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RITA REMAGNINO

Malvagità, un tabù contemporaneo

Un tempo non c’era un confine netto tra il Bene e il Male, che non erano due cose «diverse» bensì due differenti aspetti dello stesso basilare principio unitario di polarità. Avendo una natura «umana» persino gli dèi erano soggetti agli alti e bassi che colpivano gli uomini, lungi pertanto dall’essere onnipotenti, onniscienti, giusti e infallibili, talvolta si proclamavano i paladini del Bene e talaltra diventavano i maggiori sostenitori delle forze maligne.
Si trattava di opportunità politica, o di buon senso?
Equilibrismo strategico, o lucida lungimiranza?

 

Di tutto un po’ poiché gli Antichi non erano «saggi per natura», come si narrava lo fossero stati i Padri fondatori del presente Ciclo umano, bensì «saggi a causa delle circostanze». Guardavano, valutavano, riflettevano, agivano. Tutte azioni umanissime, e dunque fallibili, ma pur tuttavia misurate, soppesate, ponderate. Un mondo non ancora del tutto corrotto rendeva l’umanità ottimista riguardo al proprio futuro, la mentalità era improntata sull’etica, le azioni venivano guidate da un certo equilibrio, i pensieri maturavano in un clima di fiducia nell’ordine cosmico, la consonanza con il quale non era più autentica e originaria come alle Origini ma ancora abbastanza vicina al ritmo della Natura.

 

E’ chiaro che certi livelli di quiete interiore sono inarrivabili nel mondo di oggi, dove tra una coda in tangenziale e una fila davanti allo sportello di un ufficio pubblico, in marcia sotto le piogge acide o di corsa in mezzo allo smog, un semplice pensiero negativo può diventare in poche ore un conflitto dilaniante. Chi ci giudicherà tra mille anni dovrà tenere conto di tutte le attenuanti del caso, valutandoci per ciò che veramente siamo stati: degli eroi della resistenza.

 

Da parte nostra dovremmo cominciare almeno a mettere da parte tabù e ipocrisie, non fosse altro che per stare leggermente meglio. E’ ridicolo aborrire la guerra a parole, e poi, nei fatti, soprassedere sulle azioni belliche del più potente Stato del mondo, gli Stati Uniti d’America, che ha impegnato il 93% del suo tempo storico in una qualche forma di conflitto. Recentemente il Global Research ha pubblicato un documento sul numero di persone uccise dalla ininterrotta serie di guerre, colpi di stato e altre operazioni sovversive, effettuate dagli Usa dal 1945 ad oggi: 20-30 milioni di vittime, circa il doppio dei caduti della Prima guerra mondiale.

 

Naturalmente le guerre moderne sono legate a doppio filo all’economia, c’è una correlazione evidente tra le performance economiche di un Paese e il suo coinvolgimento in conflitti bellici, è risaputo che lo sviluppo degli armamenti trascina un indotto colossale e stra-miliardario. Perché, allora, non abbiamo il coraggio di dire che per mantenere un certo tenore di vita le guerre sono un «male necessario»? Lo sono, forse, anche per mantenere un’accettabile tranquillità sociale.

 

A quanto pare il guerreggiare pubblico e privato farebbe parte della nostra natura, possiamo interrogarci finché vogliamo ma i motivi che inducono l’essere umano a colpire un suo simile resteranno per sempre nel recinto delle oziose speculazioni intellettuali. L’uomo è incline a fare il bene, come voleva Socrate, oppure è tristo per natura, per dirla con Machiavelli, e solo il timore delle sanzioni lo trattiene dall’abbandonarsi ai suoi peggiori istinti? E’ altruista, benevolo e misericordioso, come si predicava nel «secolo dei Lumi», oppure è un lupo per gli altri uomini (Hobbes)?

 

Dopo esserci riempiti la bocca per anni con la parola «buonismo», forse è arrivato il momento di affrontare il suo contrario, cioè il «cattivismo». E’ uno dei tabù contemporanei, lo sappiamo, tuttavia rappresenta anche la cifra dell’Era contemporanea. Oggi non si uccide più qualcuno in un raptus d’ira, ci si accanisce sul suo corpo con ventotto coltellate; non si stupra in gruppo una disgraziata fanciulla, la si macella dopo il misfatto per poi riporne i pezzi in valigia; non si tiene in schiavitù un’altra persona, ci si diverte a torturarla fisicamente e psicologicamente; non ci si vendica del rivale in amore sparandogli un colpo al cuore, ma si sfregia per sempre la sua faccia con l’acido muriatico.
La cronaca nera dei giornali è piena di notizie del genere e anche peggiori.

 

 

Non va meglio, purtroppo, nella cosiddetta «normalità». Abitualmente le persone dissimulano, giocano sulla buona fede dell’altro, sfruttano a proprio vantaggio la nobiltà dei suoi sentimenti o la sua ingenuità in attesa di poterlo sorprendere quando meno se lo aspetta, violando così la sacralità di un vincolo fiduciario. Questi comportamenti sono qualcosa di molto vicino alla malvagità, è il gusto del male per il male, che ragionevolmente suscita qualche domanda.

 

Esistono degli esseri umani (a parte i casi patologici, ovviamente) che praticano o desiderano il Male come linea normale e abituale di condotta, e per giunta se ne compiacciono? Attorno a noi ci sono individui che godono, puramente e semplicemente, di fare del male al prossimo non solo e non tanto per ricavarne un vantaggio, di qualunque genere esso sia, ma principalmente per il gusto di fare il male per il male? Perché allora parliamo di espiazione, riscatto, redenzione? Cosa ci fa credere che un pugno di buone parole possa neutralizzare una caratteristica innata?

 

Uno dei più granitici tabù dell’Era moderna, probabilmente, che pretende una società umana bella e buona dopo avere trasformato la la parola «Progresso» in un sinonimo di «Miglioramento». Ma se un tempo si cercava di nascondere la malvagità sotto il tappeto delle convenzioni sociali e religiose, oggi effettuare questa manovra non è più possibile. Il malvagio, che esiste alla faccia del bon ton, posta le sue azioni sui social affinché tutti vedano di cosa è capace.

 

Viene allora da pensare che il problema non siano tanto le guerre quanto più la malvagità che l’uomo porta nel cuore. Solo una serie di fortuite circostanze determina il fatto che il Male si riveli pienamente oppure venga sublimato dalla nostra psiche. Persino i bambini mostrano di avere una crudeltà innata, il che la dice lunga su una condizione costantemente in bilico in una realtà che reca entrambe le parti dentro di sé. Finché negheremo l’esistenza del Male e della malvagità che ne deriva, non avremo armi per combatterli e ne verremo inghiottiti.

RITA REMAGNINO

24 Ott 2019 in Cultura

95 commenti

Commenti

  • Da cell. :ho conosciuto persone realmente malvagie, ma se fossi vissuto ai tempi di Socrate ne avrei avuto un sensazione di normalità. Gente arrostita, sventurata… Basta leggere i classici greci o guardare certe illustrazioni sui vasi. O a scuola semplicemente l’odissea. Questa barbarie ha creato un uomo meno peggiore… ma quello del 3000 sarà ancor meglio!

    • Proprio qui sta il problema: alla malvagità “ci si abitua”, forse perché una vocina dentro di noi ci suggerisce che non saremo mai in grado di sconfiggerla. Fa parte del nostro fardello. Ci sono tuttavia nella Storia periodi in cui il lato negativo prevale e diventa “la normalità”, e questi ultimi decenni appartengono indubbiamente alla serie nera. C’entra l’esasperazione dell’individualismo che ha messo “i diritti” (ovvero i desideri) in cima a tutto? C’entra il buonismo che credendo di poter avere la meglio sul cattivismo ha “depenalizzato” anche le azioni più atroci? C’entra qualcos’altro di cui non abbiamo coscienza?
      Bei tempi quando i borsaioli ti sfilavano con impareggiabile abilità il portafoglio dalla tasca, adesso ti sparano un colpo alla nuca per portarti via 10€. Il Male ha perso il senso della proporzione, o forse è sicuro di sé, sa di farla franca. Nessuno più gli si oppone nella società dei debosciati.
      Abbiamo fatto un bell’affare a gettare via tutti i valori del vivere sociale in cambio di un piatto di lenticchie cosiddette “civili”. Non lamentiamoci, poi, se qualcuno tra i più giovani comincerà a reclamare ordine e disciplina. L’abbiamo voluto noi.
      Non c’è bisogno Adriano di guardare i vasi greci, basta aspettare un treno alla stazione di Rogoredo e osservare nel frattempo l’umanità maciullata che bazzica i dintorni. Non stiamo parlando di due o tre fulminati nel bosco ma di almeno due generazioni.

  • Il bene ed il male, è un terreno sul quale fatico assai a muovermi con sicurezza.
    Civiltà e inciviltà, tolleranza e intolleranza, capacità di ascolto ed arroganza, ecco questi sono paradigmi con i quali personalmente mi trovo più a mio agio, che ritengo facciano maggiormente parte del mio bagaglio di appartenente storicamente, culturalmente all’italica area latino/mediterranea .
    Su questi valori fondamentali quindi cerco di esercitare la mia ….arte del vivere, la mia quotidiana ….danza tra quanto propone la mia mente ed il mio cuore.
    In cremasco si dice che “…a balà be, sa fa la murusa” e i proverbi, si sa sono ….. ergo!

    • Fatichiamo a muoverci sul terreno duale della nostra umana natura perche’ ad un certo punto della storia, semplicemente, abbiamo deciso di ignorare una delle due parti.
      Ma basta rimuovere qualcosa per dichiarare che non esiste? Il Male e: in ascesa e su questo punto ci sono ben pochi dubbi. Che si fa, lo guardiamo in faccia e cerchiamo di combatterlo oppure facciamo finta di niente? Il Male si esprime attraverso certuni o sono solo… compagni di strada che sbagliano? Temo che la politica dello struzzo non sia piu: sufficiente. Il bus e’ ormai prossimo al capolinea.

