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PIETRO MARTINI

Rapito

Nella notte tra lunedì 17 e martedì 18 settembre, gli zelanti del profeta hanno rapito Pierluigi Maccalli dalla missione di Bomoanga, in Niger. A Crema l’emozione è forte perché Pierluigi Maccalli e dei nostri. Nato a Madignano il 20 maggio 1961, ordinato sacerdote il 15 giugno 1985, appartenente alla nostra diocesi e poi missionario per anni in Costa d’Avorio, da tempo lavora in questa missione di frontiera: scuole, dispensari medici, formazione agricola per il popolo Gourmancé, nel sud-ovest del Niger, in una ventina di villaggi poverissimi distanti tra loro anche sessanta chilometri l’uno dall’altro. Una zona molto pericolosa, proprio per le incursioni jihadiste e i massacri delle bande islamiche provenienti dal Mali e dal Burkina Faso. Pierluigi Maccalli si batteva non solo per risollevare dalla miseria quello che considerava ormai il suo popolo ma anche per contrastare le violenze sulle ragazze e la loro infibulazione o escissione da parte degli integralisti islamici. Ovviamente, essendo un sacerdote, portava insieme al proprio lavoro materiale e al proprio impegno quotidiano anche i conforti religiosi alle dodici piccole comunità cristiane del territorio, sempre più assediate dai terroristi jihadisti. La notizia del rapimento è stata data da Mauro Armanino, missionario a Niamey, capitale del Niger, all’Agenzia Fides. La Procura di Roma ha aperto un fascicolo per sequestro di persona a scopo di terrorismo. L’inchiesta è stata affidata al sostituto procuratore Sergio Colaiocco.

Non sono mai stato in Niger. Ma da qualche anno ho cercato di documentarmi su questi territori. Ad esempio, è interessante la ricerca “Niger – Problematiche sociopolitiche, risorse energetiche e attori internazionali”, contenuta nel volume del Centro Militare di Studi Strategici (Ministero della Difesa) curato da Roberto Cajati e Adriana Piga, uscito nel 2011. Il Niger è un crocevia di contrastanti pressioni internazionali, dove anche il jihadismo entra in un gioco non solo religioso ma soprattutto economico. Parliamo di uranio. E di chi vuole accaparrarselo. L’area subsahariana che comprende queste regioni è ancora sotto influenza francese. È dal Niger o attraverso il Niger che prendono le mosse numerose migrazioni che poi raggiungono le coste mediterranee. E una buona diagnosi sulle cause di certi moti migratori che colpiscono l’Italia l’ho sentita nella parte finale dell’intervista del 16 settembre a Massimiliano Salini su TgCom24.

È presto per conoscere la vera identità dei rapitori del nostro concittadino, i reali motivi del suo rapimento, l’effettivo contesto in cui il fatto è avvenuto. Capiremo forse nei prossimi giorni. E speriamo che tutto si risolva per il meglio. Ma perché questa situazione potrebbe farci riflettere? Almeno per due motivi. Il primo motivo è che sulla stampa italiana si stanno contrapponendo su questo rapimento opinioni molto discordanti. Da un lato, innumerevoli voci che invocano azioni forti contro le persecuzioni islamiche che in tutto il mondo colpiscono i cristiani, così come sta avvenendo con violenza sempre maggiore in queste aree africane, nelle quali, soprattutto tra il Sudan, la Nigeria e le ex-colonie francesi verso l’Atlantico, Boko Haram e altre milizie jihadiste centrafricane imperversano impunite e con ferocia. Dall’altro lato, commenti del tipo: “Chi ha inviato questo signore in zone a rischio? Chiunque vuol fare proselitismo, lo faccia a proprio rischio”; “Tenetelo pure, qui i preti abbondano”; “Ci pensi il suo capo vestito di bianco”; “Invece dei clandestini in Italia, occupatevi della salvaguardia dei vostri sacerdoti”, e altri commenti non riferibili per decenza. Insomma, un dibattito che riprende temi antichi e sollecitazioni recenti, piuttosto interessante.

