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ADRIANO TANGO

Latitudine/clima e decoro urbano

E ancora una volta, dopo un Capodanno estero, vi passo due appunti di viaggio. Mi permetto di rivolgermi con queste note a dei sicuri “grandi viaggiatori” perché dietro gli aspetti vacanzieri cerco sempre contenuti sociologici che in qualche modo ricollego alla nostra Crema. Questa volta rientro per la seconda volta dal Marocco del sud, dopo vent’anni. Cambiamenti? A parte le antenne paraboliche, spuntate come funghi, pochi: come sempre ragazzi intelligenti e cortesi, e tanta voglia di Europa. Forse ho colto aspetti diversi per il fatto di aver avuto questa volta una guida araba, mentre la prima mi è capitato un Berbero. Per noi sono tutti solo Marocchini, e invece c’è tanta differenza, e diffidenza fra le due etnie, che la notte di Capodanno, quando in molti sembra avessero masticato “qualcosa”, ha dato luogo a un’allarmante tensione che mi ha coinvolto in prima persona (l’Arabo, la guida, era mio amico, ma l’alloggio era berbero). Altra novità la grande produzione di energia solare (quinti esportatori al mondo), la siccità galoppante, e la denatalità, compensata dall’immigrazione senegalese.

Già, ma Crema che c’entra? vi starete chiedendo. Il confronto mi è stato suggerito dal fatto che la nostra città  si trova a cavallo fra due mie mete estere visitate negli ultimi cinque mesi, precedente la Norvegia, e mi spiego: in Marocco, come gruppo di amici turisti fai da te, abbiamo alloggiato sempre in Riad (piccoli alberghi familiari ricavati da ristrutturazioni di abitazioni “a chiostro”). Puliti, suggestivamente eleganti, alcuni fiabeschi addirittura, economici, ma difficilmente reperibili senza dettagliate istruzioni, perché inseriti in un contesto urbano di vicoli tortuosi dalle mura scrostate, con selciato lavato ogni mattino, ma a nostro modo di vedere squallidi. E allora mi è scattato il paragone con Bergen, una precedente meta nell’itinerario nordico, città norvegese patrimonio dell’UNESCO, ricostruita più volte, ma secondo un piano regolatore conservativo che non permette la minima discordanza di misure, al centimetro, e colori invariati rispetto a quanto andato alle fiamme, mentre da Cipro in giù, l’idea stessa di piano regolatore è un attentato alla libertà. Bergen da di sé un’immagine fiabesca e multicolore che credo tutti conoscano, almeno in foto, ma se si entra nelle case, quelle non riattate a esercizi commerciali, esattamente l’opposto: spoglie. Perché questa inversione di valori estetici? Perché al Sud/caldo del mondo ciò che è comune poco conta, salvo la monumentalità, ma la cura degli interni è maniacale, e al Nord/freddo l’aspetto estetico comunitario è fondamentale? Se si chiede ai popoli del sud affermano che la mancata ostentazione, le porte tutte piccole, mura tutte uguali, sono una forma di rispetto per i meno abbienti, ma è una balla! La porta è piccola per motivi difensivi, così come le finestre orientate al chiostro e non all’esterno, mentre nel grande nord, forse, le attività commerciali hanno indotto ad adottare una sorta di biglietto da visita murario, mente la sobrietà interna non è certo segno di scarsa ospitalità, ma?

Ammetto, queste riflessioni, nate dal confronto,  sono per me nuove, ai Norvegesi non ho chiesto spiegazioni. E qui mi dovete aiutare voi, non arrivo molto oltre.  Un ruolo lo gioca certo la natura, matrigna crudele al Nord, che spinge gli uomini ad alti gradi di socialità per garantire la sopravvivenza di gruppo, e così nacquero le alte democrazie e le parità di diritti assolute. Forse la frugalità delle case nordiche nei loro interni dipende dalla concezione della vita, orientata al frenetico lavoro, con pause domestiche ridotte all’essenziale. Notare che la progressione di canoni estetici segue fedelmente la carta geografica da Nord a Sud, grado per grado di latitudine.