  • Malvagità non è un tabù contemporaneo; i malvagi erano un tabù nel Novecento, per esempio. Abbiamo avuto Stalin, e per lunghi anni fu osannato; lo fu Hitler, che aveva milioni di tedeschi che non avrebbero fatto male a una mosca, che se gli dicevi che Hitler era malvagio ti avrebbero strozzato; lo furono dittatori fascisti come Mussolini, Pinochet, il generale Videla, che avevano folle ad applaudirli,e non si poteva dire che erano criminali. Era un tabù. Milioni di morti, di gente torturata; e poi la Shoah, che per alcuni studiosi, molto vicini ai sovranisti contemporanei, è un’invenzione. Per arrivare a noi, nel belpaese, abbiamo fior fiore di criminali che hanno sottratto patrimoni al fisco, e che passano per gente sveglia, per liberali.

    • A differenza del secolo scorso oggi la malvagità non è una caratteristica limitata a uno specifico personaggio, pubblico o privato che sia, ma va estesa alla società nel suo complesso. La si ritrova quotidianamente nella cronaca nera di tutti i Paesi del mondo, e il più delle volte fa concludere a chi vi assiste che la realtà supera di gran lunga la fantasia, persino la più perversa.
      Ovvio che “i cattivi” da che mondo è mondo ci sono sempre stati, tutto dipende però dalle percentuali e dal genere di … colpi messi a segno. Una volta l’efferato assassino si pentiva, oggi se la ride e si compiace. C’entra l’indulgenza eccessiva degli ultimi decenni? Mettiamo la polvere sotto il tappeto per illuderci che la sporcizia non esiste? Abbiamo dichiarato che i malati di mente non sono matti e i malati nell’anima non sono criminali perché in realtà non sappiamo come curare il male che li affligge? Ci siamo messi “dalla parte di Caino” per dimenticare che Caino c’è, eccome? Qui ci si dovrebbe interrogare. Se vogliamo uscirne, è chiaro, altrimenti si fa finta di niente che si sta facendo da qualche tempo a questa parte, e buona notte al secchio.

  • E siamo alll’etica, valore relativistico, confermo. E siccome essere bravi è più utile alla collettività che essere arraffatori, sprezzanti delle vite, e così via, tutto ciò che di negativo ancora diciamo di riconoscere, il valore comune vincente è il “bene”, più utile. E allora che è successo? Semplicemente il cambiamento generalizzato di costumi ha attenuato la funzione del controllo sociale collettivo. Ora di darsi una calmata e ripristinarla questa funzione, i valori sono ancora lì, intatti, forse appannati e approvati più retoricamente che praticamente, ma prima che il segno si inverta, e… ce ne vuole, tranquilli! Semplicemente è ora di emettere giudizi e di rendere attuative le conseguenze.

    • Il controllo sociale (famigliare) oggi è inesistente. Siamo nel caos più assoluto e, sì, credo anch’io che sia arrivato il momento di invertire il sistema, di educare i figli, di rendere certe le pene. Alla lunga il lassismo in tutti gli ambiti si è rivelato devastante.

  • Nessun tabù: la malvagità contemporanea è raccontata tutti i giorni da televisione, giornali, cinema, libri e social, dove una libertà riconquistata dopo le vicende del secolo scorso che Marino ha elencato ha permesso che tutto venga giustamente sdoganato. E tutto in nome di un politicamente scorretto con attacchi miserevoli contro popoli e derelitti, barchini e i loro “filantropi, i deboli e le inopportunità che pare colpiscano sempre gli stessi, dimenticando la casualità, artefice di tutti i destini del mondo. Oggi si può essere malvagi attraverso i social, minimizzati anche dalla magistratura in nome di una libertà di espressione non più ferente perchè considerati mezzi di comunicazione interpersonale anche se condivisi da milioni di condivisori. Così, un esempio, Liliana Segre tutti i giorni riceve circa 200 messaggi denigratori, violenti, perchè non solo il parlare di malvagità non è più un tabù, ma addirittura l’esercizio di essa è autorizzato, legittimato. Se qualcuno mi offende e non posso denunciarlo, la malvagità ha il bene placido per la sua moltiplicazione. In una moltiplicazione emulatoria che i tempi consentono perchè il linguaggio ha perso quel valore che la semantica ha reso interpretabile ognuno per sé. Certo, ci si commuove per in funerali di quel bambino precipitato dalle scale, per poi dimenticarcene il giorno dopo perchè ormai assuefatti a tutto si sta solo ad aspettare che succeda qualcos’altro, come se la memoria non avesse spazio per l’accumulo, perchè il nostro cervello, che non può contenere tutto, si deve tutte le volte alleggerire del troppo che ormai ci sovrasta, e non c’è peggior malvagità della perdita della memoria che non sappiamo più capitalizzare. Tutto ci scorre addosso come l’acqua della doccia. Il linguaggio che, dicevo, confondendo i significati delle parole, e qui sta la malvagità, non distingue più quei “tratti fondamentali: giustizia e misericordia. Giustizia non è fare giustizia, ma portare giustizia a chi con ce l’ha. E quanto alla misericordia bisogna toglierle quell’odore ecclesiastico di cui è intrisa. Nel linguaggio comune parliamo di pietà e compassione. Ma preferisco la misericordia nel senso di portare il proprio cuore dalla parte dei miseri.” Invece cosa succede ora? Succede che giustizia, appunto, diventa la punizione, la vendetta, il rifiuto perchè la giustizia diventa giustizialismo, omettendo tutte le possibili attenuanti storiche e culturali, e la misericordia quando la vediamo nelle opere degli altri, lodevole, ma meno male che se ne occupano loro, diventa per noi quell’alzata di spalle del delegare o il circoscrivere egoisticamente, ormai per mera sopravvivenza, al proprio piccolissimo ambito, così da metterci l’animo in pace perchè i malvagi sono sempre gli altri, non noi perchè noi non siamo attori in scena. I protagonisti sono gli altri, noi solo passivi spettatori. Ma questa è complicità. Il nostro silenzio, la nostra indifferenza diventano il viatico per chi invece nelle azioni traduce il nostro non sentire. E il secolo scorso che sembrava ormai metabolizzato a fin di bene riprende vigore con numero di adepti sempre maggiore, con gesti e simboli esibiti, alcune volte assolti appunto anche dalla magistratura, derubricandoti a folklore, dimenticando l’importanza dei simboli e dei loro significati capaci come niente di tradursi in gesti di malvagia concretezza. No, Rita si sbaglia. Non solo si può parlare di malvagità, ma la si può di diritto esercitare. Dopo il secolo scorso da qualche decennio sta trovando legittimazione politica e culturale.

    • Si, certo, la malvagità è raccontata tutti i giorni ma è raro che venga giudicata. Il tabù è il rifiuto a considerarla ciò che precisamente è: il frutto del Male. Non vedo cosa c’entri con l’argomento il secolo scorso, i barchini e i barconi, i filantropi, la Segre, i social, i preti, la magistratura e la misericordia. Forse ci vogliono altri mille post per affrontare lo scibile umano.

    • Caro Ivano, il titolo “la malvagità è un tabu’ contemporaneo”, quando per lunghi anni nel Novecento non c’era un comunista che poteva dire: Stalin è un criminale, altrimenti sarebbe stato tacciato di deviazionismo, cacciato dal partito, o peggio; quando nei paesi fascisti Hitler, Mussolini, Francisco Franco erano considerati dalla maggioranza della popolazione degli “eroi” nazionali, e non dei criminali, lo ripeto, non per te che lo sai, ma il Novecento ha avuto per lungo tempo tabu’ criminali, come la Shoah che non fu creduta nemmeno da quelli che la vedevano ogni giorno, come i polacchi. In fatto di malvagità il Novecento, gientile signora Rita, non ha rivali, per il momento.

  • Va bene, allora, se si parla di MALVAGITA’, nn si può tacere rispetto alle atrocità che sta facendo oggidì “il Turko” nei confronti del popolo Curdo (onore alle eroiche donne curde in primis!).
    I turki (mamma li turki!), storicamente vantano grandi tradizioni in fatto di genocidi (l’ultimo, in ordine di tempo, quello perpetrato nei confronti del popolo Armeno nel 1915), quanto in atto con i Curdi sta assumento le stesse atroci caratteristiche, doppiamente motivato dalla “rivoluzione culturale” innescata dalle donne curde, rivoluzione che minaccia di azzerare il modello sociale che tradizionalmente, storicamente l’ha viste/le vede in un ruolo di totale/infima subalternità nei confronti del “maschio arabo”!
    Ieri alla coop stavo comperando dei fichi secchi, ho guardato da dove venivano e …..li ho lasciati sul banco! Si, lo so, che gli vendiamo lo stesso i cannoni, ma ….questo posso/possiamo fare!

    • I Curdi sono torturati e perseguitati da migliaia di anni e non mi risulta che vengano citati nell’ambito della “Giornata della Memoria”, così come tante altre minoranze etniche, armeni in testa. Non sarò certo io a difendere i Turchi, verso i quali non ho mai avuto alcuna simpatia. Non posso tuttavia esimermi dal considerare che devono vivere ancora altre dieci vite prima di riuscire battere il primato dei “civili” Europei che solo nel Nuovo Mondo hanno sterminato 150 milioni di nativi, come dimenticare gli Inglesi che distribuivano ai Pellerossa le coperte infettate dal vaiolo.

    • Ottavo secolo se non sbaglio (d.C.). Un pirata Turco fu catturato dai Greci e arrostito a fuoco lento per tre ore prima che morisse. Il sadismo, motivato o meno, nasce nei più insospettabili e a loro insaputa. Eppure ci sono uomini congenitamente sadici. Una volta ho colto un noto professionista mentre con la brace della sigaretta torturava una mosca. Non mi è rimasto che buttarla fuori dalla finestra, ma quello senza scomporsi: “E allora? hai scoperto che sono un sadico, e allora?”. Si possono nascondere ovunque, e visto che ceno da mio figlio ma, essendo in questo periodo solo a casa, pensavo di andare prima al cinema, ho dato una scorsa ai titoli e temi: horror è la parola d’ordine. E dire che un noto autore di fantascienza l’aveva previsto, ma tanto per cambiare non ricordo chi. Volete la mia interpretazione? Pressione demografica. Tutta questa gente a contatto di gomito ci destabilizza, li vorremmo far evaporare, ma i cattivi si limitano a torturarli. tanto è solo una malattia!

