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MARINO PASINI

Cuccio, il Vangelo rosa e i misteri della finanza

CUCCIA, IL VANGELO ROSA E I MISTERI DELLA FINANZA

Tra i misteri italiani, il silenzio di Enrico Cuccia

    Piccoletto, la testa bassa, la schiena curva, un libro in tasca che poteva essere di un poeta rumeno, il capo di Mediobanca aveva passetti corti ma frettolosi, per le incombenze da sistemare (i guai altrui da rattoppare), rari sorrisi e un che di sfuggente, d’impenetrabile, una ritrosia, di quella borghesia che non spiattella il proprio sapere, è parca nelle spese, pare infastidita dai rumori del mondo e sparisce quando la folla si accalca e pressa la via, cerca lo spettacolo. L’esibizione. Cuccia sapeva un mucchio di cose, ma se le teneva in tasca; dare sfoggio, prestarsi alle interviste, ai riflettori non gli piaceva e non gli interessava. Dei giornali, che leggeva, conosceva le insidie, le perfidie. Le ciancere, le chiacchiere non gli appartenevano. Il mondo che conta, non la racconta, e sta dietro le quinte. E Cuccia, di quel mondo nascosto che muove i fili della finanza, ne sapeva.

Dal lunedì al venerdì, ogni mattina, Carla, un impiegata mia collega, depositava sul  tavolo, tornando dall’ufficio postale, Il Sole 24 ore: il “Vangelo rosa” della finanza, dell’economia, dei profitti e delle perdite. Lavoravo in una ditta di acciai speciali, dalle parti di Brescia, e mi dissero subito, i primi giorni, che era buona cosa dare un’occhiata, sfogliare quel giornale rosa, che poi il Capo, il Cavalier Longhini può essere che  interroghi. E ci ridevano su, annotando il mio imbarazzo. Il Cavaliere compariva in ufficio intorno alle 10 di ogni mattina, e ci stava poco: buttava uno sguardo sul libro firma, scartabellava documenti, guardava dalla finestra la collina di Collebeato dove teneva dei vigneti, e non vedeva l’ora di farsi un giretto dentro il cuore pulsante della fabbrica, dove passava ore, anche la domenica, perchè la fabbrica era la sua vita, lo appassionava, mentre in ufficio si annoiava. Certe volte in ufficio, il Cavaliere  ci stava una manciata di minuti; ma non ti fidare,  dicevano i colleghi più esperti, capita che entri all’improvviso ed è capace di chiedere di tutto: dove conviene portare allo sconto gli effetti attivi, come vanno le Italcementi, cosa ne pensavo della tettoia del parcheggio auto che volevano gli operai; e il martedì, era necessario preparargli un pre-bilancio aziendale. Tutti i martedì, che ci fosse il sole, neve, che l’addetta al pre-bilancio fosse indisposta, scappata all’estero. Tre impiegati, il lunedì passavano la giornata a “chiudere” provvisoriamente i conti aziendali, a stilare un bilancio provvisorio e metterlo tutto su un foglio, con le voci essenziali. Entrate di cassa, portafoglio attivo e passivo, rottame d’acciaio in entrata e in uscita; insomma, tutte quelle voci determinanti che compongono, che fanno la salute buona o meno buona, o pessima di un azienda.  Quel foglio doveva essere rimpicciolito, non più grande di un normale post-it. Il Cavalier Longhini passava il martedì e chiedeva subito il fogliettino, lo guardava, borbottava, e lo infilava nel portafoglio. Quel foglietto era il termometro aziendale. Gli indicava dove l’azienda stava andando, e se c’era necessità di metterci mano, fare dei cambiamenti. Dopo la preparazione del pre-bilancio, i tre addetti alla faccenda avrebbero potuto uscire a farsi un giro, scrivere poesie alla finestra dell’ufficio, sonnecchiare, che al Cavaliere non interessava. Me lo ripetè più volte. In ufficio non serve far finta di lavorare, bastano dieci minuti, pieni, diceva, ed esagerava, certo, ma guai a contraddirlo. Talvolta si sedeva di fronte a me, mi guardava qualche istante e partiva con l’interrogazione, e sudavo freddo. Perchè, mi domandavo, impasticcato di letteratura, dovevo scervellarmi sul Sole 24 ore, che per me era scritto in una lingua sconosciuta, straniera, e di cui capivo poco, quasi nulla? Tutto quelle manovre finanziarie  davano alla testa; strana la vita, del perchè, il per come dei percorsi di ciascuno, spesso stravaganti, a volte incomprensibili, senza senso.

