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CREMASCOLTA

Lezione 3 – Andrea Canidio (Corso Economia IV)

Vi aspettiamo alle 21:00 in Sala Alessandrini (Crema) per la terza lezione del corso di educazione all’economia, relatore il professor Andrea Canidio.

 

Abstract:

il modello di sviluppo economico degli ultimi 50 anni e’ la causa principale dei cambiamenti climatici in corso. Ma quale sarà l’effetto di questi cambiamenti sull’economia stessa? E quali sono, dal punto di vista economico, le politiche più efficaci che possiamo adottare? Al centro della serata una discussione della letteratura macroeconomica iniziata dal premio Nobel Nordhaus, ed una più recente letteratura che esplora il nesso tra cambiamento climatico, instabilità politica e conflitti.

 

Trailer (di Pietro Torrisi):

 

La sintesi (di Piero Carelli):

 

MISURE DI CONTRASTO

DRAMMATICAMENTE INSUFFICIENTI

 

I contrapposti negazionismi

 

Dobbiamo evitare, a proposito di riscaldamento climatico, di cadere nella trappola del negazionismo, sia di chi, in nome della genesi antropica, nega le cause “naturali” che viceversa.

In effetti, a monte vi sono sia fattori che hanno a che vedere con la “natura” sia fattori “umani”. Se prendiamo in considerazione gli ultimi 800.000 anni, notiamo che la concentrazione di gas serra nell’atmosfera registra veri e propri cicli che si ripetono più o meno ogni 50.000 anni. Se poi vogliamo andare più indietro nel tempo, osserviamo che dai 14 ai 10 milioni di anni fa, la Terra aveva una concentrazione di gas serra molto simile alla nostra attuale, la temperatura era di 3-6 gradi superiore e il livello del mare era di 25-40 metri più alto.

È sbagliato, quindi, negare il ruolo delle cause naturali, ma è altrettanto sbagliato negare il picco vertiginoso che si è manifestato nell’ultimo periodo, a partire dalla Rivoluzione industriale e, in modo particolare, negli ultimi cinquant’anni.

I due negazionismi in questione, dunque, vanno evitati perché ambedue cozzano contro l’evidenza.

 

Letture semplificate che distorcono la realtà

 

Dobbiamo evitare, inoltre, certe letture semplicistiche delle statistiche. È vero, ad esempio, che la Cina in termini assoluti è il Paese (seguito dagli Usa) che inquina di più l’atmosfera, ma è anche vero che, se consideriamo le emissioni pro capite, troviamo in testa alla classifica gli Stati Uniti, seguiti dal Canada, dall’Australia e dall’Arabia Saudita. Se noi imputassimo le emissioni di prodotti made in China (vedi un elettrodomestico) non alla Cina ma a noi italiani che li utilizziamo, scopriremmo che la nostra virtuosità di cui ci facciamo un vanto verrebbe decisamente appannata.

 

Scenari possibili in assenza di interventi di contrasto

 

Da evitare pure le contrapposte visioni del catastrofismo e dell’ottimismo. Non è vero che il riscaldamento climatico è destinato a condannarci alla morte per fame. Se consideriamo, infatti, il sistema Terra nella sua totalità, un riscaldamento a fine secolo di + 4 gradi rispetto al livello pre-industriale cambierebbe la geografia agricola del pianeta, ma conserverebbe gli stessi risultati: numerose aree del Sud del mondo diventerebbero terra bruciata ma, nello stesso tempo, altre aree come la Siberia, il Canada, la Finlandia… si trasformerebbero in veri e propri granai. In altre parole, alcune terre verrebbero penalizzate ed altre beneficiate. Il cibo, di conseguenza, ci sarà ancora per tutti.

Vi è, tuttavia, l’altra faccia del fenomeno. Se osserviamo le singole aree, ci troviamo in presenza di situazioni drammatiche: milioni di profughi climatici che dall’Africa si dirigeranno verso l’Europa, milioni di bengalesi che fuggiranno dalle loro abitazioni che saranno spazzate via dall’innalzamento del livello del mare, nonché un considerevole incremento di conflitti armati e di instabilità politica nell’Africa subsahariana.

