i suoi insegnamenti possono ancora oggi guidarci nella nostra vita e nelle nostre scelte. I ponti e i muri sono stati nel tempo ancoraggi simbolici ma anche manufatti concreti per gli uomini vissuti nelle varie epoche storiche. Oggi, nel 2018, riprendere il senso simbolico del ponte o del muro e utilizzarlo in applicazione alla quotidianità può essere fatto in modi diversi e per fini differenti. Tu hai ben espresso il tuo modo di vedere le cose, anche riprendendo l’abuso che spesso si fa del concetto di ponte rispetto al concetto di muro.

    Ciò posto, assodato quindi che chi di mestiere fa il pontefice parli ovviamente meglio dei ponti che dei muri (non vale l’inverso, costruendo il muratore sia muri che ponti), viene ora da chiedersi quanto noialtri, ultimi superstiti umani di tanta passata grandezza tradizionale, valoriale e simbolica, possiamo realizzare in questo nostro scorcio finale di mondo. In pratica, riguardo a ponti e muri, quale società umana vogliamo in realtà adesso? Una società più chiusa, caratterizzata da muri e da difese necessarie a una certa impostazione sociale, oppure più aperta, caratterizzata da ponti e percorsi necessari a una cert’altra impostazione sociale? Si potrà rispondere che la scelta dipende dalle circostanze. E si potrà allora ribattere che la scelta si riferisce alle circostanze che qui e ora caratterizzano la nostra esistenza.

    Per cui, ferme restando le ricostruzioni filologiche e culturali dei significati di ponti e muri, questa mi sembra la scelta essenziale a cui oggi siamo chiamati. Il che non significa estremizzare le cose in un senso o in un altro. Ci possono essere situazioni intermedie. Ma questo mi pare il punto di snodo, la scriminante, il nocciolo della scelta. Ponti o muri. Intere civiltà hanno vinto o perso, sono progredite o regredite, hanno creato o disfatto mondi, proprio scegliendo di costruire ponti e strade oppure muri e trincee. Adesso tocca a noi scegliere.

    • Il “ponte” moderno e’ virtuale e si chiama internet: porta dall’Australia alla Norvegia in pochi secondi, stessi vantaggi e medesimi pericoli. Altrettanto virtuali sono i solidi “muri” di sensori e fotocellule antifurto che abbiamo eretto attorno alle nostre case. Sembra di capire che siano cambiati i manufatti, oggi digitali, mentre i significati sono piu’ o meno gli stessi.

  • Proprio in questi giorni si sta concretizzando una delle tante erronee interpretazioni del concetto di “ponte”: la vecchia guardia del Pd autorevolmente rappresentata da don Mattarella pretenderebbe di violentare nuovamente gli italiani imponendo loro l’ennesimo carico di clandestini in nome di una non meglio specificata “fratellanza universale” che, tradotta in soldoni, significa che tu sei uguale a me, accetti le mie regole, il mio pensiero, il mio Dio e compri i miei prodotti. Se questo non e’ razzismo … non saprei come altro chiamarlo.

    Premesso che qui non c’e’ nessuno da “salvare” ma si tratta unicamente di permettere a dei baldi giovani e giovanissimi di scegliersi un Paese di loro gradimento e insediarvisi vivendo di espedienti, non essendovi altre alternative, e’ evidente che di cio’ che pensano gli italiani alle massime istituzioni non gliene frega niente a nessuno.

    Altrove si e’ citato l’esempio di Genova che sta lavorando coralmente per un progetto comune, ma forse si e’ dimenticato di dire che qui, in questo momento, non c’e’ scollamento tra le parti: per la prima volta dopo tanto tempo i genovesi si fidano dei loro governanti. Non e’ un dettaglio.

  • La Francia controlla, deruba e impoverisce 14 Stati africani
    La Spagna, ordina all’Esercito di sparare contro le “risorse” che, quelli che hai citato, vogliono in Italia
    Salvini è accusato di sequestro di persona, vorrei vedere gli stessi PM in Spagna
    L’Europa tace su Francia e Spagna
    La Francia e La Spagna danno a noi lezioni di umanità…………………………….

    • L’Italia e’ dominata dalla retorica e dalla demagogia a far tempo dall’ultimo dopoguerra. Pensavamo di essercene liberati, ma non e’ cosi’ semplice. Anche per questo motivo ci troviamo sempre un passo indietro rispetto agli altri europei: siamo confessionali, non siamo mai stati veramente laici, anche se crediamo di esserlo per il solo fatto di non frequentare le chiese.

      Per Salvini i pm siciliani correggeranno la legge trasformandola in “sequestro di clandestini”. Dopo di che, nessuno potra’ piu’ fermare l’onda d’urto del popolo italiano. E del resto, io lo sto dicendo da mesi che il governo giallo-verde e’ solo una transizione verso qualcosa di piu’ strutturato. Un ponte, per restare in tema, con tutti i pericoli e le incognite del caso. Non so fino a che punto se ne rendano conto i pochi ma ancora in posizioni chiave che stanno lavorando per farlo crollare.

