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IVANO MACALLI

Adesso Subito

AUTOBIOGRAFIE
La differenza sta tra tenere aggiornata la nostra biografia seduta stante o affidarla magari dopo anni ai ricordi. Tanto il presente prelude sempre a un dopo, così che, eterni come“Drogo, così come per i commilitoni, la speranza di veder comparire un nemico all’orizzonte si trasforma a poco a poco in un’ossessione metafisica, in cui la ricerca di una verità definitiva sulla propria esistenza” (RacheleJesurum ). Naturalmente l’attesa non auspica sempre un nemico, pur nella natura belligerante di ognuno, così che, se non indotti dalle circostanze o dalla Storia, anche l’amico pacifico sempre sembra profilarsi all’orizzonte, preannunciato da cavalli bradi nel rosso deserto dell’alba. Nei sogni di tutti. Naturalmente l’amico è la ricerca della propria verità, tra un tempo sospeso e un correre più veloce in altri momenti. Ma sempre accompagnati dall’affanno del tirare le fila della nostra povera o ricca esistenza.
Dico questo dopo aver letto una frase di un libro che sto rileggendo, dopo tempo. Julian Barnes (Il senso di una fine) scrive: “ All’improvviso mi sembra che una delle differenze tra la gioventù e la vecchiaia potrebbe essere questa: da giovani, ci inventiamo un futuro diverso per noi stessi; da vecchi un passato diverso per gli altri.” Ecco, immaginate se tutto questo lo dovessimo scrivere: avremmo due autobiografie distinte, da non appartenere allo stesso nome.
Abbiamo provato tutti a seguire il corso della nostra mente, saltando di palo in frasca da non raccapezzarsi da dove si è partiti e dove si è arrivati. Il pensiero è velocissimo che fermarlo in parola si perde tutta la consecutio che lo caratterizza. Ma prima o dopo si vuole fermarlo per dare senso compiuto al nostro agire. E qui iniziano i guai perchè non c’è attimo o pensiero della nostra esistenza che non si debba documentare e condividere, perchè pare che tutto sia importante. Così che il presente supera immediatamente il passato e anticipa di corsa il futuro. In un eterno presente continuamente moltiplicato: “Di doman non v’è certezza”.
Per dire cosa? Per dire che nel tempo, e nella nostra mente, inevitabilmente si fanno cernite dei ricordi passati, ma che veicolati dai media diventano, forse, eterni, incancellabili.
Una volta invece c’era l’uomo qualunque e credo che non ci sia stata condizione esistenziale migliore. Nulla da sbandierare immediatamente, ma magari cuocersi o struggersi sommessamente, coltivando il dubbio, ma anche controllando le paranoie che non passa minuto che non si presentino, o gioire di quelle piccole gioie non condivise. Tanto non si doveva esibire niente, o perlomeno non c’erano i mezzi per farlo. Fare a meno quindi di tutte le velleità che compongono ora la pagina scritta, o immagine, o messaggino coi cuoricini che battono, era la salutare condizione o necessità. Insomma, personaggi in cerca di nessun autore, destinati all’oblio con il bene e il male che ci caratterizzano e compongono, bravi o non bravi, lineari o spezzati che si sia. Senza arrivare a nulla quindi, senza aspettarsi niente perchè tanto arriva quel che vuole, senza spreco di quelle energie che sarebbero fatica al vento. Tanto, la verità non arriverà mai perchè il deserto è troppo lungo da attraversare.
Ma nei decenni purtroppo è arrivata la tecnologia e l’uomo qualunque è sparito dall’orizzonte, rivendicando l’attimo di notorietà concesso a tutti ( Andy Warhol). Così che l’uomo tecnologico, anche il più saggio, è diventato l’uomo autobiografico. Qualsiasi stupidata, piatto mangiato, spiaggia al tramonto o bacio del mattino, fotografati e diffusi compulsivamente, non sono che l’autobiografia o protagonismo o verità che ci consegneranno, tutti, meritevoli o meno, attraverso l’etere, all’immortalità. E alla solitudine. Non un eroe, non un Dio, non noi, ma io, io, l’io assoluto, ADESSO, SUBITO. Beata illusione. E’ questa la VERITA’ che viene dal deserto. Almeno in quest’epoca.