    • Se vogliamo proprio citare un tabù contemporaneo di strisciante cattiveria, le cui conseguenze sono pesanti per le società di oggi è l’emergere dell’ipocrisia, dell’ambiguità, un “piccolo crimine della coscienza”, come la chiama Simona Argentieri, in un libretto di un centinaio di pagine, uscito nel 2008, e tuttora fresco come pubblicato stamane, dal titolo “L’ambiguità”, edizione Einaudi. L’ambiguità, l’ipocrisia, oggi dilaga, invade la morale quotidiana, la politica, i rapporti sociali, anche privati, probabilmente, come dice Argentieri, pure “il linguaggio delle passioni”. Il libretto è agile e pieno di spunti di riflessione. Mi scuso per aver ancora occupato dello spazio.

  • Per Rita delle 12: 23. “Il secolo scorso, i barchini e i barconi, i filantropi, la Segre, i social, i preti, la magistratura e la misericordia.” E’ raro che tutto questo venga giudicato? Ma cara mia, sono il bene e il male contemporaneo. Che poi si arrivi a sentenze diverse è scontato come il giorno e la notte. L’atteggiamento verso questi eventi contemporanei per alcuni è bene, per altri male. Certamente non gli eventi in sé che analizzati oltre le due categorie assumerebbero significati diversi. Si dovrebbe ritornare al significato biblico del mio precedente intervento, dove portare giustizia non è fare giustizia. Il resoconto degli attacchi antisemiti che Liliana Segre riceve sono la denuncia della malvagità da una parte,e non saprei come definirlo, del lassismo o dell’indifferenza dall’altro. Se non è giudicare questo proprio non saprei cosa sarebbe la denuncia della malvagità. Il raccontarlo piuttosto che no indica chiaramente da che parte si sta e cosa sia la malvagità o no. Poi più di così non si saprebbe cosa fare, almeno nell’immediato. O, rassegnatati, aspettare che la malvagità trionfi.

    • Ma no, qui si confonde la malvagità con i banali stereotipi che definiscono il Bene e il Male all’interno di una società. E’ malvagio anche il tiramisù, allora, perché il mascarpone fa venire mal di pancia e si soffre molto. Alla larga anche dai “significati biblici”, che hanno determinato certi luoghi comuni.
      Quanto agli attacchi antisemiti, simili a centinaia di altri attacchi, ce n’è ormai per tutti i gusti, questi non hanno nulla a che vedere con la malvagità. Il fatto che non si distingua lo scemo dal malvagio la dice lunga su quanto l’uomo contemporaneo abbia le idee confuse.
      Il Male è una cosa seria, come il Bene del resto.

    • Vuoi la mia opinione, Adriano? Eclissi di tutti i valori sociali e culturali (ma torneranno) e conseguente scomparsa dei freni inibitori. Alla barzelletta illuminista del “buon selvaggio” non ci crede più nessuno. e considerato che l’attuale sistema ordo-liberista violenta e sevizia in tutti i modi le persone, l’aggressività è esplosa e i giovani sono ovviamente i più esposti.
      Cambiare strada, tuttavia, si può.
      Ma certo, sarà una bella rivoluzione.

  • Sbagliato. Lo scemo prima o dopo é sempre stato isituzionalizzato dal malvagio.

    • Bisogna però trovare il malvagio che desideri “istituzionalizzare” qualcuno, ammesso che ciò sia possibile, e personalmente non lo credo. Non mi sembra d’intravederne alcuno, comunque, nella massa ordinaria di malvagi che circola per le nostre città. Si accontentano del piacere prodotto dal Male.

  • Neanche in Politica? Il riferimento storico era quello.

  • Per fortuna, il ‘Male’ è sempre negli altri.

    • Mai detto questo, se riferito a me.

  • Sarebbe da stupidi. Il male che é in noi é privatissimo. Un blog non sarebbe la sede adatta ad analisi di autocoscienza. L’importante per ciascuno di noi é riconoscerne la presenza, e, se possibile, agire di conseguenza.

    • L’intento di questo post non era certo quello di avviare una seduta di psicanalisi ma semmai di riflettere sul Male che impregna i tempi attuali. Non si tratta piu’, a mio avviso, della malvagita’ che alligna in certuni (non sarebbe neanche una notizia bensi’ la normalità), ma di un qualcosa che agisce sottotraccia nella società presa nel suo complesso.
      Siamo talmente in tanti, che la vita del singolo non ha più, valore? O se non e’ tenuto a bada da principi condivisi, l’animo umano tende a dare il peggio di sé? Sono tanti i ragionamenti che si possono fare a questo proposito.

  • O farsi annientare.

  • Leggendo questo articolo mi vengono in mente I pessimisti cronici; i lamentosi a oltranza; gli odiatori seriali; i disincantati; i gretti; i poveri d’animo; gli ipocriti; quelli che “ho ancora il vomito per quello che riescono a dire, non so se son peggio le balle oppure le facce che riescono a fare”; i sorrisi più finti dei miei pseudo trent’anni; gli invidiosi; i portatori insani di malumore; i perfidi per sport; chi non ha cura del cuore degli altri; gli sprovvisti di empatia; i voltagabbana; gli amici finché serve; i visualizzatori senza risposta; i millantatatori di sentimenti; i contafavole; gli usa-e-getta; gli abbrutiti; gli incazzati col mondo; i boriosi… Qualcuno vuole aggiungerne altri?

    • Che carrellata, da vera scrittrice! E mi piacciono molto “i miei pseudo trent’anni”! Siamo bravi elaboratori, bravi a complessare le cose in cucina, nella musica, in tante altre arti, nel sesso. Molto raffinati, certo, a volte aggiungendo cio’ che i cuochi chiamano “un’ombra, un’idea” per definire una quantità minima, quasi omeopatica. E nel far del male un sorrriso di scherno celato male, volontariamente, una frase detta fra i denti, ma in modo che tutti sentano… raffinati malfattori insomma.

  • E adesso torna il biologo, etologo, evoluzionista: una cosa è il male politico, altra è la crudeltà. Il male poliitico si fa passare come reazione di necessità, e, tornando alle società tribali, quindi al nostro io sociale più genuino, lo possiamo riscontrare ad esempio nella tortura inflitta ai prigionieri dalle done dei pellerossa. Sarebbe servito da un lato da deterrente per i nemici (se vi prendiamo!), dall’altro da scuola per i bambini (vedete che è fragile?). La complessità cresce con l’articolarsi della società e dei rapporti fino alla globalizzazionne, ma i motori comportamentali restano.
    La crudeltà inndividuale: una malattia che sblocca un sito cerebrale obliterato in cui ci sono tute le istruzioni filogenetiche per una successione di atti mortificatori (crudeli) su altra entità vivente senza motivazioni, se non iil proprio piacere. E mi spiego: torturare un topo, come training, non è “male” per un gatto. Torturare un essere vivente per un uomo sì, in quanto sacrificio conscio con soffenza dell’altro senza ritorno obiettivo, tranne il piacere. Ci sono un numero indeterminato di schemi comportamentali automatici obliterati già nel nostro genoma, altrimenti faremmoo tutto e il contrario di tutto automaticamente. Inceredibilmente grazie a questi gesti messi in catena possiamo guidare un’astronave con la stessa semplicità con cui una scimmia scala un banano e ne nangia i frutti. Alcune malattie sbloccano il vaso di pandora della motricità (ad esempio wandering, Corea…). In analogia penso si possano attivare siti genici della crudeltà. Il deterrente è solo la società, perché la ripetizione di uno schema, qualsiasi esso sia, è fonte di piacere per l’individuo.
    ECCO PERCHE’ IL CONTROLLO RECIPROCO, ECCO PERCHE’ LIMIITARE LA PRIVACY ED ESPORCI ANZI AL GIUDIZIO IL PIU’ POSSIBILE. Incrementiamo iil nostro grado di socialità!

  • Mi sembra difficile tentare un discorso sulla malvagità senza rispondere prima ad alcune domande, dichiarando così i nostri presupposti concettuali. Esiste il bene in sé, quindi anche il male in sé? O si tratta di elementi soggettivi? Esiste un bene comune o il bene di alcuni è necessariamente il male di altri? Perché il bene dovrebbe essere sempre meglio del male? Il troppo bene non causa a volte il male? Che rapporto esiste tra bene e male, escludente o complementare? Nel fare il bene o il male, che cosa intendiamo per virtù o per vizio? Le neuroscienze e la biogenetica ci lasciano ancora qualche possibilità di autodeterminazione personale (il vecchio libero arbitrio)? Giunta ormai in fase di spiegazione biochimica l’intelligenza, quanto possiamo collegare il discorso sul bene e sul male a quell’altra facoltà umana, ultima ridotta parzialmente incognita alla scienza, quella della coscienza? Che cosa ci dicono le tradizioni storiche risalenti delle varie culture umane, soprattutto quelle di carattere etico, riversatesi o meno nelle diverse esperienze filosofiche e religiose? Che cos’è l’etica? Eticamente, ha senso parlare al plurale, al collettivo, al generalista, facendo discorsi sulle masse, invece che sull’individuo? E se l’etica fosse un criterio di distinzione tra individui, non di loro omologazione?
    Oggi la scienza non ha ancora intaccato il perimetro etico della coscienza, fondamento necessario di responsabili scelte morali personali. Penso quindi sia ancora possibile, individualmente, scegliere tra virtù e vizio. Da sempre l’esercizio della virtù, che porta al bene, è praticabile solo personalmente, così come quello del vizio, che porta al male (se si vuole si parli pure di malvagità), per cui credo sia decisiva proprio la scelta individuale tra la pratica delle virtù, che sono più di una, e la pratica dei vizi, che sono più di uno. Non ha senso tentare, in etica, un’estensione fittizia e generalizzata alle masse di questa scelta così personale.
    La malvagità nel mondo c’è sempre stata, a causa delle scelte viziose da parte di tanti o pochi. Lo stesso dicasi per le scelte virtuose. Il bovarismo melodrammatico sul male nasconde solo la miseranda banalità del male. Laddove i virtuosi prevalgono e frenano i vizi altrui, la società appare virtuosa e non malvagia (ma sono i virtuosi a esserlo singolarmente, correggendo gli altri). Laddove accade il contrario, appare malvagia (ma sono i malvagi a esserlo singolarmente, imponendosi agli altri).
    Le virtù principali, in base a molte tradizioni occidentali e orientali, sono la saggezza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. L’uomo virtuoso le esercita consapevolmente e così non cede ai vizi. I quali non sono l’espressione di un male (o di una malvagità) che dall’esterno aleggia sulla società ma sono il risultato di tanti atti viziosi compiuti da chi non ha la coscienza e la volontà per essere saggio, giusto, forte e temperante.
    L’uomo è responsabile, la coscienza morale è la sua guida, la virtù è la sua arma contro la malvagità.