  • Persino Massimo Kothmeir, il capitano della nave costiera Diciotti, rilascia interviste ai giornaloni e aggiorna quotidianamente con foto e commenti il suo profilo Facebook. Evidentemente non ci sono piu’ gli ufficiali di marina di una volta. Quelli autentici.

    Quanto al “terzo polo” cui accennavo in precedenza, e cioe’ al “gruppo politico di approdo” delll’attuale governo ponte giallo verde, noto di giorno in giorno la sua definizione: il M5s, com’era prevedibile, si sta spaccando, da una parte i Di Maio e i Toninelli mentre dall’altra restano i Fico, che finiranno inevitabilmente con i Fratoianni. Ho l’impressione che prima delle prossime elezioni ci saranno dei grandi cambiamenti. Estinzioni e formazioni..

  • Penso di aver capito, Rita, perché da tempo costruiamo più muri che ponti. La cosa mi è venuta in mente vedendo le immagini della Bosnia attraversata dai migranti verso la Croazia. La Bosnia e i Balcani mi hanno fatto riflettere.

    Prima però vorrei calare il discorso in epoca recente, diciamo negli ultimi tremila anni di storia, e in termini concreti, pratici, operativi. Lasciamo perdere tutto l’universo simbolico, emblematico, esoterico e via dicendo riguardo a ponti e muri. Limitiamoci ai manufatti, al loro uso effettivo e al perché di questo loro utilizzo.

    Sia pure semplificando e generalizzando, credo che i popoli forti abbiano costruito soprattutto ponti, strade e percorsi via terra e via mare. E che i popoli deboli abbiano costruito soprattutto muri, trincee e difese terrestri e nautiche. Perché? Semplicissimo. Quelli forti hanno bisogno di muoversi in forze, velocemente e proficuamente per andare a invadere, conquistare e sottomettere quelli deboli. Quelli deboli hanno bisogno di chiudersi a difesa contro le invasioni, le conquiste e le sottomissioni da parte dei forti. Le strade e i ponti romani dovevano far passare le legioni, per conquistare il mondo. Quando le invasioni barbariche si sono abbattute sull’impero, è incominciato l’incastellamento.

    Nei Balcani c’è stato un via vai continuo nella storia. Tra l’altro, un sacco di disgrazie sono venute all’Europa dai Balcani. Di recente, il vai e vieni ha riguardato cristiani e ottomani. Poi, da ultimo, serbi, croati e musulmani vari. Quando certi avanzavano, costruivano strade e ponti, mentre gli altri si asserragliavano. Poi le parti si rovesciavano e i comportamenti si invertivano. Ai tempi di Vlad III di Valacchia si andava in un senso. Oggi in un altro.

    Ecco perché oggi costruiamo più muri che ponti. La via Appia fino a Brindisi l’abbiamo fatta per andare poi a suonarle agli altri oltremare. Così pure le altre vie consolari e gli innumerevoli ponti in giro per l’Italia e l’Europa. Anche in Eritrea, Etiopia e Somalia abbiamo costruito ponti e strade, per farci passare i nostri reggimenti. Tra non molto invece dovremo mettere i sacchi di sabbia alle finestre e le sentinelle alla porta. Chiarissimo, no?

    • Ottime osservazioni, Pietro. Anche dal punto di vista simbolico il muro e’ un elemento “femminile” mentre il ponte e’ “maschile”. Una civilta’ femminea come l’attuale non poteva fare altro che esprimere “muri”, diversamente avrebbe combattuto (dialetticamente) per difendere la propria cultura, i propri territori, le proprie tradizioni. Non e’ un caso se di questi tempi i ponti crollano.

      Pertinente anche il richiamo ai Balcani che nelle ultime ore sono diventati i protagonisti del continente accettando parte dei clandestini della Diciotti: una lezione di “virilita’” alle mollaccione e decadenti Germania, Francia, Spagna, ben riparate dietro i loro muri di cartapesta.

      Prevedo una rivoluzione sociale e culturale entro le elezioni europee della prossima primavera quando, forse, gli uomini ricominceranno a costruire ponti. Se la linea e’ ferma, decisa, chiara e irrevocabile, i muri diventano superflui.

  • Grazie, Rita. Ci avevo messo un po’ ad arrivarci perché a furia di sentire i cosiddetti buoni parlar bene dei ponti e male dei muri e i cosiddetti cattivi parlar bene dei muri e male dei ponti, mi stavo perdendo in questo ribaltamento mediatico del bene e del male, di ponti e di muri, insomma di ragionamenti tutti alla rovescia rispetto a come invece sono sempre andate le cose nella storia. Tipico della confusione attuale, di un mondo sottosopra.