Il secondo motivo è che ci troviamo di fronte a un uomo e a un comportamento del tutto anomali rispetto all’attuale scenario culturale e antropologico occidentale. Certo, la fede può spiegare questo e altro. Ma cerchiamo per un momento di isolare questa motivazione religiosa soggettiva e osserviamo i fatti oggettivi: un uomo va in posti simili, maledetti dalla natura e dalla storia, armato solo di pochi oggetti simbolici, tra i quali un crocefisso e il vangelo, con saltuari e lontani contatti con la sua organizzazione, tra rischi enormi di malattia, violenza e morte, dove gli agi e le rassicurazioni della nostra civiltà dell’opulenza non esistono. Il tutto senza rumore, in silenzio: quanti di noi a Crema sapevano che Pierluigi Maccalli fosse là? Il tutto con umiltà, spirito di servizio: chi di noi ha visto Pierluigi Maccalli nei salotti televisivi, sulle piazze mediatiche, a ostentare amor del prossimo e impegno sociale? Come spiegare questa anomalia umana, ben al di là del fatto vocazionale, religioso, missionario? Come spiegare, in un’epoca come la nostra, in una società come quella attuale, un uomo, un comportamento, un coraggio, una forza simili?

PIETRO MARTINI

18 Set 2018 in Attualità

14 commenti

Commenti

  • Pietro, giusto rifletterci sopra, doveroso porsi queste domande, ma certo non si possono trovare spiegazioni in ambito “razionale” rispetto a comportamenti che muovono da spinte che trovano la loro origine fuori dall’ambito razionale, magari utilitaristico, magari egoistico; ambiti ai quali si uniformano i comportamenti della stragrande maggioranza del “popolo telvisiv/social/mediatico” nel quale (spesso a ….nostra insaputa!) siamo immersi.
    Credo ci siano poi da mettere in conto anche “vocazioni al martirio” che comunque vanno solo accettate e rispettate quali possibili componenti del persorso di vita di una persona.
    Cmq, ogni augurio di bene per il caro Pierluigi!

  • Ragazzi: chi va all’inferno sa che prima o poi si brucerà la coda.
    Quotidianamente “viaggiatori” in zone a rischio vengono rapiti per estorcere soldi, non è una notizia, e perciò non mi sembra il caso di scomodare la politica, la sociologia o la religione.

    La domanda invece è: chi pagherà il riscatto, il Vaticano o lo Stato Italiano?
    Non mi risulta che i missionari (o volontari a vario titolo) tedeschi, francesi, norvegesi, americani, eccetera, vengano “riscattati” dagli Stati. Molti dei quali, anzi, prima della “partenza missionaria” richiedono una declaratoria il cui il soggetto dichiara che fa ciò che fa a suo rischio e pericolo. Storicamente, solo gli italiani sono dei “buoni pagatori”. Lo sanno in tutto il mondo. Non a caso in Libia rapivano i dipendenti dell’Agip, non quelli di Total.

  • Non ho sufficienti competenze biomediche, Francesco, per distinguere nelle azioni di un appartenente alla nostra specie delle specificità psichiche ascrivibili alle definizioni concettuali di un comportamento “razionale” o “irrazionale”. So solo che le neuroscienze faticano persino a distinguere il fisiologico dal patologico nei flussi neuronali e che di conseguenza i fenomeni comportamentali possono essere meglio osservati in termini scientifici cercando di utilizzare soprattutto modalità comparative. La “spiegazione” non si risolve quindi solo con riferimenti di tipo etico, sociologico, in questo caso religioso.