IVANO MACALLI

24 Gen 2020 in Umanità

26 commenti

Commenti

  • Signor Macalli, lei è un frescotto che ha scoperto l’acqua calda. La rivoluzione digitale è in atto da anni e l’analisi che Lei fa è riconducibile a tutta la storia dell’uomo e della sua Vanitas. Quello che Lei scrive si chiama semplicemente paura della morte e dalla notte dei tempi l’uomo ha voluto lasciare un segno tangibile del suo passaggio. Naturalmente non di tutti è rimasta traccia. I potenti si facevano ritrarre dai migliori ritrattisti, durante i viaggi gli esploratori e i navigatori lasciavano un diario di bordo o di viaggio, tante private memorie sono state affidate, da chi sapeva scrivere, alla pagina bianca, ragazzine sentimentali su rilegati quaderni documentavano i primi battiti del loro cuore, tutti i libri sono d’ispirazione biografica o autobiografica. Qualsiasi espressione creativa ha sfidato il tempo, dalle pitture parietali, anonime, alla firma sul primo quadretto dipinto anche dai dilettanti. Poi è arrivata la fotografia ad immortalare, appunto contro la paura della morte, almeno le nostre fattezze. Non dimentichi signor Macalli il Diario di Anna Frank che senza quello non sapremmo il travaglio interiore di una ragazzina vissuta e morta in un’epoca, la più tragica della nostra Storia. Naturalmente i ricchi lasciano palazzi, terre, opere d’arte, azioni in paradisi fiscali. Ora, anche i poveri, un pensierino o un’immagine la lasciano anche loro, almeno su facebook. Insomma, quello che era privilegio delle classi colte o benestanti, ora è semplicemente diventato il bisogno di tutti quelli che si affidano e affidano ai social la promessa di immortalità. Adesso è tutto più democratico, perchè i social sono accessibili a tutti e tutti vi possono contribuire. Quello che era un privilegio di casta è diventato ora diritto di tutti, magari esercitato compulsivamente, ma comunque garantito. Certamente nessuno classificherà mai nulla di tutto questo materiale edito, se non da sociologi o antropologi che comunque analizzano il fenomeno da tempo, che però significa uno per tutti, non uno per ognuno. Del resto Lei non scrive compulsivamente su Cremascolta, addirittura corredando questo post di una sua fotografia? Poi, scusi, non aveva niente di meglio? Pare che abbia avuto una paresi.
    Cari saluti. Continuerò a seguirLa nella Sua illusoria strada verso l’immortalità.

    • Caro, Ivano per essere, o ritornare uomo qualunque ci sono molti modi di sparire, scomparire, rimanendo vivi e ben presenti nelle faccende quotidiane. Ci crede Pierre Zaoui, che ha scritto un libretto, una sorta di manuale: La Discrétion. Ou l’art de disparaitre, Flammarion 2013. C’è un edizione italiana, dal titolo “L’arte di scomparire”, Laterza. E’ stata recensita su vari giornali; ricordo Marco Belpoliti, su “Repubblica”, che è un critico letterario curioso e attento.

  • Ha ragione signor Macalli. Anch’io vivo di contraddizioni e quest’autocritica spero mi garantisca da eventuali sorrisetti. Lascio comunque l’ultima parola a Lei, signor Macalli, che forse ne capisce più di me.

    • Ma fra voi due è anche lecito interporsi? E poi arrrivano una o due risposte? Inoltre come grafica ci vedrei bene due mezzi busti rovesciati specularmente, come un fante delle carte da gioco. E se ne uscisse un gioco di società nuovo?

  • Adriano, acuto come sempre.
    Chi risponderà? Non lo so, dipenderà dai commenti.

