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MARINO PASINI

Il declino dei piccoli centri

Da anni molti i piccoli centri d’Europa, e non solo d’Europa, affrontano una realtà magra fatta di pochi soldi che affluiscono dallo Stato, le Regioni. Negozi e attività chiuse, o che faticavano a tirar sera; servizi tagliati; scuole a rischio chiusura per mancanza del numero minimo di studenti. A Crema, i licei storici sono corrosi dalla ruggine; il cemento del soffitto d’ingresso è scrostato, annerito, inguardabile, così da oltre un decennio. C’è da vergognarsi: scuole che sono lo specchio dell’incuria, dell’abbandono, da parte di una società, di una comunità. Cosa penseranno i nostri figli che frequentano scuole così malridotte? Piccole realtà con una vita culturale spesso fatta di povere cose, spettacoli di mediocre qualità, anche per mancanza di sponsorizzazioni private. Le luminarie natalizie, una piazza ripiastrellata, lo spostamento degli autobus in una zona più ampia è lo sforzo massimo, il meglio che può permettersi una cittadina come Crema. Ma le feste finiranno presto e spegneranno le luci; i negozi torneranno ad aspettare clienti dai paesi limitrofi che non verranno; i treni locali resteranno quelli di sempre: cronicamente in ritardo, con tempi scandalosi per percorrere una trentina di chilometri, e dover interrompere la loro corsa a Casaletto Vaprio. Si far per dire corsa: non è il termine adeguato. Disperare che “il Cremona” non sia in ritardo, perchè la linea ferroviaria Cremona-Treviglio è una monorotaia. Una ferrovia da paesino di campagna. Peccato che sulla linea ferroviaria che attraverso il cremasco e il cremonese non ci sia, come nelle stradine scozzesi, il “passing place”, il bordo stradale (magari uno scarto di rotaia ferroviaria), per far passare senza sosta uno dei due treni. Così, a turno, almeno un treno locale, per una volta potrebbe essere in orario. L’ora di partenza del  treno quotidiano da Crema delle 08.25, con destinazione Treviglio, è un orario immaginario, fasullo, perchè alle 08.25 non può  partire: deve attendere il treno opposto che non arriva prima delle 08.30, quando è in orario. C’è da riderci su. Tanto, si sa che da noi, l’orario è solo indicativo, e l’arrivo a destinazione non è garantito. Senza un autovettura, la sera, da Crema non vai da nessuna parte. Oltre l’orario dei pendolari, i collegamenti ferroviari, gli autobus staccano o sono ridotti al minimo con tempi lunghissimi di percorrenza. Siamo a poco più di trenta chilometri da un’area metropolitana di circa quattro milioni d’abitanti ed è come se fossimo ne “La Espana vacìa”, la Spagna vuota, che pochi chilometri dopo Madrid precipita nell’inconsistenza, nell’irrilevanza, in un’altro mondo, lontanissimo dalla capitale. Il quotidiano cremasco (in realtà cremonese) scrive che Crema  sta lavorando per intercettare parte del flusso turistico straniero che passa per la Lombardia. Un cinese, russo, o francese che visita la Lombardia penso preferisca spendere tempo a Milano, Mantova, Bergamo, i laghi, la montagna. Non troverà il tempo per fermarsi a Crema,  Lodi. A meno che Crema si offra come struttura alberghiera (scontata), pacchetti turistici con navetta e bus per gruppi organizzati, acchiappando sudcoreani e slavi e britannici a Rogoredo, alla Stazione Centrale di Milano, portandoli avanti e indietro, con sosta culinaria, veloce visita del centro di Crema, sacchetto regalo con confezioni di tortelli e torta bertolina. Turismo di sponda, anche per le vicine Olimpiadi invernali. Per un anglosassone, percorrere trenta chilometri è niente.

I turisti affollano Milano, che negli ultimi anni ha incrementato di oltre il 30% il numero delle presenze straniere. Senza contare gli studenti universitari che sono decine di migliaia, e arrivano da tutto il mondo. Nei prossimi quindici anni a Milano saranno portati a termine – scrive il settimanale inglese “The Observer” – più di quaranta grandi progetti, per un valore complessivo di quasi diciannove miliardi di euro. La vendita di un padiglione espositivo dei primi del Novecento, in zona CityLife, un quartiere lussuoso della metropoli, è stata una battaglia tra due grandi gruppi assicurativi, con oltre cinquanta rilanci d’acquisto, appannaggio finale alle Generali, e tanti soldi freschi affluiti nelle casse comunali. La distanza tra l’offerta culturale, i soldi a disposizione, lo sviluppo, l’attrazione di giovani di talento (e non la fuga degli stessi), tra una città come Milano e una piccola realtà come Crema, aumenta sempre più; si fa abissale. Ed è un problema di tutta l’Europa, gli Stati Uniti. Città in pieno sviluppo: Liverpool, Manchester, Valencia, Rotterdam, Berlino. L’arretramento, e le difficoltà che affrontano le periferie sganciate dal centro; piccole città con una scarpa nelle aree metropolitane, ma slacciata, e l’altra scarpa persa per strada, tra la campagna, l’urbanesimo malvissuto, disperando per servizi di collegamento che spesso sono insufficienti. Per non parlare dei luoghi lontani dai centri calamitanti, dove se succede un disastro ambientale, un terremoto, la ricostruzione dura una vita intera, o più di quella. In tutta Europa l’umore degli abitanti dei piccoli centri è ben diverso dall’umore metropolitano, dei quartieri-bene. Basta guardare ad ogni consultazione elettorale. Dalla Polonia, all’Inghilterra, dalla Francia alla Spagna, all’Italia. Anche a Lisbona c’è una febbre edilizia che ha fatto lievitare del 30% il costo delle abitazioni, grossi gruppi d’investimento all’assalto della capitale, e con paesi e cittadine lontane da Lisbona che boccheggiano per mancanza di finanziamenti. Siamo ancora, o siamo tornati alla guerra strisciante tra città e campagna, tra urbanesimo e tradizione, metropoli e piccole realtà urbane, tra centro e periferia. Nelle piccole città, come Crema, per togliere la ruggine a una cancellata scolastica, rifare un soffitto indecente, servono anni e anni d’attesa. Per sostituire un albero caduto, ci vuole la carta bollata e chissà quanto tempo e pazienza. A Cremona quando spariranno i soldi del cavalier Arvedi, finirà la festa, e si conteranno gli spiccioli.

MARINO PASINI

01 Gen 2020 in La città

40 commenti

Commenti

  • Grazie per avermi tolto l’imbarazzzo di aprire l’anno con un tema approriato, ma, che ti dico? Che quando ho proposto Crema ai medici scrittori italiani per la tre giorni annuale sapevo che avrei fatto bella figura? Quelli sono tutti benestanti, pretendono il meglio, ma a Milano non ci andrebbero. Per tua consolazine caro amico spesso sono a MIlano da turista, senza mesclare la cosa con il nonnariato, proprio turista, ma mi piace se ho prima ben studiato il tema di visita e se poi mi concentro solo su quello, prendo tuttavia l’animo alla familiarità con gli abitanti, per coglierne il genius, ma poi desidero subito casa. Vecchio? Non credo: ho girato buona parte della Francia saltando Parigi, dell’Inghilterra saltando Londra, della Spagna saltando Madrid, e per le altre nazioni quasi lo stesso. Anzi, a Parigi sono passato col camper in pieno centro senza fermarmi se non per il carburante, e quando ho scelto la capitale come meta esclusiva, ma che palle!