Enrico Cuccia, all’inizio era un modesto impiegato della Banca d’Italia, ma scalò rapidamente la scena politica finanziaria italiana, per diventare l’uomo di Mediobanca, il finanziere a capo delle transazioni più importanti, la banca che era il centro del mondo della finanza, dove arrivano richieste, le più importanti, di finanziamenti. Mediobanca era l’asse d’equilibrio, il perno delle alleanze che garantiva la tenuta del sistema, l’afflusso di denaro e il controllo degli assetti proprietari dei maggiori gruppi industriali. Il cappotto scuro, il cappello alla Borsalino, Cuccia lo si poteva incrociare in Via Filodrammatici, di fianco alla Scala, un ometto che camminava solo, che rifiutava le interviste, e che spariva per diverse ore al giorno in quegli enormi palazzi dove i soldi sono montagne di soldi, tanti da ubriacarti e potenti da schiacciarti, ci viveva in mezzo, ci nuotava facile, come un pesce. Cuccia, l’altro gobbo misterioso del Belpaese disse che avrebbe voluto studiare matematica, non diritto. I logaritmi, le curve esponenziali della matematica meglio si adattano alla finanza, più dei codici. Uomo colto, aveva una ricca biblioteca, e gli piaceva la musica classica.

Lavorava senza risparmiarsi. Si alzava all’alba e rientrava a casa che era già buio. Pochi svaghi. La casa sul Lago Maggiore, a Meina, dove una mattina di settembre del 1943, Ernesto Giuliani, un cantoniere Anas, vide nel buio notturno due barche che passavano rasenti casa sua, e poi si allontanavano dalla riva. Poi, un tonfo nell’acqua. Un’altro. Il rumore di due fagotti gettati nel lago. Il cantoniere decise di andare a dormire, e al risveglio, di prima mattina vide due corpi che affioravano, i primi corpi della strage di ebrei, che i nazisti di un contingente delle SS, da poco arrivato sul lago, portarono a termine, a Stresa, Baveno, Arona, Meina. La prima strage di ebrei in Italia. Gente che si era rifugiata negli alberghi per scappare i bombardamenti che infierivano su Milano. La linea ferroviaria Milano-Arona era funzionante e permetteva agli ebrei di andare e tornare dalla metropoli al lago, oppure di restare ospiti a casa di amici, nell’attesa che il peggio passasse. Anche Cuccia prendeva spesso il treno per le sue domeniche al lago, dove lo si vedeva passeggiare con le mani intrecciate dietro la schiena, solitario, le maniche della camicia rimboccate, lo sguardo serio, impenetrabile. Chissà quanti segreti si è portato nella tomba Enrico Cuccia. Fu minacciato, in vita (lo ammise lui stesso, al processo per l’omicidio dell’avvocato Ambrosoli) da Michele Sindona, il faccendiere che tanto piaceva ad Andreotti, che minacciò Cuccia: se non ti pieghi ai miei voleri,  faccio sparire tuo figlio, gli disse. Fu l’unica ammissione, l’unica confessione; poi, tornò al suo silenzio ostinato, al suo lavoro di sentinella della finanza italiana.