  • Barnes indica due impulsi oggi diffusi. Ma il primo, Ivano, mi sembra segno di forza, il secondo di debolezza.
    Mettere insieme il trascorrere del tempo, la certezza dell’esito finale e l’aspirazione a non scomparire del tutto induce a pensarsi e definirsi. Proprio per essere nel tempo; per prepararsi alla fine; per scegliere quale tentativo fare per lasciare qualcosa e a chi. La “biografia” che ne risulta opera per il nostro oggi; per il momento rituale del saluto ultimo; per il domani altrui, di chi potrebbe conservare qualcosa di noi.
    Il soggetto speciale, famoso, memorabile ha una “biografia” in cui celebrità pubblica e notorietà duratura possono variare in rilevanza, ampiezza, effettività. Noi soggetti ordinari non dovremmo coltivare speranze illusorie di fama, fortuna e gloria al di fuori della nostra stirpe, famiglia, discendenza. Sarà già difficile che figli e nipoti e mantengano vivo qualcosa di noi.
    In pratica, che fare? Non ci sono consigli buoni per gli altri. È solo possibile dire che cosa facciamo noi.
    Personalmente, penso che oggi sia meglio lasciare in giro meno tracce possibili a livello pubblico, contrastando l’invasività tecnologica con un attento lavoro di “invisibilitas” riguardo alla vita privata, lasciando apparire solo quei connotati “relazionali” che la natura farà scomparire nel tempo. Se qualcosa resterà di noi, sarà per i legami genetici di sangue, al massimo per pochissimi amici.
    Questo per il dopo. Per il momento importante, è impossibile prepararsi del tutto ma più si è pronti meglio è.
    Per il tempo di oggi, il tempo ancora nostro, la “biografia” deve essere veritiera e basata su elementi importanti, tralasciando i dettagli. Il ricordo va aiutato e non spremuto. Le milestone, i punti di snodo, persone e ricorrenze, tappe ed esperienze, tutto in ordine. Meglio fare “chiusure annuali” di percorso: inventario, esame di coscienza, cernita, archiviazione.
    Se non si ha una “biografia” da eroi, dei o demoni, ma una “biografia” da uomini comuni, la riuscita della “biografia” non sta in una grande mente, in un grande cuore, in grandi attributi con cui annoiare, infastidire, ingombrare il prossimo. Sta in un assennato archivio per noi, i figli, i nipoti.

  • Non c’è un po di nichilismo..?
    Oggi si respira nichilismo come il fumo passivo.
    “E io che sono?”…
    Essere,se posso dire cosi,pazienti con Dio,
    dandogli una chance,
    permettergli di farcelo capire,
    lasciandoci colpire dalle cose…
    Con attenzione…

    • Graziano, nichilismo non so, ma un po’ di sano disincanto ci vorrebbe.