    • Caro Adriano, le campagne, i piccoli centri, o realtà urbane medio-piccole che non sono supportate da finanziamenti privati (come Sassuolo), dal turismo (come Mantova), dalla presenza delle università (Pavia, Padova), soffrono per la ormai lunga crisi economica, per la fuga di giovani in cerca di luoghi, opportunità, stimoli, anche il lavoro. Anche l’attrazione che la metropoli esercita – e questo è un fatto – su molte persone, soprattutto giovani. Ci sono inchieste, articoli di giornali che prendono atto di questa situazione, che ho letto, che leggo da diverso tempo, e tutti concordono con questa conclusione: il declino, la decadenza, la sempre maggiore irrilevanza, oltre la limitazione dei servizi dei piccoli centri. Mentre continua l’espansione, l’afflusso d’interesse, anche di soldi, di progetti importanti nelle grandi realtà urbane. Potrei citare decine di esempi. Li ho trovati nel libro “La Espana vacia”, La Spagna Vuota, di Sergio del Molino; in quello di Christophe Guilluy e Guillaume Faburel, “La France périphérique”, La Francia delle periferie (“la classe operaia tradizionale non vive più dove ci sono i posti di lavoro migliori e dove viene creata la ricchezza. Ci sono città ‘superstar’, per un èlite, le cui necessità quotidiane sono soddisfatte da un precariato sottopagato che vive in periferia”). Nell’inchiesta di Julian Coman su “The Observer” (opportunamentye citata anche da “Internazionale 1336” si parla delle rovine industriali, delle cittadine dove c’è un susseguirsi di fabbriche abbandonate (“la deindustrializzazione che ha trasformato Melzo (anche Melegnano, anche San Giuliano) in città dormitorio, mentre in metropoli come Milano “sono stati fatti investimenti enormi e oggi c’è una grande attività culturale…Milano è fatta dai professionisti che si sono trasferiti qui perchè ci sono opportunità che mancano nelle città dove vivevano”. Su “Liberation”, quotidiano francese, un inchiesta su Rennes, piccola capitale bretone, che soffre per la spoliazione del centro storico di locali, negozi, attività, la fuga di giovani verso Parigi, l’interesse dei gruppi d’investimento immobiliare di trasformare Rennes in una “succursale di seconde case per parigini”, anche per la linea veloce ferroviaria che in un ora e mezza collega Rennes con Parigi. Su “The Economist”, settimanale britannico, un articolo spiegava come lo sviluppo di alcune città del nord come Liverpool, Newcastle, Manchester è proporzionale con la miglioria dei collegamenti viari e ferroviari verso Londra. Perfino sul “Clarìn” (non quello cileno, fondato da Allende) ma argentino, online, ho trovato un “pezzo” della rabbia, il risentimento dell’Argentina profonda che soffre perchè tutto ciò che brilla, gli investimenti, il poco denaro che passa va a finire a Buenos Aires.
      Insomma, è un andazzo che non vale solo per Crema e Milano, ma è globale.. Capisco che l’argomento fa storcere il naso ai cremaschi, d’origine o acquisiti per ragioni sentimentali, per preferenza personale. Ma la realtà è questa, purtroppo, se la si vuol vedere. Secondo un recente sondaggio citato da Coman, l’85 per cento dei residenti di Milano non vorrebbero vivere in nessun altro luogo, mentre l’81 per cento crede che la città milanese sia un modello economico da imitare. Non so se il sondaggio fatto a Crema darebbe gli stessi risultati. Se la realtà è amara, zuccherarla si può, ma è un modo per nasconderla, non per trovare soluzioni. Se la destra politica, opportunamente o furbescamente, cavalca la rabbia delle periferie,dei piccoli centri, dei luoghi che si sentono abbandonati, un motivo reale forse ci sarà.

    • Caro Adriano, sei uno di quelli che Crema l’ha scelta, forse per caso. Non capita spesso. Crema non è un luogo che si sceglie; non è Bergamo, il lago di Como, non è Genova, Bologna, neppure Assisi o Spoleto o Fermo. Si viene a Crema per lavoro e basta. Oppure si resta perchè ci si è nati. Oppure ancora perchè si è nati a Cumignano sul Naviglio o Monte Cremasco, e Crema, per un giovane che studia, la maggioranza di questi, vedono Crema come una serata con qualche luce in più, con in più uno struscio, ragazze e ragazzi da guardare; non la noia di vivere a Farinate di Capralba, o a Rubbiano di Credera. Ma, a proposito del declino dei piccoli centri ti racconto di Soresina.
      Erano anni che non mettevo piede a Soresina, o Suresina; cittadina di oltre novemila anime che la Latteria Soresinese, che domina il piccolo centro, come la Fiat dominava Torino, ha pubblicizzato in diretta televisiva per un pò, con uno spot dei suoi prodotti. Ho dovuto accompagnare una persona, e da Castelleone ho preso la strada provinciale, stretta, persa, con poche cascine, e una piccola frazione che conduce a Soresina. Avevo tempo da spendere; mezza giornata così l’ho girata tutta o quasi. Soresina è una cittadina con la sua storia, aveva o ha ancora un ippodromo, un magnifico teatrino; aveva un ospedale. E ha un centro storico compatto con stradette interne e bei palazzi, una piazza, e un bar storico.. Insomma, trasuda storia. Eppure è stata una passeggiata di mezza giornata nel deserto. Molti negozi in vendita, o con il cartello affittasi. Un’aria depressa che mi è parsa imbarazzante. Mi sono rifugiato in biblioteca, perchè il freddo umido della pianura padana non è un piacere. Volevo leggere un pò; ho pensato: è una cittadina, quindi sarà fornita. Non siamo a Scannabue. L’unica addetta alla ricezione mi ha detto: “La Provincia” non è ancora arrivata. Nessun problema, signora, vivo anche senza “La Provincia di Cremona”. Nessun giornale nazionale. Solo qualche rivista. “Il Carabiniere”, “Forum”, “Qui Touring” e, per fortuna, almeno il “Geographic” versione italiana. E “Mondo padano”. Una biblioteca così depressa non l’avevo mai frequentata; e di biblioteche ne so. Questo è vivere nei piccoli centri, oggi, anche con una storia, trascorsa, sepolta, dalle nostre parti.

  • Davvero impietosa la tua analisi Marino, ma per molti versi, purtroppo rispondente a realtà!
    E i “guai” che tu puntualmente (ops!) elenchi sono solo in parte da addebitare alla Amministrazione locale.
    Oramai il gap tra i Comuni e “Roma” si è fatto praticamente incolmabile.
    L’Italia Repubblicana, nata dal dopoguerra sulle ceneri del disastro bellico che la vedeva sconfitta, prostrata con i suoi sciagurati alleati (il RO-BER-TO !), disegnava tramite la Costituzione un assetto che vedeva COMUNI – PROVINCE – CITTA’ METROPOLITANE – REGIONI, come Enti Autonomi con ” autonomia finanziaria di entrata e spesa” ( art. 119 della Costituzione).
    L’attuazione, negli anni, del disegno Costituzionale, ben lungi dai luminosi propositi della “costituente” ha visto viceversa prima l'”assalto alla diligenza” della fase costitutiva delle Regioni, con gli sprechi , le ruberie di …”.bassa lega”, le distribuzioni agli “amici degli amici” e poi, andando di moda la “rottamazione”, la demolazione degli apparati Provinciali (baluardo periferico dello Stato diffuso sul territorio Nazionale), in nome di una pretesa “grande riforma”, arenatasi sul …..bagnasciasciuga del referendum e li dimenticata!
    In questo contesto, i Comuni di dimensione medio piccola (e nel “buffo stivale” sono davvero tanti, magari anche “virtuosi” come il nostro), si sono ritrovati “al vento”, in un contesto programmatorio/gestionale territoriale ondivagamente latitante, ad ingegnarsi magari a trovare lodevolmente risorse in “tesoretti” europei trascurati/dimenticati, ma con enormi difficoltà viceversa nella gestione al meglio dell’esitente per il quale viceversa avevano vocazione e competenza.
    E ci rtroviamo, ad esmpio, ad avere in città in atto un ambizioso “CREMA 2020” ( e ci siamo già, al “VENTIVENTI”!) a fianco di una penosa “monorotia” (come l’hai ironicamente definita, Marino) che non consente, nemmeno a chi ci è costretto per motvi di lavoro, di saper quando parte e quando può sperare di arrivare!
    Il “buffo stivale” ha dato il meglio di se quando apparive come “arlecchinata” di “Ducati”.
    Che sia il caso di tornare ad esserlo?
    Ma . “al meglio” è, avendo come esempi il “Rinascimento” di Leonardo e Giulio Romano, e non l'”Abbruttimento” del “mojto” a MilanoMarittima!

