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ADRIANO TANGO

La sacralità domestica

“Legittima difesa, il Senato approva la nuova legge. Con la nuova modifica dell’art. 52 del Codice penale…”. Riprendo titolo e sottotitolo dalla stampa nazionale. E invado ancora la politica perché la questione è innanzitutto etica e di costume. Il passaggio al Senato appena varcato, ha dissolto le opposizioni interne della maggioranza parlamentare favorevole, variamente assemblata fra governo e opposizioni, ma già si grida alla restaurazione del costume Far West, e questo era prevedibile, in parte condivisibile, se la cosa si trasforma in una corsa ad armarsi. Evitare ciò tuttavia compete agli organi di controllo più che al legislatore.

Ora, chi mi stia leggendo, si chiederà come, proprio io, quello che si schiera sempre a favore delle finestre aperte perché i vicini ci spiino nell’interesse superiore della sicurezza, quello favorevole alle telecamere stile grande fratello, possa trovare che le motivazioni in risposta, già anticipate dal disegno di legge passato al primo step, siano insufficienti! Già, perché, che vuol dire l’espressione “giustificazione legata al «turbamento» e «all’intrusione notturna» nelle case? Secondo la mia visione etica il principio ispiratore va ribaltato rispetto alle susseguenti giustificazioni legislative: casa mia, la home, non è un’house qualsiasi, con una distinzione anglosassone fondamentale, che neanche il concetto di domus romana rispecchia. Da bambino, in visita con genitori alle home di  amici di famiglia, mi divertivo a chiudere gli occhi e raffigurare ambiente e cartellino sotto il campanello dagli aromi: unici come un’impronta digitale, strutturali e acquisiti nel tempo a partire dal tipo di alimentazione e cucina o detersivi usati, arredi, fino alla pelle stessa dei suoi “animatori”, non semplici abitatori; quasi indelebili, cancellabili forse dopo una tinteggiatura e un cambio di arredi, ma qualcosa sicuramente resta anche così. È quindi in prima istanza un luogo non contaminabile da presenze esterne non volute, sito individuale o familiare che sia, la cui soglia non può varcare nessuno non atteso, sia che  venga per rubare, vendere qualcosa, o semplicemente per una sorta di eccesso di confidenzialità. Ne consegue la legittimità di allontanamento coatto allo stesso modo di chi si presenti in Chiesa esibendo abiti o comportamenti irriverenti al luogo, e, in caso di manifestazioni, attuate o presunte, di dolo su persone o cose, ogni reazione è lecita, perché Casa propria nulla ha a che vedere, in senso intimistico, con qualsiasi altro sito del mondo, indipendentemente dalle intenzioni del violatore, dal buio o luce o altra circostanza in cui ciò accada. Circa poi la mia perenne critica all’eccesso di privacy, non intendo che sia legittimo fotografarmi attraverso le finestre aperte o dar diffusione pubblica ai miei comportamenti, né spiarmi con concupiscenza, ma solo che in un villaggio realmente globale, quale ormai siamo, la sicurezza comune passa innanzitutto attraverso la tutela crociata fra vicini o passanti occasionali; poi interverranno, se e quando allertate, grazie a questo fondamentale meccanismo, le forze dell’ordine. Non mi dite che non sapete di fatti criminosi, anche a Crema, anche potenzialmente sanguinari, sventati così! E questo tipo di certezza estende le proprie garanzie non solo verso le aggressioni, ma anche nella tutela contro le tragedie domestiche, spesso rese possibili dall’indifferenza pubblica.

Atteggiamento dissociativo? Commentate anche aspramente: a me sembra l’unica via etica e di buon senso, per cui questa legge in transito rappresenta solo un aspetto particolare di una visione più ampia, da sostituire a quella che considero archiviabile nel passato, e che nella sua ritrosia e allarmismo per fortuna incomincia a incrinarsi.

ADRIANO TANGO

29 Ott 2018 in Politica

20 commenti

Commenti

  • Bello il concetto di sacralità domestica, Adriano. Mi sembra un modo valido di porre la questione. Certo, sappiamo come la pensano gli elogiatori della tolleranza a rischio altrui: già ci dicono che molti diletti fratelli delinquenti, poverini, la casa non ce l’hanno, per quello fanno effrazione in quella altrui; che molti, poveretti, rubano per sfamarsi, per ribellione all’avverso destino, per non soccombere al fato crudele; che molti, poveracci, delinquono per colpa della società, del sistema, dell’infanzia infelice, delle crisi adolescenziali, dell’ingiustizia capitalista, della mamma battona (poverina pure lei), della guerra a casa loro, del razzismo a casa nostra, delle conquiste coloniali (quelle sempre: da mezzo secolo è il prezzemolo giustificazionista dei conciliar-sessantottini), della sconfitta con la Corea ai mondiali del sessantasei.