  • Grazie Marino, non conoscevo il libro, ma stamattina dopo una breve ricerca su IBS.it, libreria online, che non me vorrà, ho copiato questa breve recensione:
    “In una società che vive di apparenza e spettacolarità, la discrezione è una necessaria forma di resistenza. Spegnere i riflettori, abbassare il volume, godere dell’anonimato sono gesti politici prima che morali. La discrezione è un’arte, un atto volontario, una consapevole scelta di vita in un mondo che ci vorrebbe sempre connessi, protagonisti, inesorabilmente presenti, e in cui s’impone l’urgenza di una tregua, di staccare e sparire. Come quando, in un paese straniero, assaporiamo la massima libertà di non essere riconosciuti, la discrezione è arte della scomparsa: non nascondere nulla fino a non avere più nulla da mostrare, fino a rendere la propria presenza impercettibile. È arte della sottrazione, non per negare ma per affermare se stessi, e al contempo far scomparire quello che ci definisce. È aprirsi al mondo senza toccarlo, è gioia di “lasciar essere” le cose. È ancora possibile oggi, tra selfie e YouTube, essere discreti? Secondo Pierre Zaoui la risposta è sì: anzi, la discrezione è la nuova faccia della modernità, frutto delle libertà offerte dalle nostre società democratiche. Nel suo saggio, Zaoui convoca i grandi pensatori della discrezione, da Kafka a Blanchot a Deleuze, passando per Virginia Woolf e Walter Benjamin, per delineare i tratti di questa esperienza “rara, ambigua e infinitamente preziosa” che mi pare offra qualche spunto di riflessione.”
    Una volta c’era la televisione, che esiste ancora adesso. Avete mai ascoltato le testimonianze della gente qualunque intervistata per commentare un fatto di cronaca? Avete mai notato il linguaggio, il vocabolario? Non si va mai, ad esempio per una morta giovane, oltre la solarità del malcapitato protagonista in questione, fino al solito “non ho parole”. Ora, io non so i telecronisti quanta fatica debbano fare per raccogliere queste testimonianze, ma mi vien da pensare che non ne debbano fare troppa. Comparire, comparire, comparire. Un tempo si diceva che era volgare farsi riprendere da una televisione, che oltretutto pare non passi mai di moda. Inutile citare il grande fratello Vip, dove si capisce che per diventare tali è più che sufficiente non saper fare nulla, e l’influenza nefasta che questi programmi, su giovani e meno giovani hanno e autoalimentano. Ora coi social è anche più facile, l’occasione per credersi qualcuno è a portata di mano immediatamente per tutti. Si parla da decenni di società spettacolo e quello che va in scena è lo spettacolo più increscioso che le grandi commedie classiche col loro linguaggio irrispettoso, battutacce, doppi sensi, erano nulla di fronte alla degenerazione contemporanea, epidemica voglia di apparire, fino al cyberbullismo che addirittura miete vittime. Ora su questi mezzi si costruiscono campagne elettorali con piadine e tortellini, almeno fino a domani, e questa democratizzazione del mezzo sta rincoglionendo sempre di più i poveri follower per cui è facile identificarsi, perchè modelli popolari e alla portata della comprensione di tutti. Sarà l’età? Non so. Niente di nuovo naturalmente, da decenni i sociologi denunciano la degenerazione dell’uso di questi mezzi, ma mi pare che ormai si sia arrivati ad un punto di non ritorno. Ripeto, il protagonismo ormai tocca tutti. L’uomo senza qualità, con la tecnologia, ha ingannato tutti facendoci credere di essere tutti portatori di qualità. Non costa fatica, non si deve aver studiato, aver letto, essere informati. Una leggerezza concettuale è più che sufficiente per far credere a tutti di poter diventare qualcuno.

  • ” La “biografia” che ne risulta opera per il nostro oggi; per il momento rituale del saluto ultimo; per il domani altrui, di chi potrebbe conservare qualcosa di noi.” Molto interessante Pietro. E’ come se volessimo determinare non il nostro futuro, ma anche quello degli altri, con le nostre eredità, materiali o immateriali. Eterni padri, il cui protagonismo si pensa che possa durare per sempre, in una proiezione continua, quando anche tu concordi che se se lasciamo un ricordo in figli e nipoti è già tanto. Ma forse la vita di ognuno è appunto di ognuno, e basta. Anche perchè, diventando vecchi, la lettura della nostra biografia, se cambia a noi stessi, figurarsi se non cambia nel ricordo o interpretazione di chi ci sopravvive. La nostra vita, nascita e morte, non ci basta mai. Non un piccolo tassello, ma l’ambizione di far parte del tutto, indispensabili tutti, che se non fossimo esistiti il corso della Storia avrebbe intrapreso nuovi percorsi. E forse è così: a parte la trasmissione genetica per chi ha voluto perpetuarsi, senza la nostra conoscenza, o viceversa, il pensiero di chi ci ha conosciuto, magari due chiacchiere, sarebbe stata uguale? Probabilmente no. E senza aver trovato la chiave, non si potrebbe dire che circoscrivere la nostra esistenza tra i due momenti fatidici, sarebbe più che sufficiente?

