menu

MARINO PASINI

La Bise Hot Jazz Club

Lui? Un propre-à-rien, un fannullone. Un buono a nulla. Un idiota, anche, così lo considerava suo padre che non lo vedeva più da anni. Il padre, contadino della Bassa Normandia, il figlio Albert, che se n’era andato di casa da un pezzo, a vivere in città, a Le Havre, lavorando al porto, prima sui pescherecci, poi allo stoccaggio dei containers. Era una serata d’inverno, a Le Havre, di freddo intenso. Soffiava un vento di tramontana, gelido che tagliava come un coltello. L’ombra lunga di Albert si stampò sul muro, si allungò e parve vibrare. Non si vedeva che Albert aveva le mani in tasca, la testa incassata, il collo a riparo per il freddo pungente, il bavero del cappotto rialzato. Aveva bevuto tanta birra bruna che non si ricordava quanta, e camminava storto, di qua e di là, come le lancette di un pendolo, finchè un sussulto nello stomaco lo mandò a ginocchioni. Dalla bocca rigettò un liquido scuro, pure i crostini di burro e acciughe che tanto gli piacciono. Ora, Albert respira forte, la faccia è  bianco cadavere; il liquido è finito tra il marciapiede e lo scolo piovano, ed è quasi sparito in una caditoia di ghisa. Da una grossa pozza d’acqua che ristagna sul marciapiede si vede un pezzo di luna bianca; dall’altra parte della strada, sul boulevard Leningrad, transitano altre ombre scure, qualche auto, nel vento furioso. E’ una notte di ricordi insopportabili per Albert; spettri, tanti, che si affollano: troppi, come grani di sabbia nella sua testa tenuta bassa, investita dal vento. Albert, l’idiota, innamorato del jazz, magro come un chiodo, testa senza casa, da quando Giuliana l’italiana, l’infermiera, l’ha mollato e lui ha perso il baricentro, la sua  bussola.

Albert si è rimesso in piedi, ma non sa se è ancora del tutto vivo, o solo un residuo d’ossa. Uno spettro che torna, un ricordo del passato? come “La Bise Hot jazz club”, di Boulevard Leningrad, che ormai ha chiuso i battenti da due anni, e ora è un mini-market algerino. La città di Le Havre è inghiottita nella notte profonda. Il vento fa ballonzolare cartacce e lattine di birra e le ultime foglie morte, che volano come uccelli, piccoli stukas in picchiata. Un tempo, Le Havre la chiamavano Stalingrad-sur-Mer, un avamposto comunista nel nord della Francia. Distrutta dalle bombe inglesi nel settembre ’44, duemila civili morti e ottantamila rifugiati in collina; la città fu ricostruita come i paesi dell’Est Europa negli anni della guerra fredda, anche se la profusione di cemento armato, di grigio, fu mitigata dalla presenza di edifici colorati di giallo, rosa, anche color lampone. E la cattedrale cattolica di Saint Joseph venne costruita imponente, con un campanile che pare un enorme matitone, un faro che scruta il porto, le navi che vanno e vengono. Albert, stasera vorrebbe avere le ali di una colomba, scavalcare la chiesa di Saint Joseph, e depositarsi a riposare sulle cabine color pastello della spiaggia cittadina, dove qualche casa belle epoque è stata risparmiata dai bombardamenti. Albert ha trascorso gli anni migliori della sua vita al jazz club di Le Havre, dove quasi ogni sera si tirava tardi con Lou Tavano, Michel Portal, la chitarra gitana di Angelo Debarre, e lui, al “Bise Hot Jazz club” incominciò ad andarci da solo, prima ascoltando la musica all’esterno, da un’inferriata e da una bocca di lupo; poi, seduto in fondo al locale, mangiando frattaglie di maiale affumicato, vino bianco, quando aveva soldi; oppure, soltanto un pastise,  l’aperitivo all’anice e due crostini al burro e acciughe. Una sera suonò Dexter Gordon, sì, proprio lui, pieno d’alcool che farfugliava presentando i pezzi, il sax tenoro come un lamento funebre.