    Che la recente proposta del governo sia scritta male e spiegata peggio, non stupisce proprio, visto il governo che la propone. Se c’era un modo per confondere le idee, era prevedibile che questi vagabondi lo trovassero e lo adottassero. Ma resta il fatto positivo che, finalmente, a preoccuparsi di andare in galera possa essere chi aggredisce, non chi è aggredito. Che a risarcir quattrini possa essere chi esercita violenza, non chi la subisce. Che la foglia di fico della “proporzionalità” smetta di essere utilizzata (in origine, il concetto era giuridicamente ineccepibile) per capovolgere sia il diritto, sia la logica.

    Gli oppositori del provvedimento dicono adesso che, con un’arma in casa, diventa più facile ammazzare la moglie. Allora, è meglio farsi prima ammazzare dai rapinatori, visto che noi italiani, birbe birbe, siamo tutti uxoricidi? Perbacco, che sagaci polemisti. Poi, dicono che dietro c’è la lobby delle armi, c’è il business dei tiri a segno. Tutti lupi cattivi, contro i poveri delinquenti cappuccetti rossi. È poi partita l’opera di ridicolizzazione dei possessori di armi. Bambinoni, complessati, ovviamente fascisti. Il famoso prolungamento maschile. Una discussione che, come sempre, non riesce a restare concreta, sul piano operativo, serve o non serve, funziona o non funziona. No, il dibbbattito (tre bi) è ideologico, contrapponendo non le soluzioni ma le Weltanschauung. Tutti filosofi del calibro, sociologi del caricatore, teologi della canna rigata.

  • Caro Adriano, non è che ….l’hai messa giù facile è?
    Ti ho letto e riletto e (senza dubio in ciò non facilitato dal mio approccio da “ingegnere meccanicoconlemanisporchedigrasso” ho faticato non poco a trarre le conclusioni circa il tuo possibile comportamento operativo, laddove ti trovassi «in condizioni di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto».
    Che è poi la domanda che ho posto più volte anche a me stesso, dopo che (allora abitavo al terzo piano di un condominio) da solo , chiuso nel mio appartamento presidiato da una porta blindata e da finestre di ….”terzo piano”, nudo in doccia, alle 4 del pomeriggio, ho udito con chiarezza rumori di pesante rovistamento provenienti, senza possibilità di dubbio, dell’interno!
    L’acqua che mi scrosciava sulla faccia mi ha indotto ad escludere il sogno in atto!
    Infilato l’accappatoio ho fatto volutamente parecchio fracasso anch’io, rallentando nel contempo la mia azione per dare il tempo a chi si era introdotto ( ma da dove?) in casa mia, di andarsene da dove era venuto.
    Lui, per mia fortuna, sentendo rumore in una casa che riteneva vuota, si era dato alla fuga, prima verso la porta (blindata, inattaccabile) lasciando una vistosa manata nera sulla parete chiara, per poi ributtarsi al balconcino da quale, scavalcando (terzo piano)dal balcone del vicino, si era introdotto.
    Sempre in accappatoio, ho guardato dallo spioncino della porta, blindata, e ho visto per un istante la sua sagoma che passava verso l’ascensore che ho sentito subito partire ( ho visto poi, verso il piano seminterrato).
    Sono uscito sul pianerottolo e guardando giù dalla tromba delle scale, l’ho visto precipitarsi fuori al seminterrato, in fuga.
    Nè io nè lui ci siamo comportati propriamente da ….eroi! Risultato: il vicino (scassinando la porta non blindata del quale, il ladro era entrato dal pianertìottolo di terzo piano) ha potuto ritrovare la sua argenteria ammucchiata in un sacco, perchè nella fuga precipitosa il ladro l’aveva abbandonata, ed io (da me aveva solo sporcato!) mi sono tenuto in corpo per parecchio la diffidenza, la insicurezza di essere comunque “attaccabile” anche dalle finestre di terzo piano.
    Avevo una pistola (allora ero iscritto ed andavo a sparare al tiro a segno) e fortunatamente, in quella contingenza, il mio approccio “antieroico”, da buon senso pacifico, di limitare i danni, ha prevalso sulla possibile idea (che prorpio non mi è venuta) di usare l’arma.
    Rivivendo più volte col pensiero quell’accadimento, mi sono fatto la convinzione di essermi comportato nel migliore dei modi, limitando al massimo i danni, economici (invero inesistenti) e psicologici (quelli esistente e persistenti, per qualche mesetto!) per me stesso, ovviamente!
    Conclusione: mi piace assai, anche e soprattutto alla luce del’esperienza da me vissuta, la tua conclusione: “….questa legge in transito rappresenta solo un aspetto particolare di una visione più ampia, da sostituire a quella che considero archiviabile nel passato, e che nella sua ritrosia e allarmismo per fortuna incomincia a incrinarsi…..” maaaa, in quanti siamo a pensarla così, amico mio?!? (mica tanti, credo prorpio!)

