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PIERO CARELLI

I have a dream

Ritengo utile riproporre anche ai lettori di CremAscolta uno spunto che ho publicato sul sito del Caffè filosofico. Si tratta di semplici appunti che mi piacerebbe sviluppare raccogliendo i suggerimenti di quanti condividono il mio “sogno”.

 

Accomunati dallo stesso destino

 

Di fronte a un virus che ha letteralmente sconvolto il mondo, ci siamo scoperti tutti fragili, tutti fragilmente accomunati dallo stesso destino.

D’incanto è crollato il nostro delirio di onnipotenza, il nostro rincorrere all’infinito Dio.

Tutti nudi. Tutti impotenti. Tutti sulla stessa barca, al di là delle razze, delle religioni, delle nazioni e dei continenti.

Tutti “uomini” fragili.

Davvero nulla sarà come prima come recita uno slogan diffuso in questi giorni?

Non lo so. Io credo, comunque, che una lezione dovremo pur impararla dall’attuale tragedia: dopo esserci combattuti a lungo, da un lato con le armi, dall’altro con le armi della competitività a tutti i costi, non dovremmo imboccare la strada della “cooperazione” e della “condivisione”?

Non dovremmo unire le forze, le intelligenze, le competenze, le specializzazioni, in altre parole, rafforzare la “cooperazione internazionale”, nella consapevolezza che nessuno potrà salvarsi da solo?

 

La globalizzazione della solidarietà

 

La globalizzazione – così credo – dovrà proseguire e addirittura intensificarsi, ma assumendo un volto nuovo: un volto non più caratterizzato dalla forza dirompente della “concorrenza”, ma dalla “solidarietà”. Sarà, in altre parole, la solidarietà ad essere globalizzata: la solidarietà degli “esseri umani” di fronte ai pericoli comuni.

Sono ben conscio che i miei appunti di buon senso stanno scivolando nell’utopia, ma come uscire dalle macerie, anche economiche (si stima che perderemo decine e decine di milioni di posti di lavoro nel mondo!), che avremo davanti nel day after, se non con il colpo d’ala dell’utopia, di qualcosa cioè che va oltre il paradigma dominante?

Come pensare che i singoli Paesi europei possano farcela senza un vigoroso rilancio di quella “casa comune” che da decenni abbiamo iniziato a costruire con la fatica della mediazione politica? Non è l’occasione unica – l’ora di una tragedia comune – per porre le fondamenta, finalmente, di un’Unione “politica” (di cui gli eurobond, cioè la condivisione del debito, potrebbero rappresentare il primo passo)?

Non vi è nulla di nuovo da inventare. C’è solo da sviluppare quella “cooperazione internazionale” che c’è già, almeno in nuce, nella ricerca scientifica (le stesse missioni spaziali non sono tutte imprese a cui cooperano più nazioni?), e in modo netto in tanti organismi internazionali quali l’OMS, il WTO e la stessa Unione europea. Tra l’altro, ciò che si sta realizzando in qualche misura in Italia, di fronte al flagello del virus, non è una sorta di “globalizzazione della solidarietà” con medici e sanitari provenienti dalla Cina, dalla Russia, dall’Albania, dall’Ucraina, da Cuba e dagli Usa…? Le stesse ONG come Medici senza frontiere ed Emergency, particolarmente attive nell’attuale emergenza, non sono modelli di “cooperazione internazionale”?

 

La priorità del diritto alla vita

 

Un’obiezione scontata… ma non vi è il rischio, puntando sulla cooperazione, di spegnere quel motore che è la “libera concorrenza”?

Non si tratterebbe di spegnere la concorrenza, ma di trovare un sapiente punto di equilibrio tra cooperazione e concorrenza.

Dovremmo “cooperare” su tutto ciò che è “prioritario” per l’umanità: il diritto alla salute, in primis (e non solo di fronte a nuovi possibili pandemie) e, più in generale, il diritto alla vita, la stessa salvezza del pianeta e, di conseguenza, la salvezza dell’umanità.

Questo significa potenziare la cooperazione internazionale in svariati ambiti:

  • della ricerca (al fine anche di una scoperta più celere di un vaccino anti-virus);
  • delle strutture e dispositivi sanitari idonei ad affrontare nuove emergenze (pensiamo all’ecatombe che ci sarebbe se il virus dovesse esplodere in Africa e agli effetti devastanti che avrebbe sulla stessa Europa);
  • della raccolta dei finanziamenti ad hoc (li potremmo battezzare life-bond);
  • di quella che è chiamata l’“agricoltura di precisione” (che fa leva sui Big Data) al fine di sconfiggere la fame;
  • della lotta contro il riscaldamento globale e nella riconversione all’insegna della green economy di tutta la produzione e di tutti i mezzi di trasporto, una riconversione che non potrà che avere come effetto immediato la tutela del diritto alla salute.

 

Condivisione

 

Cooperare e “condividere”, potenziando al massimo l’open source, condividendo tutto ciò che è know-how in quanto frutto della “cooperazione” con gli immensi effetti positivi che ne deriverebbero sul fronte, ad esempio, dei prezzi dei farmaci e quindi del “diritto alla vita”.

Non si tratta, ripeto, di partire da zero: perché il modello delle imprese spaziali non potrebbe essere replicato dalle case automobilistiche e dai colossi farmaceutici, tutti ambiti strettamente legati al “diritto alla vita”?

La strada da percorrere sarà lunga, ma non sarebbe irresponsabile – da parte di tutti, governi, parlamenti, organismi internazionali, singoli cittadini – uscire dall’emergenza tornando alla “normalità” di sempre, come se nulla fosse accaduto?

Non sarebbero irresponsabili i Paesi europei se dovessero continuare a ragionare con una logica “nazionale” di fronte a delle tempeste (l’attuale e quelle future: il pianeta è da tempo in rivolta contro l’uomo) che colpiscono tutti, indistintamente?

Il Covid-19 una lezione ce l’ha data e forte.

Sarebbe un suicidio non recepirla.

Sarebbe un suicidio rifiutarci di ascoltare il “grido dei poveri” e il “grido della terra”.

No?

 

Piero Carelli

PIERO CARELLI

12 Apr 2020 in Economia

99+ commenti

Commenti

  • Un richiamo alla coscienza, che ognuno di noi si porta dentro, sui temi fondamentali della vita sul pianeta.
    Chi se non i pensatori, i filosofi, possono esserci di valido aiuto per scongiurare la iattura di “…. uscire dall’emergenza tornando alla “normalità” di sempre, come se nulla fosse accaduto…!
    Vediamo di accogliere per davvero questo richiamo di Piero a una Pasqua di Resurrezione della nostra coscienza di uomini!

  • Sacrosanto, e il fatto che in Cina non si mangerà più carne di cane e gatto vuol dire che non è vero che nulla può canbiare. Abbiam fattto nuove esperienze e non devono essere buttate via. Vedi Piero, mi basterebbe che la piega che avevano preso gli eventi itema di green econnomy e sensibilità annessa non fosse azzerata dall’impoverimento generale. Comunque non credo nell’mpotenza della voce singola, non credo che resti sngola a lungo, trova degli echi, ma ho paura della presunzione di impotenza. Sveglia!!!!!

  • Grazie, amici, per la vostra vostra attenzione.
    I sogni individuali sono meri sogni e solo quando diventano “collettivi”, possono assumere un corpo e camminare.
    Ora, come costruire insieme questo sogno comune?
    I miei sono soltanto dei suggerimenti, delle piste possibili da seguire.

    Mai, forse, come in questi giorni, abbiamo percepito la “nostra umanità”, il nostro essere componenti non di una nazione o di un continente, ma della “umanità”.
    E’ un nuovo “umanesimo” che dovremo scoprire: non l’umanesimo dei dotti, ma del diritto alla vita e alla salute di tutti (pensiamo che in alcuni Paesi il diritto alla salute non è ancora garantito per tutti!).