    Per cui, da un lato chi oggi innalza muri e mette cavalli di frisia e filo spinato si sente attaccato (solitamente lo è davvero, non lo “percepisce” soltanto) e si difende. È in posizione passiva, subisce e non aggredisce. Tutt’altro che una bella parte, non certo una bella figura. Vuol dire che, prima, ha commesso degli errori, tanti o pochi. Significa che ha perso l’iniziativa, gioca di rimessa e sta dalla parte di quelli in procinto di essere bastonati dalla storia. Si potrà obiettare che essere invasi è bello, soccombere agli altri è bello e prenderlo in saccoccia è bello. E sappiamo quali fonti ce lo dicono. Però, se per caso non fosse bello prenderlo in saccoccia (per continuare con questo trasparente eufemismo), se guarda caso fosse normale difendersi con questi estremi tentativi di resistenza contro la violenza altrui, allora muri e trincee sarebbero, ahimè, solo un estremo tentativo di difesa su un terreno di battaglia già pregiudicato, dopo scontri finiti in ritirata dietro quei muri e trincee. Brutta faccenda.

    Dall’altro lato, i pacifisti inneggianti ai ponti? Poche idee e ben confuse. Strumenti di conquista bellica come i ponti, costruiti come mezzi di avanzata militare prima ancora che commerciale, spacciati per simboli di conciliazione fraterna. Passaggi strategici per l’aggressione armata e l’assoggettamento territoriale fraintesi come emblemi di pacificazione. Che siano stati anche luoghi “d’incontro”, nessuno lo nega. Ma da Orazio Coclite sul ponte Sublicio ai “red devils” di John Frost sul ponte di Arnhem, chi li ha “incontrati” non li ha trovati proprio pacifici.

    • I pacifisti che inneggiano ai ponti non sono affatto pacifisti bensi’ guerrafondai. Sfascisti. Partono dal presupposto che ci sono due rive, due parti, due avversari che guardandosi in faccia possono essere benevoli o malevoli. Dipende. Ma guai a farglielo notare.

      So di ripetermi, ma la confusione attuale di un mondo sottosopra si combatte con l’umilta’ di rimettersi a studiare il pensiero di uomini e donne molto piu’ acuti di noi che gia’ millenni or sono avevano chiarito concetti come questi, non certo leggendo le fregnacce di altri sciroccati come noi che, non avendo capito niente, pensano di sapere tutto.

      Continuo comunque a vedere il bicchiere mezzo pieno. Il peggio e’ passato, le cose stanno cambiando. Non sara’ facile, ne’ indolore, ma va bene cosi’.

  • Ponti, Muri e poi forse dimentichiamo che la navicella spaziale su cui ci agitiamo è una sfera. Partendo da un punto in una direzione si riviene allo stesso dalle sue spalle. Globalita’ nel rispetto e difesa della diversita’ locali per una societa’ di domani migliore????Tema enorme nelle modalita’ da mettere in atto per costruirla. L’Ecologia Responsabile Globale è forse il punto di partenza, ma sembra che anche il popolo dei giovani al Circo Massimo di Roma durante il recente assembramento non avessero letto e men che mai capito l’Enciclica cosi chiara di Francesco, l’Attuale e il Cantico delle Creature dell’Originale.

    • Si Aldo quello è il problema dei problemi!
      Francesch the Pope oggi ha lanciato attraverso i media un richiamo rispetto alla plastica negli oceani; bene, se ne occupa anche la “religione”, visto che la “politica” tralascia!
      Però all’ultima adunata dei “papaboys” ha fatto seguito un mare di monnezza abbandonata al Circo Massimo……ehm!
      E a questo punto dell’anno abbiamo abbondantemente superato le “disponibilità annuali” che mammaterra ci mette a disposizione e li, non c’è quantitive easing che tenga!!!!
      …….noi, speriamo che ce la caviamo!

    • Greta, 15 anni, svedese. Una ragazzina decisamente sopra le righe: legge, scrive, pensa con la sua testa ed è affetta da sindrome di Asperger. Dopo che in Svezia c’è stata l’estate più calda degli ultimi 262 anni si è decisa a fare lo sciopero della fame finché il global warming non tornerà al centro dell’attenzione. Molte persone si fermano con lei in piazza, parlano di ecologia e di clima, esprimono le loro preoccupazioni, ma anche la politica svedese è tutta orientata verso le agenzie di rating e per il momento rimanda, pensando di passare a fonti di energie pulita entro il 2045, fra 27 anni, quando Greta avrà 42 anni. Se ci sarà ancora, e se noi tutti ci saremo ancora. Sottovalutando il problema questo mondo si scaverà la fossa.

      E lasciamo perdere i papa-boys, no perditempo, qui servono i giovani come Greta.

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