  • Poverino, ha avuto un’infanzia difficile. Quante volte ladri e criminali se la sono sfangata con il supporto del progressismo piangente e di pessime leggi. E se per disgrazia, scappando a gambe levate, si beccavano una legnata in testa o un pallino nel sedere, l’aggredito doveva persino risarcire l’aggressore. Era il sintomo di mondo a rovescio in via di estinzione.

    Ora si cambia e gli oppositori del provvedimento sono i soliti noti, ormai assurti al ruolo di paladini dell’illegalità. Sono quelli che la globalizzazione (“governata”, parola magica) può diventare l’internazionalismo realizzato, il meticciato sarà in futuro la società senza classi, il consumismo è la distribuzione della ricchezza, il precariato è un’opportunità, il sindaco che fa sparire i soldi pubblici è un missionario, se una banda di clandestini neri distrugge un’adolescente io ti organizzo un corteo antirazzista e canto “o bella ciao”.

    Ci sarà pure un motivo se ovunque nel mondo i cittadini onesti non sopportano più questi invasati. E’ gente che non conosce la vergogna, che ha il coraggio di twittare “l’unica lobby che va bene all’esecutivo è quella delle #armi”. La lobby che va bene a loro, invece, è quella dei sistemi antifurto. Tra porte blindate, installazione di sistemi di allarme, sbarre alle finestre e droni, gli italiani hanno speso l’anno scorso oltre 18 miliardi di euro. Ci stava dentro mezza finanziaria. Senza contare che nessuno è più sicuro da nessuna parte, neppure in casa propria. Da quando si dice che il mondo è libero, siamo in gabbia. Ci siamo persi qualcosa?

    Poco convincente anche il paragone con l’America che una certa Italia ha la tendenza a fare. Gli americani, è noto, hanno sempre avuto il grilletto facile. Sappiamo da quale “ceppo” provengono. Se un numero crescente di persone laggiù si rende protagonista di sanguinose sparatorie non è perché può comprare le armi al supermercato, ma perché è fuori di testa. Se costoro non avessero il fucile, userebbero un coltello o un martello per colpire l’odiato prossimo. Il problema è a monte: c’è una società intera da curare, armata o disarmata che sia.

  • Tutto sommato trovo consensi sul mio approccio critico, nella somma favorevole, nei modi dubbioso, alla legge.
    L’esperienza di Franco è comunissima, e si è comportato da uomo saggio. Perché vedete, non è affatto vero che il rapinatore tipo sia un sanguinario: sei professionisti quai sono pianificano cercano un bilanci minor rischio maggior profitto. In altre parole scansano le grane e i pericoli, quindi basta fare bau-bau, raramente bisogna mordere, e di fronte a tanti bau-bau cambieranno strategia. Più complesso il senso dell’ammonimento “fatti i fatti altrui e non ti curar della riservatezza”. Noi abitatori di vi Diaz l’abbiamo adottata, liti coniugali a parte, e le chiamate a vuoto della polizia sono all’ordine del giorno: una sera tardi addirittura per i rumori di una macchinina telecomandata che sembravano quelli di un trapano seguiti da colpi sulla barriera da infrangere. Bene, ci hanno sempre detto grazie, e siccome chi delinque ha osservatori di ispezione e informatori, vedere la polizia all’opera fa sempre bene.
    Ma se temiamo che l’ennesima lite fra i coniugi Rossi possa degenerare, che facciamo?
    Non certo i fatti nostri, dico io, magari una segnalazione per turbativa della quiete, in assenza di accuse verificabili, assenzi, magari allo stato nemmeno di cattive intenzioni. Eppure i disastri succedono sì per raptus più che per premeditazione, ma anche per indifferenza, che, per me, rende chi sospetta una brutta conclusione è reso, eticamente, se non formalmente, correo