    • Piero, attento, qualcuno ti potrebbe dire che fai solo retorica. Qui ci sono donne e uomini che di sentimenti troppo edulcorati se ne fanno un baffo. Qui c’è gente con le palle, non con sentimenti da libro Cuore. Gente che ha capito che se si vuol darsi un tono si dev’essere sprezzanti, un po’ cinici, non con le lacrime agli occhi perchè inteneriti da una musichetta melliflua, donne che non ascoltano Rossini o Dalla, ma magari Wagner. Piero, un po’ di virilità per favore, non sentimenti da femminucce. Concetti come Umanesimo, o peggio ancora Umanità, trasudano melassa da tutte le parti. Non vorrai mica far parte di quella massa incolta, imbelle che intona coretti, organizza, a dovuta distanza, aperitivi condominiali, magari fa la spesa per il dirimpettaio che non può, che partecipa a sottoscrizioni, donazioni, che ascolta il Presidente Mattarella che invita alla solidarietà e ad un cammino comune, che magari ascolta Bocelli in diretta screaming (che orrore, anche per me in verità, perchè quando è troppo è troppo), che cuce mascherine (inutili) per il vicino, che si commuove di fronte alle fosse comuni, ai morti accatastati in sacchi della spazzatura, quelli che hanno riscoperto la famiglia, gli amici, che si sentono tutti sulla stessa barca. Piero, basta tutto questo, se non vuoi in un attimo veder svaporare quell’aura da intellettuale e studioso che ti sei costruito in tanti anni. Gli intellettuali devono essere uomini e donne terribili, devono distinguersi, sembrare unici, liberi pensatori, non soggiacere a quel pensiero unico che in questi momenti vede gente accomunata da pensieri e opere indotte dalle multinazionali del sentimentalismo.

  • Un nuovo umanesimo da costruire, a partire dalla priorità agli investimenti nella “ricerca” (investimenti che vanno al di là delle nazioni) finalizzata a salvare vite umane.
    Il virus – dice il direttore generale della OMS – sta correndo veloce in Africa: nell’umanità ci siamo tutti, anche quelli che oggi sono più esposti al flagello della nuova peste.

  • Continuate a sognare. Contenti voi.

    • Il sogno è una cosa seria, non scherziamo.
      Altra faccenda sono le illusioni, ma ogni tempo ha la sua droga.

  • Penso Piero che bisognerà capire cosa ha rotto quest’epidemia in scala ridotta. Non faciamo gli spiritosi, guai a chi cita gli attributi rotti. Ecco una prima anomalia: si è sollevato un intero pianeta dai suoi usi e costumi e il risultato c’è stato: percentualmente nessuna ecatombe, una volta non era così. Eppure abbiamo la sensazione, emersa anche dai commenti, che qualcosa si sia rotto. Cercherò fra le cartacce dei tempi in cui scrivevo “La baia” Di solito conservo anche la documetazione cartacea in scatoloni, in caso di contestazioni tecniche. Voglio dire, ogni epidemia, o quasi, ha una sua anima, in senso deteriore o come vogliamo, quindi forse meglio chiamarla fisionomia. Questa, per capirla in senso storico, andrebbe affrontata quasi in senso estetico, come una persona, andrebbero studiati lineamenti, abbigliamento, fisionomia insomma. Un pittore non la disegnerebbe mai come un cavaliere- scheletro che imperversa con la falce, o come una creatua demoniaca, vecchie visioni, e allora come? Qual’è il suo carattere essenziale? Da quessta riflessione può uscire una previsione sociologica. Chi mi legge dirà: “Ma cosa fai? demolisci la forza delle visioni di Piero?” Assolutamente no, perché la fazione di Piero, quelli con un sognoo, sono una potenza in gioco, una componente dell’alchmia al lavoro il cui prodotto finale ci sforziamo di anticipare.
    Piero se poi mi dici “Non hai capito niente” ne sarò solo onorato!

  • Ivano, il tuo è un vero capolavoro: alcune pennellate (sei un artista) che danno un’idea forte di un un certo atteggiamento del nostro tempo.

    Da parte mia, non era mia intenzione di scivolare nel sentimentalismo: la lezione che io ritengo debba essere tratta dalla tragedia che ci flagella è… virile, molto virile.
    Ricostruire la nostra società sulla base di una nuova gamma di valori ponendo al centro il “diritto alla vita” (e quindi investimenti prioritari in tutto ciò che ha attinenza con la “salute” di tutti ha a che vedere con dei “sentimenti”?
    Un progetto che faccia leva più sulla “cooperazione internazionale” (sul modello delle imprese spaziali e della ricerca scientifica) che sulla “concorrenza” (no dimenticando, tuttavia, questo ruolo) ha a che vedere con il libro “Cuore”?
    Il mio sogno è molto, molto “virile”.

    • Piero, non avevo dubbi. E’ stato solo il pretesto per rispondere ad un commento letto ieri sera.

  • Quando, nelle mie note a margine, parlo di un nuovo umanesimo, non mi riferisco certo a quel movimento letterario che ha ha fatto dell’Italia la capitale della cultura europea.
    Non ha neppure a che vedere con una sorta di “cosmopolitismo”: il sentirci cittadini del mondo, quindi non di una nazione o di un continente.
    Il mio umanesimo ha a che vedere invece con un nuovo modo di sentirci: sentirci parte di una “umanità fragile”. E’ questo il cuore dell’umanesimo.
    E se è questo, tutto va riordinato. La stessa economia che non può più essere diretta alla produzione del superfluo, ma a quel bene essenziale che è appunto la “vita” (ecco perché mi sono permesso di battezzare i nuovi bond come “life bond”).

  • Tutto dovrà cambiare: dovremo tornare al “primato della politica sull’economia”, dare l’addio definitivo al neo-liberismo.
    Una visione sentimentalistica, questa?

  • Piero, il tuo progetto di cambiamento globale sembra uscire direttamente dalla Bill & Melinda Gates Foundation.

  • Non si tratta, Adriano, di una semplice “visione” (almeno nelle mie intenzioni), ma di una visione che abbia la possibilità di… incarnarsi: ora, potenziare la via della “cooperazione” (che è già presente in alcuni ambiti) è una mera utopia? è una mera utopia credere nel primato della politica? Non è la politica – che guarda all’interesse generale (in primis al diritto alla vita e alla salute) – che dovrebbe orientare gli investimenti, la ricerca…?

  • Il mio approccio è tutt’altro che quello di un visionario!
    Il mio è un approccio pragmatico: è da visionari sottolineare l’esigenza primaria di investire massicce risorse nella ricerca, al fine, ad esempio, di accelerare la scoperta di un vaccino e di trovare nuove cure? è da visionari indicare come prioritario il nostro dovere di attrezzarci adeguatamente in termini di terapia intensiva e di dispositivi medici all’altezza per affrontare future epidemie o pandemie?
    Non so, Livio, se sono sulla lunghezza d’onda della Fondazione di Bill Gate.
    Quello che so è che le “visioni” hanno bisogno di gambe per camminare.
    Certamente, molto dipenderà da noi: se vogliamo un cambiamento di paradigma (passare dalla centralità del mercato alla centralità dello Stato, al neo-liberismo al primato della politica), tocca a noi mobilitarci per far pressione sulla nostra classe dirigente italiana ed europea, in primis.
    Il mio sogno (questo è davvero un sogno) è di trovare qualche amico che mi aiuti a dare più corpo (in modo ancora più pragmatico) al mio approccio.