  • Naturalmente si fa un uso strumentale dei ricordi. E anche quando l’utilizzo è onesto, disinteressato, e lasciamo stare il materiale, l’immateriale muta continuamente, e quindi la biografia di chi ci ha preceduti. Io penso continuamente ai miei genitori e per saggezza, forse, o per vecchi risentimenti, purtroppo, o per benevolenza o riconoscenza, la nuova interpretazione mi restituisce le loro vite in perenne rilettura. Per questo dico che anche affannandoci a lasciare tracce di noi, queste non saranno mai quelle che avremmo voluto lasciare. Se non per caso fortuito, magari un ricordo che riaffiora, o un’informazione altra, allora tutto cambia, restituendoci una verità che si rivela, in quel dato momento in tutta la sua oggettività. Oggettività comunque di breve durata, subito scavalcata da quei meccanismi del pensiero che di oggettivo non hanno niente.

  • Ma, signor Macalli, con tutto questo Lei vorrebbe dire che le autobiografie le dovrebbero scrivere i biografi, perchè altrimenti non sono credibili?

  • Ossignur, con questo “lascia o raddoppia”, “paghi uno e compri due”, non mi ci raccapezzo più, Ivano!
    Ma hai fatto l’accredito bis sul blog?
    Ma sono due “personaggi” o due “interpreti”?
    O magari è un “personaggio” che gioca a fare l'”interprete”, o il viceversa?
    Vediam gli sviluppi né, tanto oramai “Santamaria” da parecchio (epperfortuna!) non è più la soluzione!

  • Dai Francesco, ingegnere con le mani unte di grasso, togliti di dosso il tuo pragmatismo. Un po’ di creatività o elasticità per favore. E poi non lo sai che i filosofi di Santamaria non danno risposte, ma pongono domande?

  • “una delle differenze tra la gioventù e la vecchiaia “, stralcio dal tuo. Ti propongo un test semplice, basta una visita al supermercato: se le cassiere o sono belle o sono “dei tipi” allora sei giovane, ma quando improvvisamente diventano tutte brutte non sono cambiate loro, sei vecchio tu! E guai alla prma femminiista che mi accusa di ogettualizzare la donna!

    • Adriano, la volpe e l’uva, Intanto che il sottoscritto e il suo alter ego riflettono sull’ultimo commento di Pietro.

    • Bellissima immagine. Il “mito della commessa” nell’immaginario maschile italico, specie se sviluppato in una giovinezza d’inizio anni Settanta in cui esistevano ancora le mitiche “commesse della Rinascente”, soprattutto quelle al piano terra che allora erano le commesse top gun di Milano, soprattutto se si era studenti sbarcati in largo Augusto da Autoguidovie e provenienti da un’oscura provincia rurale. Perbacco, Adriano, ormai sei anche tu un antropologo. Chissà se Lévi-Strauss ha scritto qualcosa sulla bellezza (percepita, auto-percepita, che si sarebbe voluto tanto percepire) delle commesse.
      Però, a pensarci adesso, questa cosa delle commesse tutte belle, sarà anche la mia età, va bene, ma con quel che si vede alle casse, mah, non lo so.
      Non vorrei che questa differenza di opinione sulla bellezza nella grande distribuzione, più che tra gioventù e vecchiaia, rischi di essere una differenza tra l’Homo sapiens e il Mandrillus sphinx.
      Con tutto l’apprezzamento per il catarrino cercopitecide, beato lui (e beate, ovviamente, le sue catarrine cercopitecidi).