    Una scelta come quella di Pierluigi Maccalli, che è una scelta di vita molto forte e direi opposta, per rischio e sacrificio, a quella della maggior parte di noi, implica qualcosa che mi porta dunque a riflettere sulle nostre differenze e sulle relative ragioni. Si tratta di un sacerdote ma anche diversi medici e operatori umanitari agiscono in condizioni così estreme, con comportamenti davvero opposti a quelli di chi vive nel nostro contesto sociale così rassicurante. I viaggiatori e i turisti non c’entrano, come non c’entrano le motivazioni di chi corre rischi per se’ e non per gli altri, per diporto e non per missione.

    Una prima caratteristica saliente mi pare quella del coraggio. Comunque la si pensi, che si sia un Lope de Aguirre, un Rodrigo Mendoza o un Daniele Comboni, religiosi o non religiosi, laici o sacerdoti, a vivere in quei posti e a fare quello che sta facendo Pierluigi Maccalli ci vuole un coraggio incredibile, anche se abbinato a grande umiltà. E nella nostra società i coraggiosi sono pochissimi e spesso finti. Una seconda caratteristica mi pare quella della verità. In un’epoca in cui la post-verità si è affermata come regola, in cui tutto è fake purché sia smart, l’essere convinti di una “verità vera” munisce di notevole forza e determinazione. Una terza caratteristica mi pare quella della capacità di soffrire. In una società in cui la soglia del dolore fisico e mentale è ormai bassissima, questa dote può fare la differenza proprio in contesti in cui la maggior parte di noi soccomberebbe per debolezza e disperazione. Ma questi sono solo alcuni spunti sulla questione.

  • La tua domanda, Rita, su chi pagherà il riscatto è molto importante in termini economici e anche politici e sociologici, visto che, come tu giustamente dici, noi italiani abbiamo fama, da circa un secolo, di essere buoni pagatori di riscatti.
    Mi permettevo invece di pormi domande diverse su questa vera e propria “divergenza” costituita oggi dai comportamenti di persone che condividono il nostro patrimonio genetico ma seguono comportamenti diametralmente opposti a quelli di tutti noi, con modalità in netta contraddizione rispetto ai nostri abituali stili di vita, improntati a una continua esigenza di sicurezza, comodità, piacevolezza, assenza totale di dolore, rischio, anche solo fastidio. E questo non tanto riguardo alle loro motivazioni etiche, politiche o religiose, posto che le medesime vengono quotidianamente esibite e ostentate da ben più numerose masse di persone ben rassicurate e rimpannucciate (quindi il punto non è quello), quanto invece riguardo alle caratteristiche umane che si riscontrano in chi opera scelte così forti, coraggiose e divergenti rispetto all’attuale chewing-gum sociale, rispetto alla società liquida, fluida e inconsistente in cui viviamo.
    Poi, è chiaro, resta il fatto del sequestro di un nostro conterraneo ad opera di banditi, sul quale diverse potrebbero essere le ulteriori riflessioni e considerazioni.

    • Sono d’accordo, Pietro, sul fatto che una persona intimamente convinta di avere la “verità vera” in tasca sia disposta persino ad andare sulla Luna a piedi per poi tornare indietro a volo d’angelo e senza paracadute. Volere è potere, questo è risaputo. Ho seri dubbi, invece circa i rischi che alcuni “correrebbero per gli altri e non per sé”. Tutte, ma proprio tutte le cosiddette “azioni a fin di bene” muovono da un profondo e spesso inavvertito bisogno personale, sebbene finiscano per sortire effetti benefici sul prossimo. Salviamo gli altri per salvare noi stessi, l’argomento è stato scandagliato nei minimi termini dagli psicanalisti del secolo scorso.