  • Caro Piero, ti ho sempre conosciuto come un intellettuale sincero e onesto, costruttivo e non ipocrita. Ero giovane, in pieno languore, come se Crema fosse Berlino, che mettevamo in pasta un bollettino di cultura varia “Ipotesi 80”. Niente di speciale, ma in qualche modo si buttava in strada, un pò delle nostre idee. Poi ci siamo persi di vista; tu addentro in qualche modo nella vita cittadina, forse già insegnante, io che sono sempre stato perlopiù estraneo, osservando Crema da forestiero, più che da residente, e non so dire se il mio sguardo è più bacato così, di chi ci vive continuando, forse inutilmente, a sperare in una rinascita, un salto di qualità, che le cittadine quasi mai riescono a darsi. Ma sei anche un uomo pieno di belle speranze: non sto facendo dell’ironia. I vecchi, sul serio anziani, come recita un proverbio tedesco: Alt ist, wer seinen Traumen absagt, più o meno sarebbe: vecchio è chi rinuncia, abdicando ai propri sogni. E io, non lo voglio ammetterlo, ma ci ho rinunciato. Tu? Forse non ancora. E questo lo apprezzo. Il cinismo di altri che parlano d’illusioni forse desiderano una società che spero non arrivi mai; sarebbe per come leggo certi commenti, su vari blog, come desiderare l’acidità del dopopranzo che torni su dallo stomaco, a darti un cattivo sapore in bocca. Non ci sarebbe stata l’Europa comunitaria – con tutte le sue enormi difficoltà – senza un sogno di quattro buontemponi sull’isola di Ventotene. Oggi non si parla più di futuro, non si fanno più progetti, si vive solo e si succhia il presente, e non è una buona faccenda. Forse importa di meno, il futuro, a chi di figli non ne ha. Ho una figlia e vorrei che avesse un futuro decente. A Milano c’è una piazza, non la più bella, che è la mia piazza, laica, uno dei miei luoghi, dove mi fermo a mangiare un panino, a volte a leggiucchiare sulle panchine di legno. E’ piazza Beccaria, e in mezzo c’è il monumento a lui dedicato, a un grande illuminista lombardo, che si battè per i diritti umani, contro la pena di morte. Una scritta sul monumento ricorda le sue battaglie civili. Era un utopista, un sognatore? Non lo era, anche se le sue battaglie spesso le perdeva. Stamattina ho letto con grande ritardo un ritaglio da un giornale che parlava di un incontro tra esiliati: berlinesi che erano scappati in Turchia durante la guerra, e turchi ora scappati in Germania con Erdogan al potere. Era la prima volta – si potrebbe dire quasi un’utopia – che s’incontrava l’opposizione politica turca finalmente insieme, non più divisa e che era riuscita a vincere le elezioni locali a Istanbul. Socialdemocratici, l’Alleanza curda, I Musulmani Democratici, Liberali, la Sinistra radicale, I Nazionalisti moderati. Tutti insieme per la prima volta. Un’utopia realizzata. Mancavano, in quell’alleanza, i turchi cinici che non credono in niente, o si accontentano di Erdogan. Mancavano quelli che non pensano che Democrazia, Giustizia, Uguaglianza, Libertà, Laicismo, Diritti Umani, Stato di Diritto, Pace sociale sia solo parole che frusciano nell’aria, che è fiato sprecato provare, non dico a metterle in pratica del tutto, perchè non è possibile, ma impegnarsi perchè non siano estranee, se non oggi, almeno alla società di mia figlia domani.

    • Amico mio, i muscoli li ho, e la mia veste sessantottina, ai miei settanta, non è desueta. Anche quando ero allineato, mbe’ sapevano che all’improvviso avrei potuto cambiar d’abito, A quei figuri che sappiamo ho detto di no, non c’entro con i giochi di potere passati e non ci sono entrato per dimostrare ai miei figli che ci si può far valere senza compromessi. Anche quando le pantofole calde sarebbero state comode ho rifiutato vantaggi e affrontato sfide.
      Perché lo dico? Perché si pensa, povertà d’animo, che bene o male, entrando in una classe “dirigente” qualcosa lo dovevo pur aver accettato. NO.
      Questa la premessa per dire che neanche ora, che potrei godere i futti di queste battaglie, mi arrendo alla pace dei giusti, che non è vero che ci sono solo attivisti utopisti o sedentari acquiescenti.
      Cosa c’è da fare per il meglio? Ragioniamoci.

  • Che il virus abbia provocato nella maggior parte delle persone l’antico sentimento della paura, è vero. E la paura, caro Piero, può averci fatto sentire “fragili”, “nudi”, “impotenti”, persino accomunati dallo stesso destino, “tutti sulla stessa barca”. Soprattutto coloro che un po’ fragili e nudi erano già. Sentimenti non nuovi ma riaffiorati, a livello collettivo, davanti a un fatto preciso: la morte, una morte nuova, supplementare, non preventivata e poco riferibile a profili soggettivi e situazioni personali specifiche. Insomma, la vecchia falciatrice che miete senza distinguo di ceto e cultura.
    Ma è veramente così? Di certo, non è “solo” così. Intanto, perché alla morte si reagisce in modo diverso, ferma restando la paura che tutti ne hanno e tralasciando le pose di chi la nega. Inoltre, perché nel mondo avanzato i meccanismi sanitari protettivi stanno dando prova sufficiente, quando non intervengono incompetenze decisionali come nell’attuale mondo anglosassone. Sappiamo poi che il peggio sta adesso per colpire il mondo arretrato, dove noi per fortuna non viviamo. Tutt’al più, occorrerà vigilare ancora meglio per tenere alla larga contagi “d’importazione”. E già qui cominciamo a dirci che non siamo tutti sulla stessa barca ma su natanti diversi.
    Sulle possibili evoluzioni generali dell’attuale società, per me poco foriere di apprendimenti & ravvedimenti, ho trovato illuminante il testo di Franco Gallo del 6 aprile, in cui non mancano auspici ottativi ma dove si prefigurano anche scenari non poco inquietanti, tra l’altro ben radicati nel sistema sociale attuale, che da qualche secolo vige incontrastato. È con questa società capitalista che, aldilà dei paternalismi umanitari alto-borghesi oppure delle parsifalesche esecrazioni piccolo-borghesi, si dovranno fare i conti.
    Non credo quindi che il “grido dei poveri” porterà alla realizzazione di un “dream” di carattere collettivo, caro Piero. Penso invece che la ritrovata esperienza di “essenzialità”, di un “essenziale non per tutti”, di un “essenziale soggettivo” possa svilupparsi con esiti interessanti, come indicato nel testo che precede il tuo sul sito del caffè filosofico, quello di Patrizia de Capua. Testo non certo in opposizione al tuo e, a mio parere, altettanto significativo: “l’essenziale” sarà, per ognuno, risultato profondo di questa esperienza. Secondo me, la fine della paura, che già s’intravede, dividerà, come sempre, chi ha imparato da chi no. Chi ha compreso l’essenziale e chi no. Chi ricorderà e chi dimenticherà. E, in un mondo in cui “non possiamo non dirci borghesi” in termini istituzionali e sociali, a meno di operare scelte fattuali pesanti e coerenti con altri modelli di vita, le nostre strutture portanti, i processi organizzativi, i meccanismi operativi e i flussi informativi saranno quelli di sempre, dalla struttura economica alla sovrastruttura politica.
    In pratica, caro Piero, avremo un vaccino in più. Come è successo col vaiolo, la polio, il tetano. Forse ci organizzeremo meglio nella sanità. Tutte cose riguardanti la scienza e la medicina, non l’etica e la solidarietà, che beninteso elogeremo un gran tanto e praticheremo un gran poco, non appena introdotto il vaccino. Come sempre, da quando storicamente domina questo sistema di gestione della società.

    • Caro amico, purtroppo il Problema è fare in modo che questa pandemia non sia la prima che non lascia tracce! Perché dovrebbe accadere? Perché il muro di gomma, l’immagine del potere, è troppo interconnessa nel giaciglio di vimini su cui ci adagiamo. Chiara l’immagine? Non c’è un re, non un imperatore (Trump ci si atteggia ma è buono per l’operetta, qualche dittatorucolo da strapazzo fa ridere i polli). La cosa difficile, come scrivevo più in alto, è darle una fisionomia storica. Se non sappiamo cosa ha rotto con la sua anomalia ci sarà difficile interagire, e invece trovo che quest’occasione di instabilità non vada persa.

    • In questo, Adriano, sono molto d’accordo con te. Ci vedo però due profili, non solo quello da te indicato, che comunque è fondamentale. Un profilo storico, che però è anche sociale. Che cosa è successo, come prepararci, in che modo organizzarci meglio. Una forma di autotutela e di prevenzione collettiva. La società che oggi vige e continuerà a vigere domani dovrà necessariamente far tesoro di tutto ciò e prepararsi a fronteggiare future esperienze simili, contagi, pandemie, stragi da virus. Lavorando su sistemi sanitari, ricerca scientifica, presidi medici, vaccini e via dicendo. Ma questo è “il mondo sociale”. L’altro profilo è invece personale, individuale. Che cosa ho imparato, per me, per la mia vita? Quali errori posso quindi evitare? Quale sistema esistenziale, quali scelte, quali rapporti? Non voglio tirare fuori la solita storia dell’essere e dell’avere o delle priorità vitali, spirituali o materiali, perché ormai ne discettano persino i miei tre gatti in giardino all’imbrunire. Insomma, mentre la società si organizza, qualcuno potrebbe cominciare a distinguere, individualmente, la virtù dal vizio, l’essenziale dall’inutile, il quale inutile, essendo la vita una sola e purtroppo breve, diventa anche il dannoso.