  • In realtà, le violazioni di domicilio, le rapine a mano armata, le percosse e lesioni, gli stupri, i danneggiamenti vandalici e gli altri reati commessi in simili occasioni sono caratterizzati da situazioni tra loro piuttosto differenti. Possono infatti essere attuati da un numero molto variabile di delinquenti attivi; presentano modalità di esecuzione di diversa professionalità criminale e di variabile capacità di autocontrollo da parte dei malviventi; avvengono in orari e circostanze che incidono notevolmente sulle dinamiche comportamentali dopo l’effrazione. Di conseguenza, si verificano conseguenze pregiudizievoli che possono essere parecchio differenti, quanto a invasività, gravità e offesa fisica al nucleo familiare violato.

    Per cui, occorre sapere bene, preventivamente, quale tipo di risposta scegliere, quale livello di resistenza si può opporre, senza farsi troppe illusioni ma nemmeno senza rinunciare a priori a proteggere la propria famiglia e la propria casa. L’importante è sapere che le possibilità sono molto varie. Ti può arrivare una mezza dozzina di criminali di quelli con cui c’è poco da fare e allora chi è credente preghi; oppure puoi trovarti il ladruncolo sfigato che scappa se ti metti a fischiettare l’Aida. Dai dati a disposizione, pare che la maggioranza dei casi di effrazione e rapina stia nel mezzo. Il che ci porta al punto della questione. Perché è dove non sei di fronte alla banda della Magliana ma neanche a Babukàr Balabiòt (che mentre lo lasci scappare gli tiri anche una monetina) che ha senso ipotizzare possibili comportamenti di contrasto, a patto di prepararsi bene.

    L’attuale vacuità di molti discorsi sulle armi non ancorati alla concretezza delle cose e dei fatti appare quindi evidente. Un’arma può avere qualche utilità oppure diventare addirittura controproducente a seconda della situazione. Questo riguardo all’utilizzo di armi. Invece, la modifica degli articoli del codice attiene a un piano giuridico non separato, di fatto, da tale questione ma concettualmente ben distinto. In un caso, conta che cosa il giudice decide. In un altro, conta che cosa il potenziale offeso ritiene di poter effettivamente fare.

    • Giustissimo e brillante come sempre Pietro. Penso di avere le idee chiare, e quindi ti rispondo con cognizione di causa: il 30 % scarso di rapinatori è rappresentato da potenziali sanguinari, anche per propensione psichica. fortunatamente sono i più pericolosi ma spesso, per congenita asocialità, dei lupi solitari, come quello giunto a Crema in via Viviani a casa di un’anziana signora (ho segnalato alle forze dell’ordine che ero giunto alla conclusione che si trattava di un personaggio già attore di omicidio in Toscana, se ben ricordo, ma non so a quanto sia servito). Bene, i quella situazione hanno fatto i vicini la differenza, e, giunte le forze del’ordine su motivato sospetto di quanto stava accadendo, si dette alla fuga sulle sponde del Serio. E in questa situazione il ruolo della Comunità è la vera unica forza difensiva. Ma che, abbiamo paura a suonare un campanello nel dubbio? Al massimo poi ritirandoci lontano in sicurezza e facendo ostentatamente la chiamata dal cell. Potremmo interrompere stupro e omicidio, pensiamoci. Per gli altri, le mezze tacche, una pistola elettrica è l’ideale, anche se sono in numero multiplo: non è un’automatica, ma un forte dissuasore, se uno è a terra, per i passamontagna o calza di seta fai da te. Inoltre quell’arma anche in caso di lite trascendente in famiglia, solo eccezionalmente fa il morto. Troppo da guadagnarci per non largheggiare nella distribuzione, e restringere su quelle da fuoco. Per il resto, ribadisco, sorveglianza crociata, perché il lupo solitario o la banda di aguzzini difficilmente rinunceranno al piacere di far del male.

