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ADRIANO TANGO

Morire in piscina

2.8.2020: siamo a quattro decessi nel 2019. Bambini.

Certo, la morte da annegamento esiste, normale, ma se è figlia della nostra fabbrica del piacere, se magari avviene in una struttura nata per dubbie finalità salutistiche, ma sicure di presunto svago, e status symbol, per la struttura, alberghiera o abitativa che sia, e allora no! altro che qualcosa non va, siamo fuori strada di brutto.

Perché per capire dovete provare a mettervi dalla parte del bambino che muore: il terrore, l’asfissia, magari la visione della mamma che con un calice di bevanda con le bollicine ride spensieratamente…

E se poi il meccanismo della morte colposa è questo, il risucchio da parte del meccanismo di riciclo dell’acqua, dico, ma ve li sapete immaginare quegli ultimi momenti?

Dove voglio arrivare? Semplice:

1 I genitori non sono più capaci a fare il loro mestiere. Per quattro stupide chiacchiere mondane, per un cellulare, dimenticano i propri figli. Li ho visti, e a volte è partito il cazziatone con successivo battibecco, altre il pericolo era così immediato che, se avessi ulteriormente sottratto a scarsa attenzione che l’inetto genitore (madri o padri indistintamente) dedicava al figlio, lo avrei messo in ulteriore pericolo (non scherzo, parlo di infanti che spensieratamente corrono su moli portuali, ad esempio) e quindi per attenuare la fitta allo stomaco ho dovuto ripiegare, allontanarmi. Fare il genitore vuol dire non perdere di vista il proprio figlio neanche per un istante per tutto il periodo dell’infanzia! E dopo… frequenti sopralluoghi e ispezioni a sorpresa, fino alla presunta maturità.

Ma spesso poi si ricomincia ma non si muore miseramente annegati almeno!

2 Ci sono troppi annegati per troppe piscine, troppa mondanità, troppo benessere. Hollywood è ormai lo standard medio vitale.

Richiamo bacchettone? Forse, ma il raccapriccio è tanto.

 

ADRIANO TANGO

03 Ago 2019 in Attualità

18 commenti

Commenti

  • Adriano, queste morti hanno colpito anche me, come mi colpiscono le morti dei bambini lasciati in macchina sotto il sole. Come mi colpisce che si debba delegare alla tecnologia la nostra memoria, che si debbano inventare aggeggi che ci ricordino che non siamo soli in macchina. Tutte le cause magari sono già state indagate, ma mi colpisce che ci sia ormai così tanta irresponsabilità, che magari con termini tecnici trova giustificazioni, ma ciò non toglie che vivamo un’epoca di tale superficialità che mette chi di cui ci dovremmo occupare alla pari di un ombrello. Basterebbe, o forse no, estrapolare dal tuo post quella riga dove immagini “il terrore, l’asfissia, magari la visione della mamma che con un calice di bevanda con le bollicine ride spensieratamente… di chi questa sorte subisce. Ricordo anni fa che qualcuno proponeva di proiettare in autostrada immagini di incidenti stradali perché fungessero da deterrente all’alta velocità, alla distrazione, alle cinture non usate ecc. Ma anche quello a cosa sarebbe servito? Rimane lo sconcerto della nostra insensibilità e dell’assoluta mancanza di empatia verso gli altri, fossero i nostri figli, di cui ci possiamo dimenticare e abbandonare per tempi più o meno lunghi perché impegnati ad occuparci solo di noi stessi.

    • Caro Ivano
      personalmente non avrei potuto “perdere” i miei figli perché costantemente avevo il contatto di spalle (a cavalcioni) di mano, o visivo.
      Non credo sia disaffezione,ma alterata percezione del pericolo, onnipresente, e uno stile di vita salottiero che si insinua fin nelle nostre case.
      In paesi nord-europei i bambini sono meno sorvegliati (qualcuno starà pensando meno assillati) ma i rischi ambientali sono forse minori. Già, e quello di chi il male lo vuole fare per motivi psichiatrici? Il numero di bambini scomparsi ogni anno in Italia l’ho avuto sotto mano: incredibile! La mancata percezione traspare quando io, o mia moglie, interveniamo e lo stupore è evidente nel viso del genitore incosciente, prima della ripresa di controllo e della risposta indignata, al posto dei dovuti ringraziamenti.
      E poi, vale quello che hai detto tu sugli aggeggi elettronici salva bimbi: ma se non vogliono la compagnia costante dei figli perché li han messi al mondo?
      Sai una cosa? Di fronte a ogni dilemma di costume mi viene solitamente in ricorso l’etologia, perché il mondo animale dispone di una rappresentazione e soluzione per ogni alternativa umana. Bene, esiste in natura l’infanticidio quando le condizioni del piccolo sono avverse, ma il disinteresse… quello no.
      Un’ultima cosa: raccapricciante che girando in internet si trovi la foto di una salma di bimbo che galleggia. Ma allora, mi dirai, perché l’hai usata? Per il motivo delle riprese di incidenti stradali in autostrada. Tuttavia l’ho modificata sgranandola, così da farla sembrare uno dei miei montaggi alla Silvestro, ma non lo è purtroppo.