    • Pietro sai meglio di me che il “qualcuno/qualcosa” può materializzarsi solo in presenza di una cultura condivisa, di principi e valori condivisi, di un progetto condiviso. Serve una comunità coesa per distinguere “la virtù dal vizio, l’essenziale dall’inutile”, e all’orizzonte non si vede niente del genere. Anzi. Una delle cose che abbiamo imparato da questa pandemia è che nel momento del bisogno (com’è sempre stato, peraltro) ognuno pensa per se.
      Il mondo colpito dal Covid-19 ha fatto come il vaso di Venini caduto dal comò: si è sbriciolato in mille pezzi. Il periodo post-virus sarà pertanto caratterizzato da una maggiore attenzione verso sé stessi e casa propria, altro che solidarietà planetaria e mondo migliore. Tra non molto scoppierà un gran casino perché la maggioranza delle persone in circolazione non appartiene alla cerchia privilegiata che frequenta questa piazza. Ci sarà chi avrà perso il lavoro, chi la casa e chi tutto quanto. Quelli che potranno si ritireranno nel loro bozzolo, decideranno frequentazioni selettive,riuniranno gruppi di affini, organizzeranno cenacoli e comunità. Così, fino alla fine.
      Il «distanziamento sociale» non verrà osservato perché un decreto lo impone ma verrà ricercato spontaneamente. E del resto nessuno è obbligato a viaggiare per sempre su un treno ad alta velocità mentre fuori dai finestrini scorre un paesaggio confuso che per la rapidità del moto si vede a malapena. Alla lunga gli scompartimenti sono soffocanti con quella loro aria artificiale fastidiosa alle narici, i continui annunci dall’altoparlante, gli occasionali compagni di viaggio, ognuno con gli occhi incollati sul proprio smartphone, di cui non rassicura l’aspetto e infastidisce l’odore. Tra i morti da seppellire ci saranno sicuramente il globalismo e la Ue, ma anche tanti benestanti maître à penser le cui voci sono diventate ormai insopportabili. Il momento storico è importantissimo, siamo fortunati a viverlo, si spera ancora per un po’.

    • Sì, Rita, la formazione di un tessuto connettivo comunitario è presupposto fondamentale per uno sviluppo evolutivo diverso. L’origine individuale, il discernimento tra virtù e vizio, il fissare basilari tavole di legge, la centralità familiare e di stirpe, questi e altri connotati iniziali portano a tessere il primitivo ordito comunitario e l’iniziale ordinamento organizzativo coeso, per arrivare a quella che tu, se ho ben compreso, definisci come “comunità”. Formata però dal basso, non da un principio ordinatore e programmatico dall’alto, il che rappresenterebbe una modalità differente se non opposta, per quanto molto diffusa storicamente. Qui, parlando di “comunità” formatasi per naturale aggregazione dal basso, abbiamo, come minimo, due problemi. Il primo. Quand’anche una “comunità” simile si sviluppasse, quale rapporto potrebbe avere col mondo globalizzato, quale è l’attuale e quale sarà probabilmente quello venturo? Molte le risposte, le ipotesi, i rischi, le opportunità. Discorso immenso, improbo. Il secondo. Quanto tempo ci vuole? Anche qui, diverse, diversissime le opinioni. Personalmente, ritengo ci vogliano almeno due o tre generazioni, esclusa ovviamente la nostra. Come minimo. Per cui, oggi parliamo di cose già morte e sepolte. Siamo circondati da morti convinti d’esser vivi. Vecchia storia, di quelli “in piedi tra le rovine” (ma in molti ormai siam bei seduti). Certo, mai si comincia, mai si arriva. Però a questo punto si oltrepassa il confine tra le previsioni possibili e la fiction più sfrenata. Anzi, forse quel confine lo si era superato sin dall’inizio del discorso sulla “comunità”, visto come va il mondo. Comunque, qui di certo non si può dire: vedremo. Vedranno forse gli occhi dei nostri nipoti e pronipoti. Noi saremo solo “pezzettini” organici sparsi nel loro patrimonio genetico. In fondo, è un’esistenza da vivere per noialtri (la vita è bella persino coi virus, se non ci muori) ma anche per cercare di diventare quei “pezzettini giusti”. La scienza, però, per adesso dice che l’epigenetica è ancora tutta da valutare e quindi potremmo fare (e aver fatto) ben poco. Chi lo sa.

    • A partire dall’alto si può fondare la fabbrichetta, caro Pietro, oppure aprire un’attività commerciale, ma la nascita di una comunità deve necessariamente procedere dal basso verso l’alto. Prima un gruppo umano radunato attorno a credenze/valori comuni si forma e si stabilisce in un territorio, poi decide da quali leggi essere disciplinato ed infine nomina i suoi rappresentati. Così almeno è sempre stato, e così dovrebbe essere.
      Fino ad oggi, voglio dire, perché negli Anni della Fine tutto procede all’inverso per cui una cupola di potere si è auto-collocata al vertice decisionale, le leggi sono imposte e vengono applicate con la forza, le persone non condividono tra loro né pensieri né credenze. Io non credo che si possa partire da un sistema già defunto come questo per pensare a un ipotetico futuro.
      Se non è un meccanismo immutabile neppure il sistema solare, tanto per fare un esempio, figuriamoci una baggianata solenne come il cosiddetto “mondo globalizzato”, e finché lo si darà per scontato si rimarrà al palo. Il moloch deve essere distrutto senza se e senza ma, non ci sono alternative. Ci vorranno almeno due generazioni? Io non credo, ma se anche fosse è normale che chi pianta datteri non mangi datteri, vorrà dire che li mangerà qualcun altro.
      Personalmente confido da sempre nella correttezza e nell’onestà intellettuale della persona. Faccio questa cosa adesso perché la ritengo giusta in questo momento, non perché “un domani” potrà offrirmi un certo tornaconto, o perché “io ci sarò”. La faccio perché “mi fa bene alla salute”, così posso dormire sonni tranquilli, mettermi la coscienza a posto. Mi assumo le mie responsabilità. Un atto di coraggio che oggi sembra essere caduto nell’oblio, soprattutto (senza offesa) per quanto riguarda gli uomini, che sono sempre più confusi e frastornati. E’ impossibile “prevedere” con certezza matematica quali effetti sortirà un’azione di rottura, per cui l’assunzione di responsabilità è abbastanza. Magari l’avessero i nostri s-governanti, che invece si muovono come bambini impauriti, e probabilmente lo sono.
      Forse la cosa “giusta” fatta oggi potrebbe farci diventare “pezzettini giusti” da qualche altra parte, vallo a sapere. Il mostro da combattere, comunque, è sempre e solo la paura. Ma in fondo, quale cosa potrebbe succederci che già non sia successa?

  • Son contento di avere l’opportunità storica di vedere come nasce una società di tipo orwelliano. Il primo passo è convincere la gente che sarà una società migliore. Qui siamo già a buon punto. In realtà non credo che il ‘Grande Fratello’ troverà molta resistenza.

  • Caro Franco, sai bene come è finito il Partito Socialista nell’Italia di oggi. In Parlamento insieme al signor Matteo Renzi e compagnia bella e a sorridere a Berlusconi quando il cavaliere nazionale si preoccupa del patrimonio, cioè intendevo della patrimoniale, in questo è coerente, e il segretario del Partito Socialista Italiano ha protestato? Ha invocato la tradizione socialista? Ma va là. E’ uno anonimo, ho persino dimenticato il suo cognome; e ricordando Fortebraccio, che d’ironia ti ammazzava, quando sale in macchina, il segretario socialista, forse non c’è nessuno che gli apre la portiera, nemmeno lui, perchè è invisibile, e l’auto parte senza nessuno. E’ un prototipo socialista di auto senza conducente e passeggeri.

    • Ah Marino, mi dici che c’è già un Partito Socialista nel “buffo stivale”?
      Giuro che non me ne ero accorto!
      Pensare che ai tempi aveva espresso anche un fior di Presidente della Repubblica: Sandro Pertini, che galantuomo!
      La mia era chiaramente una provocazia, ma ….fino ad un certo punto!

  • Grazie, Marino, per l’incoraggiamento.
    Ho molti limiti, ma mi sforzo, di fronte a tutti i problemi, di essere “costruttivo”.
    Leggo sul blog (non frequento i social) tanta voglia di demolire, ma faccio fatica spesso a trovare la pars construens.

    Io credo che l’esigenza di fondo del mio post sia condivisa da tutti: chi è contrario a superare la fase del neo-liberismo ed aprire una nuova stagione in cui sarà la politica (che dovrebbe rappresentare l’interesse generale) ad avere il primato sull’economia? chi è contrario a orientare massicci investimenti nella ricerca e nelle attrezzature e strutture che potranno attrezzarci di fronte a nuove epidemie? chi è contrario a che cresca la cooperazione internazionale a scapito della “concorrenza sfrenata” che ha avuto come effetti nefasti sui lavoratori?