    • Ringrazio tutti e mi scuso perchè ogni volta la faccio lunga, anche nelle risposte. E’ da diversi anni che la situazione dei piccoli centri: cittadine, campagne, anche non pochi capoluoghi di provincia, arretrano in disponibilità finanziarie comunali, occupazione lavorativa, offerta culturale, e altre faccende. Che la realtà sia questa, ed è un fenomeno direi globale, che investe molte nazioni, è documentato. Stasera, mentre guardavo un Tiggi nazionale c’era un servizio sugli incendi in una zona dell’Australia, e una donna disperata ha urlato: se quello che è successo qui fosse capitato a Sidney, ci avrebbero sommerso di finanziamenti. La rabbia di quella signora, è la rabbia di milioni di persone, di tutto il mondo che non vivono nei luoghi “che contano” politicamente, finanziariamente e che si sentono, che percepiscono di essere abbandonati dai centri di potere, e accumulano risentimento contro le grandi città, i quartieri bene, dove convogliano soldi, progetti importanti, e dove i cervelli migliori delle università, spesso, finiscono per approdare, spogliando il resto del territorio di competenze, qualità, servizi. Piccoli centri che s’impoveriscono. E’ sorprendente che nell’era di internet, ci siano territori che si sentono isolati; la Rete, quindi, non basta a uscire dall’isolamento, e ci sono aree che debbono contare gli spiccioli, mentre una metropoli come Milano, per esempio, è sommersa da richieste d’investimento, e può incamerare soldi da varie fonti, e se decide un iniziativa culturale (stessa cosa a Torino, Firenze, Parigi, Londra) trova senza grosse difficoltà sponsor privati che fanno a gara, spesso, per metterci il loro nome. Ci sono eccezioni, certo. La Ruhr, come cita Piero è riuscita a invertire la tendenza, in parte, anche se ha attraversato una fase difficile (soprattutto anni ’80 e ’90), con cali e azzeramenti della produzione. Le città più grandi, come Londra, Parigi, Milano hanno saputo sostituire – scrive Julian Coman – il calo della produzione industriale con la creazione di servizi di alta qualità. Cosa può fare Crema, piccola città (o borgo mercato, come la chiamo io, perchè fa da calamita e i suoi negozi stanno in piedi, spesso, grazie agli acquisti del fine settimana di cremaschi “paesani”), per riuscire a non arretrare troppo? Cosa può inventarsi? C’era una succursale universitaria del Politecnico di Milano, che dovrebbe chiudere a breve. “Cremascolta” ha proposto all’Amministrazione una nuova scuola ad alto contenuto tecnologico. Oltre ad essere la piccola capitale del tortello cremasco, siamo diventati importanti per la cosmetica, e su qui si può insistere, anche se restare monotematici è un rischio. Personalmente il timore di essere “inghiottiti in una sorta di megalopoli futura”, non mi preoccupa. Treviglio, questa paura, che i cremaschi hanno avuto ai tempi di Mussolini, l’hanno superata, e la Serenissima viaria, che avrebbe potuto essere anche una linea ferroviaria Crema-Brescia-Veneto, se la sono “pippata” i trevigliesi, che ora gongolano; hanno pure il passante, e una ferrovia seria, non certo come la nostra. Bisogna collegarsi meglio con Milano, anche con Bergamo, ma soprattutto con la metropoli. E’ sulle infrastrutture, i collegamenti più frequenti e rapidi che si giocherà il futuro di Crema. Se resta ancora al palo, l’irrilevanza aumenterà. Anche se credo che non pochi cremaschi amano l’isolamento; a loro va bene così, e anche politicamente si metteranno di traverso. Il comune toscano di Greve in Chianti, più di tredicimila abitanti (mille in più di Orzinuovi), distante circa trenta chilometri da Firenze, ha deciso che ogni sabato sera noleggerà un autobus gratuito per i giovani che vogliono passare il sabato sera a Firenze. Partenza alle 21, e rientro a notte fonda, con qualche fermata per raccattare giovani dalle cascine intorno alla cittadina di Greve. Pare che l’iniziativa ha raccolto molto successo. Andare e tornare in motorino, di notte, e farsi sessanta chiulomet è molto rischioso. Bravi gli amministratori di Greve in Chianti, che hanno avuto l’umiltà di capire che i loro giovani non vogliono stare sempre nel paesone-cittadina, ma sognano, desiderano un sabato sera fra le luci, gli stimoli di una grande città. Altri piccoli centri dovrebbero seguire questo esempio. Organizzare autobus per gite culturali, spettacoli, e altro. Crema è piuttosto vicina a cinque città più importanti. Il piccolo centro di Crema smetta la spocchia di credersi città autosufficiente per un giovane, perchè non è Milano, neppure Bergamo, Brescia. Crema, la sera non ha collegamenti, e senza un automobile non si va da nessuna parte.

    • Nelle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna la “guerra” tra grandi città, e piccoli centri, le campagne, continua. A parte Piacenza, città medio-piccola e il suo territorio, che sta in Emilia per sbaglio, ma ha una scarpa in Lombardia. Ferrara che è un isola a parte, nè emiliana, nè romagnola, fu entusiasticamente fascista in grande maggioranza (come ben ricorda Giorgio Bassani); ed ebbe un podestà ebreo, Renzo Ravenna, appassionato seguace del Duce. Ferrara ha un vecchio sordo rancore con Bologna, perchè doveva essere lei la città-faro della Regione; invece non fu così. Subì un declino, anche per volere dei bolognesi che si accaparrarono – racconta Bassani, in un suo scritto ironico – pure della ferrovia, lasciando ai margini Ferrara, con una tradotta quasi paesana. Tutti dettagli che contano, forse più di tante dissertazioni specialistiche. Come il fatto, che dettaglio non è, che la sinistra ha retto il suo ultimo fortino regionale dopo tante batoste, ancora e soprattutto grazie alle grandi città, le città vere, dove l’offerta culturale è ampia, dove c’è scolarità universitaria: Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma, che hanno deciso il risultato. Se fosse stato per la provincia profonda, per le piccole realtà, le cittadine, le campagne, la destra populista avrebbe vinto, anche in Emilia Romagna. Per i leghisti, per quelli di Fratelli d’Italia, di Forza Italia, dove la scolarità universitaria è presente, dove c’è cultura, dove ci sono quelli che leggono libri, s’interessano di letteratura, cinema, teatro, musica, danza, la politica di Salvini-Meloni-Berlusconi attacca poco. Attacca meno. Lo sanno, ed è anche per questo che se la prendono continuamente con le metropoli, le grandi città. La storia delle èlites benestanti dei centri storici è in parte vera e in parte fasulla, ad uso e consumo di un risentimento, per un fortino che non riescono ad espugnare. Per il momento. Forse, i populisti dovrebbero mettersi a leggere, piuttosto che frequentare con più interesse le gare di Formula Uno.