  • Grazie, Adriano. Condivido in pieno. Soprattutto l’importanza di una rete di collaborazione tra vicini, cosa del resto già piuttosto diffusa in diversi paesi esteri. Il tuo modo di porre la questione mi sembra molto corretto e ben diverso dall’approccio ideologico che sta caratterizzando l’attuale discussione politica e molti interventi sui media. Personalmente, aggiungerei che, volendo andare a fondo della faccenda, si scoprirebbe che già oggi molti comprano e denunciano armi da fuoco ma pochi riescono a combinarci qualcosa di effettivo nei confronti del criminale di turno. Insomma, siamo al solito dibattito sui massimi sistemi invece che sull’analisi dei fatti reali.

    Sulle armi, dalla clava al kalashnikov, sui portatori di armi e sugli scomunicatori di armi, la letteratura è sconfinata e intere biblioteche non basterebbero a darne minimo conto. Per cui, in proposito, qualsiasi discussione di carattere filosofico, etico, concettuale o giù di lì rischia di risolversi in diatribe senza costrutto e senza esito. Invece, su un piano pragmatico, empirico e concreto, un discorso non sulla “correttezza” teoretica dell’uso delle armi ma sulla loro effettiva “utilità” pratica potrebbe forse essere tentato. Ad esempio, proprio in riferimento al tema da te proposto. Infatti, fermo restando il rilievo giuridico delle modifiche alla nostra normativa sulla legittima difesa, resta tutto da discutere il senso di un utilizzo reale di armi da difesa in caso di determinati crimini, quali quelli collegati a tali modifiche.

    Ad esempio, escludendo le armi bianche lunghe o corte e le armi improprie, concentrandosi quindi sulle armi da fuoco, soprattutto su quelle corte, cioè pistole e revolver, che rispetto a quelle lunghe presentano maggiori opportunità di maneggevolezza in caso di violazione domestica (anche se molti la pensano, su questo punto, diversamente), la domanda da porsi sarebbe: una volta acquistate e denunciate, quale sarà la loro utilità effettiva nel contrasto alle aggressioni?

    • Personalmente, non ne faccio affatto una questione di armi.
      Qui c’è da decidere se “posso” difendermi nel caso in cui qualcuno entra non invitato in casa mia. Anche usando il mattarello, o una sedia, o la prima cosa che mi capita in mano. E, secondo me, la risposta è : SI. Non c’é alcun bisogno che il giudice Pinco Pallino, il quale al proposito avrà senz’altro le sue opinioni, le esprima per dire se ho fatto bene o male ad agire. La difesa, purché sia difesa, è sempre legittima.

    • La domanda presuppone un’analisi di capacità pratiche (io, Franco abbiamo frequentato poligoni di tiro, ma entrambe innanzitutto diamo una via di fuga all’intruso). Poi l’analisi della situazione: tutto cambia se è uno o più di uno, se ha un palo “fuori”…
      Insito per la pistola elettrica, che uno contro uno, se non è una belva l’avversario e se non ha armi potenti, può fare la differenza. recentemente si è parlato di banditi multipli mesi in fuga semplicemente con conoscenze di armi marziali da un singolo abitatore. Non siamo così disarmati e al buio abbiamo il vantaggio della conoscenza del campo di scontro, che pur resta sempre da evitare, ma vorrei che nel frangente fosse l’indignazione ad animarci, non il terrore.
      Si potrebbero fare dei corsi di difesa domestica in collaborazione con agenti pensionati, invece i tante chiacchiere. pensiamoci!

    • Non dirmi che quando ti trovi in casa uno sconosciuto stai a chiederti: “scusi, lei è una belva o fa per finta?”, “ha il palo fuori o è venuto a trovarmi da solo?”, “mi dia un momento, che chiamo le forze dell’ordine”. Mi sento di escludere anche che un povero pensionato, o un qualsiasi giovane precario, si paghi il corso di arti marziali in previsione di una rapina in casa.

      All’occorrenza, ognuno si difende come può.
      E’ una vittima, cerchiamo di non dimenticarlo.
      Quello da giudicare è l’altro, e se viene colpito se l’è cercata.

  • Personalmente, Rita, sulle modifiche normative in corso, sono d’accordo con te. E questa è una cosa. L’altra è se un’arma possa essere utile (converrai che un’arma da fuoco sembrerebbe più utile di mattarelli o sedie). Su questo, pure, si discute.

    Quasi sempre gli aggressori concedono solo una manciata di secondi dopo l’effrazione, per poter reagire utilmente. Se l’arma non è subito sottomano, non serve. Ma quasi nessuno è più autorizzato a girare con un’arma nella fondina: quasi tutti dovrebbero rispettare le restrizioni per l’uso sportivo. Che fare? Nascondere la pistola carica dietro il televisore? Dormire col colpo in canna sotto il cuscino? Davvero sconsigliabile.