    E’ da qui che dobbiamo partire.
    E’ da qui che dobbiamo indicare (prima a noi stessi) le vie da seguire.
    No?

    • Mi sembra di capire che per te, Piero, il termine “costruttivo” significhi mettere dei buoni propositi sulla carta, e pazienza se poi non si realizzeranno, l’importante è scriverne o parlarne. Eppure dovresti conoscere molto bene il significato eterno e immutabile della parola “ekpýrosis”. Niente e nessuno ha la possibilità di rigenerarsi se prima non muore. Neppure tu avrai comprato una casa usata per andare a vivere nell’umido e nel marcio, immagino, ma prima di entrarci l’avrai demolita e ricostruita. E la ricostruzione non può mai avvenire seguendo le vecchie categorie mentali, altrimenti non funziona.
      Qui non si tratta di dare una mano di verde alle persiane che cadono a pezzi o un po’ di pittura all’intonaco che si sgretola, ci vogliono visioni completamente diverse che garantiscano una certa prospettiva di durata. In altre parole il “risanamento globale” non lo faranno di sicuro i Recovery Fund, né gli eurobond che sono altro debito, ci vuole un cambio di mentalità radicale. Reset. L’economia finanziaria deve togliersi definitivamente dai piedi e al suo posto deve tornare l’economia reale fondata sul lavoro. Finché questo non accadrà, non ci sarà nessun miglioramento. Possiamo trascrivere in bella copia tutti i “progettini” che vogliamo, pubblicare libri e organizzare convegni. Non servirà a niente. Penseranno le masse imbufalite, tra non molto, a far scendere dal pero quanti pensano ancora di poter andare avanti con la vecchia carretta, e non sarà una bella cosa. Dopo la pandemia ci toccherà vedere anche questo, e a questo ci dobbiamo preparare.

    • Rita, sono d’accordo con te sulla necessità di cambiare RADICALMENTE i paradigmi della nostra economia e della nostra società. Tuttavia, tu vedi nelle “masse imbufalite” un fattore di cambiamento. Io invece temo che ogni ‘insurrezione’ sarà un pretesto per stringere le maglie del vecchio sistema e renderle ancor più rigide. D’altronde, devi accettare il fatto che, di fronte alla paura, la gente non chiede più libertà ma più sicurezza. Quindi dovremo, secondo me, attenderci continui segnali di allarme, di crisi (magari finte pandemie o finti cambiamenti climatici), usati come strumenti sempre più efficaci di manipolazione e repressione dei nostri valori fondamentali.

    • voglio essere un pericolo per il mondo, / così che dopo la mia distruzione non rimanga un solo filo d’erba.

      Itamar Yaoz-Kest (poeta israeliano)

    • Caro Piero, essere costruttivi in Italia nelle idee, è più complicato che sperare che gli evasori fiscali vadano all’Erario a denunciare la propria colpa. Come puoi chiedere moderazione a chi pretende la Luna in terra, chi spera nell’uomo forte che ci pensi lui a bastonare chi non è d’accordo con l’uomo-provvidenza; e chi perchè è rimasto senza morosa, perchè insopportabile di suo, s’inventa un nuovo mondo strambo a sua somiglianza, altrimenti che vada pure il mondo in malora… Bisognerebbe chiedere l’impossibile: Berlusconi che si butti lancia in resta contro i paradisi fiscali e dire sì alla Patrimoniale; la signora Meloni che rifiuti una buona volta gli inviti degli amici americani vicini ai suprematisti bianchi, e voti contro all’aumento delle spese militari; Salvini che reciti finalmente un rosario prima di coricarsi; i socialisti che pensino da veri socialisti; e i rivoluzionari incalliti in attesa del peggio perchè dopo arriverà il meglio, che si facciano per farla finita con le loro paturnie un solitario a casa, con le carte da gioco oppure online, per darsi una calmata, oppure prendano lezioni di respiro, anche in pianura padana.
      Montanelli diceva che gli azionisti che volevano redimere gli italiani, erano dei pretini protestanti che perdevano il loro tempo, e forse non aveva del tutto torto. Ognuno pensa ai suoi. Al suo orticello elettorale, ai suoi elettori che rappresentano le loro esigenze, che spesso sono in contrasto con altri elettori. E’ molto faticoso trovare un compromesso, un equilibrio politico, ma lo sai bene, se le persone sono di buona volontà un accordo lo si trova. Ma c’è chi gioca con il fuoco, che spera che salti tutto per aria, chi disprezza la democrazia. C’è chi spara contro il liberismo, ma alleandosi con forze come Forza Italia; chi invoca un nuovo Tradizionalismo culturale e dei costumi, poi disprezzando con un editoriale sul “Giornale”, tempo fa, “l’uomo nero”, Romano Prodi, l’uomo noioso, monogamo, confrontandolo con “l’uomo gaudente”, il Cavaliere nazionale, che sa ben vivere e circondarsi di tante donzelle. Tanta ipocrisia circola, come ai tempi del pre-fascismo. E’ lo spirito dei tempi, anche se ora investito da una tragedia collettiva, dove i populisti dei governi di destra, o i loro alleati, più di uno, hanno quanta sbruffoneria hanno in corpo e quanto danno sociale creano.

  • Grazie, Pietro, per il tuo contributo sempre ben robusto.
    Grazie anche per avermi indicato l’intervento di Patrizia de Capua apparso sul sito del Caffé filosofico: per me è un vero e proprio capolavoro letterario-filosofico. Lo consiglio a tutti: avremo tutti da guadagnare.

    • E’ possibile che questo accada, Livio, in fondo ogni rivoluzione è una restaurazione. Dissento solo sulla paura, che è un sentimento che passa e va, e quando è andata viene dimenticata. Basti vedere il comportamento sempre “meno osservante” delle persone in questi giorni. E’ il primo segno di cedimento.
      La cupola mondiale è incavolata nera e sempre più feroce, siamo d’accordo, lo si vede e lo si sente. Ma essendo umana è anche profondamente stupida. La corda si strapperà presto perché gli atti di forza funzionano finché le persone hanno l’illusione di vivere in un luna park e sono “libere” di destreggiarsi tra una giostra e l’altra, ma quando non sanno cosa mangiare né dove andare a dormire la suonata cambia. Almeno 5mila civiltà (che si sappia) si sono estinte prima della nostra, finirà anche questa, nessuno può ragionevolmente pensare di detenere per sé il potere all’infinito. Sono fiduciosa.

    • Purtroppo l’ultima riga del mio scritto è finita in un pasticcio. La riscrivo: i populisti di desta, o i loro alleati hanno sbruffoneria in corpo e creano un danno sociale. Mi scuso.

  • Tu, Adriano, sei l’unico che ha le carte in regola per inquadrare il flagello che ci sta scuotendo nel contesto storico degli altri flagelli: la tua storia della medicina è un testo preziosissimo.
    Ti invidio, poi, per la tua volontà di lottare.
    Convengo con te: tutto va conquistato e siamo noi cittadini che dovremmo muoverci se vogliamo fare pressione alla nostra classe dirigente.
    E dovremmo muoverci, se vogliamo che qualcosa si muova sul fronte europeo, anche a livello europeo: i Verdi tedeschi, ad esempio, sono favorevoli agli eurobond (una posizione che è presente anche dentro altre forze politiche maggiormente rappresentative).

    • Pietro, tu continui a parlare di ‘flagello’, come se parlassi della peste. Ti rendi conto che la peste uccise più di un terzo della popolazione europea? Sarebbe come dire, oggi, 250 milioni di persone morte in Europa, o 2 miliardi e mezzo nel mondo. Quante persone ha ucciso il Covid-19 in tutto il mondo finora? Centoventimila, di cui probabilmente la maggior parte sono morte per altre cause. Come una pulce in confronto a un elefante. L’asiatica e l’epidemia di Hong Kong fecero milioni di morti senza suscitare tutto questo pandemonio. Vi sono emergenze sanitarie ben più gravi di cui nessuno parla. Covid-19 è diventato il mantra del terrore.Basta farsi prendere in giro.

    • Piero, non Pietro

  • Tu, Marino, hai fatto riferimento all’Europa: ora perché non fare del Recovery Fund un vero e proprio Recovery Plan che ponga come investimento prioritario tutto ciò che ha a che vedere col diritto alla vita e col diritto alla salute?