Sapeva, l’ometto di Mediobanca quanto il caso italiano fosse complicato, viscido, con le pressioni, le corruzioni, le mediocrità, gli avventurieri, qualche imprenditore coraggioso tra tanti avvoltoi. Come Cuccia riuscisse a navigare, a dormirci sopra, in un mare tanto agitato (lui che amava l’acqua placida e immobile del suo lago) non si è mai saputo. Alcuni biografi hanno provato a scoprirne le carte, anche personali, ma restano tanti, troppi misteri, numeri di azioni che salgono e scendono come da un ottovolante, e la finanza resta un mondo a parte, sconosciuto ai più. Cuccia è stato il traghettatore  di un paese corrotto, dagli istinti animaleschi, fra politici deboli e servili, e sciacalli opportunisti. E non potendo farsi dire da lui, farsi raccontare tante faccende, provarono a rubargli il corpo nella tomba (un giornale, sarcastico, ha scritto che forse volevano farlo parlare almeno da morto), e una mattina primaverile del 2001, mentre una signora entrava nel piccolo cimitero di Meina per bagnare i fiori, vide una rottura su una lastra di marmo sul loculo della tomba di Cuccia. La salma fu trafugata da una banda di balordi della Val di Susa, e ritrovata dieci anni dopo, in un paesino della valle, quando uno della banda provò a contattare i dirigenti di Mediobanca, per ottenere un riscatto. Quei balordi, non ci tenevano che Cuccia parlasse; non erano interessati ai misteri italiani. Del resto, Cuccia non parlava con nessuno da vivo, figurarsi se poteva farlo da morto.

MARINO PASINI

14 Mag 2019 in Senza categoria

12 commenti

Commenti

  • A dieci giorni circa dalla scadenza elettorale, va in scena come di consueto il balletto dello spread. Come l’avrebbe giudicato Cuccia, che forse questo meccanismo ad orologeria non ebbe modo di conoscerlo?

    • La ringrazio per il suo intervento. Cuccia, la finanza, l’economia, fa stare zitti in molti, perchè ci si capisce poco, è materia complicata, e si rischia di dire cose strampalate. Cuccia veniva dal Partito d’Azione, che i giovani non conoscono, ma è stato un serio partito, di sinistra riformista, con molte anime, ma tutti, da Carlo Levi, Riccardo Lombardi, Antonio Giolitti, Giorgio Agosti, Lussu, Ugo La Malfa, Salvemini, Ernesto Rossi, Ciampi, Vittorio Foa avevano un obiettivo comune, fare di un paese cialtrone, casinista, stradiviso, provinciale, da sempre colonizzato, abituato alle astuzie, all’ipocrisia come l’Italia, un paese europeo. Un’impresa titanica. Il Partito d’Azione si sciolse nel ’47, ma la diaspora non ha impedito che certe figure continuassero a puntellare il nostro paese evitando che sprofondasse. Cuccia è stato, in un certo senso, uno di queste figure. Se fosse stato per la Dc di Andreotti, l’Italia sarebbe finita dritta nella mani di Sindona, per esempio. Cuccia si oppose; disse: no. Un altro “eroe borghese” fu Ambrosoli. Cosa avrebbe detto oggi Cuccia? Non sono adatto a rispondere; per me il Vangelo rosa, la finanza, m’intrigavano ma ci capivo niente. D’istinto, che non mi è mai mancato, le posso dire che Cuccia non credo possa apprezzare chi la mena con “i teoremi dei magistrati”, “i meccanismi ad orologeria”, perchè è il frasario dei politici che hanno scheletri negli armadi. Cuccia, sapeva bene cos’era la Lega di Bossi, per esempio, un partito di grandi lavoratori-elettori, ma che venivano puntualmente rappresentati da personaggi adatti alla commedia dell’Arte, e oggi mi pare si trovano a dover restituire a rate ben 49 milioni di euro, non certo per colpa dei comunisti, di Cuccia, di Monti, o dei migranti. Ma questo, agli italiani che osannano Salvini interessa poco o niente. Cuccia non credo neppure avrebbe avuta molta stima di un partito-movimento guidato da un “guru”, da un comico, e da uno strappabiglietti allo stadio fattosi Ministro del Lavoro. Ma sono soltanto congetture, ipotesi. Cuccia, il suo pensiero se lo teneva per sè. Ma era di una razza colta, che studiava, che leggeva, che aveva rispetto per certe cose. Altri tempi.