      Non sono neppure tanto sicura che le nostre azioni siano improntate “a una continua esigenza di sicurezza, comodità, piacevolezza, assenza totale di dolore, rischio, anche solo fastidio”. Mi sembra, anzi, che negli ultimi anni soprattutto i giovanissimi (gli adulti si dedicano agli sport estremi) stiano dimostrando l’esatto contrario. Il loro gioco preferito è quello di sfidare la morte: dal buttarsi giù dal balcone allo sdraiarsi sui binari del treno, dal bungee jumping allo stringersi una corda al collo, fino a vaporizzare del liquido flambé sul braccio per poi dargli fuoco. Niente di nuovo sotto il sole, intendiamoci, è la vecchia storia del “soffrire per crescere”, un tempo si sarebbe detto “morire per rinascere”. Le pitture rupestri paleolitiche dell’Europa sudoccidentale e dell’Africa meridionale sono piene zeppe di sciamani che ricercano sensazioni fisiche «forti» procurandosi punture dolorose e perforazioni, o infliggendosi morsi e pugnalate. Non si trattava di folli masochisti, le «torture» e le sensazioni «pungenti» causate da spine o frecce non erano mai fini a se stesse bensì il mezzo per acquistare una “benefica potenza”. Oggi, definiremmo un tale stato “raggiungimento della pienezza del Sé”. L’autoflagellazione mistica, troppo cruenta per il mondo asettico e ospedalizzato in cui viviamo, è stata sostituita dalla scelta molto più soft di sfidare “situazioni di pericolo”. Ma la sostanza non cambia: in entrambi i casi si tratta di un vero e proprio percorso spirituale che, ovviamente, quando arriva il San Bernardo con la botticella al collo (che in quest’epoca prosaica non è piena di cognac ma di soldoni), s’interrompe di colpo.

    • I comportamenti da te indicati, Rita, soprattutto da parte di alcuni adolescenti e in certi ambiti, ci sono e in molti han cercato di spiegarli. Sulla psicanalisi novecentesca non saprei. Mi sembra però che nel complesso, almeno nelle società attuali come la nostra, prevalga un’assuefazione e, laddove ancora mancante, una tendenza alla vita comoda, piacevole e disimpegnata, con sempre maggiore difficoltà ad accettare situazioni di dolore e pericolo, due cose che vengono evitate forse oltre i normali livelli di difesa biologica derivati geneticamente. Il che non è positivo o negativo. Nessun rilievo etico. Solo una constatazione. Per questo, certi comportamenti antitetici a quelli di massa, con assunzione di sofferenze e di rischi anche mortali, possono indurci a chiederci il loro perché, soprattutto cercando di capirne i motivi formativi, i connotati salienti, gli elementi di diversità rispetto alle maggioranze indifferenti e omologate a una quotidianità sempre più rassicurante.
      Comprendere le leve che muovono questa motivazione e questo spirito sarebbe interessante, che si tratti di vocazione religiosa, impegno civile o ragioni d’altro tipo, tutti elementi che vedrei più tra gli effetti che tra le cause di comportamenti umani così diversi da quelli delle masse. Oggi ne rimangono pochi di profili comportamentali così. I missionari, e tra questi Pierluigi Maccalli, sono tra i pochi esseri umani a portarne ancora esempio. Il suo rapimento potrebbe inscriversi nella logica della richiesta di riscatto. Quella è gente che si ammanta di scuse religiose ma in realtà si tratta di venali banditi (una forza selezionata di professionisti militari basterebbe a decimarli e farli tornare alle loro capre). Ma oltre a questo motivo, ho l’impressione che siano proprio questi uomini, così diversi dai sazi e dai torpidi che formano le nostre maggioranze indifferenti, ad essere l’ultimo ostacolo alla bestialità e all’orrore che quei banditi vogliono affermare anche in Africa.

  • Testimone visibile della tradizione Cristiana…
    Avrà incontrato consapevolezza per il “Vale la pena “di una scelta cosi…
    Non capita a tutti.

    • Sì, è su questo “vale la pena” che il discorso andrebbe sviluppato. Su quel qualcosa che fa la differenza e muove questa forza. Che certamente non capita a tutti.

  • P.S.
    Un sentito grazie ai testimoni “Invisibili” della tradizione Cristiana.