    • Certo che, Marino, se un marziano tornasse sulla Terra dopo parecchio tempo e vedesse quello che è successo nella politica italiana, resterebbe molto stupito, se è vero quello che dici.
      Prima quelli istruiti erano di destra e gli ignoranti di sinistra (la “scuola classista” contro “il proletariato”). Adesso, secondo te, gli intellettuali sono a sinistra (“cinema, teatro, musica, danza”, nel tuo richiamo della “cultura”) e gli scarsamente scolarizzati (che “non leggono libri” e “non si interessano di letteratura”, sempre nel tuo richiamo) sono a destra. Ohibò, direbbe il marziano, ma che cosa è successo? E poi, i ricchi che oggi votano a sinistra sono stipati negli agglomerati metropolitani, mentre i poveri (o i semi-poveri, comunque i meno ricchi) stanno in campagna o nei piccoli centri o nelle città di provincia (quindi “in declino”, a tuo parere), diventando indigenti che votano a destra, con “risentimento” verso il “fortino” dei ricchi di sinistra. Prima era il contrario. I signori stavano “in the countryside”, magari addirittura “into the wild”, trincerati con figli, nipoti, famigli, cani, cavalli e madame di turno, mentre “quelli del borgo” erano costretti a riunirsi nelle aree urbane per superare difficoltà e indigenza, sopportando promiscuità, infezioni e limitazioni tipiche della coabitazione massiccia. Ohibò, direbbe il marziano, ma perché è tutto il contrario?
      Già, come mai oggi i ricchi di sinistra abitano nelle grandi città, mentre i poveri (o i meno ricchi) abitano nei piccoli centri, che secondo te, Marino, sono “in declino”? Che cosa è successo in Italia?
      Ma allora, perché a Crema, che è un “piccolo centro in declino”, la sinistra continua a vincere e la destra continua a perdere? Dovremmo essere una metropoli di ricchi di sinistra oppure un piccolo centro (“in declino”) di poveracci di destra. Noi cremaschi siamo quindi una anomalia politica? Tu che ne pensi?

    • Caro Francesco, tempo fa mi hai chiesto dove sono i negozi che chiudono a Crema, e la risposta è in una notizia di ieri su “La Provincia di Cremona” online. Solo a gennaio 2020 hanno abbassato le saracinesche 41 negozi, a Crema. Altri hanno cambiato gestione, mercanzie. Via il tribunale, via la succursale universitaria, e si fatica a reggere con tutte le scuole superiori. L’offerta culturale rimane quella di sempre: scadente; mediocre quello che passa il convento. Ma è anche vero che a un piccolo centro non si può chiedere la Luna: avere la Scala (neanche una sottoScala), un Piccolo Teatro di Milano, un Teatro comunale di Bologna con la programmazione di qualità che ha. Su questo blog si è scritto che i giovani, comunque, il teatro lo frequentano poco. Balle. Il teatro dell’Elfo di Milano, l’ho visto più volte zeppo di giovani. Il cinematografo di Crema ha la stessa programmazione di Romano di Lombardia, per capire dov’è l’asticella culturale. Anche le istituzioni che contano, anche politiche, non si decentrano in Italia. In Germania la Corte Costituzionale è a Karlsruhe; la Banca Centrale a Francoforte; gli Archivi federali a Coblenza, l’Istituto Centrale di Statistica a Wiesbaden, la seconda rete Tv pubblica a Magonza, l’ufficio centrale del lavoro a Norimberga, parte dei ministri federali ancora a Bonn. Boris Johnson ha capito che deve decentrare uffici e potere da Londra e dal sud ricco, al nord d’Inghilterra. In Francia diversi sociologhi lo chiedono. In Italia lo hanno intuito i populisti della destra politica, mentre la sinistra, la mia sinistra, non l’ha ancora compreso. Lo comprenderà quando sarà troppo tardi e gli elettori perduti.

  • Francesco, che sia colpa di noi italiani? Del resto anche noi votanti abbiamo delle responsabilità in questa democrazia rappresentativa.
    Marino, fa indubbiamente paura quello che descrivi, anche perchè di questo passo si aprono scenari da Megalopoli asiatiche con le sperequazioni che tutti conosciamo, con forbici allargatissime tra “Zone”, amo citare il film, e baraccopoli da terzo mondo con milioni di cittadini relegati ai margini economici, sociali ed esistenziali da brivido. Perchè non è così vero che le grandi città offrano le stesse opportunità a tutti. Leggevo tempo fa che ci vogliono più di una generazione – dati statistici – perchè gli appartenenti alla classi sociali più disagiate trovino il giusto riscatto. Insomma, opportunità ai soliti noti anche nelle megalopoli. Anzi, di più.

    • Caro Pietro, la destra populista dove fatica ad essere maggioranza, o non lo è affatto? A Parigi, Londra, Vienna, Varsavia, Budapest, Istanbul, Berlino, le grandi metropoli americane. E’ stata Lucia Borgonzoni, la candidata leghista alle elezioni regionali emiliano-romagnole ad ammettere, amaramente che “raccogliamo meno consensi nelle grandi città”. E’ realtà planetaria, oggigiorno. Lo scrivono studiosi di ogni paese; e siccome sei uno che legge molto, dovresti averlo letto anche tu, da qualche parte.
      Il declino dei piccoli centri è realtà in Gran Bretagna, in Francia, in Spagna, in Italia. Non ho inventato niente. E’ la protesta che sale ovunque di paesi, campagne, cittadine che si sentono abbandonate dai centri politico economici del potere. Pochi soldi da spendere, mentre le grandi città hanno sussidi, iniziative, cultura, ricchi benestanti istruiti, finanziatori, anche dall’estero. Ci sono eccezioni, certo, ma non sono la regola. A Crema l’unica notizia sostanziale è l’aumento dei centri commerciali, i discount, per captare i tanti piccoli paesi che utilizzano Crema come borgo-mercato. Abbiamo una ferrovia ridicola, cultura mediocre (come tante altre piccole città), e un pò di folla il sabato e la domenica pomeriggio, che vien dalla campagna a far quattro passi e guardar le vetrine dei negozi (che resistono). A Crema non ha sempre vinto la sinistra, o il centrosinistra, mi pare. E anche se dovesse rivincere alle prossime amministrative, il fatto non ferma la decadenza, il declino che è realtà.
      La guerra sotterranea, senza armi in pugno, non solo italiana, tra città (vere, reali) e campagna ( e Crema è in realtà più campagna, più paesana che luogo urbano significativo), si trascina dal dopoguerra, con periodi di relativa calma, ma negli ultimi decenni, con la crisi economica si è incancrenita. So di crearmi più di una antipatica personale, tra i cremaschi. Pazienza.

    • Grazie per il tuo cortese riscontro, Marino. Vedo che, in buona sostanza, aggiungi ulteriori motivazioni e spiegazioni a quanto sinora da te espresso: sinistra intellettuale e metropolitana, destra ignorantotta e provinciale, se non anche rurale.
      Può essere, la tua, una chiave di lettura da tenere presente, nella difficile interpretazione dell’attuale politica italiana, in particolare riguardo alle ultime tornate elettorali.
      Quanto a Crema, mi pare che quindi, secondo te, siamo proprio, effettivamente, una realtà politica anomala rispetto alla situazione nazionale da te sopra confermata: sinistra intellettuale, però provinciale, se non anche rurale, comunque “in declino”.
      Infatti, lasciando perdere i precedenti sindaci nominati e considerando quelli eletti con la legge 81, negli ultimi 25 anni (direi di stare sul quarto di secolo, una misura temporale non troppo collassata e comunque piuttosto significativa), dal 1997 al 2022, solo un mandato su cinque è andato alla destra e ben quattro alla sinistra, magari temperata dal rosso al roseo, con innesti di bianco, un cromatismo politico “pink” ormai consolidato in città (politicamente, il nostro motto sotto lo stemma municipale, sul cartiglio, potrebbe essere “think pink”).
      Da meditare.