  • L’unico Partito politico al quale mi iscrissi e per il quale “lavorai” per anni (salvo una breve “sbandata” per il Tonino DiPietro, presto rientrata peraltro, una volta toccata con mano la eterogenea combriccola che aveva catalizzato il dopo “mani pulite”!) a partire dagli anni ’70 fu proprio il Partito Repubblicano di LaMalfa (Ugo neh!) e Spadolini.
    Poi purtroppo Giorgio non si mostrò all’altezza del rigore morale del padre e Mammì firmò ….. “la Mammì” che spianò la strada al Berlusca!
    Game over …..

    • Ricordo bene il tuo passato fra i repubblicani. Anche, credo, fra i banchi comunali. In piazza Duomo, all’edicola (l’unica che aveva certi quotidiani, come “L’Umanità”), “La Voce repubblicana” c’era, e se ricordo bene, arrivavano due copie. Nel Pri, mi pare ci fossero tre anime. La sinistra giovanile e i romagnoli, di sinistra-sinistra; Ugo La Malfa e Visentini (che furono l’ala destra azionista, comunque politici di grandi qualità); Spadolini, che era colto ma di superbia tanta; e i repubblicani del Sud, quasi tutti indistinguibili dai liberali, dai socialdemocratici, dai democristiani del Sud. Poi, arrivò il figlio di Ugo, Giorgio, e il lasciapassare, insieme ai socialisti craxiani, ai ripetitori, alla legge Mammì. Ricordo anche, se non sbaglio, che fra i relatori parlamentari che fecero da sponda a quella legge che ha aperto la strada a Berlusconi, c’era Maurizio Noci, come ricorda Stajano in “Promemoria”. E Noci, tu lo ricordi bene, fu sindaco, socialista craxiano, che poi fosse esperto di televisioni, non saprei. Ho qualche dubbio.

  • Eh gia’, altri tempi. Non so granche’ di Cuccia e il Vangelo Rosa l’ho sempre letto sporadicamente. Un tempo mi piaceva “La Domenica”, adesso non piu’. Ricordo le chiacchiere sulla sua appartenenza alla massoneria fatte da Sindona e dalla vedova Calvi. Mattioli lo considerava “persona pericolosa”, ma forse appartenevano semplicemente a logge diverse. Pare detestasse i politici, riservandosi tuttavia il privilegio di di esercitare il potere attraverso il maneggio del danaro. Mi risulta che fece di tutto per far entrare il capitalismo in Italia e che gli piacessero le “grandi famiglie”. Oggi non riesco ad immaginare “da che parte” starebbe, da quella del danaro probabilmente. Quindi, della manopola spread. Ma chissa’ ……

    • “manopola” o …… “monopola”?!?

    • Cuccia massone? Non credo che l’opinione di Sindona sia qualificata. So che gli ex-azionisti hanno dimostrato di essere in controtendenza rispetto a tanti altri politici italiani, mantenendo una certa coerenza, lealtà, e dirittura morale. Anche se, le minacce di Sindona a Cuccia, sono rimaste un segreto fino al processo Ambrosoli. E giustamente, Corrado Stajano, non crede sia stato un comportamento limpido, non avvertire le autorità, mantenere il silenzio anche in questo caso. Eppure Cuccia, a Sindona non cedette. C’è da dire che allora, l’Italia aveva un potere colluso con Sindona; i Servizi Segreti, frequentati da brutti personaggi, quindi, forse, Cuccia preferì non fidarsi. Le “grandi famiglie”? Allora c’erano, erano parte importante del capitalismo italiano. Esistevano ancora le grandi fabbriche; certo, Cuccia riusciva a parlare, aveva un certo feeling con gli Agnelli, è risaputo. Ma la politica allora, anche certe figure del capitalismo italiano, i Mattioli, Agnelli, i Pirelli erano gente anche colta, che avevano un certo stile. Soprattutto Mattioli e Giovanni Pirelli. Agnelli è una figura più complessa. Oggi, capitalisti e politici vengono da un altro mondo. Politici come Renzi, Di Maio, Salvini, per esempio, vengono dalla televisione. Non dalle frequentazioni delle biblioteche, da certi maestri di pensiero. Per loro conta soprattutto la frase ad effetto. Il resto, conta meno. Comunque, e mi scuso per la lunghezza, il mio testo mescolava storia, sensazioni e impressioni di un mondo sconosciuto, spesso impenetrabile, che viaggia lontano da noi, e se sbanda, come è successo di recente, se l’eccesso di democrazia gli permette di sbandare, sono cavoli amari. Bobbio diceva che il peggio per la democrazia è l’eccesso di democrazia.