  • Testimoni… invisibili, uomini… coraggiosi che sfidano il mainstream dei salotti buoni dell’Europa (di destra e di sinistra), uomini che operano nel… silenzio (giusto come i nostri uomini politici – da Berlusconi a Renzi fino a Di Maio – che ci hanno inondato e ci inondano di “narrazioni” non stop, un fiume di parole nelle piazze e per le piazze).

    E’ vero: sono scelte di vita che ci provocano, mettono in discussione i nostri stili di vita, il nostro perbenismo, il nostro naufragare nelle chiacchiere dei social, le nostre bandiere che ogni giorno impugniamo come certezze assolute.

    Padre Pierluigi opera “con umiltà” a favore degli ultimi della Terra, in un Paese da cui arrivano in massa in Europa tanti giovani che noi, dall’altro del nostro benessere, bolliamo come sfaccendati che pretendono solo di essere mantenuti da noi.

  • Sì, Piero, hai ragione: sono scelte di vita che fanno riflettere. E i confronti assumono valore proprio per questo. Rispetto alle notizie dell’altro ieri pomeriggio, quando ho inviato il post, qualcosa di più preciso sta emergendo su questa vicenda. Molte fonti trattano ormai diffusamente della situazione. I contatti in corso sono mantenuti con la doverosa riservatezza. Al momento non è dato veramente sapere se Pierluigi Maccalli sia ancora vivo oppure no. Una notizia di ieri sera farebbe propendere per la possibilità che sia ancora in vita ed è stata ripresa dalle agenzie e dai telegiornali. Vedremo. Stiamo quindi parlando di una persona di cui non sappiamo se sia ancora tra noi oppure no. Per questo, sarebbe inopportuno insistere troppo da parte mia su quella che potrebbe sembrare una fenomenologia del comportamento missionario in quanto tale. Per motivi di rispetto. Ma quanto detto sinora porta a un impietoso confronto tra le scelte di vita di persone come lui e molti comportamenti sociali che i media riferiscono giornalmente.
    Viene spontaneo, Piero, chiedersi da quali famiglie provengano, quale educazione abbiano ricevuto, quali percorsi scolastici e formativi abbiano seguito, quali esperienze professionali e umane abbiano scelto di vivere questi missionari coraggiosi. Nel contempo, quali famiglie, educazioni, scuole, esperienze stiano alle spalle della maggior parte dei giovani di oggi, quindi degli adulti di domani. Siamo pieni di bravissimi ragazzi, educati, studiosi, laboriosi, impegnati a migliorare il mondo. Ma siamo anche pieni di vagabondi che non studiano e non lavorano, di oligofrenici del selfie e di ipercinetici delle chat, di cretini che si ammazzano saltando da un balcone all’altro a decine di metri di altezza, di psicolabili che nottetempo scardinano lucchetti per arrampicarsi su edifici di molti piani e finire poi nei condotti di servizio oppure per manomettere impianti e rovesciarsi addosso macchine operatrici che non sanno guidare, tutte cose che ben poco hanno a che vedere con i riti di iniziazione tradizionali (offenderemmo i Kung e ai Boscimani a paragonarli a questi sbarellati). I loro genitori poi “chiedono giustizia”. Ma dovrebbe essere il contrario, dovrebbe essere la società civile a “chiedere giustizia” ai loro genitori e insegnanti.
    Ogni frutto deriva da una radice e da un tronco, da una famiglia e da una scuola, che danno il proprio coerente risultato.