Il cambiamento climatico, in altre parole, colpirà le zone più povere del pianeta e questo avrà un impatto rilevante sull’Europa che dovrà prendere misure all’altezza in termini di politica migratoria.

 

La retorica/illusione delle azioni virtuose individuali

 

Occorre pure evitare un eccesso di enfasi sul ruolo dei singoli cittadini in quanto cambiare le loro abitudini richiederà tempi lunghi. Ecco perché si dovrà giocare il più possibile la carta “politica”: la pressione della piazza e l’esercizio del voto avranno di sicuro una maggiore efficacia della scelta individuale, ad esempio, di ridurre il consumo di carne rossa. Le decisioni politiche, sia a livello nazionale che europeo, infatti, possono avere un’efficacia immediata. Si tratta, naturalmente, di prendere decisioni politiche mirate che

  1. riducano le emissioni di gas serra (si tenga presente che le decisioni prese oggi avranno un effetto sul pianeta tra 10-20 anni);
  2. abbiano effetti rapidi;
  3. generino benefici immediati (in aggiunta a quelli a medio e a lungo termine);
  4. siano un “punto focale”, vale a dire, qualcosa che tutti sanno e “che tutti sanno che tutti sanno” in modo da agire per un cambiamento “coordinato”.

Pensiamo che ogni anno in Italia muoiono 80.000 persone a causa dell’inquinamento atmosferico e che in tutto il mondo la cifra tocca la soglia del 6% del totale! Pensiamo che una riduzione minima della concentrazione di polveri sottili può produrre un incremento del PIL dello 0,8%. Sono questi gli effetti immediati: meno morti e più ricchezza prodotta.

Un fatto è certo: le politiche di contrasto oggi sono “drammaticamente insufficienti”. Abbiamo bisogno di politiche coraggiose e ambiziose. L’iniziativa dell’Unione europea – il Green New Deal che dovrebbe costare oltre mille miliardi di euro ogni anno dal 2021 al 2030 – va nella direzione giusta.

Ma stiamo attenti a non ripetere gli errori del passato: ricordiamo che la Germania ha smantellato il nucleare per tornare a sfruttare le miniere di carbone che inquinano di più. Il nucleare, laddove c’è, va mantenuto finché non ci sarà un’alternativa forte. E stiamo attenti a puntare, ad esempio, sull’auto elettrica senza coordinare gli interventi (dalle colonnine per la ricarica fino agli incentivi statali tesi a contenere i costi ai livelli attuali).

Vincere la sfida del cambiamento climatico si può, ma per vincerla dobbiamo da un lato liberarci da facili slogan e dall’altro mediante una massiccia pressione politica.

 

Il video integrale della lezione:

 

Le slide:

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CREMASCOLTA

18 Feb 2020 in Economia

12 commenti

Commenti

  • Ti aspettiamo, Andrea.
    Il tuo sarà un tema di grande rilevanza.
    In una scuola di educazione all’economia, poi, il tuo è uno dei pochi che affrontano “direttamente” le conseguenze “economiche”.

  • Il trailer di Pietro è il top della professionalità, per suggestione e aderenza al tema. La partecipazione di Andrea come docente, di estremo interesse, visto che si inizia già a parlare di costi, e per me una prreziosa occasione per rivederlo, doopo averlo lasciato bambino!