    • ” Le neuroscienze e la biogenetica ci lasciano ancora qualche possibilità di autodeterminazione personale (il vecchio libero arbitrio)?” afferma Piietro. La posizione negativa delle neuroscienze (e una ce l’ho in famiglia, nuora), cade dove cadde Cartesio: evolutivamente non ci sarebbe stato futuro per l’umanità! L’ho spiegato su questi schermi, sottrarrei tempo. Bene e male sono due segni, non opposti, più simili allo zero termico assoluto (male) e la graduale risalita del termometro (bene). Il tutto è governato dall’utilità individuale e collettiva, e collettivo è utile individualmente. Dato ciò più una società si complessa più si rafforza il “bene”. Ed ecco che ce n’era di meno man mano che andiamo indietro nei secoli, verso la semplicità tribale, ancor prima familiare, indiviuale…
      Non a caso la storia dell’uomo biblicamente nasce da due fratelli e uno muore!
      Se concettualmente si vuol fare un passo avanti bisogna abbandonare ogni nobilitazionne del passato. La patina non è d’oro.

  • Brava, Anna!
    Sei giovane e, dal tuo osservatorio, hai molto da insegnare a noi attempati.
    E’ il nostro vizio: parlare solo delle cose che non vanno, piangerci addosso, creare nemici esterni. E, invece, dovremmo rimboccarci le maniche perché in noi (spesso lo nascondiamo a noi stessi) ci sono tante potenzialità positive a cui dobbiamo dare le ali. Ma… non lo facciamo perché andremmo contro-corrente.

    • Piero delle “cose che vanno” è ozioso parlare perché già funzionano da sole. Mentre le “cose che non vanno” devono essere affrontate, combattute e trasformate, affinché comincino “ad andare” anch’esse. Bisogna, per l’appunto, rimboccarsi le maniche e contrastarle fino all’ultimo respiro. E’ un dovere civile.
      Come si fa a “dare le ali” all’aereo del Bene finché là fuori il Male bombarda i cieli? Mi sembra un controsenso, o un suicidio, dipende da che parte lo si guarda.

  • Adriano, io credo di più alla ciclicità storica, non ad una linearità che ci vorrebbe diventare più buoni nel corso del tempo. Credo anche che analizzando tutti i fattori che hanno determinato nei secoli o millenni l’alternarsi o il prevalere di una delle due categorie le conclusioni non possano che essere individuali, non essendoci una chiave interpretativa univoca del reale. Siccome io credo che bene e male siano costruzioni culturali credo anche che l’interpretazione di tutti gli eventi in genere siano soggetti appunto a quella chiave interpretativa di cui ho detto prima e che sta solo nella soggettività, anche questa costruzione storica e culturale. Ma adesso mi sto ripetendo. Se poi penso che il futuro abitativo sta ormai nelle megalopoli io credo anche che la sovrappopolazione, con disparità economiche e sociali inevitabili non farò che esacerbare l’aggressività individuale o di piccolo gruppi ben raccontata in certa letteratura o cinema dove apocalitticamente i contrasti sociali sono destinati ad esplodere. Lo si vede in tante realtà sudamericane dove in molte città il tasso di criminalità è altissimo. La convivenza forzosa tra milioni di coabitanti disgregherà completamente il tessuto sociale in tante “Zone”, sto citando un film, dove l’essere gomito a gomito, scatenerebbe quella violenza dovuta all’intolleranza reciproca, anche per la difesa dei privilegi, tipica in piccolo anche nei condomini, dove ci si ammazza per un posto auto o per i panni stesi che gocciolano o per qualche rumore in più.. Qualcuno su questo blog scrive spesso che ormai sulla Terra siamo in troppi, e forse è vero, soprattutto se la distribuzione abitativa concentra in poche aree tutta la popolazione mondiale perchè l’economia ha deciso che deve essere così. E il bene lineare di cui parli tu non so bene quale evoluzione potrebbe avere. Non siamo un alveare o un formicaio dove la vita è organizzata per leggi evolutive naturali. Dove l’uomo ha messo il becco sempre ha combinato disastri.

    • Non so Ivano, se davvero manchi, come dici, una chiave interpretativa univoca del reale. E non so se le conclusioni, in campo etico, non possano che essere solamente individuali, quanto al loro risultato. Personalmente, credo che individuali siano la riflessione in tema etico, necessariamente personale, e l’esercizio dei comportamenti intesi a realizzare i principi frutto di quella riflessione. Ma non escluderei che tanti singoli comportamenti personali virtuosi, tra loro sommati, durevoli nel tempo, possano anche rendere più virtuoso quell’insieme di consociati.
      Questa dimensione individuale, di riflessione e d’esercizio comportamentale, di pensiero e d’azione, non significa però che siamo, come singoli individui, privi di riferimenti morali, visto che possiamo contare su tradizioni culturali risalenti e tutt’altro che irrilevanti nella storia del pensiero umano.
      Un dialogo sul bene e sul male o, addirittura, sull’immalvagimento metastorico del mondo (o sul suo rinsavimento) può essere sviluppato esercitando il necessario spirito critico verso tali tradizioni culturali, occidentali od orientali che siano, ma anche evitando di ignorarle del tutto. Perché un certo relativismo è farmaco salutare contro il dogmatismo ma un eccesso di situazionalismo etico rischia di portare al nichilismo morale e all’abdicazione da qualsiasi regola di condotta personale e da qualunque pratica di correttezza interpersonale.

  • Il fatto che noi siamo qui, ora, ad interrogarci su cosa sia male e cosa sia bene la dice lunga sullo stato di confusione in cui versiamo. Fino a non molto tempo fa, questo non sarebbe stato neppure un tema degno di nota. Nella concezione battagliera, agonistica e dinamica dell’esistenza dei nostri padri e nonni nulla si faceva né si otteneva senza l’opposizione al Male, che doveva essere combattuto e vinto. Non si poteva convivere con il Male e perciò la vita doveva essere continuamente ri-ordinata e redenta affinché il Bene trionfasse.
    Molto diversa è la situazione dell’attuale società passiva, o supina, imbambolata dalla tecnologia. Il Male, per quanto riguarda il presente dell’Occidente, riguarda una parte consistente del nostro mondo: la minoranza che detiene la ricchezza e il potere in lotta contro la maggioranza che cerca di salvare la degradazione della specie e la perdita del Sé. Le sofferenze causate da questo conflitto, che esiste e non è un’opinione, né una costruzione mentale, hanno alimentato una malvagità crescente.
    Si tratta di mondi che non collimano ma collidono, essendo opposti e inconciliabili. Tra di essi non vi è e non vi può essere né comprensione né incontro, ma solo lotta di sterminio, volontà di annientamento, sapendo che uno solo alla fine rimarrà sul campo, mentre l’altro verrà distrutto nella battaglia finale.
    D’altra parte con il Male, quello vero, quello definitivo che sfigura l’uomo, non si patteggia, ma si combatte all’ultimo sangue, con tutte le forze, umane e sovrumane. La cosa non è semplice perché di solito «i difensori del Bene» sono sempre i più deboli, esprimono la lotta della qualità contro lo strapotere della quantità, il valore contro il numero. Oggi le Orde dell’Ombra sono i mercanti di carta valuta con i loro cupi miti che negano all’uomo la pienezza e la dignità della sua natura. Magari non sono neanche brutti da vedere, eppure rispecchiano arcaici sistemi di pensiero all’opera in ogni epoca nell’immaginario collettivo.

    • Ma non facciamo più i bambini arroosto!

  • E per restare in tema, solo a Crema, inteso con moglie in viaggio con amiche, decido per il cinema. Stralcio tutti gli horror dichiarati, quelli presumibilmente realmente cretini, e mi resta Joker. Mamma mia! Rita ma queste nostre cose la produzione per caso le aveva già fiutate?

    • Era troppo facile mettere i bambini in pentola (in realtà non è mai stato fatto), adesso infatti gli arrostiamo il cervello.
      Le produzioni cinematografiche fanno quello che fanno (quasi) tutti: osservano, pensano, valutano, producono. La differenza sta solo nel fatto che noi lo facciamo gratis e loro a pagamento.

    • Guarda Pietro, l’ho letto d’un fiato, ma appen finito di scrivere (con tutto il rispetto) questo mio commento, lo rilleggo qualche altra volta.
      Troppo ben scritto, ma soprattutto oltre alla fase “estetica”(che ha comunque il suo bravissimo rilievo: “quant l’è bel, l’è bel!”) mi è davvero piacevole aderire all’impostazione che converge alla bellissima frase conclusiva!
      Ti leggessero un pò di giggini, di mattei, giorgette, mi verrebbe da dire, ma li …..c’è pocco da recuperare!
      E’ ai giovani che sarebbero stranecessarie delle buone letture, dei begli esempi di persone che vivono la vita con intelligenza, esaltando le potenzialità dell’intelletto e della cultura, passando attraverso il bello.
      Chissà che qualcuno di loro passi da questa piazza. Tu, vai avanti a ….darci dentro, con lo stesso stile, con la stessa classe (che, si sa ….non è acqua!).
      E adesso…..rileggo.

    • Ocio, fratello che stasera i bravissimi ragazzi di AMENIC, il sala Alessandrini (finalmente tornata civilmente agibile) ci propongono un ottimo “IL SETTIMO SIGILLO”, una roba da ….. “primi cineforum al Cinema Astra”.
      Imperdibile!!!!!