  • So, Livio, che abbiamo percezioni diverse: tu sottovaluti, mentre io sono traumatizzato.
    A mio modesto avviso i confronti con epidemie passate non sono corretti.
    Un solo esempio: la cosiddetta spagnola ha fatto – secondo le stime – dai 50 ai 100 milioni di vittime, ma allora, cent’anni fa, non c’erano neppure gli antibiotici. Oggi, con un livello di sanità che abbiamo in Lombardia riusciamo a tenere in vita ancora a lungo persone anziane con più patologie croniche (è questa, secondo un’ipotesi diffusa, una delle ragioni per cui da noi i morti sono più che altrove).

    • Io non sottovaluto, io cerco di osservare i dati e di analizzarli. Se tu sei traumatizzato dovresti tenere la tua paura per te.
      Io credo che i morti sarebbero stati molti ma molti di meno se la gente, invece di riversarsi terrorizzata negli ospedali, spinta dalla propaganda del terrore, fosse rimasta a casa. Ora anche molti medici cominciano ad attribuire la maggior part dei decessi a terapie sbagliate (senza contare le immunodeficienze indotte dal terrore e tutti i falsi Covid-19 che vengono registrati).

  • Cara Rita, Achille, Livio e tutti gli alternativi, nello scrivere il mio post ho pensato anche a voi, giusto per partire da una base “comune”: non siamo tutti d’accordo che ci voglia un cambiamento radicale, che occorra chiudere con la stagione della globalizzazione selvaggia, del neo-liberismo che ha messo in ginocchio i lavoratori…?
    Non siamo tutti d’accordo sulla priorità da dare al diritto alla via e al diritto alla salute e che quindi occorra orientare gli investimenti pubblici in questa direzione?

    A questo punto io chiedo: come far camminare queste esigenze che avvertiamo tutti? Io mi sono limitato a lanciare un SOS. “Insieme” (sottolineo insieme), potremo trovare qualche idea.

    Rita, da anni hai atteso l’Apocalisse.
    Ora, l’Apocalisse è arrivata.
    Come ripartire e provare almeno a dare una svolta al nostro modello economico-sociale (che sia più attento ai più deboli e più rispettoso della natura)?

    • Ti sbagli, Piero, io non ho “atteso l’apocalisse”, semplicemente il reale manifestava tutti i segni del suo imminente arrivo ed io mi limitavo a rilevarli. Se ben ti ricordi, quando te lo facevo notare mi davi della “catastrofista”, segno che la tua percezione era più debole della mia. Mi riconosco tanti difetti difetti ma, forse perché sono abituata a scrivere e la percezione è uno dei miei strumenti di lavoro, colgo al volo ciò tutto ciò che mi passa sopra la testa. Non ho bisogno di vederlo, lo “sento”.
      Come ripartire? Facendo l’esatto contrario di quello che sta facendo il governo in carica adesso, ma qualcosa di simile a quello che si fa in altri Stati per fronteggiare il flagello. 1) via tutta la tassazione per l’anno 2020, niente scadenze fiscali fino al 2021; 2) soldi in tasca subito (da contabilizzare attraverso i già operativi studi di settore, ci vuol poco) a commercianti, artigiani, piccoli imprenditori e partite Iva; 3) abolizione immediata delle Regioni a statuto speciale e dei 500 Enti inutili, che sono come il pozzo di San Patrizio; 4) ripresa nel giro di 30gg. di tutti i cantieri per i quali i soldi sono già stati stanziati ma non sono ancora spendibili per i soliti cavilli; 5) dimezzamento in 3 anni dell’organo burocratico statale (inutile e dannoso) attraverso ricollocazioni e licenziamenti, perché no, se licenziano i privati può farlo anche il pubblico; 6) graduale ri-acquisizione di tutti gli asset strategici svenduti al nemico; 7) cultura, turismo, agricoltura locale e gastronomia da potenziare al massimo livello e da esportare. Se siamo diventati un “modello sanitario” in poche settimane vuol dire che abbiamo le potenzialità per arrivare dappertutto, solo gli inetti che fanno finta di comandarci sono uomini/donne senza qualità. Gettare le basi per un cambiamento radicale vuole dire avviare questo genere di processo. Se conosci un partito che porta avanti questo programma, io lo voto.

    • La risposta alla sua domanda, Signor Carelli, è scritta nero su bianco nulla nostra Costituzione Repubblicana. Quella è la base “comune” e non c’è bisogno di scrivere nient’altro né di fare appelli. La nostra Costituzione Repubblicana deve essere attuata e non stravolta su indicazione delle agenzie di rating, come ha cercato di fare il PD. Come vede, non sono affato un “alternativo” né un “sognatore”, come mi definisce il Signor Macalli, né un “populista”, come mi definisce il Signor Pasini usando un termine del quale ignoro persino il significato.
      La nostra Costituzione Repubblicana è basata sulla tutela del lavoro, delle imprese e dei diritti dei lavoratori. L’unione (si fà per dire) europea è fondata, invece, sulla concorrenza (a volte anche sleale) e sulla stabilità dei prezzi (a discapito del lavoro). E’ un progetto oligarchico, ordoliberista e a-democratico assolutamente incompatibile con i dettami della nostra Costituzione Repubblicana e, in quanto tale, va rigettato in toto (e non riformato). L’unione (si fà per dire) europea, al contrario di quello che Lei si ostina a sostenere, non ha alcun limite né alcun difetto. E’ stata pensata e creata per funzionare esattamente così come funziona ora e coloro che se ne avvantaggiano (non certo l’Italia) non hanno intenzione di cambiare una virgola. La vicenda degli eurobond ne è un esempio (uno dei tanti) lampante. Negli altri paesi europei, gli europeisti si definiscono tali proprio perchè vogliono l’unione (si fà per dire) europea così com’è. L'”altreuropeismo” è la malattia infantile degli europeisti nostrani (compreso il Premier Conte che insiste con gli eurobond).
      Socialismo o barbarie, amico mio.
      Tertium non datur. Come dicevano gli elamiti.

  • Di sicuro scopriremo degli errori, Livio.
    Io penso sempre al modello tedesco: meno limitazioni alla libertà di movimento che in Italia, più attività economiche aperte e molto meno morti!

    • Il modello tedesco, Piero, è “faccio quello che mi pare quando voglio”. Ti sembra che l’Italia goda di simili privilegi? Noi possiamo prendere una banca finto-privata ma di fatto pubblica e farci sganciare 550mld.? Provaci, poi mi saprai dire.

  • “Non siamo tutti d’accordo sulla priorità da dare al diritto alla via e al diritto alla salute e che quindi occorra orientare gli investimenti pubblici in questa direzione?”
    No, io non sono d’accordo. La vita non è per me il valore primario o assoluto e tanto meno lo è la salute.
    Non è arrivata l’Apocalisse. C’è solo un piano di destrutturazione e riassetto globale che tende ad arricchire alcuni (i soliti) soggetti. Se vuoi chiamalo ‘complotto’, così tutto è risolto. Le idee che possiamo trovare qui sono solo ‘giochi di fanciulli’.

  • Coronavirus: speranze dalla scoperta di Sandro Giannini
    Bologna – Dai social arriva una buona notizia sul Coronavirus, forse risolutiva, che ha fondamenta scientifiche ed è diffusa da un medico autorevole del Rizzoli di Bologna, Sandro Giannini. Il suo è un curriculum molto qualificato: Professore ordinario di Ortopedia e Traumatologia e di Medicina Fisica presso l’Università di Bologna dal 1989, direttore della Clinica I presso l’Istituto Ortopedico Rizzoli e del Laboratorio di Gait Analysis, partner in progetti europei e in programmi di ricerca nazionali e internazionali, autore di più di 600 presentazioni a congressi nazionali ed internazionali e più di 400 articoli in riviste Science Citation Index. Il suo messaggio dà grande speranza. Leggiamolo:

    “Non vorrei sembrarvi eccessivo ma credo di aver dimostrato la causa della letalità del coronavirus. Solo al Beato Matteo ci sono 2 cardiologi che girano su 150 letti a fare ecocardio con enorme fatica e uno sono io. Fatica terribile! Però, di quello che alcuni supponevano, ma non ne riuscivano a essere sicuri, ora abbiamo i primi dati. La gente va in rianimazione per tromboembolia venosa generalizzata, soprattutto polmonare. Se così fosse, non servono a niente le rianimazioni e le intubazioni perché innanzitutto devi sciogliere, anzi prevenire queste tromboembolie. Se ventili un polmone dove il sangue non arriva, non serve! Infatti muoiono 9 su 10. Perché il problema è cardiovascolare, non respiratorio! Sono le microtrombosi venose, non la polmonite a determinare la fatalità!