    • Con un suocero ‘ingombrante” come Alberto Beneduce la vedo dura che Cuccia sia stato completamente estraneo alla massoneria. Le famiglie di un tempo, appunto, erano famiglie. Per il resto, sono d’accordo: i primi vent’anni del millennio hanno visto un decadimento generale della cultura e del sapere che ultimamente ha preso la rincorsa. Tutti e in ogni luogo sono mediamente piu’ ignoranti di chi li ha preceduti: politici, economisti, artigiani, professori, medici, ingegneri, preti, eccetera. Ha vinto lo “specialismo”, ognuno sa un pezzettino di qualcosa ma non e’ in grado di inquadrarlo in un contesto che gli/le risulta alieno. Siamo uomini e donne della Fine, forse andra’ meglio al prossimo giro.

  • Grazie, signor Pasini, per il suo post e per i suoi commenti, per me davvero interessanti.

    Sul vuoto politico lasciato dal Partito d’Azione si potrebbe dire molto. E, in effetti, moltissimo è stato detto e scritto.

    Il fatto che questo partito sia entrato nel Blocco Repubblicano, con gli altri che sappiamo, alle votazioni referendarie, costituenti e amministrative del ’46 potrebbe essere considerato un errore. D’altra parte, forse fu una scelta obbligata. Ciò avvenne in tutta Italia e anche a Crema, dove il partito era ben rappresentato. Prima, le Brigate gielliste avevano combattuto bene. Tra i tanti partigiani cremaschi celebrati, veri o finti, un giellista coraggioso è oggi completamente dimenticato.

    In questo momento, in Italia il vuoto lasciato dal Partito d’Azione si avverte molto. O, quanto meno, lo avvertono molto quei cittadini che dell’Italia hanno una certa idea e un certo sentimento.