  • A una certa età è normale cominciare a tirare le somme, fare il punto della situazione e dare un’occhiata alla bussola e alla rotta che resta da fare. Mettere ordine nella “biografia” è come darsi un’occhiata allo specchio prima di uscire, per essere a posto, per “uscire” con decoro. Nessun tentativo di condizionare la vita di altri, Ivano. Se i figli e i nipoti vorranno, avranno la piena libertà di avere qualcosa di noi, altrimenti nessun problema. Tutti gli altri non sono previsti, insisto su questo. Il nichilismo poi non c’entra. Anzi, in questo prepararsi in punta di piedi, però con contegno, c’è una punta di byronismo, quasi un tratto di “scultura di sé” alla Onfray. Figuriamoci, siamo ai Lari e ai Penati. Ed è ovvio che la massima discrezione sia d’obbligo, come ci insegna una lunga Tradizione, che tra gli ultimi annovera anche Pierre Zaoui, il cui libro merita a mio parere la lettura. Il contenimento del pubblico, del mediatico e dell’invasivo è solo il punto di partenza, comunque necessario. Ma è senz’altro possibile e non pochi stanno già riuscendo a dimostrarlo. Vivendo, e bene, senza l’assillo dell’apparenza e dell’immagine, soprattutto del caro e beneamato e diletto Prossimo, e in ottima salute, alla faccia dell’ICT, dei TG, del 5G e di tutte le ciribiciaccole che ci sottraggono quel poco tempo che ci resta. Che ci resta, ovviamente, per noi, per i nostri figli, per i nostri nipoti.

  • Prima riflessione sulla prima parte del commento di Pietro. Direi di partire dall’educazione che i genitori impartiscono ai loro figli. Secondo me è la prima forma di eredità che si programma. Niente di peggio -secondo me – che sentire qualcuno che del proprio figlio orgogliosamente dice : “è uguale a me”. In questo caso sono pochi i figli in grado di scernere il bene dal male di quanto ereditato.

    • Illudersi che i figli possano essere “uguali” ai genitori, Ivano, non mi sembra solo impossibile ma anche, come dire, molto scemo. A prescindere dal valore di genitori, figli, avi o discendenti, presi individualmente.
      Che poi una buona educazione e formazione mirino a facilitare l’assimilazione di modelli attitudinali, comportamentali e sociali positivi (qualunque cosa si intenda per “positivi”, tot capita tot sententiae), questo è ben altro discorso. Che non riguarda solo i genitori ma anche l’impianto familiare nel suo complesso, la scuola, i soggetti guida in ambito professionale e tutti i ruoli che hanno responsabilità verso le nuove generazioni.
      Ma siamo fuori dal discorso iniziale, “biografico”, di possibile trasmissione interpersonale, siamo lontani dal tema del tuo post.
      Non arrivo a dire con il filosofo di “farci perdonare nei nostri figli gli errori dei nostri genitori” (cito a memoria, le parole esatte possono essere diverse ma il concetto è quello). Ma è chiaro che, sia geneticamente, sia con le dinamiche educazionali e formative, un padre è solo un inizio d’azione, una miccia, come il camerata oplita che da dietro le spalle ti dà “impulso”, “spinta”, “othismòs” nella battaglia della vita, mentre lancia e spada non possono che essere in pugno al figlio.
      Per cui, niente a che fare con gli “adesso subito”, con la cancellazione della prospettiva, l’annullamento dell’orizzonte, la rimozione del futuro. In pratica, con questa società di esibizionismo effimero e apparenza autoreferenziale. Ma solo un poco di “memoria”, prima di persona e poi nel ricordo, che possa servire da traccia, da orma, da seguire o meno in piena libertà. Proprio perché la libertà è il miglior concime della forza.
      E l’esempio fatto stamattina da Piero, mutatis mutandis, mi sembra molto in sintonia.

  • Hai ripreso, Ivano, ora che sei in pensione, la tua vena creativa: un gioco, il tuo, intelligente ed efficace.

    A proposito di autobiografia come esigenza, giunti all’età del tramonto, posso solo dire quanto è accaduto a me: ho scritto e pubblicato la mia autobiografia “spirituale” pensando soprattutto ai miei figli.
    Nessuna ambizione di immortalità, ma solo una “testimonianza” di un lungo travaglio interiore.
    Una testimonianza, lo confesso, che è stata apprezzata dai miei figli (l’unico dei miei testi a cui hanno prestato attenzione) e da tante persone che si sono “riconosciute” in quel travaglio.
    Anche nei giorni scorsi un amico ha comprato sulle bancarelle delle Missioni il mio “Chiunque tu sia” e, dopo averlo letto in fretta, si è precipitato da me per dirmi che si riconosceva ampiamente in quel percorso.
    Un percorso del “mio tempo”, di tanti della mia generazione per cui il problema del “perché che risolve tutti i perché” era molto sentito.
    Tutto qui: una semplice testimonianza.