  • Interrogarsi e darsi risposte sul male e sul bene, chiarire su che cosa si stia argomentando, identificare concetti che esprimano azioni eticamente corrette: non mi sembrano, Rita, situazioni tipiche di decadenza e “confusione” intellettuale. Direi il contrario. La storia del pensiero umano, nel suo divenire attraverso tradizioni etiche occidentali e orientali differenti ma, su certi temi, spesso concordanti, si svolge proprio sulla base di riflessioni e “vie” comportamentali offerteci da uomini molto meno confusi e molto più illuminati del resto dell’umanità. Da Pitagora a Platone e Aristotele, dal Pentateuco ad Agostino e Tommaso, da Spinoza a Kant e Hegel, dai Veda al Giainismo, da Buddha ad Asoka e al Lamaismo, da Lao Tzu a Confucio e Meng Tzu, sul tema del bene e del male, dell’umana bontà o malvagità, mi pare abbiano tutti dichiarato i propri presupposti concettuali e chiarito i fondamenti delle proprie affermazioni, ad esempio rispondendo alle domande richiamate del mio commento precedente, e non solo a quelle.
    Sappiamo quanto la massificazione collettiva e la superficialità mediatica veicolino simulacri etici di facile smercio sul mercato della morale prêt-à-porter, non frutto di meditazione personale ma oggetto di emotiva fruizione da parte delle folle. Tuttavia, l’etica e qualsiasi discorso sul bene e sul male non sono un racconto fantasy, un film della Marvel, un videogioco o un insieme di slogan elettorali di pronta beva per le masse, come oggi succede. Al centro del campo in cui si opera la scelta etica, su bene o male, virtù o vizio, c’è l’uomo singolo, la persona, non la collettività, la folla. Perché la folla grida crucifige dopo aver gridato osanna pochi giorni prima. Applaude Bruto e poi, arringata da Antonio, vuole ucciderlo. La folla è quella eccitabile entità che assalta il forno delle grucce, che si stipa smaniosa davanti ai patiboli.
    La pretesa oggettiva e collettiva di un male miltoniano, gotico, faustiano affascina soprattutto perché nasconde la banalità soggettiva e individuale di azioni personali stolte, ingiuste, codarde, sregolate. L’ipotesi di una malvagità metastorica, metaumana, portata da “Orde dell’Ombra”, è romanticamente nibelungica, macbethiana, tolkeniana. Ma se c’è una leva per cambiare il mondo, si trova nella coscienza morale di ognuno di noi, uno per uno, ciascuno davanti a se stesso. La società di massa porta ogni membro della folla a voler diventare “il migliore” rispetto agli altri. Il percorso etico inizia invece quando l’uomo si impegna innanzitutto a diventare “migliore” rispetto a se stesso.

  • Pietro, può darsi che sia come dici tu, ma di fatto, anche per questioni etiche l’uomo ha avuto bisogno nel tempo di leggi e accomodamenti continui delle stesse. Anzi, detta così hai senz’altro ragione tu. Il pensare comune in teoria ha prodotto il bene in alcuni casi, ma il pensiero individuale non so fino a che punto giunga ad una elaborazione di cosa siano appunto il bene e il male. E le leggi hanno questa funzione. Io non pecco o non trasgredisco per le possibili conseguenze giudiziarie che il mio comportamento determina, non sempre per le conseguenze etiche che peserebbero sulla mia coscienza. Perchè queste chiamerebbero in causa rimorso e pentimento, anche questi forse retaggi culturali, almeno per qualcuno. Ammettiamo il delitto perfetto. Se meditato e giustificato avrebbe la sua ragion d’essere. Io uccido qualcuno che odio e il delitto rimane impunito. Naturalmente per me è bene che sia così, ma la società mi dice che è male. Naturalmente io me ne frego . L’importante è che non siano riusciti a risalire a me. Per questo che parlo interpretazione individuale dei due concetti. Come vorrei, al contrario di Adriano, insistere sulla circolarità contro la linearità evolutiva dei due concetti. E siccome è un mio chiodo fisso, se penso a certi momenti storici, se penso al secolo scorso, chi nei tempi precedenti avrebbe mai pensato ad uno sviluppo storico come a quello a cui abbiamo assistito? Chi avrebbe pensato che nel 900 qualcuno avrebbe mai pianificato l’eliminazione sistematica di un intero popolo? Eppure, come diceva Hannah Arendt la relatività del male divenne appunto quella banalità di cui lei parla diffusamente, e non c’è circostanziazione che tenga. In quel caso siamo appunto di fronte ad un relativismo dei due concetti capace di scardinare il pensare di molti, passando attraverso quell’indifferenza che ragioni storiche economiche o culturali volevano spiegare e giustificare. Ieri a Predappio, magari con meno folklore del solito, hanno sfilato in tremila. Pietro,vai a chiedere a loro cosa siano il bene o il male. Comunque anch’io penso che tanti comportamenti virtuosi messi insieme possano costituire un tessuto sociale civile. Se in tanti pensano che riflettere sula Storia possa essere un modo per non ripetere gli errori del passato, e questo potrebbe avere un’incidenza sul reale di tutti, e questo è bene, ma gli accadimenti potrebbero anche farmi arrivare a conclusioni opposte, cioè che per molti alcuni errori non siano tali. Ma ora mi fermo qui. Interventi troppo lunghi distolgono dalla voglia di leggere. Senza stare a citare il solito Pascal. A presto.

  • La percezione del ‘male’ è inseparabile dalla percezione della ‘colpa’. Il senso di colpa ci avvisa che abbiamo trasgredito una norma morale. Oggi il senso della colpa è deviato in genere verso aspetti sociali, pubblici, ambientali, allontanandosi dalla sfera privata, psicologica. Questa sensibilità al ‘male’ è naturale in noi o sovrastruttura culturale, legata a modelli arbitrari, o entrambe le cose? Quei soggetti che noi meccanicamente proponiamo come modelli storici di malvagità, pensavano di essere ‘malvagi’? Idem quei soggetti economici o politici cui oggi diamo la responsabilità dei mali del mondo. Sulla base di quali criteri noi li giudichiamo? È sufficiente che questi criteri siano condivisi da una maggioranza? Quanto un’assuefazione inconsapevole determina la nostra scala di valori e la nostra idea di ‘bene’? In certi tempi e luoghi ‘democrazia’ poteva suonare parola sconcia quanto oggi ‘nazismo’. E chi conosce appena un poco la natura umana sa bene quanto la nostra coscienza sia abile nell’auto-giustificarsi e nel proiettare il ‘negativo’ sempre su realtà esterne. L’elaborazione di un’etica soggettiva e comunitaria dipende in ultima analisi da una metafisica dei valori. Oggi siamo dominati da una trascendenza che confluisce nelle idee di sviluppo economico, di progresso tecnico e scientifico, di libertà individuale e democrazia. ‘Male’ è quindi per noi ciò che contraddice questa metafisica.

    • Questo è il punto, infatti, la percezione della colpa non c’è più. Lo vediamo tutti i giorni quando arrestano l’assassino di turno che con un bel sorriso stampato in faccia dice “non so cosa mi è preso”. E pazienza se qualcuno ci ha lasciato la pelle. Amen.
      “L’elaborazione di un’etica soggettiva e comunitaria” dipende, banalmente, dalla presenza di una comunità che si regge su valori condivisi e ha un’identità non commerciabile. Credo che l’impegno maggiore dei prossimi anni dovrà essere proprio questo: la ri-costruzione di comunità, ovvero la riappropriazione di ciò che ci apparteneva ma ci è stato tolto perché stavamo dormendo. Neppure il “sonno di Adamo” è durato per sempre.

    • Signor Cadè, come non pensare a “Il processo” di Kafka? Niente di più astratto di questo romanzo dove il protagonista cerca di opporre una concretezza che non trova scampo di fronte ad una logica che lo condanna secondo la legge degli uomini, dove peccato e senso di colpa mai si incontrano.” Il senso di colpa presuppone il peccato. Il senso di colpa e dunque il peccato, sono alla base de “Il processo”. K. si ritiene innocente ma in fondo sa di essere colpevole, anche se non conosce perché, tanto che alla fine accetta la crudele pena di morte che gli viene inflitta con un’apparente assurda tranquillità, che può essere spiegata forse dal precedente colloquio di K. con un sacerdote, che gli dice: “…non bisogna credere che tutto è vero, bisogna solo credere che tutto è necessario”.” Quindi il senso di colpa può insorgere indipendentemente dal peccato, come non è scontato neppure che ne sia una logica, umana e inevitabile conseguenza. Per il protagonista questo prelude addirittura all’accettazione della condanna a morte come necessità naturale, nonostante il protagonista non ne capisca il mistero. Morto come un cane senza capirne il perchè.
      E, visto che ci sono: MATTIA e la REDAZIONE non hanno sensi di colpa per la scelta valoriale di ripubblicare gli e.book e non le mostre? Scherzo naturalmente. Buona giornata a tutti.

    • Noi possiamo indurre anche in un cane il senso di colpa. Basta associare alcuni suoi comportamenti a sensazioni fisiche o psichiche dolorose. Se gli capita di comportarsi secondo i modelli sanzionati, lo vedremo mortificato e ansioso, preoccupato di aver perso il nostro amore e di venir punito. A quel punto anche il cane ha una sua percezione del ‘male’, inteso come azione non consona a un codice morale, e questo crea in lui angoscia, tentazioni, inibizioni, conflitti ecc..
      Potremmo perciò pensare che il ‘male’ sia un prodotto dell’apprendimento, legato a condizionamenti esterni che evocano il dolore.
      ‘Male’ è quindi tutto ciò che può causarci sofferenza. Ma se nell’uomo si crea un sentimento di empatia per altri esseri viventi – nei quali intuisce una coscienza simile alla sua – allora anche causare la sofferenza altrui viene percepito come un ‘male’. Tuttavia, essendo l’uomo un calcolatore, egli può valutare l’utilità di causare sofferenza a qualcuno per evitarla a qualcun altro. Così il male può assumere apparenza di bene, o addirittura di ‘sacrificio’.

  • Appunto, la percezione della colpa non è innata nella coscienza. E’ anche quella una costruzione culturale.