  • E’ vero, Pietro: una grande responsabilità l’abbiamo anche noi genitori.
    E’ vero che oggi non è il tempo che ciascuno si assuma le proprie responsabilità perché tutti accusano tutti (è il vento che tira in questa direzione), perché si rivendicano “diritti” ma senza “doveri”, si difendono i figli contro i professori perché per principio i figli hanno sempre ragione, ma sarebbe ora che un po’ tutti ci facciamo l’autocritica.
    Leggo con piacere su La Repubblica un’intervista di un genitore di Bologna (una nota a margine: ha sposato una giovane cremasca) che, nel suo ruolo di presidente del Consiglio di istituto, sta svolgendo il ruolo di “tutor” degli stessi genitori delle prime (Liceo), un ruolo (che si inserisce in un progetto più ampio elaborato dal dirigente, da poco scomparso) credo prezioso: chissà che sia l’inizio, che il modello del Liceo di Bologna sia replicato in tutte le scuole, che i genitori incomincino ad assumersi il ruolo di “genitori”, di “educatori”, di “formatori” perché i ragazzi hanno bisogno di punti di riferimento solidi in assenza dei quali rimangono preda dei social.

  • La strana, molto strana vicenda di Silvia Romano, ora Aisha, liberata dopo 18 mesi, mi ha fatto pensare alle altre drammatiche vicende dei sacerdoti cattolici ancora prigionieri dei criminali islamici o già uccisi da loro, da Paolo Dall’Oglio a Pierluigi Maccalli.
    Si tratta di un fenomeno storico plurisecolare e oggi ignorato. L’abitudine a sequestrare e poi, molto spesso, ad assassinare gli ostaggi cattolici è da molto tempo diffusa e praticata dai tagliagole islamici.
    Negli ultimi decenni la Chiesa cattolica ha preferito tenere sotto traccia queste situazioni, per ragioni non sempre chiarissime, mentre in passato ben diverse erano le reazioni dei pontefici nei confronti dei delinquenti islamici che operavano questi rapimenti. Basti pensare, dopo secoli di sequestri, uccisioni e conversioni forzate da parte dei musulmani, alla nascita e all’azione degli Ordini dei Trinitari e dei Mercedari, i cui membri si impegnavano a riscattare i prigionieri cristiani, con la raccolta di elemosine o anche offrendosi di sostituirli oppure, sia pure in modo non ufficiale, con altre attività “sul campo”. Una storia ricca di episodi eroici, fino al martirio.
    È normale, per noi cremaschi, pensare in questi momenti al nostro padre Luigi Maccalli.
    La speranza che sia ancora vivo pare maggiore di quella riferita a padre Paolo Dall’Oglio, sulla cui sorte le previsioni sembrerebbero più pessimistiche.
    Speriamo che il nostro sacerdote venga presto liberato. E di poterlo riabbracciare chiamandolo ancora Gigi e non Karim o Rashid.
    Ma credo che lui difficilmente si convertirà.

  • Pierluigi Maccalli è stato liberato ieri, dopo più di due anni di prigionia. Era stato infatti aggredito e sequestrato nella notte tra il 17 e il 18 settembre 2018 dai delinquenti islamici.
    Tornerà presto tra di noi. I cittadini di Crema e di Madignano lo accoglieranno con tutto l’affetto che merita.
    Non sono ancora noti i dettagli dell’operazione che ha portato alla sua liberazione e quali siano state le contropartite messe in campo. Del resto, certi particolari resteranno probabilmente riservati anche in futuro.
    Si ipotizza la scarcerazione di criminali musulmani in cambio della sua liberazione e di quelle dell’altro italiano Nicola Chiacchio, della cooperante francese Sophie Pétronin e di Soumalia CIssé, politico del Mali.
    In ogni caso, anche se ci sarà a piede libero qualche farabutto maomettano in più, questo non toglierà valore all’importanza della liberazione di “Padre Gigi”, come ormai è stato chiamato dalla gente cremasca.
    Chi è credente crederà di aver creduto e pregato in modo positivo.
    Chi si interessa di servizi segreti cercherà di capire le dinamiche e le trattative effettivamente svolte.
    Chi ha in testa solo i soldi tenterà di ipotizzare il costo di questa liberazione.
    Non importa.
    Quello che più conta sarà che i cremaschi e i madignanesi abbiano riavuto il loro conterraneo. E che gli italiani abbiano oggi un connazionale in meno tenuto prigioniero dai banditi islamici.

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