  • Il problema è l’assuefazione mediatica al dolore degli altri, come se si credesse che a noi non potrebbe mai capitare. Il cinismo contemporaneo poi induce a classificare tutto come numeri, statistiche. Quando poi tutto viene etichettato come buonismo piuttosto che sincera partecipazione allora vuol dire che si è toccato il fondo. Vale per i morti in piscina, come per i morti in mare. Ricordi l’immagine del bambino siriano? Ma cosa ci vuoi fare, il pensiero sinistro é troppo sentimentale. Provare emozioni? Roba da baci perugina. Meglio l’indifferenza. Cosa vuoi che sia un bambino che annega in piscina, con tutti i bambini che ci sono al mondo?

    • Concordo, ed estendo il concetto al cinismo con cui si affrontano le sofferenze che attendono l’umanità bollandole con una scrollata di spalle, e ancora una volta saranno i più fragili a pagare prima. Fatalismo? No, obliterazione attiva, anche se non cosciente. Ormai è dimostrato da studi seri: chi nega le avversità è perché sente di non poterne sostenere l’ansia, quindi le sotterra. Beh, questa volta hanno ragione, tanto non è a loro che succederà! Ma non è detto.
      Scusa ho preso la tangente forse.
      Nel particolare quel che mi colpisce, o almeno me e te, è la sperequazione fra le forze in gioco nella morte del bambino siriano e la banalità di quelle ai margini della piscina: migrazione epocale di popoli versus mondanità, orgia di benessere, mancanza di serietà nell’interpretazione del proprio ruolo. Ma che la vita non è un parco giochi ma il luogo della dimostrazione delle proprie prestazioni si impara da piccoli!

  • Obliterazione attiva: concetto interessante, ma non universale naturalmente. Piccole o grandi ossessioni, per quanto riguarda la mia esperienza, anche di osservatore, sono difficilissime da rimuovere. Non per niente in tanti ricorrono ad aiuti psicologici, secondo me buoni solo per arricchire gli strizzacervelli, di cui sono pieni gli studi ad hoc. Sono piuttosto i climi sociali e politici che fomentano la rimozione, con campagne, vedi Italia o Stati Uniti, volte ad istigare asentimenti, da leggere esattamente così, piuttosto che condivisioni. Ne sono un esempio le stragi di ieri in America, e mi stupisco che in Italia non sia ancora capitato. Anzi, è già capitato. A fomentare l’odio si ottengono questi risultati, e qui non c’è rimozione che tenga. Il risultato é volgere gli occhi, non perché non in grado di reggere situazioni ansiogene, ma perché è più comodo così. Mors tua, vita mea.

    • Sbagli se credi che qualcuno abbia il potere magico di “fomentare l’odio”. La gente non crede più a niente né a nessuno fuorché a se stessa: io, mio, voglio, comando, posso, il mio profilo, i miei diritti, la mia opinione. Doveri zero, è ovvio. Il problema è un altro: la società occidentale è un malato terminale e quelli che se ne stanno andando per primi (di testa) sono i più giovani che non hanno conosciuto altro mondo all’infuori di questo schifo.

      Sai cosa accomuna il texano folle, l’assassino Elder Lee, Carola Rackete, il 17enne che ieri ha gettato dal tetto della Tate Gallery un bambino di 6 anni e tutti gli altri che quotidianamente riempiono le cronache nere dei giornali? La disperazione. Abbiamo sbagliato tutto, o no? Vogliamo continuare a dare la colpa al Trump o al Salvini di turno, o finalmente ci assumiamo le nostre responsabilità? Non sempre ma molto spesso, prendere atto di essere malati è il primo passo verso la guarigione.