Già ma Crema? Non fa eccezioni, esattamente a cavallo! Città giustamente definita “una bomboniera”, con esterni e interni abitativi storici belli, senza sfarzo eccessivo, ma con problemi di stratificazione epocale. Chi ha permesso che si degradasse la bella immagine di piazza Garibaldi con un condominio a chiudere il quadrilatero? Chi ha permesso che le ville di via Diaz abbiano perso, quasi tutte, la loro aria liberty in successive ristrutturazioni? E quelle nuove, dall’altro lato, non avrebbero dovuto adeguarsi al genius loci? Chi ha consentito l’inglobamento delle mura di Crema in case private o addirittura in sedi commerciali? (tema caldo di Cremascolta). Ingegneri e architetti dicono che le abitazioni devono seguire l’ispirazione del livello tecnologico epocale. Bene, io dico che preferisco un falso d’autore in armonia a un pugno nell’occhio. E per una volta sto con Sgarbi, che televisivamente ha affermato “Crema, come Mantova, ha il merito di una netta distinzione fra città vecchia e nuova”. Peccato che abbia precisato “ vista dall’alto del mio elicottero”. Atterra Vittorio, ed esci da palazzo Terni, dove si dice che di solito alloggi a Crema!

Insomma, siamo forse per un quinto Marocchini, e per gli altri quattro nord Europei? Vi risparmio la battuta: “tu certamente”. Conto che qualcuno sorvegli più attentamente.

ADRIANO TANGO

06 Gen 2019 in Cultura

7 commenti

Commenti

  • Non entro nel merito, Adriano, delle tue interpretazioni (che non sono alla mia portata anche perchĂ© io viaggio molto meno di te).
    Mi soffermo solo su un particolare: il tasso di denatalitĂ  del Marocco e il supporto degli immigrati senegalesi.
    Il Nord Africa si sta avvicinando velocemente al modello occidentale.

    • Parlando con quei ragazzi (tranne quando a Capodanno erano fatti) direi che la nostra gioventĂą se la lasciano indietro. il mio aiuto elettricista, Amin, marocchino, per abilitĂ  il suo capo lo lascia indietro!

    • Da almeno un decennio vado dicendo che il “modello occidentale” non tira piu’, ha fatto il suo tempo ed e’ bene avviato sul viale del tramonto. L’ultimo suo esemplare sara’ l’idiota digitale. Non credo, tuttavia, che il futuro migliore sara’ espressione della cultura non meno decadente del nord/sud Africa. Penso a civilta’ piu’ vitali, alla Cina ad esempio, alla Russia e all’India, che muovono da presupposti del tutto differenti. Noi non ci saremo ma l’Eurasia si ricompattera’, com’e’ giusto che sia.

  • Molto interessante, Adriano.
    Verrebbe da pensare a quanto, in una cittĂ , incidano sul “decoro urbano” gli elementi da te indicati della “latitudine” e del “clima” e quanto invece altri fattori di diversa natura, sempre in termini urbanistici e architettonici.
    Pensando specificamente a Crema, la riflessione da te proposta non sarebbe facile ma forse qualche opinione potrebbe emergere in proposito.
    E questo, anche alla luce di una latitudine abbastanza intermedia e di un clima non sempre gradevolissimo ma non certo vicino all’uno o all’altro estremo delle temperature.