Nel ricordo Albert, prova a recuperare quel suono, ma non riesce, è come una voce lontana, un suono sott’acqua, e lui si trascina per il viale a spaventare, far gridare i gabbiani. I suoi migliori anni, Albert li passò al “Bise” con Giuliana l’italiana. Quelle sì che erano serate. Ad Albert piacevano due cose, oltre il burro e le acciughe: le vele, le vele che si gonfiano  per il vento, e l’odore del mare,  passeggiare  con le mani in tasca, e Giuliana che lo prende a braccetto e gli racconta la giornata all’ospizio, i pazienti a cui bisognava lavare il culo, la schiena piena di piaghe. Ad Albert piaceva fermarsi per un calvados rosè al profumo d’agrumi, in una brasserie;  poi sparire dentro al jazz club. Preferivano il tavolino sul piano rialzato del locale: un angolo appartato dove meno si addensava il fumo di Gitanes e Gauloises, e c’era una strana luce giallo epatite, che dava un’aria struggente, malinconica. Una volta, Albert e Giuliana andarono al cesso e s’infilarono tutti e due in quello dei maschi. Si chiusero dentro e si baciarono di brutto. A lui piaceva succhiarle la lingua, a lei mordergli l’orecchio quasi a farlo sanguinare. Nel ricordo, vorrebbe che l’orecchio prenda a sanguinare. E quella sera di maggio che sul palco salirono diversi musicisti ospiti,  improvvisarono un jazz carico, caldo,  l’aria  così elettrica, e Giuliana sorrideva, i camerieri sollevavano i vassoi tra la calca che si ammassava davanti al bar. Nel locale quella sera non si respirò ossigeno,  solo jazz denso, ma a nessuno importava che la camicia si incollava alla pelle per il sudore.

Che cos’è il jazz? Una questione nervosa? La gioia di vivere,  oltre le regole che soffocano la libertà? Un lamento urbano, il fiato inquieto della città, le sue ansie? Adesso Albert è ingrigito. I comunisti, da tempo, non governano più Le Havre. Anche lui, ha smesso di essere un comunista. Ha smesso di credere a qualunque cosa. Con Giuliana la storia è finita; lei sta con un altro, chissà se anche lui la intossica di fumo e di jazz. Albert, Chet Baker, Miles Davis, Bill Evans li ascolta alla radio, o a casa, o  in qualche locale nuovo di Le Havre. Ma “La Bise” il suo jazz club, gli manca come se avesse perso un braccio, come quando ci si innamora di una lingua straniera che poi si frequenta poco, si smette di parlare, di sentirne il suono, fino ad impoverirsi, quasi a dimenticarla.

MARINO PASINI

06 Lug 2019 in Musica

8 commenti

Commenti

  • Mi scuso per alcuni errori, di battitura, e non solo quelli.
    .