      La disperazione degli ultimi due decenni ha inoltre un orribile compagno di viaggio: l’impotenza. Anche noi sappiamo che contro “il Mostro”, il governo globale, non c’è arma che tenga, ma in un certo senso ce ne freghiamo. Bene o male, il grosso della nostra vita è alle spalle e vivere alla giornata non è una gran fatica. Ma uno di 20-30anni non può ragionare in questo modo e il terrore per quello che lo aspetta non potrà certo essere sedato da alcool e anfetamine, se non per qualche ora.

      Scoraggia me, ad esempio, la piega che sta prendendo il “caso” del carabiniere ucciso a Roma, immagino come può sentirsi un giovane che vede la (in)giustizia del suo Paese schiacciata dal potere del padrone americano. Il “liberatore” a cui si deve gratitudine eterna. Tu ci credi all’autogol dell’Arma dei Carabinieri che sarebbe stata così idiota da diffondere la fotografia dell’assassino con la benda sugli occhi? E’ anche una bella foto, per niente sfuocata (rubata), ottima inquadratura, corretta anche la testa bassa del soggetto. Non c’è dubbio che sia stata fatta apposta per ottenere l’estradizione in tempi brevi dell’accusato perché i padroni del mondo, si sa, non accettano di essere giudicati, solo loro possono giudicare l’universo. E quell’imbecille di Scalfarotto che ha subito abboccato all’amo ed è andato a trovare lo psicotico in carcere, invece di fare visita alla moglie del carabiniere assassinato. Vedi perché poi mi tocca parlare di Pensiero Sinistro? Non credere che mi diverta, ma sono costretta dagli eventi, non passa giorno che ne esca una peggiore della precedente …… e c’amma a fa …?

  • Un post centratissimo, Adriano, e di caldissima attualità.
    Vedo (l’ho notato grazie a te) che c’è uno spot televisivo – del governo – dello stesso tuo tenore.

    Fate bene, tu e Ivano, a sottolineare le carenze dei genitori e pure il clima generale che non certo conduce a provare empatia (sim-patia) con gli esseri umani.
    Io spero che siano casi isolati (non voglio pensare a genitori così dissennati) e spero che quanto prima il vento che prima ha soffiato negli Usa e ora pure in Europa si spenga.
    Qui non c’entra la querelle tra buonismo e accoglienza: c’entra solo la consapevolezza che la dignità di ogni singola persona (del bambino che annega in piscina o che precipita in fondo al mare) è infinita.
    Tanto furore (legittimo) contro gli scafisti, ma mai una parola di pietas umana nei confronti di chi cerca di fuggire dall’inferno – anche per cause climatiche – alla ricerca di una vita migliore.
    Solo papa Francesco (nessun altro ha il coraggio di farlo) osa gridare all’umanità che siamo tutti “fratelli” e che l’indifferenza che proviamo nei confronti di chi soffre si ripercuoterà contro di noi.
    Sarà l’Africa il nostro futuro (di investimenti e di mercati), ma potrebbe essere l’Africa la nostra rovina.
    L’Europa rischia forte di morire di… indifferenza.
    In un mondo – piaccia o non piaccia – interconnesso (anche grazie alla Rete) quello che accade o che non accade in Africa (per nostra insensatezza) si ripercuoterà sull’Europa.

    • Approvo il parallelismo, anche se da ciò alla linea di condotta da tenre gli orizzonti sono aperti. Mi spiego, facile indurre Rita o altri a espressioni di intoleranza alla massiccia immigrazione, se non si vede il critterio regolatore, la scelta di priorità… L’intolleranza è frutto della paura, ma sempre meglio dei tempi non lontani delle guere di respingimento, e alle parti di Gibilterra le pallottole, di gomma, sono ancora volate.
      Proprio ieri una signora albanese, entrata venti anni fa come domestica a ore in casa mia e ora amica di famiglia, esclamava: “ancora migranti, ma basta!”. Che dovevo fare? Ricorarle che non è passato molto da quando aveva i vestiti bagnati per l’ingresso avventuroso nel territorio nazionale? Che tutti l’abbiamo aiutata a fare due figli laureati e avere una casa con climatizzazione ed elettroomestici? Ma l’uomo è fatto così. E allora bisogna mitigarne le paure indicando le occulte terze vie. Io non avevo pensato al parallelismo tuttavia quano ho scritto, volevo solo esprimere sdegno e biasimo per un ruolo genitoriale inetto. E dolore per quelle fini, morti potremmo dire tecnologicamente assitite, svoltesi nell’indifferenza, di terzo millennnio.