    • Grazie Piero.

  • E intanto la vita passa…
    Se ne frega dei nostri ragionamenti,
    passa…
    Fra avvenimenti riconosciuti e aderiti,
    passa…
    E non necessariamente in una messa o in un rito…
    A una festa,su un albero,in un imprevisto…
    Semplicemente passa…
    Presto che è tardi.

  • Graziano, io l’ho sempre accentato: la casualità della nostra biografia. Ma nonostante Orazio o Lorenzo de’ Medici siamo qui tutti a farci vanto di quello che siamo senza nessuna riconoscenza alle circostanze che l’hanno determinata, e convinti dell’immutabilità della stessa. Quando non è così, dalle stelle alle stalle il passo è breve e come niente ci si ritrova morti. Morti contenti? Non so. Presto che è tardi? Per fare cosa, se neppure Orazio o Lorenzo ci hanno insegnato niente? Altrimenti seguire gli insegnamenti nietzciani quando dice che si costruisce sempre sulla sabbia, ma dovendo credere di costruire sulla roccia. O è una beata illusione anche questa?

    • Suvvia signor Macalli, non sia così negativo. Ad esempio, oggi non è più contento dopo le regionali? Non sa che la biografia di una nazione influisce su quella dei suoi cittadini? Ha proprio ragione Barnes, e vale anche per un nostro ex ministro che ieri la raccontava in un modo, oggi o i prossimi mesi in un altro. Ma non perchè è normale che le cose cambino e che la vita sia piena di sorprese, ma solo per l’esperienza che ad alcuni insegna un sacco di cose. Dopo tante sparate e magari consigliato di trovare una certa moderazione, cosa che probabilmente gli avrebbe consentito di espugnare la roccaforte comunista, potrebbe domani raccontare, non dico con pentimento, i citofoni, i baci alle coppe o ai bambini sul palco di Bibbiano in altro modo, perchè potrebbe riconoscere di aver sbagliato strategia usando tattiche (il suo amico criticone) solo d’effetto per illusori responsi immediati, ma neanche un po’ lungimiranti. Potrebbe dire ad esempio di aver agito benissimo e di non essere stato capito o riconoscere di essere stato capito benissimo, ma di aver sbagliato appunto strategia finendo col catturare il consenso solo nel suo elettorato più grossolano. Perchè noi non sappiamo cosa la vita riserverà al nostro ex – vedi la vicenda Gregoretti- ma di fatto è molto probabile che nel tempo a venire – vedi la paura di finire in galera – il nostro ministro diventi un’altra persona. Passeremmo dalle interviste trionfanti preelettorali – poco accorto – al sacrifici tipico degli eroi – mandatemi pure in galera – al rinnegare tutto così da indurre i suoi biografi a trovargli tutte le giustificazioni del caso, insomma a circostanziare. Perchè da oggi i coccodrilli, se morisse seduta stante, andrebbero riscritti di corsa per adattarli ai cambiamenti avvenuti. E’ come per Craxi agonizzante ad Hammamet dove lì il tempo c’è stato, che dopo vent’anni siamo ancora a chiederci se sia stato o meno un grande uomo di Stato, con tante biografie diverse tante quanti sono i commentatori. Certamente raccontando il suo fine vita non come avrebbe voluto raccontarlo da giovane, ma ahimè, per non finire troppo male, raccontando la solitudine lacrimevole coma descritta da Amelio nel suo film. Così da impietosire tutti, e appunto, circostanziare assolvendolo. E Salvini, come racconterà tra qualche anno questa sua prima sconfitta?
      Grazie signor Macalli, continuerò a seguirla.

  • Con tanta domanda,
    aumenta la possibilità d’impatto con la risposta…
    Auguri.

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