    Tuttavia, occorre prevedere, volendo usare una pistola, il tempo di quattro operazioni: inserimento caricatore (già munizionato), rimozione sicura, scarrellamento, puntamento. In caso di caricatore già inserito (cosa peraltro irregolare), le tre restanti operazioni richiedono comunque alcuni secondi. Si riesce a essere pronti, in questo modo? Molto raramente gli aggressori concedono più tempo. Per cui, chi tiene l’arma nella custodia apposita, col caricatore vuoto, magari nella borsa con cui va al tiro a segno, per di più in una stanza diversa, difficilmente potrà utilizzarla.

    Inoltre, un’arma necessita di cura. In un vecchio western, il protagonista diceva che “le pistole sono come le donne: devi averne cura, altrimenti ti mollano nel momento peggiore”. Maschilismo a parte, è vero. Almeno ogni mille colpi (i puristi dicono la metà) la pistola va smontata, pulita, ingrassata, rimontata. Quanti sono capaci e hanno voglia di farlo? Infine, è opportuno andare almeno mensilmente al poligono (meglio due volte al mese). Averci “la mano” è essenziale. Centrare il bersaglio a 20/25 metri, fermo tu e fermo lui, è più facile che centrare un aggressore in rapido movimento a pochi metri. Due o tre scatole di munizioni utilizzate a ogni noleggio di linea (100/150 colpi) sono il minimo per tenersi in esercizio. Quanti se la sentono?

    Avere una pistola poco accessibile, scarica, non pronta, è inutile. Averla sporca, maltenuta, a rischio d’inceppamento, non serve. Usare maldestramente la propria arma, per mancanza di manualità, è rischioso. Insomma, la prevedibile diffusione di armi da fuoco si risolverà probabilmente in un aumento di fatturato per produttori e armerie. E in qualche ricovero al pronto soccorso di chi si è sparato nei piedi. E solo raramente in un’effettiva azione di contrasto al delinquente di turno, con scarsa deterrenza verso la criminalità. Per dirla con Shakespeare: Much Ado about Nothing.

    • Uomini e donne hanno sempre usato armi, sapendole usare. Personalmente, posso non essere d’accordo e di sicuro non ne comprero’ mai una. Ma cosi’ e’. La questione, secondo me, e’ che la difesa dev’essere considerata sempre legittima e nessuni si arroghi il diritto di valutare insondabili “circostanze emotive”.

      Puo’ darsi che la cosa aumenti il fatturato della Baretta (da notare che i puritani che sollevano il problema sono gli stessi che da sempre riforniscono di munizioni paesi stranieri), ma allora cosa facciamo: non mangiamo piu’ cereali per non far guadagnare le multinazionali dell’agroalimentare? Nulla lo vieta, naturalmente.

    • Una cosa semplice? Sul cellulare le forze dell’ordine alla lettera a: chiamata immediata nel dubbio. In caso di incontro prima dello scontro l’affermazione la polizia sta già arrivando e ci ascolta”, mostrando il cellulare, penso possa essere un dissuasore. In caso di sospetto fondato il mio impianto di allarme ha un taso “panico” che dà fiato alle sirene anche senza avviso dai sensori. Inoltre quando avevo i figli bambini-adolescenti li ho “testati” con una finta intrusione: una paura immeritata per loro ma anche una rassicurazione sulla risposta immediata e corretta (chiamata 113). Ripeto: ci vogliono i corsi di difesa domestica, non le devo inventare io queste cose, stratagemmi che ho approntato nella mia vita domestica.

    • Adrià, in che film l’hai visto? Mostrare il cellulare come dissuasore? Ma questi ti ridono in faccia, se già non ti hanno fatto nero di botte. Son così scemi da lasciarti chiamare il 113? Che se ha la pattuglia fuori, di notte è molto probabile, arriva a festa finita e morto ammazzato. C’è solo da augurarsi che non capiti proprio a noi.