    • Se la cosa ti può consolare, Adriano, io ho a che fare con molti stranieri regolarmente residenti in Italia e tutti, ma proprio tutti, dicono “ancora migranti, ma basta!”. Credo bene, loro si sono fatti tutta la “trafila legale”, sobbarcandosi qualsiasi lavoro pur di acquistare un diritto, e adesso si vedono arrivare belli freschi decine di ragazzotti in branco, armati di smartphone e felpa finto-griffata, che sperano di sbarcare il lunario in Italia. So che sei un romantico, ma credimi: la tua colf albanese, né la sua famiglia, hanno mai avuto “i vestiti bagnati” (non ce li hanno neppure i traghettati dalle Ong) ma s”è fatta un mazzo tanto per avere ciò che ha. Non ha mai passato la giornata in giro in bici, a spacciare ai giardinetti o a prostituirsi in strada. E’ così difficile da capire che gli “immigrati regolari” sono un altro mondo rispetto ai millennials di colore?

      Già un africano c’è in Parlamento, in quota Lega, mi auguro che nei prossimi anni la presenza di “naturalizzati” aumenti sensibilmente, così la facciamo finita con le interpretazioni del vangelo secondo Bergoglio spacciate per esempi di rara umanità. Far capire ai poveri illusi che pagano gli scafisti per venire a fare gli schiavi in Italia sarebbe un gesto di umanità ma, visto che in Europa se ne fregato tutti, un corale grazie a Salvini che per lo meno ha chiuso i porti (tra barchini e barconi finora ne sono entrati meno di 4mila). Sempre sperando che le mafie non lo tolgano di mezzo costringendo noi ad emigrare altrove. Con i documenti in regola, è ovvio, solo in Italia si entra senza.

  • Pensa un po’ cosa non si diceva degli albanesi vent’anni fa.

    • Non di quelli che lavoravano nei cantieri ma delle “bande di albanesi” che mettevano sui marciapiedi le bambine di 12 anni, che comunque ci sono ancora, anche se ormai decimate da mafie ben più aggressive.

      Ad ogni modo non funziona la formula “gli immigrati son tutti uguali”. Non lo sono affatto, neanche noi siamo tutti uguali. Proprio pochi giorni fa un brasiliano, ormai cittadino italiano, mi diceva arrabbiatissimo “ma ci rendiamo conto di chi stiamo facendo entrare in Italia?”. La maggioranza si, è fuori dubbio, una minoranza ancora no. Il conto, però, lo pagheremo tutti.

  • Ti darei ragione, Adriano, quando dici che i genitori di oggi “non sono più capaci a fare il loro mestiere” e che “per quattro stupide chiacchiere mondane, per un cellulare, dimenticano i propri figli”. Soprattutto pensando a certi ambienti con piscina e attrazioni varie.

    Poi, però, penso a quando si era bambini noi. Non so, dove eri tu, che cosa combinaste. Ma qui da noi, appena possibile, si usciva dalle mura e si andava a campi e fossi. La corrente del Canale in cui ci si tuffava e si nuotava era la stessa di oggi. Certe avventure, certi scontri tra bande, pestaggi compresi, certi giri per sentieri e arrampicate sugli alberi si facevano alle elementari. E noi pischelli di città si imparava dagli amici di cascina, che ci facevano salire su carri traballanti di foraggio, girare tra le zampe di vacche e cavalli, molestare enormi tacchini in cova nel sottotetto. E i nostri genitori non erano irresponsabili sciagurati tendenti all’infanticidio. Oltretutto, se andavi a messa con una stringa slacciata erano sberle.

    Se vai, Adriano, negli archivi a scorrere i registri parrocchiali degli ultimi due secoli, trovi tantissimi morti “infanti”, oltre che per malattie oggi curabilissime, anche per eventi uguali a quelli vissuti, con maggior fortuna, da me e da quasi tutti i ragazzetti cremaschi, di città o di campagna, almeno fino ai primi anni Sessanta, non in qualche sperduta savana o taiga ma uscendo fuori porta.