  • Vedo, Marino, che ti sei documentato su una ridda di fonti di cui numerose quelle straniere: è così che si fa ricerca e non recitando cliché o quello che passa il… convento dei mass media.
    Il trend è quello che hai descritto, ma è anche un fatto che alcune aree dismesse o ex industriali sono state, grazie a politici lungimiranti, rivitalizzate dopo una adeguata bonifica: la Ruhr ormai un classico da manuale.
    Più ci si addentra nella fase post-industriale, più sono necessarie misure di “riconversione”.
    Ma… come riconvertire nei piccoli centri, tanto più con collegamenti disastrati, come Crema?
    Come riconvertire le nostre aree dismesse (pensiamo solo allo scenario desolante della ex Everest del viale di S. Maria)? Gli investitori investono se le risorse spese hanno un ritorno. Ora, quale ritorno possono avere se Crema, ad eccezione (unica!) di location del film di Guadagnino, non ha alcun appeal nei confronti degli investitori stranieri?
    Quello che possiamo, magari, realizzare, è di potenziare il ponte, aperto con intelligenza dall’Amministra comunale, con la città cinese di Nanning: 8 milioni di abitanti. Un grande mercato che potrebbe essere esplorato (finora esistono solo – se ricordo bene quanto affermato nella recente conferenza pubblica seguita al ritorno della nostra delegazione cremasca – cinque italiani): non riusciremo, certo, a convincere i cinesi a investire a Crema, ma potremmo iniziare a esportare i nostri prodotti in quel mercato. Prodotti (abbiamo un eccellente distretto della cosmesi nel nostro territorio; in Cina poi noi cremaschi esportiamo pannolini perché i cinesi ricchi preferiscono i pannolini doc rispetto alle imitazioni) e “servizi” (perché no?) tra cui “consulenze”.
    Se Crema dovesse sviluppare il suo export, magari potrà diventare appetibile: magari saranno gli stessi cinesi che investiranno nella cosmesi… di casa nostra.
    Un sogno di aprtura del 2020?
    A volte i sogni si realizzano. Occorre crederci e rimboccare le maniche.
    No?

    • “A Vicoforte Mondovì, 3100 abitanti – comincia così un servizio giornalistico passato sulla tv regionale piemontese – c’è un importante santuario mariano, meta di tanti pellegrini”. Il giorno dopo la trasmissione, la redazione regionale di Torino ha ricevuto diverse telefonate, mail di protesta. Il paesino dista pochi chilometri dalla cittadina di Mondovì (circa 20mila anime). Il sindaco di Vicoforte è andato su tutte le furie e ha convocato il consiglio comunale che ha inviato una protesta scritta alla Rai. Hanno inalberato un cartello con scritto: “I vicesi dicono basta!”. Intervistato, il sindaco di Vicoforte ha dichiarato: “Noi non ci chiamiamo Vicoforte Mondovì, Roccaforte Mondovì, Montaldo Mondovì, Bastia Mondovì. Neanche San Michele Mondovì. Siamo semplicemente Vicoforte. E’ chiaro?”
      La vita nei piccoli centri può essere spassosa.

  • Non vi è solo il fronte di Nanning (che va esplorato fino in fondo: un mercato di 8 milioni di consumatori e una possibile fonte di capitali di investimento per Crema), ma anche quello che tu, Marino, hai citato: il progetto lanciato da anni dal prof. Righini di creare a Crema un centro di ricerca al livello internazionale di MATEMATICA APPLICATA.
    Sappiamo che il futuro avrà sempre più come motore gli ALGORITMI e di sicuro la matematica applicata va in questa direzione.

    E’ questa, a mio avviso, la battaglia culturale che noi di CremAscolta dovremmo combattere.
    Non siamo certo noi gli esperti, ma è un fatto che senza creare le condizioni, il contesto (la stessa Fondazione che pare sia il passaggio obbligato per accedere a fondi europei (tramite la Regione).
    Più volte il prof. Righini ha lanciato l’appello.
    Un appello che è stato rilanciato recentemente da un suo collega proprio su CremAscolta.
    Basterebbe questa battaglia per ridare una nuova vitalità al nostro blog. Per darci (o per tornare ad essere quello che eravamo) una “identità”, quella di un blog – collocabile nei “media civici” – nato per avanzare “proposte” per la comunità.
    Discutere sui “grandi problemi” è utile per chiarirci le idee. Lavorare come un team per risolvere un problema locale, quello del declino di Crema e del nostro territorio, è ancora più utile per dare una “direzione” al blog.
    No?

    • Caro Piero, decenni fa venne Claudio Martelli, allora numero due del Psi, a Crema, al Sant’Agostino. I socialisti a Crema, come altrove a quei tempi, più che elettoralmente, avevano potere e poltrone. Il Psi, partito di sinistra riformista stava per intrallacciare rapporti e far da sponda agli interessi, magari per liberalizzare il mercato televisivo, agli appetiti di un imprenditore brianzolo, interessato ad acquisire una televisione commerciale “Antenna Nord”, e ottenere spazio, leggi e leggine che gli permettessero di arrivare dal nord alla bassa Italia. Al Sant’Agostino c’era entusiasmo; i dirigenti cremaschi del Psi c’erano tutti, in attesa che arrivasse il “delfino” di Bettino Craxi. I militanti andavano spediti, con passetti nervosi a riordinare il locale, a sistemare le sedie, fra i bei dipinti di Pietro da Cemmo. C’erano molti curiosi. Quando un politico “potente” cala in provincia, prima di tutto lo si va a vedere. Chissà, quando mai, tornerà a far visita. Magari mai più. Dopo l’intervento di Martelli alzai la mano tra lo stupore generale. Era la mano di un ragazzetto, nemmeno un militante della federazione giovanile. Uno sconosciuto; uno di quelli che s’incontra, che s’incrocia nelle “vasche” del centro e a cui si dice: salve, o si fa un cenno con la testa, con mezzo dispiacere, oppure si è visto mille volte, ma il saluto non parte, non partirà mai. Dissi che il Psi si era spartito un pezzo della Rai, che Rai due era diventatà di proprietà dei socialisti, con Massimo Fichera capostruttura. Che la lottizzazione della Rai era un grave errore, anche una vergogna della politica, della sinistra tutta. Quando tornai a sedermi in fondo alla sala, con il cuore che mi picchiava dentro, certo di aver anche farfugliato, un signore con i baffi folti e spioventi all’insù venne vicino, mi guardò con occhi aggressivi e sbottò: sei venuto ad insultarci, a offendere il partito, proprio oggi, quando Claudio Martelli ci ha fatto l’onore…. Ecco: ripensandoci, oggi, a distanza di anni, riconosco che la piccola città, in queste cose, in queste miserie non può cambiare, non cambierà mai, perchè l’aria può essere paciosa, calma, la fretta inesistente, la passeggiata prima di cena corroborante, l’inquinamento da polveri sottili non poi così sforante i limiti (rispetto ad altre realtà urbane), ma la piccola città può essere soffocante lo stesso, in un certo qual modo. Così la penso. Continua, nel commento successivo.