    • Non è esatto. Se non ci fosse già in noi un sentimento di colpa innato non potrebbe essere evocato e modellato dall’ambiente. Gli animali sociali sono legati da sentimenti di reciproca responsabilità. Il gatto non prova sensi di colpa.

    • Il senso di colpa è un ingrediente della malvagità, ma non fa parte della sua natura intrinseca. Si tratta di una palese sovrastruttura sociale e culturale; ad esempio, nei confronti dei figli molte etnie africane ed asiatiche non provano sensi di colpa nel metterli al mondo per poi lasciarli al loro destino, perché dio pensa a tutti e provvederà anche a loro. Noi non potremmo mai farlo.
      Sensi di colpa a parte, è chiaro che la malvagità è presente in ognuno di noi in varia misura. Come si nasce alti o bassi, bianchi o neri, biondi o bruni, si nasce più o meno malvagi. Non tutti da piccoli torturano dei poveri animali, ma qualcuno lo fa “naturalmente”. Il problema, dunque, è come tenere a bada in certuni una “parte oscura” spiccata e invadente, trattandosi di un problema sociale per tutti. L’unico freno, a mio parere, è la presenza di una solida comunità portatrice di principi e valori, cosa che negli ultimi decenni – parlo dell’Occidente in cui ci troviamo – è decisamente mancata. E poiché ammettere di essere malati è molto spesso il primo passo verso la guarigione, chiediamoci dove abbiamo sbagliato e facciamo un passo indietro.
      Parole come rettitudine, disciplina, regole condivise, doveri, sono finite in soffitta perché le società ottocentesche non hanno saputo gestirle, portandole all’eccesso opposto. L’uomo del presente ha fatto anche di peggio, seppellendole addirittura sotto la parola “diritti”. Tuttavia l’uomo è un animale strano la cui capacità rigenerativa (oltre che distruttiva) non ha limiti. Se vuole, può invertire la rotta. Deve AGIRE, però.
      La malvagità dilagante, secondo me, oggi è “la” malattia sociale.
      Quali medicine possono limitare il contagio?
      In ambito vaccinale ce la giochiamo, debellare il virus non si può.

  • Vuole dire che gli ominidi avevano già innata questa capacità? E perchè allora il senso di colpa varia da latitudini circostanze epoche? A meno che non si dimostri un comune denominatore, difficilissimo da fare comparando le varie culture, Oddio,in verità potrebbe avere ragione Lei, dando per scontato che il cammino evolutivo dell’uomo non avrebbe potuto essere altrimenti, di fatto l’uomo è l’unico animale che arrossisce. In tutti i casi è anche scontato che l’uomo si è sempre dibattuto tra natura e cultura. Non so se ha visto il recente film sulla nascita di Roma. Qui gli antichi romani vengono raccontati come dei primitivi, dei selvaggi, anche in termini di morale e coscienza e non risale a molto tempo la Storia occidentale. Pensi un po’ rispetto a questi temi cosa non è capitato in tremila anni. Del resto le domande che ci rivolgiamo continuamente, anche analizzando i momenti storici citati nei precedenti commenti, mi viene ancora da pensare che sia come espresso nei miei interventi precedenti. Se le colpe cambiano, anche giuridicamente, cambiano anche i sensi di colpa. E in certi passaggi anche il Suo pensiero sembrava questo. Non so.

    • Io credo vi sia in ciascuno di noi la tendenza innata a conferire segni positivi, negativi o neutri alle realtà con cui veniamo in contatto, cioè a inserirle in un sistema di valori. Questo sistema viene però modellato attraverso un condizionamento culturale, religioso, politico, mediante codici elaborati dalla società. Non credo che i romani considerassero un ‘male’ i giochi del circo, in cui la gente veniva ammazzata o divorata dai leoni. Era anzi un piacevole diversivo. E il ‘funzionario’ che torturava un prigioniero o che gli spezzava le ossa per arrotarlo, credo fosse convinto di agire nell’interesse della comunità. Anche oggi, chi sgancia bombe su popolazioni inermi, arrostendo adulti e bambini, credo sia convinto di farlo a fin di bene. Il macellaio che sgozza con noncuranza il povero vitello, forse si impietosisce vedendo un gattino infreddolito. Tuttavia, il valore che diamo all’altro – la nostra compassione, la nostra brutalità o la nostra indifferenza – non è un semplice prodotto di condizionamenti esterni. C’è sempre in noi la libertà fondamentale di elaborare e applicare nuovi codici.

  • C’è sempre nella vita qualcosa che tira al basso…
    La fatica è ricordare all’uomo la sua umanità.

    • Ma se ‘l’alto’ (il ‘bene’) fosse la nostra inclinazione naturale perché dovremmo far fatica a ricordarcene?

  • Perché certe qualità,s’imparano.

    • Quindi “la fatica è insegnare all’uomo l’umanità”?

  • Rispondo a Rita delle 9:37. Anche il concetto di ‘male’ è una sovrastruttura sociale. Prendi ad esempio i comportamenti sessuali. Onanismo, omosessualità, promiscuità, sono stati considerati per secoli un ‘male’ di cui sentirsi colpevoli. Oggi questi comportamenti sono in gran parte accettati. La pornografia entra tranquillamente in ogni casa. Anche l’adulterio ha perso molto della sua drammaticità. Sicuramente tra alcuni anni si accetterà, entro certi limiti, anche la pedofilia, che oggi è vista come ‘male’ assoluto. L’uso di droghe, per fare un altro esempio, può essere accettato o sacralizzato in certe culture mentre in altre è giudicato un male terribile. Questo vale per tanti aspetti della vita: la guerra, la pena di morte, la schiavitù ecc.. Il confine tra bene e male è sempre legato a giudizi di valore relativi ai tempi e ai luoghi. Che questo confine si debba porre è certo, dove si debba porre è difficile dirlo.

    • Si, certo, torniamo a bomba: manca la condivisione di principi e valori all’interno di una comunità coesa. Stiamo annegando nella società liquida organizzata dal Male per sopprimere il Bene.
      Ma visto che siamo tutti d’accordo sulla tendenza dell’uomo contemporaneo (affetto da delirio di onnipotenza) a considerarsi “causa causarum”, siamo sicuri che il Male non esista invece come entità autonoma? Se non fosse vero che tutto dipende da noi? Premetto di non avere risposte, me lo chiedo e basta.

  • Più che insegnare,è insegnarsi…
    E’un lavoro che si impara insieme.

    • Spinoza, Hegel, Confucio, Lombroso e tanti altri. Quanta carne al fuoco nelle discussioni dotte! E i valori perduti
      caro Graziano, ci penseranno Salvini, Boso e Borghezio a rimetterli all’ordine del giorno. Sicuro. Del resto, leggo da un romanzo di Colson Whitehead (The Nickel boys), a pagina 178, che l’oscurità non porta fuori dall’oscurità. (Darkness cannot drive out darkness). Solo la luce può farlo (Only light can do that). Giusto. L’odio non produce che altro odio. Già. Vabbè fioi, ghen bisogn da ‘n brisinì de mural, da fiducia. Lo diceva anche il Berlusca: bando ai pessimisti. Spinosa e le strutture di pensiero impegnative, e le sovrastrutture, però non insegnano in quel di Crema nemmeno le cose basilari; per esempio:come potare gli alberi. Urge un corso-base, semplice semplice, elementare, che spieghi che la chioma delle piante, potate, deve restare uniforme, non pendere da un lato. Invece, in Via Bacchetta, proprio ieri “addetti” comunali hanno scortitato un bagolare, sull’angolo con Via degli Ostaggi Cremaschi, con una violenza (malvagia? Boh, comunque violenza è), e adesso il bagolare che era bello alto e magnifico è un bagolare pendente. Con una nuova struggente capigliatura, che fa tanta malinconia. Si fanno tante belle discussioni filosofiche sul bene e il male, che mi ricordano un articolo di Domenico Rea, che sintetizzo: in una rinomata università di Napoli (capitale degli studi filosofici occidentali e orientali), il fumo della discussione vibrava e faceva piroette nell’aria più del fumo delle sigarette (allora si poteva ancora fumare e intossicarsi che era un piacere, diceva Rea). I discorsi spaccavano il capello in quattro, mentre fuori dalla porta principale dell’ateneo stazionava da giorni una montagna di puzzolente spazzatura, tanto che i professori, i docenti per entrare e partecipare alla discussione filosofica dovevano saltellare mucchi di sacchetti che strabordavano fuori dai cassonetti e ostruivano parte dell’ingresso dell’ateneo.
      Tante belle cose dette che volteggiavano nell’aria (all’interno), mentre fuori la puzza e la spazzatura non si alzava da terra (all’esterno). Questi napoletani (e questi cremaschi che non sanno che fare con le piante).

  • Forse qualcuno si ricorderà quelle tre diverse concezioni:
    1. l’uomo nasce buono ma la società lo corrompe
    2. l’uomo nasce malvagio ma la società lo migliora
    3. l’uomo nasce malvagio e la società lo peggiora
    Strano che nessuno dica: l’uomo nasce buono e la società lo migliora.
    In ogni caso, dobbiamo accettare che bene e male sono realtà autonome, non sono teorie create dall’uomo. Sono elementi fondanti di una dialettica cosmica che l’uomo cerca di definire e razionalizzare. E il modo in cui lo fa cambia a seconda delle circostanze.
    Personalmente credo che la storia recente rappresenti il trionfo del male e mi fa sorridere l’ingenuità di Adriano e di altri riguardo il ‘progresso’ etico dell’uomo.

    • Se la mia conclusione di 70 anni circa di esperienza è che c’è tutto da guadagnare a comportarsi bene, perché la vita ti rende tuttto ciò che dai, santa la mia ingenuità!
      Se per quel che ho capito della storia traggo la conclusione che nel pericoloso momento attuale per quanto male vada a finire non si potranno mai eguagliare le nefandezze del passato santa la mia ignoranza!
      Se aver lasciato andare per la loro strada i veri cattivi d’animo, una volta restato io vincitore sul campo, senza desiderare vendetta per le sofferenze a me inflitte, santo il mio spirito imbelle!

    • Del primo punto – è meglio comportarsi bene – non ho parlato. Per il resto, non voglio privarti delle tue illusioni.