  • Latitudine, clima e posizione geografica, oltre che forma fisica. In veritĂ  non aggiungo niente di nuovo, e non so neppure se s’attaglia al post, anzi no, ma invio comunque una riflessione semplice che, nata come piccolo divertimento, mai sarebbe diventata post e quindi mi accontento che rimanga commento.
    “Ma avete visto la forma dell’Italia e dov’è messa? Una linguetta nel mare con una terraferma compatta, stretta e lunga, con difformitĂ  sociali e culturali, nonchĂ© climatiche, che ne fanno un paese diviso in due, tre, quattro, con regioni vicine all’Europa ed altre lontanissime. Immaginate invece se fosse larga e corta, non vulnerabile in un facile mare d’approdo per tutti gli aspiranti. E nei secoli noi a dar colpa e conto alla politica, contro paesi del terzo mondo alle prese con climi inospitali inadeguati ad uno sviluppo piĂą o meno sostenibile, magari pieni di diamanti e rubini, di cui un tempo gli indigeni neppure conoscevano il valore. Eh giĂ , posizione geografica e clima che non c’entrano un bel niente. Poi arrivano cinesi russi, americani, e prima ancora gli europei, a colonizzare, depredare, tanto il caldo gli autoctoni non li smuove di certo. E nonostante le temperature lauti guadagni. E’ così da secoli, anche da noi, che fatta l’Italia appunto mancano gli Italiani. E questo non faccia nascere il sospetto di sovranismo o nazionalismo, e perdonate il paradosso. Tutta colpa della geografia e del clima (dei paesi africani si dice così, tra desertificazione e altrui aviditĂ ) e di placche tettoniche in continuo, sfortunato movimento? Credo proprio di sì. E la politica, ancella climatica e geografica, che fa i conti con le pennichelle pomeridiane, tanto fa caldo, lavoretti quando capita, assistenzialismo, mafia e tutte le associazioni delinquenziali capaci di creare dipendenza perchĂ© governano loro. Stato assente si dice, e questa è la grande causa di quest’Italia spaccata a piĂą non posso. Poi arriva qualcuno a mettere delle pezze “statali”, come un tempo la Dc con le pensioni Baby e altro assistenzialismo che ci mangiamo le balle ancora adesso. E adesso c’è chi, in odore di Padre Pio, democratico e dialettico, finge di incontrare tutti anche quando i contrasti tra autonomie e Stato sono così evidenti, magari da deplorare, o magari no, appunto tutta colpa del mare facile approdo, e quindi della geografia, si erge a salvatore della patria, soprattutto quella da Roma in giĂą, sberleffo seminazionale a quanti invece dicono che i soldi li fan loro e quindi li vogliono usare come meglio credono. Appunto quelle regioni attaccate al nord e distantissime dal sud. Ma tant’è. Strategie politiche che fingono che queste differenze siano pianabili con leggine o leggione capaci di azzerare le latitudini, di mescolare le carte sociali, economiche e culturali di quel gran “mazzo” che è il nostro paese annulleranno la geografia perchĂ© tutto diventi Storia. Del resto, non ricordo quale governo ha ridotto o addirittura avrebbe voluto cancellare la geografia dai programmi scolastici delle superiori. Non avendo ancora capito che invasioni, contaminazioni, mescolamenti sono ravvisabili solo nelle pagine degli atlanti e nelle scale grafiche. La Storia è solo un racconto, come lo è la politica dell’adattamento dell’uomo all’ambiente. Come interpretare tutto questo? Difficile, se non auspicando l’arrivo di un nuovo Darwin, credibile, a confermarcelo. Insomma, cosa ci aspetta? E come sarĂ  il racconto di questi decenni? Storia o Geografia? Insomma, un evoluzionista indulgente che racconterĂ  che se fossimo stati piĂą larghi che lunghi la nostra Storia sarebbe stata diversa? E scusate questo divertimento, ma se si vuol giustificare l’Italia di adesso non rimane altro che riderci su. Ah, se fossimo stati piĂą larghi.

    • Non è solo un divertimento: sensate riflessioni. Controbilancio tuttavia affemando che la democrazia, la paritĂ  di diritti, nate da ragioni climatico/geografiche che richiedevano la masima coesione di gruppo, sono state esportate come modelli piĂą elevati. La piazza centrale di Innsbruck, spero di non confondere cittĂ , è chiusa da un latto da un fabbricato nuovo, ma con dei fregi pastrellati che ne limitano la difformitĂ  cromatico-stilistica. Non sarebbe ora di alzare il periscopio oltre le Alpi? D’altra parte non dico in medioriente, ma addirittura a Cipro inoridivano all’ida stessa italiana di piano regolatore. Io dico addirittura un super pian regolatore, che limiti le libertĂ  individuali per l’interesse comune d’immagine, e una legislazione che consenta gli abbattimenti coatti. Approfitto per ringraziare Rita e Pietro: siamo in sintonia, non aggiungo altro.

    • Hai ragione, Ivano, si può spiegare l’Italia di oggi soprattutto ridendoci sopra. E la tua descrizione aiuta molto. Mi permetto di aggiungere che, se si volesse creare un’alternativa alla situazione attuale, proprio da questo riderci sopra si potrebbe partire per un’opera di demistificazione, forse non impossibile, di questi attuali demiurghi da avanspettacolo. Le minoranze politiche affette dalla sindrome della perenne indignazione, deplorazione e lamentazione hanno meno successo, con il loro sdegnoso risentimento, delle minoranze beffarde, sarcastiche e dileggiatrici, con la loro satira violenta. Oggi manca una forza di opposizione che, invece di essere piagnona e sconsolata, costruisca un’alternativa politica proprio prendendo le mosse dallo smascheramento aggressivo e dal feroce sbugiardamento di queste attuali primedonne da operetta. Gli italiani non devono piangere dell’opposizione ma ridere della maggioranza: questo è l’insegnamento della nostra storia patria per rovesciare governi, regimi, istituzioni. All’estero no, da noi sì. Lo sberleffo è mediterraneo, altrove funziona l’angolo del gufo. Il personaggio di Jorge l’aveva capito. Dalle nostre parti, gli strigiformi politici non attirano, non divertono, non vincono. Zwingli e Calvino noi li avremmo trattati come iellatori. Non dico che il PD debba eleggere un segretario Scaramacai. Dico solo che lo danneggia tutta questa aria da Monte Athos.

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