  • Il declino dei piccoli centri, di questi tempi, è generale, europeo. Non solo europeo. Le eccezioni riguardano i borghi turistici, con presenze dall’estero (Spoleto, San Gimignano, Il Lago di Como, Bormio, Cortina, Mantova); le città universitarie (Padova, Pavia, Urbino), le aree urbane che hanno, o hanno avuto personaggi dell’industria come Squinzi (Sassuolo), Olivetti (Ivrea); oppure il turismo gastronomico, il borgo-mercato, la protezione Unesco, la Ferrero dolciumi, per una cittadina come Alba. Invertire la rotta senza una di queste caratteristiche, o potenzialità, è complicato. Molto, se poi mancano i soldi. Proprio ieri, mi dicono che hanno sbloccato del denaro per i piccoli centri, quindi qualcosa ci sarebbe da spendere, per le amministrazioni comunali. L’importante è spenderli bene. Non come il pasticcio di Via Bacchetta, mal gestito e moltocostato. Beppe Severgnini disse che Crema deve scegliere se essere una piccola Arezzo, o una grande Paullo. Ha ragione. Crema, fino ad ora, per colpa o mancanza di mezzi, ha deciso di restare nel limbo, di essere nè Arezzo senza colline e Piero della Francesca, nè la grande Paullol, sprofondando nell’irrilevanza, nella perdita di servizi, con il timore, anno dopo anno, di perdere altro terreno, scuole, autonomia amministrativa, una ferrovia penalizzante. La sindaca, Stefania Bonaldi dice: siate orgogliosi di Crema. Va bene esserne orgogliosi, ma chi non è un politico, il quale, solitamente non dice mai tutta la verità, per ovvie ragioni politico-elettorali, ha il dovere di guardare le cose per come sono, nella realtà. I pregi; anche i difetti; anche le miserie. Le mediocrità. C’è un un gioiellino di centro storico, se pur piccolo. Ci sono parcheggi, pedonabili, ciclabili. Ci sono obbrobri edilizi fatti da architetti e geometri cremaschi giusto appena fuori dal centro storico: Viale Repubblica, per esempio. Il miscuglio di capannoni, villette,e condomini falsosignorili a Ombriano. Portanova, invece, è un eccellente esempio di buona architettura, grazie a un architetto che viene da fuori. Da Firenze.
    Fare proposte, per compiere passi avanti, come dice Piero. Basterebbe, tanto per cominciare dare un mano di pittura alle scuole, ai soffitti dei licei cittadini (classico e scientifico), di antiruggine alla cancellata. Non succede da parecchio. Ed è una vergogna. Basterebbe farsi venire delle idee, fare dei progetti, bussare alla porta di Trenord un giorno sì e l’altro anche per il raddoppio ferroviario, che non si farà mai, dicono, ma l’utopia non è sempre tempo sprecato, se alle volte l’utopia è testarda. Se si decide che il raddoppio è una priorità. Basterebbero idee originali, utili come quella propugnata dalla redazione di “Cremascolta”, piuttosto di scimmiottare la metropoli con il noleggio biciclette, che nelle piccole città non ha mai funzionato. Basterebbe imparare a come potare gli alberi, non come sulla ciclo-pedonabile dei Mosi, potati solo da un lato, così c’è una sfilza di alberi sulla pedonabile con la chioma pendente. Basterebbe chiedersi se l’offerta culturale cremasca sta in piedi oppure è poca cosa, se è ricca, oppure misera. La vedo modesta; poca cosa. Poi non c’è da stupirsi se ciò non ha conseguenze. La cultura arricchisce, e quando manca impoverisce.
    Se Crema, come migliaia di altri piccole città non è messa bene, come è messa la campagna cremasca, i 45-50 comuni che appartengono all’area cremasca? Sommati, sono migliaia di donne, ragazzi, vecchi, che come popolazione surclassano Crema città; eppure, per certi versi, pare siano trasparenti, che se non succede un fatto di cronaca nera, sono borghi che non esistono. Non hanno voce. In questi giorni di nebbiolina persistente e infima, l’isolamento della campagna cremasca, senza uno straccio d’orizzonte, nel gelo dell’inverno, si fa più marcato. Scompaiono dalla vista.

  • Quel vizio di lottizzare la Rai che tu, Marino, hai descritto bene, purtroppo continua ancora: i partiti cambiano ma la volontà di mettere le mani sulla televisione pubblica non cambia.
    Non ho dimestichezza (uno dei miei limiti è la scarsa conoscenza dell’inglese) con la Bbc, ma leggo che potrebbe essere un punto di riferimento anche per noi in termini di “indipendenza” dai partiti.
    Naturalmente, anche le tv private fanno la loro parte: si conosce lontano un miglio da che parte stanno certi giornalisti sia di Mediaset che di altre… testate cosiddette indipendenti (pensiamo, tanto per non fare… nomi, alla Gruber).

  • FUORI TEMA
    Ieri mattina su La7. Indubbiamente una televisione schierata, ma comunque libera, non asservita a questo o a quel governo o aria che tira perchè non ci si scappa. Si dice della pluralità dell’informazione, e più plurali di adesso, comprese le nefandezze, la fake news non solo dei social che vanno a riempire il terreno minato, prima di tutto della Politica, non siamo mai stati. Presenti in studio vari orientamenti. Tra i temi trattati la posizione di Salvini e il processo che rischia, perchè la sua memoria difensiva fa acqua da tutte le parti. Interviene Sallusti, semplicemente che ne sbaraglia la necessità, che con una certa pacatezza dice che il capo della Lega non ha forse più di responsabilità di tutto il Governo di cui era Ministro. E il ragionamento non fa una piega quando ricorda che, come noi cittadini eravamo al corrente degli avvenimenti, lo era per forza anche il Capo del suo governo che non è intervenuto per riportare il Ministro dell’interno nei dettati o confini costituzionali. E assumendosi di conseguenza responsabilità che ora nega. Premetto che non credo proprio a una possibile delottizzazione dell’informazione, ma credo che stia a noi ascoltatori o cittadini scegliere con lo spirito critico che ognuno dovrebbe possedere. Pur considerato che siamo tutti manipolabili e influenzabili, il sottoscritto, ieri mattina non ha potuto far altro che dar ragione a Sallusti. E accade di rado. Contestualmente, anche dall’esponente donna del Pd presente in studio, non è arrivato un commento. Ecco, in una televisione certamente non di destra, un uomo di destra ha saputo far valere una semplicissima e logica ragione. Poi sento Gasparri, della giunta per l’autorizzazione a procedere, che parla di sicurezza nazionale, come se sulla Gregoretti ci fossero truppe d’assalto e non quasi tutti poveracci, e cambio immediatamente idea. Certo, si era in un dibattito con possibilità di contraddittorio e non certamente sul tg2 di pochi mesi fa o sulle televisioni del Cavaliere. La lottizzazione della Rai? Impossibile evitarla, se non rinunciando ad una televisione di Stato. Se poi si crede che davvero possa esistere un’informazione libera è altra questione. Io non lo credo affatto. E tutto sommato in Rai esiste una certa libertà come esistono tanti orientamenti. Finchè si può scegliere tra rai3, rai1, la7 o altre testate diciamo che siamo ancora nella libera informazione. Poi non conosco la Bbc, ma mi sembra strano che in un dibattito, o taglio giornalistico, nessun opinionista abbia espresso la sua opinione, magari sulla Brexit. Raccontare i fatti senza commenti è molto difficile.
    “La BBC definisce sé stessa del tutto libera da influenze politiche e commerciali, inoltre è stata la prima emittente televisiva che, a partire dal 2007, pubblica i contenuti trasmessi sul sito con licenza Creative Commons. L’organo preposto alla tutela dell’imparzialità e della qualità dei contenuti è il “BBC Trust”, composto da dodici membri.”
    Ma un simile organismo non esiste anche per la Rai? Se poi si vuol dimostrare che anche questo è spartito tra i partiti allora è altra questione. In effetti questo organismo non riuscì a contrastare il famoso editto bulgaro di Berlusconi del 2002. Ricordate? Insomma, non so se adesso è meglio o peggio di allora. Imparzialità, qualità, aggettivi o sostantivi difficilissimi da declinare.

  • “Raccontare i fatti senza commenti è molto difficile”. Però almeno si può limitare l’entità delle sbrodolate che confondono le idee e iniziano già ad ammaliare per stordimento sillabico. E come per il pendolo dell’ipnotizzatore il cronista prende il conceto, lo fa fluttuare avanti ai nostri occhi, lo acchiappa per la coda e lo risbatte sulla carta al contrario, e così via, e siccome alcuni son pagati a parole almeno ci guadagnano! e gli altri ci si addomesticano.
    Ivano, non capisco perché un fuori tema invece di un post! Che almeno il blog non è schierato ci credi?

  • Caro Adriano, è fuor di dubbio che il tema informazione meriterebbe sempre un post e relativi approfondimenti. Io mi sono semplicemente agganciato ai due ultimi commenti di Marino e Piero, credendo di trovare legittimazione, anche andando oltre. Comunque hai ragione, si può fare.

  • P.s.: Adriano, è vero che il blog non è schierato, anche se gli orientamenti di molti di noi sono sempre stati chiarissimi. E in certi momenti questo ha creato confusione dando a Cremascolta un poco di connotazione in un senso o nell’altro. E anche vero che i contraddittori sono stati a volte feroci e questo ha garantito quella pluralità di opinioni in chi legge che ha smentito questa o quella identità politica o morale.

  • Concordo, Ivano: mai generalizzare.
    Tornando a La 7, dico che il programma Omnibus è sempre condotto da giornalisti che fanno di tutto per essere… super partes (ciò che non fa quasi mai la Gruber).

    Che poi i telespettatori possano scegliere è pacifico.
    Ma funziona sempre il principio di inierzia: c’è chi vede per sempre il tg del canale 5 di Mediaset o il tg3.
    Lo sanno (?) che sono apertamente schierati?