  • Livio conto in generazioni a seguire di Tango così illusi come furono quelle passate! Altrimenti che son vissuto a fare? Ah… certo, per cercar di convincere la gente. Tranquillo amico mio, non mi attende nessuna croce, e poi, in tanti hanno assaggiato quanto sia vero il proverbio “guai all’ira dei buoni”, ma son così fortunato che dopo mi dispiace!

    • Caro Adriano, non offenderti. Tutti abbiamo le nostre illusioni. Io non nutro dubbi sulla bontà del tuo animo e su quella dei tuoi nipoti e pronipoti. Ma nei tuoi 70 anni di vita il mondo è passato attraverso continue guerre, atrocità a non finire, uno spaventoso degrado ambientale, un altrettanto pauroso degrado dei costumi, una corruzione politica sempre più estesa, un declino dell’arte e della cultura, un aumento della povertà e della disoccupazione, una perdita dei diritti sociali, un ritorno strisciante verso la schiavitù, forme sempre più invasive di propaganda e di lavaggi del cervello, un aumento delle malattie, dei disturbi psichici, della criminalità ecc.. L’elenco potrebbe continuare. Se per te tutto questo è ‘progresso’ io credo, ma forse mi sbaglio, che tu un po’ ti illuda.

  • E ai tempi dei Cesari? Per non parlare dei Greci… Io penso che un po’ proprio si siano illusi.Ma quest’illusione li ha spinti a guardare alto, tanto da farci credere di essere stati veramente civili. In effettti pochi di loro seguivano modi evoluti. Tuttavia avevano un vantaggio enorme su di noi: potevano sperimentare per poi far marcia indietro, in fin dei conti con un numero limitato di morti e qualche atrocità. Forse è qui tutta la nostra differenza: se noi diciamo comunismo è, e basta, Loro poterono dire venti anni di comunismo a Lipari, poi si torna alla prorpietà privata a sorteggio. Ma vedi Livio, anche questa è una grande lezione: di fronte all’avversità tutti i popoli trovarono in sistemi comunitari, nella difesa reciproca, l’arma vincente. Ora mi riesce più facile trovare cosa è sbagliato che cosa ci farebbe veramente bene. Peccato, non sono all’altezza!

  • Ti ringrazio, Francesco, per il tuo apprezzamento di ieri. Rita ha proposto un tema molto interessante. Più passano gli anni, più mi sembra che protestare contro il male compiuto dagli altri o, addirittura, contro la supposta malvagità del mondo non serva, anche in considerazione del tempo a disposizione prima del sipario. È meglio cercare di “guarire” noi stessi, ognuno lavorando su di sé. Come l’esercizio fisico mantiene la salute del corpo e l’esercizio mentale aumenta la salute della psiche, così l’esercizio etico migliora la salute dello spirito. Volendo passare, contro la malvagità del mondo moderno (o antico, o sempiterno), “dalla protesta alla proposta”, proporrei di iniziare a “curare” ciascuno i propri errori e vizi personali, come quando si fa sport, in modo progressivo e misurabile. La soluzione non è fuori di noi, in sovramondi, metafisiche, oggettivazioni assolute, dogmi rivelati, peccati originali, doni della grazia. Non esistono il Bene e il Male con la maiuscola. Sono astrazioni intellettuali fascinose ma elusive del nocciolo della questione: la nostra piena responsabilità individuale, davanti al mondo e, soprattutto, davanti a noi stessi. Esistono i nostri pensieri, discorsi, atti concreti che possono essere saggi, giusti, forti, temperanti oppure stolti, ingiusti, codardi, sregolati: un quotidiano, minuscolo ma fondamentale bene o male, semplice e persino banale nella sua evidenza, tale da costringerci a guardarci umilmente allo specchio, invece di rispecchiare con le nostre spocchiose geremiadi le dinamiche iperuraniche, iperboree, iperstoriche dei massimi sistemi cosmici. La soluzione sta nella nostra “igiene” fisica, psichica, spirituale. L’etica si fa così esercizio di pulizia e nettezza. Non so se si nasca buoni o cattivi. So che lo si può diventare. La virtù è molto motivante: più c’è allenamento, più si riesce; meno ci si allena, più si fallisce. Le virtù sono palestra, disciplina, tabella d’esercizi. Sono anche un modo per mettersi in pari con la vita, seguendo questa “regola d’oro”: chi dalla vita ha avuto di più, di più deve restituire.

    • E già questa è un’ottima via, ma se qualcuno ti chiede come la pensi su temi specifici devi essere pronto a rispondere, mica la risposta te la puoi inventare, e allora bisogna pensare molto, molto. tanto da avere le ideee chiare rispetto all’imprevedibile, e non c’è niente che mi mandi più in bestia che rendermi conto quanto il mio giudizio sia mutevole rispetto a cose impreviste. Per questo motivo, per la comune impreparazione, sono successe tragedie planetarie che poi abbbiamo attribuito a un ipotetico male: era solo stupidità! Stupidità che si dilatava come una valanga, e produceva morti, torture, tragedie etniche, e tutto era frutto dell’impreparazione, dell’immaturità storica.

    • Signor Martini, poco più su avevo scritto: “per fortuna il male è sempre negli altri”. Criticare, giudicare, condannare gli altri o il ‘mondo’, è un modo comodo per distogliere lo sguardo dalle proprie colpe personali. Tuttavia, le belle parole sull’esercizio delle virtù poggiano sul vuoto finché non se ne esplica il senso. Cioè, quando Lei si accingerà a fare i suoi ‘esercizi etici’, allenandosi a essere “saggio, giusto, forte, temperante”, dovrà pur chiedersi cosa vogliono dire queste cose. Dovrà vagliare parole, opere, pensieri e omissioni secondo un certo criterio. Allora potrà ricorrere a un catechismo bell’e pronto, al senso comune, alla tradizione stoica, epicurea, cinica ecc. o basarsi sulle Sue convinzioni personali. In ogni caso dovrà esprimere un’opzione filosofica. “Cos’è giusto? Che significa essere forti?” ecc.. È istinto? Non è così semplice.

  • Sì, Adriano, sono d’accordo, bisogna essere pronti a rispondere sui temi specifici. Il che non vuol dire ovviamente avere sempre tutte le risposte a tutto quanto. Ma significa, per lo meno, esprimere argomenti che portino l’interlocutore a comprendere le ragioni di certe affermazioni e a coglierne, al di là dei concetti generali enunciati, anche gli sviluppi ulteriori e più specifici.
    Comunque, è buona norma pensare, pensare molto, come tu giustamente dici, prima di parlare e di scrivere. Non viceversa. Con tutti i limiti, molto umani, che ognuno necessariamente ha e dovrebbe sapere di avere.
    L’imprevedibile, in quanto tale, è qualcosa di non previsto e quindi potrebbe, in certi casi, implicare alcune correzioni e rettifiche alle convinzioni individuali. Di solito, se il pensiero ha un certo fondamento, è possibile considerare l’elemento imprevisto in una logica di arricchimento. Ma dipende da variabili e circostanze da vedere volta per volta.
    Nel complesso, comprendo il senso del tuo discorso e lo condivido: anche in materia etica, soprattutto su un blog, estote parati.

  • Ottima osservazione, signor Cadè, in un periodo in cui in Italia le enunciazioni etiche abbondano e i loro fondamenti concettuali, i loro riferimenti di pensiero, i loro percorsi intellettuali scarseggiano.
    Ovviamente, non pretendo di avere alle spalle fondamenti, riferimenti e percorsi di particolare rilevanza. Ho i miei, che derivano dalla mia esistenza, che non è stata quella di uno specialista di studi etici. Altrettanto ovviamente, non derivano da un manualetto, un bignami, un libro dei fioretti e basta. Il perimetro delle mie fonti in materia non comprende, ancor più ovviamente, soltanto le virtù cardinali, anche se le trovo molto importanti.
    Come ho risposto poco fa al nostro Presidente, sono comunque sempre pronto, con tutti i miei limiti umani, a rispondere in modo più specifico alle eventuali domande o controdeduzioni riguardanti le mie precedenti affermazioni. Siccome però accedo alla rete in modo discontinuo, può accadere che i miei riscontri arrivino in tempi poco digitali e molto rurali.
    Non so quanto questi temi etici possano suscitare interesse, soprattutto su un blog, ma personalmente ritengo questo post di Rita uno dei più interessanti di questo ultimo periodo.

  • “Se si ammette che la vita umana possa essere guidata dalla ragione”, scriveva Tolstoj in Guerra e Pace, ”si distrugge la possibilità stessa dalla vita.” Quindi la domanda è: da chi/cosa siamo realmente guidati? Superficialmente da ciò che sappiamo (educazione, esperienza, contesto sociale, etc.), ma intimamente, forse, da qualcosa che arriva “da fuori”. Cosa?
    Qualcuno lo chiamerà “dio”, altri preferiranno parlare di “fagottino originario”, cioè della dote data a ciascuno quando si viene al mondo, altri ancora cercheranno risposte nelle cosiddette “scienze”. Ma a prescindere da tutti questi opinabilissimi argomenti, nel “fagotto” ci sono anche il Bene e il Male in misura variabile? Oppure, nell’arco di ogni vita, essi agiscono ininterrottamente da un Altrove non meglio identificato?
    Non voglio toccare qui il tema delle cariche elettriche chiamate “egregore” perché ne uscirebbe un pericoloso vespaio. Mi limito ad osservare che ultimamente il Male sta dando il meglio di sé in maniera del tutto gratuita. Non siamo in guerra (né in pace, in realtà), non dobbiamo difendere alcunché essendo crollati tutti i baluardi, eppure ci “divertiamo” a uccidere e torturare il prossimo. Da dove viene tanta energia negativa? Nessuno scrolli le spalle, visto che le nostre attuali conoscenze si sono fermate alla constatazione che i nove decimi del cervello umano non sono utilizzati nella vita cosciente normale. Punto.
    Qualcuno potrà giudicare oziosi certi argomenti – di sicuro non ci pensa l’imprenditore con la fabbrichetta in crisi che a fine mese ha dieci stipendi da pagare – tuttavia, io credo, chi può permettersi il lusso di avere del tempo per pensare è giusto che lo faccia.