  • Tutto vero. La rete coi vicini. Gli allarmi. Il tasto sul cellulare. E tutto fa, nel senso che ogni cosa contribuisce a forme di “resistibilità” all’aggressione. Quanto? Ovviamente, dipende. Soprattutto, da chi sono loro e da chi sei tu.
    Sul numero degli aggressori, oltre i tre credo che le chances, anche reagendo subito, pronti e armati, si riducano molto. Certo, qualora fossero, per dirla alla cremasca, ’na banda da spinàs, se ne abbatti un paio gli altri scappano. E attenzione a non centrarli nella schiena mentre scappano, perché anche il recente “sempre”, inserito nel nuovo testo, vacillerebbe.
    Tuttavia, sappiamo che i gruppi di aggressori raramente sono composti da tananài. Che spesso sono impasticcati o si son fatti un paio di righe. Soprattutto, che hanno poco, pochissimo da perdere. Sono disperati senza futuro, avanzi di forca. Il problema non è lasciare una via di fuga ai criminali. È lasciarla ai propri familiari, se riesci a far fuoco sui delinquenti.
    Sugli esperti di arti marziali che mettono in fuga intere bande di malviventi con un kiai, ho qualche dubbio. Sempre che non si tratti della banda della bocciofila. Intanto, è sempre cura degli aggressori evitare di avvicinarsi a distanza di colpi fisici, fino a quando non hanno immobilizzato le vittime. A meno che siano proprio dei sifulòt da menta. E poi, chiunque abbia praticato karate o judo o simili sa che sotto la cintura marrone, sotto i primi tre kyu, difficilmente la resa fuori palestra è alla Chuck Norris. E se anche hai la nera, magari con due o tre dan, davanti a una calibro nove puntata contro, non succede come col calcio rotante alla Texas Ranger.
    Insisto sul fatto che, dopo il primo minuto, i giochi sono fatti. È solo in questa manciata di secondi che puoi evitare di trovarti con la canna di una pistola in bocca e già pesto.
    Quindi? Sapere molto bene che cosa ci può capitare. E sapere molto bene che cosa siamo capaci di fare. Il resto è storytelling.

    • Rispondo a tutti e due: l’episodio di Crema da me citato, se ci ho visto giusto dalle informazioni di prima mano sulle modalità, era stato messo in atto dalla stessa belva con occhi di ghiaccio, passamontagna e il vezzo di far roteare la pistola che in Toscana aveva sparato al volo su un marito che difendeva la moglie allo stupro, e ciò avanti a quattro aggrediti. Tuttavia anche simile belva a Crema ha preferito la fuga dopo intervento dei vicini e quindi polizia. Le forze dell’ordine arrivano in pochi minuti, e sono uomini e donne coraggiosi che spesso hanno sventato aggressioni, catturato i malviventi anche a distanza di centinaia di chilometri nel giro di oe, ingaggiato scontri a fuoco due contro quattro ottenendo due rapinatori morti e due arrestati, nonostante le loro ferite. quindi contribuiamo alla dissuasione, perché nel panorama variegato degli aggressori, c’è quello che vede la tv e calcola i rischi, quello che da tempo perché ama giocare al gato col topo, e quello che drogato spara a volo, ma a non reagire no ci si guadagna niente. Personalmente non posso che sperare di trovare la casa svaligiata in mia assenza o far finta di dormire se mi trovo in casa. tuttavia sia io che mia moglie, anche lei da sola, abbiamo istintivamente fatto sempre il giro di casa armati del primo contundente disponibile (ho le spranghe mobili a finestre e balconi, ad es.) in caso di sospetti di intrusione. ma il trucco del cellulare non è così stupido: la lettera a fa partire la chiamata all’istante, non importa aver parlato, ma aver attivato una linea e che il malvivente lo sappia. vengono, tranquilli, vengono, anche quando ho fatto scattare l’allarme per sbaglio e li ho tranquillizzati con una telefonata sono ugualmente intervenuti facendomi scendere al cancello in pigiama.
      ripeto, non si tratta di tutela individuale quanto di mutamento del clima collettivo, di vittime e aggressori. Il principio assoluto da cui son partito serve anche a trasformare la paura in indignazione. non avete mai visti quei filmati di gatti messi in fuga da topi, leoni inseguiti da gnu? La sorpresa dell’aggressore cambia le prospettive emotive reciproche. E poi, ripeto, se hanno deciso a subire non c’è che da perderci.