    • A chi interessano alcune curiosità su “La Bise Hot Jazz club”, la piccola storia di un uomo che va alla deriva, le fotografie sono di un locale (di Stoccolma), e di un giovane Dexter Gordon, credo (ottima scelta redazionale).
      L’idea è partita soprattutto dalla lettura di un vecchissimo Maigret di Simenon “L’affaire Saint-Fiacre” che leggo in originale per tenermi allenato. Nel racconto si parla de “la bise”, un vento di tramontana che spira dalle parti di Ginevra, e in alcune zone della Francia. Il termine “bise” indica anche il modo di baciarsi, sulle guance, di salutarsi, tipico degli abitanti di Le Havre e pure de’ nualtre. L’altra suggestione è stato riascoltare la colonna sonora di Herbie Hancock del film “A mezzanotte circa” di Bernard Tavernier. Intorno a mezzanotte, i jazzisti dicono che è il momento magico per il jazz, il suono esce più limpido, parlano le nostre ansie attraverso la musica. Poi, c’è il racconto autobiografico di Francis Paudras, l’appassionato di jazz che ha ispirato il film di Tavernier (il musicista di cui Paudras diventerà amico, ascoltandolo anche all’esterno del locale, per mancanza di soldi, perchè era troppo giovane per entrare, in realtà è Bud Powell, non Dexter Gordon che poi sarà scelto per il film). E nel mentre la storia mi ronzava in testa, la lettura di “Spettri” di Ibsen, mi ha aiutato nel costruire il personaggio. Per Le Havre, mi piacque molto un programma di Radio Tre del settembre 2017, di Leonardo Martinelli dedicato alla città francese. Allora, annotai alcuni appunti sui miei quaderni, che ho rispolverato. Ci sono anche alcune faccende personali, e il mio amore per il jazz, i locali dove si respira jazz. Ho fatto il pendolare serale, in compagnia e no, in luoghi di Milano dove la musica jazz era protagonista: il Capolinea, in Via Ludovico il Moro, zona Navigli; le Scimmie, l’Isola Fiorita dove passavano spesso Laura Fedele e Tiziana Ghiglioni, Emilio Soana. Anche a Crema, al Bistek, di Trescore Cremasco si ascoltava jazz quasi tutti i lunedì, e fu memorabile una serata con Tino Tracanna al sax, Claudio Angeleri al piano, Paolino Dalla Porta al contrabbasso, e la serata fu registrata per la Radio nazionale. Purtroppo, quella sera c’era poco pubblico. Quando vado all’estero, spesso, vado alla ricerca del jazz club, per me una mania, un vizio. Un piacere. Purtroppo, non ci sono quasi più locali dove il jazz è musica protagonista e quotidiana, eccetto il “Blue Note” a Milano, ma è un luogo un pò sciccoso, dove ci si può permettere di andarci ogni tanto, a meno che si ha il portafoglio a fisarmonica. Restano i festival, ma l’atmosfera del jazz, è roba passata. Perduta.

  • .Prendere appunti sui quaderni, per non obliterare ,
    tipico di chi segue un filo…
    cerca un senso…
    Bello.

  • Vorrei saperne di più sull’amico Marino come autore! Tanta arte è andata in stampa? Cremascolta blog è anche editore ebook. Ci farà mai l’omaggio di una perla?

    • Caro Adriano Tango, le mie perle mica brillano. Scrivere un romanzo, un racconto vero, non è da tutti, anche se in tanti ci provano; il più delle volte, è roba che non legge nessuno eccetto la morosa e i parenti, che saranno gentili nelle opinioni. Servono delle qualità che, purtroppo, non ho. Grazie comunque.

  • Ho apprezzato la sua scrittura dove risulta evidente la sua passione per il Jazz e non solo. Personalmente ormai sono decenni che ascolto quasi esclusivamente jazz e blues . Oltremare sentir nominare oggi Le Bise Hot Club rende felici le sono comunque partecipe perché alla serata al Bisteck ero presente anch’io ed il pubblico era realmente risicato . Concludo complimentandomi con lei per il seppur breve racconto ma di aneddoti su quel locale e su alcuni musicisti che lei ha nominato ne avrei non pochi ( complimenti copertina di Blows Hot and Cool di Gordon )

  • Scusatemi ma talvolta il telefono scrive in forma free , errori sono estremamente facili

    • Mi scuso con lei, Claudio Cerioli, per la risposta in ritardo. Il racconto che ha il jazz sullo sfondo, è corto per necessità, ed è un omaggio a una musica urbana che sa cogliere, nel profondo, le nostre inquietudini. Il jazz è musica meticcia, solidale. Non ha confini. Non entrerà mai nel repertorio italiota degli sbandieratori paesani di “Prima gli italiani”.

Scrivi qui la risposta a Marino Pasini

Annulla risposta

Iscriviti alla newsletter e rimani aggiornato sui nostri contenuti