    Ovviamente, non dico che se oggi qualche bambino annega in piscina, vabbè, sono i rischi dell’esser bambino. Dico che, forse, oggi siamo tutti molto più sensibili, partecipi e presi dall’evento drammatico, rispetto a una volta. Forse allora i figli abbondavano. E magari faceva parte di una sana educazione far sperimentare esperienze concrete, “addestrare” fisicamente i figli, metterli in condizione di correre certi rischi in ambienti naturali, “sul campo”. Le disgrazie capitavano ugualmente. Ma si viveva misurandosi con la realtà. Senza smartphone, con la fionda.

    • Ben detto. Fino a cinquant’anni fa si giocava a prendersi, a nascondersi, a «palla prigioniera», a «palla avvelenata», ai «quattro cantoni», l’allenamento era continuo e inconsapevole, c’era un’educazione fisica naturale e la strada era un’ottima scuola di vita dove s’imparava a prenderle e a darle, mentre oggi è uno spazio pericoloso. Il mondo «naturale» è stato sostituito dal mondo «digitale» e i bambini stanno ore ed ore fermi immobili, per forza si fanno male non appena muovono un dito. Non sono scaltri, sono impacciati.

      Andare in palestra, a tennis, nuoto, calcio o danza è tutta un’altra cosa. Si stimolano solo certi muscoli e certe articolazioni, senza contare che quando sconfinano nell’agonismo rischiano di insinuare nella mente la falsa speranza di poter diventare un giorno un campione. Dai e dai, siamo riusciti a «professionalizzare» (e monetizzare) anche quello che doveva essere un divertimento innocente.

    • Pietro hai descritto la mia infanzia! nel braccianese facevo a botte con certi figli di boscaioli e carbonari da far paura, e quanta ne avevo! Me la cavavo con astuzie tattiche, tiri bassi compresi. La guerra fra bande riguarda il mio periodo bolognese: la città era tutto un cantiere per l’euforia costruttiva, e cantiere voleva dire armi improprie, nel senso letterale. Bando alla nostalgia, accetto la correzione di rotta, saggia. Tuttavia la sperequazione fra atrocità della morte e clima festoso è troppo stridente!

  • Bambini in cerchio per valutare molte cose. Questo a scuola. Il bambino esterno al gruppo deve superare la barriera e guadagnare il centro. Un’ora di osservazione. Nessuna strategia, colpo di genio, prontezza. Solo aggressività, spintoni per rompere il cerchio. Mai un effetto a sorpresa soppesato, mai cogliere l’attimo di distrazione del muro infante.

    • Sempre ci insegna l’etologia che i cuccioli di ogni specie solo aggressività, gli adolescenti inventiva e risultati che alla lunga convincono gli adulti, e così è che nasce una nuova cultura.

  • Non so Adriano se i nostri cuccioli siano paragonabili ai piccoli di altre specie dove l’istinto prevale e li accomuna tutti. I bambini invece raccolgono imprinting da famiglie, società fin da piccolissimi. In età scolare già verrebbe da dire che ormai il danno è fatto o il merito visibile. Da considerare comunque che non si da’ nessuno per perduto. Invece mi è piaciuta la tua considerazione della sperequazione tra morti contemporanee e divertimento o distrazione di chi è delegato alla sorveglianza. Pietro dice che le morti Infanti ci sono sempre state, però è diverso se fino a pochi decenni fa, un po’ il numero, giusto, i ritmi di lavoro, faticosi, vedi le campagne o le donne nelle industrie, i genitori avevano poco tempo da dedicare ai figli. O altra mentalità. Invece adesso i figli, spesso unici, meriterebbero più attenzione, sacrificio e meno edonismo. In tutti i casi sono morti uguali, se causa del nostro male. Se cause d’altri invece, credo che al dolore si aggiunga la rabbia che poi porta adulti di seconda o terza generazione al casino che creano. Rabbia trasmissibile nel dna. E le conseguenze le pagheremo. Credo che lo abbia scritto anche Piero non molto tempo fa. P.s.: troppa roba? Scusate.

  • “Rabbia trasmissibile nel dna” …e ora sappiamo che ciò è vero in senso letterale!
    Vero, come è vero che battendo sul tasto della sorveglianza nel nostro piccolo stiamo faceno cultura, che si trasmetterà. Nulla va perso, quindi meglio pesare le parole che si usano.
    Cosa che io e te facciamo, mi sembra, ma a volte non si capiscono le proprie stesse parole, pare.

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