    “INFATTI MUOIONO 9 SU 10″…

  • Difatti si usa sempre di più l’eparina. Ho letto.

  • Quindi Adriano, chi usa la cardioaspirina per l’ipertensione o per familiarità cardio-vascolare potrebbe essere in qualche modo protetto? Non è anche l’aspirinetta un anticoagulante? Perchè io l’ho in terapia.

  • Mi sorprendi, Livio: il diritto alla vita agli animali sì, il diritto alla vita agli umani no?

    • Piero, per favore, leggi cosa ho scritto. Non ti fa onore distorcere così le mie parole.

  • Grazie, Achille, per il tuo intervento.
    Siamo d’accordo tutti che dobbiamo partire dalla nostra Costituzione: che cosa ho fatto il, col mio post, se non di dare priorità al diritto alla vita e al diritto alla salute sanciti da questa?
    Convieni con me che si debba superare la concorrenza sfrenata che mette in ginocchio i lavoratori.
    Abbiamo molto, moltissimo in comune.
    Ora, come dare gambe a queste sacrosante esigenze?
    Possiamo fare tutto da soli o abbiamo bisogno di una solidarietà di altri Paesi grazie a una nuova Europa che metta proprio al centro la solidarietà in questione?
    Mi pare di capire che tu escludi non solo l’Europa così com’è, ma anche un’altra Europa.
    E’ così? E da soli pensi che ce la faremo?

    • “Un’altra Europa” non esiste, Signor Carelli. L’Europa anzi, l’unione europea, è “questa roba qua”, come direbbe il liberista Bersani. Prendere o lasciare.
      Non tutti i sistemi politici si possono riformare. Ghandi non ha riformato il regime coloniale britannico in India, lo ha smantellato. Nelson Mandela non ha riformato il sistema dell’apartheid, lo ha smantellato. Gorbachev non ha riformato l’URSS, l’ha smantellata. E così via.
      Se Lei entra a fare parte di una società e, ad un certo punto, si rende conto che gli altri soci si avvantaggiano ai suoi danni, Lei come si comporta?
      Va a trattare modifiche al contratto che ha firmato (ammesso che gli altri soci acconsentano)?
      Oppure rescinde il contratto ed esce dalla società?
      Saluti

  • Vedo, Rita, che aggiungi altri obiettivi.
    Io mi sono limitato a suggerire delle istanze che, a mio avviso, scaturiscono dal coronavirus (che poi sia un’Apocalisse o no, non ha alcuna rilevanza perché era una battuta).
    Li mettiamo insieme?
    Va benissimo, ma… come dare loro delle gambe?
    Il problema è questo. Tu auspichi, naturalmente, un nuovo governo in Italia. Quando andremo alle elezioni (non si può andare a votare sulla base dei sondaggi: dovremmo andarci ogni mese), vedremo i risultati. Vincerà Salvini? Ok, sarebbe la volontà popolare? Salvini avrà bisogno di un supporto perché non avrà la maggioranza dei seggi? Dovrà naturalmente arrivare a un compromesso.
    Ma intanto, che facciamo?

    • Finché ci sono i giallo-fucsia non ci sono speranze, né possibilità di dialogo. Poi, forse, si potrebbe tentare di fare qualcosa. Ma non faccio previsioni, non sono un’indovina, prima si toglie l’infezione e poi si pensa a far guarire la ferita.

  • Grazie a te, Piero, per questo post costruttivo, offertoci nel tuo stile teso al dialogo e allo stimolo, non al monologo e a quello sbeffeggiante argotico d’appartenenza idiomatica che pare frutto di algoritmo, anzi, vista l’iterativa pochezza, di scheda perforata. E grazie per dire correttamente e compiutamente ciò che vuoi dire, senza sballottare di continuo gli interlocutori lanciandoli, quasi fossero palle da basket, verso un link e l’altro, palleggiandoli come un pivot da un sito all’altro, a far cesto.
    Converrai che la situazione attuale sia apertissima e variabilissima e che occorra una buona dose di fede, speranza e carità altrui per vaticinare e pontificare diagnosi, cure e prognosi sull’Italia, sull’Europa, sul mondo, sull’umanità di ieri, oggi e domani. Tutto si sta muovendo, tutto scorre, tutto sta cambiando. Ma non credo, Piero, che tutti saremo “accomunati dallo stesso destino”. Questo è comunque un punto importante. Non penso che potrà esserci una “globalizzazione della solidarietà”. Anche questo però è un elemento essenziale. Non so se avremo una “priorità del diritto alla vita”. Pure questo è d’altronde un aspetto fondamentale. Certamente, hai ben colto alcuni passaggi e punti di snodo rivelatori. Centrati, non a caso, sulla possibile “condivisione”. Ma “condividere”, almeno nel senso che dici tu, è per noi molto difficile.
    Il mio precedente commento derivava proprio dalla percezione di questa nostra società, al tempo stesso, rivoluzionaria e pur tuttavia “chiusa”. Una società che sta affrontando, come sempre dal suo affermarsi, anche questa drammatica situazione secondo le proprie dinamiche genetiche. Tutto sarà rivoluzionato “per risolvere il problema”, oggettivamente. Siamo stati e siamo “sommamente rivoluzionari”. Anche in materia scientifica, medica, sanitaria. Ristruttureremo, riorganizzeremo, reinventeremo: sistemi ospedalieri, terapie domiciliari, attrezzature di terapia intensiva, vaccini. Ogni pandemia che non ci uccide ci rende più forti. Siamo “la classe sociale più rivoluzionaria”. Abbiamo vinto ben altro che un virus.
    Il problema è che siamo anche una società “chiusa”, proprio nelle sue funzioni strutturali economiche. Senza “condivisione”. Non esistono alternative, oggi, al nostro modello di sviluppo: soltanto sogni (appunto, “dreams”), pii desideri, fantasie di buoni e begli spiriti. Ecco perché temo, caro Piero, che la “condivisione”, insieme agli altri elementi da te indicati, aldilà delle belle parole e delle buone intenzioni, continuerà a cedere ai processi organizzativi e ai meccanismi operativi della nostra “chiusa” società di potere. Tramuteremo le pandemie in opportunità, le tragedie in vittorie. Però non in “condivisione”. Siamo una “learning organization” rivoluzionaria ma egotistica.

    • Signor Martini, se Lei non ha voglia di leggere o di guardare i collegamenti che qualcuno propone (Lei avrà sicuramente fonti migliori), si astenga. Chi La obbliga?

  • Infatti ho seguito i link fino a un certo punto, poi ho smesso (uso solo quelli su come sta evolvendo il virus). Le mie fonti sono affar mio. E se devo ringraziare qualcuno o interloquire con qualcun altro lo faccio liberamente, almeno fino a quando l’aria di CremAscolta sarà buona e respirabile.

    • Anch’io agisco liberamente, almeno finché mi sarà possibile.

  • Chiedo scusa, Livio, se ho male interpretato il tuo pensiero.
    Mi sono limitato a chiosare la frase: “La vita non è per me il valore primario o assoluto e tanto meno lo è la salute”.

  • Ok, Achille: questa Europa non è riformabile.
    E, allora, che fare? Ripartire da zero o fare a meno degli altri?
    Tutto è legittimo in una democrazia: è il popolo che decide il suo destino.
    Naturalmente, per chiedere al popolo di esprimersi di uscire dall’Unione europea (o solo dalla Unione monetaria?) occorre modificare l’articolo della Costituzione che vieta il ricorso al referendum – come è previsto in qualche Paese europeo – in tema di trattati internazionali.
    Ma per cambiare tale articolo, ci vorrebbe una maggioranza ben solida in parlamento: quali sarebbero le alleanze?
    Se si volesse evitare la lunga procedura prevista dalla Costituzione per cambiare un articolo della Costituzione, potrebbe lo stesso parlamento – sovrano – a decidere di uscire dall’Unione. Il problema è sempre lo stesso: quale sarebbe la maggioranza orientata a prendere una decisione del genere?
    Non vedo alternative, se vogliamo procedere con i piedi per terra.
    O, meglio, un’alternativa, ci sarebbe: la violenza rivoluzionaria. Una via che – ne sono sicuro – non è la tua.