  • Tutt’altro che negazionista il prof. Canidio, almeno mi pare di capire estrapolando dalla presentazione. E il nesso tra cambiamento climatico, instabilità politica e conflitti è molto interessante. Immagino anche che il problema dell’acqua, con le desertificazioni in corso, oltre quello delle risorse naturali che sempre hanno scatenato conflitti, sarà affrontato. Se i soldi spesi per i conflitti venissero spesi tutti per il risanamento ambientale sanerebbero quella piaga delle guerre ancora in corso. Il guaio è che il profitto ha aspettative che vogliono risposte subito, in tempi brevi, mentre il risanamento ambientale comporterebbe tempi molto più lunghi ed un costo altissimo, ma soprattutto un cambiamento di tutti i paradigmi economici finanziari. Per questo credo che sia più realistico aspettarsi guerre che non un accordo planetario sul clima. Il grande Trump l’ha recentemente dimostrato. Buone le premesse dell’incontro.

    • Più volte ho segnalato che i più appassionati al clima sono i militari, la cui necessità di presenza e ragione di esistenza dipende dai conflitti. Non che li fomentino, per carità, semplicemente dalle mappe climatiche sono in grado di stabilire i fronti caldi del futuro (ma non caldi di temperatura!) e quindi prepararsi ad agire lì.
      Sull’equazione risparmio di spese belliche = prevenzione climatologica dei disastri e viceversa, ci manca un agente di cambio, trattandosi di monete diverse!
      E mi spiego: tutti e due i fattori fanno a breve salire il PIL, a lungo lo crollare. Non contiamo su un essere umano che ragioni a lungo termine, sarebbe il super sapiens, e allora se il sapiens simplex dovesse scoprire, aiutandolo un po’ con i nostri mezzi, che si fa più PIL con l’industria “verde” che con l’industria rosso-sangue, bene allora privilegerebbe un allocamento delle risorse nella prima metà dell’equazione.
      Non vedo altre soluzioni per un popolo mondiale di homo minus, uno dei quali, il minus minus extralarge, è campione nell’ex nuovo mondo.

  • Anche il risanamento ambientale, Ivano, sta generando un business e quindi non è escluso tale businnes acceleri e non freni.
    Non dimentichiamo che la green economy, anche negli Usa (a prescindere dalle sparate di Trump sul clima), sta crescendo a dismisura e sta creando molti più posti che quelli distrutti dalla transizione dalla combusione dei fossili combustibili alle energie rinnovabili.

  • Nel tornare a casa, ieri sera, ripensavo alla lezione del prof, Canidio.: ottima. Ma un particolare mi ha fatto ripensare il tutto. Durante il dibattito una signora insegnante ha detto di sentirsi a disagio ora che sa che le azioni positive di ciascuno sul clima non hanno affatto incidenza .sui cambiamenti. Tutto vero? Può darsi…L’affermazione”perentoria “che sono le scelte politiche ad operare i cambiamenti, sembra una risposta scontata (anzi doverosa) .Ma la risposta del relatore non mi ha convinto completamente. Gli insegnanti svolgono un ruolo fondamentale non solo per alzare il livello culturale delle persone, ma svolgono indirettamente un ruolo anche ” pre politico” di incentivare un comportamento civile e con azioni anche concrete. Solo così il cittadino è portato ad occuparsi del mondo intorno a lui ed è incentivato a premere per scelte politiche coerenti! Prendiamo l’esempio degli ultimi anni ove la delegittimazione della politica si è fatta governo. Ma quale spinta può arrivare ad un Governo ad operare scelte forti e durature nel tempo (forse con sacrifici,cambiamenti di abitudini) se la sensibilità su questi temi non rimane forte? Cioè i comportamenti delle persone (educate proprio da queste insegnanti) non saranno MAGGIORANZA nel Paese? Quindi solo l’impegno serio, di ciascuno e di coloro che si impegnano nella Scuola, nella società e nei partiti potrà rendere certe le scelte forti che non vedo all’orizzonte e finalmente riabiliterebbe la Politica nel senso più alto e nobile.

    • Concordo, Emilio!
      Peraltro Andrea, rispondendo alla prof. ha ben aggiustato il tiro rispetto a quanto affermato nella relazione in modo forse un pò troppo ….. tranchant e io stesso, nel mio intervento di chiusura, mi sono espresso in analogia con il tuo pensiero!
      Grazie per la tua puntuale, attenta ….affezionata partecipazione al nostro Corso!