  • La vita non nasce dalla ragione umana e non ne è guidata. Ma qui non è il caso di aprire il discorso sulla trascendenza, discorso per il quale qui non ci sono orecchie e che verrebbe subito frainteso. Idem per l’oggetto del post, il Male. In fondo, nessuno di noi si è spinto a definire il male. O il bene, che è lo stesso. Per andare a fondo del discorso dovremmo essere pronti ad abbandonare le nostre credenze superficiali, i nostri automatismi intellettuali.

    • Nessuno, soprattutto, ha saputo o voluto dire se, ovviamente a suo modo di vedere le cose, il Male (come il Bene) sta “dentro” o “fuori” di noi. This is the question. Gli uomini antichi, per lo meno, che per loro fortuna non avevano la mente obnubilata dalle macchine, cercavano d’interrogarsi sui problemi fondamentali e si davano delle risposte, per quanto relative e parziali esse potessero essere. Ma per noi è un’impresa. Diecimila anni di sovrastrutture mentali e ideologiche non si demoliscono in un secolo, ci vuole tempo.

    • La tua, Rita, mi sembra una domanda essenziale. Credo di aver indicato la mia opinione in proposito, riferendomi alle azioni specifiche degli individui, più che a entità sovrastanti. La scelta del male è umana, molto umana, basata su motivi come il “mi serve”, “mi piace”, “non posso farne a meno”, “mi conviene” e via dicendo. È una scelta quotidiana, spicciola, banale. Non solo scegliere il vizio invece della virtù esprime la banalità del male ma spesso anche la sua stupidità. Il male non ha dignità ontologica e intellettuale, non esiste un impero cosmico del male, solo una bottega individuale del male. Il male è ignoranza, negligenza, tornaconto, maleducazione, protervia. Il male è stupido e presuntuoso. Non esistono teorie del male credibili che siano, per profondità, complessità, spessore e ricchezza di dettagli, paragonabili alle teorie del bene. Cercare una logica del male che determini effettivamente relazioni e legami tra sentimenti, atti ed eventi malvagi può condurre a fascinose visioni religiose, letterarie, artistiche ma anche a un’epica da fumetto, da videogioco. Il male esiste ma nei casi specifici in cui, di volta in volta, ciascuno di noi antepone la facile e comoda stupidità del male e del vizio alla difficile e impegnativa pratica del bene e della virtù. Il male è il nostro personale rifiuto di pensare, parlare e agire rettamente, un bambino capriccioso che ci fa i dispetti, un ospite cialtrone che ci ruba l’argenteria, un parassita analfabeta della nostra vita. E, in questo, hai perfettamente ragione: gli antichi lo sapevano.

  • Marino, non essere così riduttivo. Qualsiasi scelta politica economica o sociale è sempre regolata da questi due concetti. Non esistono altre categorie alla base di qualsiasi decisione, in qualsiasi modo la si pensi. Poi tutto è successivo. Quindi non considero sbagliato domandarsi cosa siano bene e male, anche con tutte le variabili, sfumature possibili o il loro contrari interpretativi. Sono solo questi due concetti che anche quando sembrano volare alto poi si ripercuotono sul basso. Se io proteggo le balene di riflesso o conseguenza penso anche al pesciolino, se studio i ghiacciai mi sto anche occupando dell’erosione della spiaggetta dove mi piace bagnarmi. Anche se sembra snob.

    • A parte che Bene è Male non c’entrano ormai piu’ nulla con la polica, che e’ solo ed esclusivamente Poltrona, trovo significativo l’esempio delle balene. I Giapponesi, il popolo in assoluto piu’ rispettoso della Natura, dei modi e delle forme in generale, sono in prima linea nella caccia alle balene. Si tratta evidentemente di convenzioni, qui non c’e’ Bene ne’ Male.

  • Indubbiamente le poltrone, ma una volta seduti i nostri politici devono operare secondo categorie quali giusto o sbagliato, magari viziate da strategie, compromessi, consensi elettorali, fini che giustificano i mezzi, ma alla fine non distanti da bene e male, essendo arrivati alla conclusione che chiarezza sulle due categorie non ce ne sono. Ognuno per sé in questo esercizio. Quindi, in senso lato si opera sempre, comprese tutte le declinazioni possibili, secondo scelte dettate appunto dal bene e dal male. A meno che qualcuno faccia chiarezza su cosa sono queste due cose. Ma in tanti commenti è emersa solo la certezza dell’arbitrarietà di qualsiasi giudizio. Che poi sono tutte balle, qualsiasi persona di buon senso distingue la differenza. Per la commissione Segre maggioranza ed opposizione si sono spaccate. Tutte e due nel giusto?

    • Ormai questi temi – intolleranza, razzismo, antisemitismo, opporsi alla ‘cultura dell’odio’ ecc. – sono diventati l’ultima stanca deriva retorica di una parte politica che non vuole e non sa occuparsi dei problemi reali, anzi li peggiora. Si crea un’idea del Male contro cui bisogna combattere – appunto l’intolleranza ecc. – come di un mostro incombente sulla nostra società, sottraendo attenzione alle cause vere dei mali contemporanei. Così si può recitare la parte dei nobili cavalieri che combattono il ‘drago’, mentre l’avversario politico viene dipinto come un essere disumano, complice del male. Ho già visto più volte come questa ‘lotta all’odio’ sul web e altrove sia solo una maschera ipocrita per operazioni di censura e rimozione della dialettica politica. E a tutti i politici che esibiscono la memoria della Shoa come una medaglia sul petto, come un diploma in nobiltà, integrità, umanità, come un passepartout ideologico, vorrei dire “bene, bravi, però adesso occupiamoci del male presente”. Perché continuare a parlare della ‘spagnola’ che cent’anni fa causò 50 milioni di morti sarà anche giusto, ma non deve essere un modo per far dimenticare le malattie attuali, che sono altre.

    • Ti sbagli, Ivano, una volta seduti i politicanti si attivano allo scopo di conservare la poltrona. Se così non fosse, non si spiegherebbe come mai cambiano idea (si fa per dire) ogni quarto d’ora. Non ci si contraddice in continuazione quando si ha ben chiaro in mente, giusto o sbagliato che sia, cosa è bene e cosa è male.
      La “commissione Segre” è un’istituzione puramente ideologica. Non ho dubbi che l’anziana senatrice l’abbia proposta in assoluta buona fede, ma sono sicura al mille per cento che chi ne farà parte avvierà, per quanto gli sarà possibile, una caccia alle streghe senza quartiere. L’indole fascistoide del Pensiero Sinistro, che adora la censura e le manette, è largamente nota e l’odio verso chi la pensa diversamente avrà libero sfogo. Al rogo chi pronuncia le parole tabù (ebreo, negro, omosessuale, ecc.), è una vecchia storia che non muore mai.

  • In questa contemporaneità ci sta dentro tante cose, senza inutili graduatorie. Niente impedirebbe di occuparsi di attualità se ne fossero capaci.

    • Non si tratta di inutili graduatorie. Vi sono problemi più reali e urgenti di altri. Presentare antisemitismo e razzismo come effettive minacce per la nostra società significa per me aver perso il contatto con la realtà o cercare facili consensi (io opto per la seconda).
      La spagnola era metafora di un problema non più attuale, mi sembrava ovvio.

  • E poi il parallelismo tra Spagnola e il tema che ho posto io non ha né capo né coda. Natura e Storia viaggiano su binari differenti.

  • Invece l’antisemitismo non é una metafora ed è ritornato attualissimo.

    • Non mi pare che in Italia sia in corso una persecuzione antisemita. Forse Lei è più informato di me.
      Comunque, è significativo che, parlando di ‘male’, si arrivi a parlare di antisemitismo.

    • Una specie di riflesso pavloviano…

    • Ma che palle, è mai possibile che tutti i discorsi, dal più futile al più serio, debbano bloccarsi sul binario 21?! Meno male che l’altro ieri gli States hanno riconosciuto ufficialmente il genocidio degli armeni, poi arriveranno curdi e yazidi, ruandesi e cambogiani, congolesi e kossovari, e via discorrendo. Almeno si uscirà dal monotematismo politicamente corretto per allargare i propri orizzonti! Non credo che si arriverà mai a toccare i Nativi americani, 150 milioni di morti è meglio dimenticarseli, tanto vale fare finta di niente. Ma già un cambio di passo sarebbe un significativo passo avanti.

  • Forse perché rispetto agli ebrei ci abbiamo messo del nostro, rispetto ad Armeni e Pellerrossa no? E che palle lo dico io.

    • Parla per te. Io non ci ho messo assolutamente niente. Non ho mai votato Mussolini né Renzi, Gentiloni o Conte, e perciò mi dissocio totalmente dalle loro follie. Not in my name.

  • Secondo una vecchia teoria, per sapere chi comanda basta vedere di chi non si può parlar male.

    • Sbagliato, se ne può parlare male senza nessuna censura, ed è quello che sta succedendo di nuovo. Questa nuova ondata antisemita, Commissione a parte che non servirà a niente, ha strada libera. Lei può continuare a dichiararsi antisemita, come può farlo Rita.

    • Lei si riferisce a quei quattro idioti che scrivono insulti sul web? Ma questa pratica becera è diffusissima e colpisce una folla di altri soggetti e categorie. Sarebbe questa la nuova ondata antisemita? O forse ci sono fatti che ignoro: stampa antisemita, propaganda antisemita, politiche antisemite, leggi razziali, ghetti?
      E secondo Lei uno oggi può dirsi pubblicamente antisemita senza rischiare alcuna conseguenza? Mah, ci credo poco, Però, se lo dice Repubblica è certamente vero.
      Comunque, perché dovrei dichiararmi antisemita? Non ho niente contro gli ebrei. Per fare un esperimento sociale? Lo faccia Lei, così vediamo cosa succede.

  • No signor Cadè, quasi la metà degli italiani, essendo la nostra una democrazia parlamentare rappresentativa. Quanto all’esperimento lasci stare, tempo al tempo e sarete la maggioranza.

    • Affermazioni tanto insipienti (per usare un eufemismo) mi costringono ad abbandonare la discussione.

  • Posso dire uguale per le Sue.

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