    • Piero, sai bene che il votante medio non si pone la questione.

    • Caro Piero, ti manca la conoscenza dell’inglese, e lo dici. Non ti manca però l’umiltà, che è una grande qualità non troppo frequentata da intellettuali e scribacchini. Mi arrabatto con le lingue straniere, più di una, ma inciampo spesso nella lingua madre, che è debolezza ben peggiore della tua. Ma non si finisce mai d’imparare, di studiare.Non si dovrebbe mai.

  • Non me ne intendo di giornalismo televisivo e quindi non saprei come argomentare per sostenere che un programma e un conduttore (o una conduttrice) siano più o meno “schierati” oppure “obiettivi” di altri. Anche perché sappiamo tutti molto bene in quale ginepraio semantico, ideologico e giornalistico ci andremmo a infilare, visto che sul tema si sprecano biblioteche di semiologia, letteratura e persino cinematografia, oltre che eterni dibattiti proprio (e non a caso) in sede televisiva, esterofilia anglosassone compresa.
    Mi sembra che oggi in Italia l’offerta di informazione giornalistica, oltre che di motivazione e orientamento giornalistici, sia molto libera, ampia e ben mirata per aree, fasce e persino nicchie di utenza, e tutto secondo modalità comunicative differenziate e quasi personalizzabili in termini culturali, politici, di costume e persino emozionali e commotivi.
    Ce n’è per tutti e quindi, tra carta stampata, notizie online, televisioni, social e altri media, ognuno può ascoltare chi vuole e credere a chi gli piace.
    Della Gruber ho letto prima delle feste il suo “Basta” e mi ha colpito.
    Devo ancora capire se bene o male. Il fatto è che gli esempi maschili da lei fatti sono oggettivamente miserandi. Insomma, non so se è giusto parlare di noi uomini basandosi solo sui più pirla. Del resto, quelli oggi sono in auge. Mah, non lo so, comunque ho l’impressione che forse un libro di Gaia Tortora o di Barbara Palombelli o di Jula Rebreal mi avrebbe colpito di meno.

    • Rula, non Jula. Mi scuso, è che non seguo molto Amadeus, e poi su Sanremo sono rimasto a Wilson Pickett (“Deborah”, ma era meglio il retro del 45, “Down By The Sea”, e comunque è significativa la storia del “sacrificio della discografica”: ah, non c’è più il Sanremo di una volta).

    • “…del resto quelli sono in auge….”, e questo fia suggel, caro Pietro !!!

    • Hai ragione, caro Francesco. In effetti, tra il “rimettetevi la cravatta” dell’inizio del libro, rivolto a noi uomini, nel senso di smetterla con le volgarità, le sbracature e le cialtronate, e il consiglio alle donne “compratevi una giacca”, dato alla fine del testo (nel senso di essere rispettose della forma, della serietà, della cultura e non volgari o …… quel che sappiamo), l’autrice conclude chiarendo che è anche a causa di gente come Trump, Putin, Erdogan (in Italia sappiamo chi) e altri, per non parlare dei casi Strauss-Kahn, Weinstein e Epstein, che l’universo dei maschi al potere “sembra diventato una fiction”, che “potremmo intitolare The Big Fall. La Caduta dell’Impero Maschile d’Occidente”. Poi però un po’ di speranza ai meno cialtroni, a tutti i livelli, la lascia: “I valori della virilità non sono perduti”. “Lealtà, dirittura morale, forza, resistenza, spirito di sacrificio. I grandi valori virili di un tempo”. “Gli uomini sono certo in grado – e sono invitati a farlo – di mostrare i loro lati più nobili, invece di quelli più beceri”. Insomma, liberiamoci dei pirla tracotanti e fanfaroni prima che diventino il paradigma virile di tutti noi. Poi però conclude dicendo: “Ma le prossime puntate, sorry, le scriveranno le ragazze”. Vedremo, dipenderà da quali modelli virili si affermeranno nei prossimi anni.
      Mi scuso con tutti, soprattutto con Marino, per il fuori tema dentro un precedente fuori tema. Con l’aggravante della recidiva.

    • Se dovessero votare solo insegnanti, donne e uomini, in attività e non, docenti e studenti e ricercatori universitari, artisti, attori e registi teatrali, cineasti, Slavini e la Meloni otterrebbero tanti voti? Anche no.
      Se invece votassero solamente piastrellisti, elettricisti, muratori e operai (italiani), agricoltori, la Lega otterrebbe un ottimo risultato elettorale? Assolutamente sì. Che piaccia o no la realtà è questa. Quando parlano i leader della sinistra, rossa, rosa, verde, la cadenza, le parole, sono frutto della circonvallazione del pensiero “alto”. Portano – ancora – avanti il discorso. Con il mondo rurale, poi, proprio non ci parlano, quelli di sinistra, o ci parlano come chi scrive capisce di fisica quantistica.

  • Massì, “il fuori tema dentro un precedente fuori tema” non è poi cosa così grave Pietro!
    Quello che conta, perchè non siano ….”chiacchere fine a se stesse”, sono i contenuti, che se poi vanno un pochetto fuori tema ….

    • Grazie, Francesco. Ne approfitto per dire che condivido pienamente il commento di Ivano del 9 gennaio, ore 15,32. Con una punta di dispiacere per i momenti più accesi. Ma è spesso così: ce ne si accorge solo a distanza di tempo.

    • Grazie di cuore signor Pasini per avermi rasserenato la giornata. Immersa in un simile nebbione dopo tanto sole e mare, altrimenti, il mio umore ne sarebbe uscito irrimediabilmente compromesso.
      E’ bello sapere che in un’epoca così controversa qualcuno possieda ancora granitiche certezze. Lei dice: “Se dovessero votare solo insegnanti, donne e uomini, in attività e non, docenti e studenti e ricercatori universitari, artisti, attori e registi teatrali, cineasti [gente che notoriamente vive alle spalle di qualcun altro per non morire di fame, visto che solo uno su un milione diventa milionario], Slavini e la Meloni otterrebbero tanti voti? Anche no.” Scusi, ma chi le ha raccontato una cosa del genere? Ne è davvero convinto? Persino “Slavini” è uscito dal classico, si figuri un po’.
      A rinforzo della sua teoria, prosegue: “Se invece votassero solamente piastrellisti, elettricisti, muratori e operai (italiani), agricoltori, la Lega otterrebbe un ottimo risultato elettorale? Assolutamente sì.” A parte il fatto che bisognerebbe informare tempestivamente l’Istat che i suoi numeri non sono corretti perché il 52% degli italiani (elettori di destra-centro) fa l’operaio, può dirmi cortesemente dove ha reperito questi dati? Che si sappia il centrosinistra prende voti solo nelle ristrette aree ZTL cittadine (altrimenti non sarebbe al 18-19%), ma non c’è scritto da nessuna parte che soldi e cultura viaggino in tandem. Al contrario. O lei vuol dire che gli abitanti dei centri urbani sono tutti dei geni mentre nelle periferie vive una massa acritica di semianalfabeti con l’anello al naso? Non le sembra un tantino classista, come affermazione?
      Ma la chicca è l’ultima: “Che piaccia o no la realtà è questa [beato lei che conosce la realtà, non sa quanto la invidio]. Quando parlano i leader della sinistra, rossa, rosa, verde, la cadenza, le parole, sono frutto della circonvallazione del pensiero “alto”. Portano – ancora – avanti il discorso.” Mi scusi, senza offesa, mai io come milioni di altri quando sento parlare Conte e Zingaretti ho l’impressione di avere di fronte dei minorati che qualcuno ha messo nel posto sbagliato a dire cose insulse. Quali discorsi “alti” possa portare avanti gente del genere non mi è chiaro, visto che le uniche “circonvallazioni” che conoscono sono quelle del “rinvio” alle calende greche. Ma in fondo l’importante è mantenere il posto fisso e lo stipendio stellare, chi se ne frega degli italiani.
      Perdoni il siparietto di puntualizzazioni, ma non ho saputo trattenermi. Cordialmente.