    • Vedi Igor il russo che mentre esercito, polizia e carabinieri battevano palmo a palmo boschi, paludi e acquitrini tra Bologna, Ravenna e Ferrara, se n’è andato tranquillamente in Spagna a farsi un giro. Mi chiedo: se tutti questi glaciali aggressori fossero tananài, per quale motivo ci sarebbero stati negli ultimi anni dei morti, ottantenni stuprate, pensionati picchiati a sangue, famiglie terrorizzate e seviziate, anche davanti ai bambini? Non è che tutte queste belle cose ce le siamo inventate, sono accadute realmente. E i cittadini, fino a prova contraria, sono in grado di valutare con la loro testa. Osservano, magari per un po’ subiscono, poi tirano le loro conclusioni.

      Il mondo è cambiato, e purtroppo non in meglio, non c’è più il simpatico zingarello che entra in casa tua per portarti via la catenina della cresima e l’anello della nonna. Per colpa di qualcuno l’Italia è piena di gentaglia che non ha assolutamente niente da perdere e se ne frega della polizia. Se anche (caso assai raro poiché il 97% dei furti resta impunito) li beccano, dopo tre giorni sono fuori. Statisticamente in Italia il ladro professionista (più sfortunato) passa in carcere soltanto 46 ore e 48 minuti all’anno. Grazie alla legge in vigore (targata Pd) prima di finire dietro le sbarre c’è il processo, e sebbene la pena prevista per il furto con scasso sarebbe da 3 a 10 anni, in realtà non ci si arriva mai. La maggior parte degli scassinatori resta in carcere solo in attesa del processo, poi se ne va a casa con condizionali varie, sconti di pena o braccialetti elettronici. Non ti sembra che il gioco valga la candela?

  • in risposta a Rita i dati sono chiari nel senso di una riduzione dei reati ispirati al furto, non ricordo per i fatti di sangue. sulle capacità investigative della nostra polizia c’è il plauso generale extranazionale. Che poi siano presi in territorio estero è frutto della nostra permeabilità territoriale, maggiore al nord che a sud. La Polizia per uno che gli è scappato altri cento li ha presi, dentro o fuori dai confini; per farne cosa dopo non lo so, possibile la troppa clemenza, ma con il grilletto puntato contro dell’opinione popolare non credo sia una colpa, salvo diversa legislazione, e le leggi le fa il clima sociale, quindi noi. Quindi incentiviamo, pur pungolando: in altre parole “facciamo Cremascolta”.

    • Se l’Istat certifica che il 97% dei furti resta impunito, non è che se ne acciuffano cento per lasciarne scappare uno. La proporzione è un po’ diversa. Senza contare le migliaia di “denunce contro ignoti” che giacciono sulle scrivanie dei commissariati e ogni fine anno vengono archiviate. E’ chiaro che finché le nostre strade saranno piene di piccoli e grandi criminali, furti e rapine continueranno ad esserci. Cerchiamo almeno di non condannare all’impotenza l’aggredito. E’ semplicemente assurdo pensare che se non ha un’arma in mano l’uomo diventa buono. Esiste nell’animo umano una certa dose di aggressività sadica e maligna che procura il piacere di far soffrire, umiliare, brutalizzare chi non è in condizione di difendersi. Lo si vede tutti i giorni nelle più disparate circostanze e gli aggrediti sono in prevalenza anziani, donne e bambini. Così va il mondo, anche se non ci piace.

  • Baudrillard diceva che se spariscono il cimiteri sparisce anche la morte. Secondo me devono continuare ad esserci. Con lo sviluppo del pensiero magico magico già nel Paleolitico superiore i morti vengono sepolti. Quindi non facciamo confusione tra vivi e morti. Le case dei vivi e le case dei morti. Per quasi tutti, basta vedere la frequentazione tanatologica di questi giorni, rinfocolata magari dal business del caro estinto, magari accompagnata da quei gesti che che gli animali non conoscono, un fiore o un colpo di nocca sulla lapide, come il sasso per gli ebrei. Memoria collettiva, ricordo, monito e tutto il pensiero ineludibile e sublimamente raccontato da tante pagine di letteratura, poesia, pittura, musica. Difficile raccontare la vita con tanta partecipazione, perché si finisce sempre lì. E poi quella grande consolazione che la morte bussa alla porta di chiunque, e non c’è bisogno di Orazio, alla porta della stamberga come al portone del palazzo. Poi che sia mausoleo di famiglia o prato degli indigenti non importa. Perché distinzioni macabre lasciamole alla portatrice corpulenta della maglietta di Auschwitzland in attesa che un nuovo razzismo da pinguedine riduca anche Lei ad ammasso di putredine prima e nobile cenere poi. Allora sì dispersa al vento, purché Non ne rimanga traccia alcuna.

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