  • I comportamenti individuali virtuosi hanno un’efficacia, Emilio, se… fanno massa, se contagiano gli altri, se diventano un’azione civile che viene dal basso, un’azione che potrebbe spingere i politici a prendere decisioni conformi.
    Io, con te, non ho dubbi: se vogliamo rimanere “ben al di sotto” dei 2 gradi, dovremo cambiare le nostre abitudini e quindi a contenere il nostro consumo di carne rossa.

    • Vero anche che comunque per toglierci la cattiva abitudine del fumo c’è voluta una legge e più applicazioni locali. Ma se son riuscito a smettere di fumare riuscirò pure a smettere di far fumare la mia marmitta! Certo, più facile se arriva una chiara disposizione. Quel che mi ha colpito della relazione è la dettagliata conta dei morti previsti, dettagliata fino alle unità, ci mancavano solo i nomi e cognomi, come prezzo dell’immobilismo. Questi sono fatti, non opinioni, e di fronte ai morti c’è spazio per il negazionismo? Vediamo il bicchiere mezzo pieno ora: non sarà impossibile avere di nuovo un bel mondo, verde e non troppo affollato. Preoccupante direi la reticenza a far dei cambiamenti adattativi nella fase di transizione. Lo vedo negli imprenditori agricoli ad esempio: le regole per l’aridocuoltura son già scritte, ma non accettano il dialogo, non solo con me, ma anche con i tecnici, non capiscono che in un’annata come quella che si sta prospettando rischiano la perdita dell’intero raccolto, per non accettare una coltivazione meno redditizia ma sicura: aratura profonda e veccia al posto del mais, ad esempio. Se quest’esempio di resistenza alla moderazione è estensibile ad altri aspetti chiaro che ci vuole uno Stato che “si sporca le mani” ci perde voti cioè, ma dà ordini precisi.

  • Hai ragione, Adriano: in Italia, secondo l’OMS, muoiono 30.000 persone a causa dell’inquinamento e in tutto il mondo il 6% di tutte le morti sono attribuibili alla stessa causa.
    E’ per questo che Andrea Canidio ha sottolineato (come del resto aveva fatto Caserini) ha sottolineato con forza l’urgenza dell’azione politica, un’urgenza che non è solo finalizzata a salvare vite umane, ma anche ad accrescere la nostra ricchezza (è l’OCSE che stima una riduzione del Pil dello 0,8% in caso di incremento della concentrazione di polveri sottili.

  • Andrea Canidio ci ha messo in guardia dal cadere nel doppio negazionismo: negazionista non è solo chi nega la genesi antropica del cambiamento climatico, ma anche chi nega le cause “naturali”.
    Non solo ci sono stati negli ultimi 800.000 anni dei cicli continui (picchi di concentrazione e caduta), ma vi è stato un tempo lontanissimo (oltre 10 milioni di anni fa) in cui la concentrazione dei gas serra era più o meno come quella di oggi, la Terra era più calda di oggi e il livello del mare era di 25-40 metri più alto.
    E tutto questo di gran lunga prima della nascita dell’homo sapiens.

    E’ altrettanto un fatto, comunque, che la crescita rapidissima che si è registrata da quando ha avuto inizio la Rivoluzione industriale e soprattutto negli ultimi 50 anni, non può essere spiegata se non con l’attività degli uomini.

    • Piero, tu non hai dubbi, io sì. Ieri, per esempio, seguivo un documentario sulla comunità dei Walser in Valsesia. Si diceva della loro colonizzazione di questi territori nell’alta vallata dove prima c’erano grandi ghiacciai che, a causa del riscaldamento del pianeta, si erano sciolti. Eravamo nel XI-XII sec., e non penso fosse colpa dell’uomo se faceva più caldo. Io, francamente, non ho ancora trovato nessuna spiegazione convincente che leghi le emissioni antropiche di CO2 al riscaldamento globale.

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