    • Il signor Pasini, con il suo commento, ha espresso la weltangschaung del polo liberal-elitista che si oppone strenuamente al polo liberal-populista, entrambi eredi politici degli agrari e della borghesia cotoniera che nel secolo scorso chiamavano in soccorso le squadre fasciste. Appurata l’inutilità di un terzo polo liberista (il M5S), prendiamo atto che il 95% dei voti si concentra sui due poli neoliberali e che il socialismo è letteralmente scomparso. Siamo tornati all’ottocento, quando vi erano solo i liberali i quali, oggi come allora, non hanno nemmeno più bisogno di chiamare i fascisti.
      Concetti difficili da comprendere per gli scienziati che votano il PD (Partito Demolitore) e per le sardine ammaestrate (che pure votano il PD).

    • Sarei l’espressione del polo liberal-elitista. Questa è bella. Cioè sarei un macronista, giusto? Un seguace di Emmanuel Macron. Non ho mai scritto una riga a difesa della politica di Macron. Lei prende lucciole per lanterne. Gli agrari con Macron, i liberal-elitisti, c’entrano una mazza. Gli agrari prima di chiamare a protezione, a difesa dei loro interessi le squadracce fasciste, erano elettori, e avevano come scudo, soprattutto, i liberalconservatori, che erano un partito di destra liberale, espressione dei proprietari terrieri, ben poco modernista, tradizionalista nei diritti civili. C’erano altre forze moderate, come i repubblicani, i radicali (ben diversi da quelli d’oggi), e il Partito Popolare. Ma ho già scritto sul fascismo cremonese e della nostra provincia. Cacciare Macron fra i liberalconservatori, come scrive il signor Mainetti, è un modo di ragionare frettoloso che di chi non ha rispetto per la Storia, e vuol piegarla al suo pensiero.

  • Due osservazioni … random in merito a questo ondivago, gustosissimo, aperto scambio di idee:
    1) Declino dei piccoli centri: Marino ci dice, con annotazione positiva rispetto al “declino”, che in Crema “i negozi resistono”. Ma quali “negozi” e soprattutto “quali negozianti” Marino?
    Percorrendo il rituale percorso: Via Mazzini/Via XX Settembre e ….ritorno, le vetrine sfavillanti abbigliamento/scarpe, scarpe /abbigliamento (per lo più griffate, di gran qualità/costo) sono davvero tante e …..davvero quasi sempre vuote! Il turn over di nuove chiusure/aperture è senza posa, ma da dove vengono tutti sti soldi? Da dove vengono sti negozianti?
    2) Giornalismo televisivo: seguivo un tempo la trasmissione di Floris, “Ballarò” prima, “Di Martedì” poi, lui era/è bravo, le ospitate ricche di personaggi e abastanza equilibrate come …”schieramento”, ma davvero oscenamente insopportabili i regolari, ossessionanti, fasulli applausi a comando da parte del “puublico” in sala, a ritmo serrato, alla fine di ogni intervento. Ho smesso di seguirlo!!!!

    • Caro Francesco, mi risulta che a Crema non pochi negozi nella via del passeggio ruotano, cambiano, chiudono, riaprono. Forse ci sono genitori che sganciano soldi per metterci lì i figli che non trovano altro lavoro, nella speranza che quelli della campagna vengono a Crema a far spesa. Del resto, Crema senza i paesi che la circondano, sarebbe semi vuota, nell’affollarsi del passeggio domenicale. Un amica di Ripalta Cremasca che ha voluto che i suoi due figli frequentassero le medie inferiori a Crema, perchè – dice lei – c’è più civiltà, ha iscritto, poi la figlia al Liceo Linguistico di Crema. Ma era abbacchiata. Tutti gli studenti della classe, quasi tutte femmine – venivano dalla campagna. Tutte cremasche, eccetto qualcuna di Paullo, di Zelo Buon Persico, ma di Crema nisba.
      Mica saranno tutti tonti, quelli dei paesi, della campagna? Che è ‘sta storia? Ma non c’è mica internet, la Rete, e uno dialoga anche con le isole Frisone, da Scannabue, se ha voglia? Anche politicamente, mica saranno proprio ignoranti? Fossi un paesano, mi darebbero fastidio assai, ‘ste storie. Se si crede alle parole di Ernesto Galli della Loggia, i campagnoli se ne fregano delle qualità di un politico: “nei centri urbani è più alta la concentrazione di persone acculturate sensibili alla qualità del personale politico” (Corriere della Sera, oggi). Ernesto Galli della Loggia non vive a Casaletto di Sopra, a quanto pare. Ah l’èlite, l’èlite…

  • ….”lavanderia di danè” no è? Marino …..

  • Tutto sta nel chiedersi se è il linguaggio della politica a doversi adeguare al linguaggio del popolo o viceversa. Tu Marino, relativamente nuovo del blog, non sai che se ne è parlato diffusamente su Cremascolta, coinvolgendo il concetto di democrazia e dopo lunghe discussioni ognuno è rimasto del suo parere, con giudizi manichei su temi come la scolarizzazione di massa –dieci parole per il popolo e mille per il padrone – che vediamo non ha prodotto i risultati sperati. Come è difficile parlare ancora del mondo rurale, che magari in certe regioni rappresenta ancora una buona fetta di elettorato, coinvolgendo però altri temi, come per esempio la sicurezza. Alle ultime regionali in Emilia Romagna dove magari non sono più le parole che mancano, ha prevalso la paura della gente dell’Appennino, tra casolari rurali un po’ sperduti e paure conseguenti all’isolamento. Nelle città probabilmente ha vinto Bonaccini. In Calabria, magari per conformazione del territorio hanno vinto le destre e anche questo era prevedibile. Quindi tutto sta nel chiedersi ormai quale sia il ruolo della politica. Va però valutata anche la tua classificazione manichea degli elettori dove fai prevalere l’equazione ignoranza-destra- Lega, intelligenza e cultura -sinistra. In verità io non so se il campione Cremascolta possa essere rappresentativo numericamente per arrivare ad altre conclusioni. Nel tempo abbiamo letto firme di cultura e intelligenza dichiaratamente schierate verso la destra estrema e questo contraddice la tua perentorietà nel commento di ieri delle 21:14. In verità l’ho sempre pensata come te, ma ora vado piano, appunto nell’era di internet e di tutte le informazioni e opinioni possibili, a classificare col tuo metodo. Non so, magari mi sbaglio.

  • Davvero non corcordo (e mi ripeto, lo so) col metodo del categorizzare politicamente per slogan, tipo: ” ….gli scienziati che votano il PD (Partito Demolitore) ….. le sardine ammaestrate (che pure votano il PD)…… “il pensiero sinistro”.
    Non mi piace perchè lo recepisco come segno di intolleranza che predilige l’arroganza giudicante al dialogo, al confronto delle idee.
    Può essere ci sia caduto anch’io qualche volta, e se lo è stato me ne scuso, ma farlo diventare un approccio usuale, tenerlo come registro privilegiato (alle mie orecchie, almeno) non fa un bel suono!

    • Buon giorno signor Torrisi. Purtroppo mi sono lasciato trascinare nel derby tra liberali. Nel mio commento ho voluto stigmatizzare una visione della società secondo la quale gli eruditi (i cosidetti “scienziati”) voterebbero per il PD, convinti di votare un partito di “sinistra”, mentre tutti gli altri costituirebbero una plebe di qualunquisti ignoranti, complottisti, terrapiattisti nonché criptofasciti usciti dal sottobosco evoliano. Mi è sembrata una visione un po’ classista/elitista oltreché una semplificazione sbagliata. Mi rendo conto di avere utilizzato espressioni poco eleganti. Purtroppo, quando si parla di politica “mi scaldo”. Non era mia intenzione mancare di rispetto agli altri utenti del blog e, se qualcuno si è risentito per il mio commento, chiedo prontamente scusa. Non accadrà più.
      Distinti saluti.

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