    • Sig. Martini, lei ha ragione. Il Partito d’Azione ha lasciato un vuoto politico, ideale, morale. Era un partito non soltanto di professorini, d’intellettuali, ma non aveva il seguito di massa dei comunisti, dei socialisti, e della chiesa democristiana. E finita la guerra, l’anima inquieta e marxista di Emilio Lussu, e di altri che poi aderirono al Partito Socialista, si scontrò con quella moderata di Tarchiani, La Malfa, Omodeo, Parri. L’anima litigiosa italiana infettò pure gli azionisti; e gli italiani, in genere, sono sempre alla ricerca di un Capo, uno che gliela conta, per servilismo, pigrizia, e altro. Gli azionisti erano detestati dai comunisti, dai togliattiani, da figure come Napolitano e Massimo D’Alema; il primo che fu stalinista, poi finito a rendere omaggio alla tomba di Craxi (e su queste figure del Pci che si sono “riposizionate” nel tempo, c’è un bellissimo libro di Giovanni Ferrara “Il fratello comunista”, che racconta del padre di Giuliano (Giulianone) Ferrara, e di certi comunisti ortodossi, poi passati alla corte di Bettino). D’Alema e altri togliattiani detestavano gli azionisti; per loro, gente come Bobbio, Vittorio Foa erano politicamente ingenui e sprovveduti alla pratica politica. Francesco Perfetti, Dino Cofrancesco, e altri studiosi che collaborano al “Corriere della Sera”, e al “Foglio”, aggiungono che facevano da spalla ai comunisti durante la guerra, e anche dopo, oltre a non avere una visione realistica dell’Italia. Tutte critiche che non convidivo. Montanelli, negli ultimi anni disse di stimare gli azionisti, anche se li giudicava dei preti calvinisti che volevano redimere gli italiani. Impresa impossibile perchè gli italiani, secondo Montanelli, sono soprattutto, dei cialtroni, dei furbi, degli ipocriti, in maggioranza. C’è del vero, in questo. Comunque, molti dimenticano che l’idea dell’Europa, il Manifesto di Ventotene è stato scritto da tre azionisti: Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni. Tra i migliori storici, intellettuali, docenti universitari nel dopoguerra, molte le figure “azioniste”: Bobbio, Valiani, Venturi, Galante Garrone, Guido Calogero, Vittorio Foa.
      Giorgio Bocca, Enzo Biagi, Giorgio Bassani, Luigi Meneghello, anche loro, militarono nel Partito d’Azione. Insomma, il Partito durò poco, pochissimo, ma continuò a lungo a sedimentare, a fiorire, a suscitare polemiche, studi, interesse anche da persone che avevano militato nella sinistra contestataria del ’68, come Giovanni De Luna, Guido Crainz, Paolo Flores d’Arcais. Passano gli anni, e si dimentica. Gli azionisti sono tutti morti, ormai, ma non le loro idee; anche se oggi è cambiato quasi tutto.

    • La ringrazio, c’erano parecchie cose che non sapevo, davvero interessanti.

      Inoltre, ha fatto molto bene ha ricordare che i tre firmatari di Ventotene erano Azionisti. Una cosa che oggi, forse non casualmente, determinate forze politiche che dichiarano il proprio europeismo si guardano bene dal rammentare. Più in generale, ho l’impressione che si sia posta in atto, anche in questo caso non casualmente, una rimozione storica dell’esperienza Azionista, prima combattente, poi partitica, poi culturale. E il “cui prodest” sarebbe sin troppo facile.

    • Sperando di non sembrarle pedante, le dico che sono moltissimi che non sanno che i tre padri fondatori dell’Europa odierna provenivano dal Partito d’Azione. E ci sono quelli che si guardano bene dal rammentarlo. Della famiglia di Altiero Spinelli si potrebbe farne un film, tanto è ricca di storia, di inquetudini, fatti, e persone straordinarie. Il fratello di Altiero, Veniero fu da giovane un militante comunista ed ebbe una vita avventurosa; poi sposò Ingrid Warburg che veniva da un importante famiglia ebraica tedesca, il cui zio, Aby Warburg era uno dei massimi studiosi mondiali di storia dell’arte. Ugo Berti Arnoaldi ne ha curato un bel libro di memorie. “Il tempo della coscienza. Ricordi di un’altra Germania”. La figlia di Altiero Spinelli, è Barbara, grande giornalista, ora parlamentare europea. Eugenio Colorni, un intellettuale serio come pochi, pagò il suo coraggio da partigiano, e venne ucciso nel 1944. La figlia di Eugenio, Renata Colorni è stata tra i fondatori dell’Adelphi, passando poi a curare le edizioni i Meridiani Mondadori, l’unica collana di qualità edita dalla casa editrice berlusconiana. Ernesto Rossi, è stato, secondo me, uno dei migliori cronisti del dopoguerra. Si può dire che “La Repubblica” di Scalfari è figlia del “Mondo” di Pannunzio, del “Giorno” di Italo Pietra, ma ha imparato molto dalle inchieste anticlericali, quelle contro i potentati economici di Rossi, pubblicate sul “Mondo”. Di Ernesto Rossi, c’è una bella biografia di Peppino Fiori “Una storia italiana. Vita di Ernesto Rossi”. Mi scuso per tutti questi dettagli, che le cito, non da storico (che non sono affatto), ma da mediocre e curioso cronista (quale sono), e la saluto.

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