    • E’ chiaro che l’unica via per una decisione del genere è la via parlamentare e che, allo stato attuale, non esiste una maggioranza (ma neanche una minoranza) che voglia intraprendere questa strada. E’ chiaro anche che uscire in questo momento sarebbe un disastro, per i motivi che tutti sappiamo. Saremmo dovuti uscire 5 o, ancora meglio, 10 anni fà. Tuttavia, per noi, attualmente, è un disastro anche rimanere. Proprio questa sera la Confindustria (alias borghesia cotoniera) ha chiesto al governo di adottare il MES. La stessa Confindustria (alias borghesia cotoniera) che ci ha trascinato in questa avventura per soddisfare i suoi appetiti voraci, ora ci vuole consegnare alla trojka per salvarsi chiappe. Evidentemente confida che a pagare la crisi saranno, come sempre, i lavoratori e la classe media. Ci troviamo nella situazione drammatica di non potere uscire dall’euro e nello stesso tempo di non poter rimanere. Forse le sembrerò disincantato e pessimista ma questa è la situazione del paese secondo il mio modestissimo punto di vista.
      Saluti

  • Urge ora, Rita, ricostruire, non tra due o tre anni.
    Che fare nel frattempo?

    • Il sistema-Italia crolla, mi sembra chiaro. Ormai non si può più cambiare locomotiva (è una metafora) perché messi come siamo non potremmo neppure materialmente recarci alle urne per votare e, palesemente, questo governo di incompetenti disfunzionali ci porterà dritti filati giù nel burrone. Faremo la fine della Grecia, grazie principalmente all’inadeguatezza della nostra pseudo-classe dirigente (pubblica e privata) e alla Germania-dux. La “solidarietà” da te vagheggiata non esiste, non capisco di cosa parli.

  • Tu, Pietro, mi riporti con la tua consueta eleganza a terra.
    So bene di avere espresso alcune buone intenzioni, ma so anche di avere dato al mio post un approccio che, sempre nell’intenzione, non voleva essere né troppo radicale (sfruttare delle potenzialità che già esistono di fatto: pensiamo alla “cooperazione”) né troppo in sintonia con la continuità.
    Ho scelto Aristotele, non Platone.
    Ma, forse, hai ragione: il mio Aristotele, così com’è configurato ora, è ancora troppo… platonico.

    • In termini aristotelici, caro Piero, il punto di convergenza, ma forse solo apparente e di comodo, potrebbe essere quello di una “comunanza di destino”, di una “globalizzazione della solidarietà” e quindi di una “condivisione” che siano finalizzate a una manutenzione innovativa del sistema di gestione sociale, attraverso un coraggioso “riformismo”, come si diceva tempo addietro. Una sorta di automedicazione radicale degli assetti istituzionali ed economici, insomma, tale da risolvere oggettivamente il problema concreto (le future pandemie) o per lo meno affrontarle meglio; aggiornare in generale, in modo scientificamente avanzato, l’attuale comparto medico-sanitario pubblico; migliorare e svecchiare con forza le parti obsolescenti se non anche fatiscenti delle strutture di potere; disinnescare infine possibili tentazioni (oggi peraltro flebili e molto poco “ciompesche”, diciamo pure puerilmente velleitarie) di tipo “rivoluzionario”, per usare un termine ormai relegato nelle contese tra cuochi e nelle sfilate di moda. In pratica, caro Piero, un gran bell’utilizzo farisaico e gesuitico della “solidarietà” e della “condivisione”, ai fini di un rafforzamento sostanziale dell’attuale struttura economica basata sul capitale, sul mercato e sulla finanza globalizzata, come del resto le società gerarchizzate borghesi (ordoliberiste? cotoniere?) più illuminate e intelligenti hanno sempre fatto. Ecco, da ciò potrebbe venire davvero un sacco di “solidarietà”, di “condivisione”, anche di riequilibrio (cioè di ottimizzazione) degli squilibri economici collettivi e delle maggiori (e più mediaticamente controproducenti) ingiustizie sociali. A fin di bene, per il bene di tutti, ovviamente. E naturalmente nel massimo rispetto della Costituzione, sempre sia sovrana. E gridando boia Europa, per épater non la bourgeoisie ma (i tempi cambiano, il metodo no) la canaille. E che ci vuole? Dopo che si è rivoluzionato il mondo, tutto il resto è come fare il cubo di Rubik. Il nocciolo della faccenda, come tu ben comprenderai, caro Piero, è quindi tutt’altro. Aristotelicamente parlando, beninteso.

  • Piero, per capirci (forse), la politica al massimo si può sancire un diritto alla cura, all’assistenza sanitaria; il diritto alla vita o alla salute sono semplici chimere, perché nessuno può garantire queste cose. Basterebbe attenersi al comandamento di non ammazzare e di non fare agli altri ecc. Cioè alla nostra ormai dimenticata ‘Costituzione cristiana’, cui nessuno fa più riferimento. Ragionare cioè in termini di dovere più che di diritto.
    È invece essenziale difendere il diritto al lavoro e alle varie libertà personali, di movimento, di espressione, di culto, di associazione ecc.. Forse ti scandalizzo, ma per me la libertà, come valore, viene prima della vita. So che per un materialista questa è una assurdità. Ma quanta gente nella storia ha sacrificato la vita per altri valori, ritenendoli più importanti della vita o della propria ‘salute’? E quanta gente, per converso, bombarda ancor oggi città e fa più morti in una settimana di quanti ne fa l’influenza in tre mesi, per ‘portare’ (sic) la libertà e la democrazia in certi luoghi? O manda migliaia di giovani a morire in guerra per pura avidità? Altro che diritto alla vita.
    Tornando al punto, qualcuno qui evidentemente pensa ancora che il problema sia il Covid-19. Qualcuno ancora non si è accorto che la ‘pandemia’ è solo un’enorme ‘fake’, una manipolazione colossale, un’opera di demolizione globale (e i morti? diranno le anime pie).
    Come pensi di ricostruire, Piero? Ci penseranno gli altri, i demolitori, a ricostruire, hanno i loro architetti. A loro, se vuoi, puoi raccontare i tuoi romantici sogni.
    Facciamo pure tanti eleganti balletti di parole, ma qui l’eleganza è fuori luogo. Ci sono dati concreti, numeri, statistiche, realtà da ricercare e scoprire e su cui si può ragionare, almeno finché non cancelleranno tutto. Oppure si possono ascoltare le ‘verità’ dell’informazione politicamente corretta.
    C’è della gente che ha perso il lavoro, che non ha soldi, che è incarcerata senza motivo e che in più si vede affibbiare multe salatissime – centinaia di euro – se porta il bambino a far due passi, se va a trovare i genitori o scende a far la spesa. Trattati come pericolosi criminali se escono di casa. E questi disgraziati cornuti e mazziati dovrebbero anche donare i pochi soldi rimasti in tasca, per aiutare a combattere l’emergenza (la solidarietà! la condivisione!). Credo che neanche Hitler sarebbe mai arrivato a tanto, nemmeno l’avrebbe immaginato. Ma forse Hitler amava il suo Paese.
    La gente non pensa a cosa rischia di perdere realmente, a quale disastro va incontro. Son tutti vittime di un’ipnosi collettiva: il coronavirus, il mostro invisibile. Hanno solo paura, stanno tutti chiusi in casa come tanti topi che han paura del gatto. E chi non ha paura del virus teme la polizia. Che bel Paese!
    Mi sforzo di pensare che se ci saranno altri 6 mesi di clausura, se costringeranno tutti a farsi 24 vaccini, a mettersi microchip sottocutanei, pena la perdita di libertà fondamentali, o se già fin d’ora progettano sistemi di censura, lo fanno solo per il nostro ‘bene’, non perché qualcuno ci guadagnerà miliardi. Forse, se non sarai vaccinato e schedato, non potrai ricevere l’assegno di sussistenza, l’elemosina dello Stato. Chissà cosa ci aspetta.
    Insultatemi pure, ma per me questa è una società di m…. (detto in sbeffeggiante argotico d’appartenenza idiomatica).

  • Non vorrei che l’espressione da lei usata in chiusa, signor Cadè, che riprende una mia frase precedente, indicasse un possibile equivoco. Mai mi sarei permesso di riferire a lei (proprio a lei a cui non mancano lessico, grammatica, sintassi e, l’ho visto di recente, anche metrica) quella locuzione. Il considerare questa valle di lacrime come un mondo di m..…., per ripetere quanto da lei asserito, oppure fare affermazioni simili, come lei di frequente fa su questo blog, ha attinenza e pertinenza con tutt’altre modalità espressive e, a monte, con posizioni concettuali ben diverse. La pochezza e la ripetitività di talune puerili formulazioni offensive che si vorrebbero spiritose, spesso basate sulla toccatina di gomito e sulla strizzatina d’occhio verbale ai commilitoni d’idea e d’idioma, hanno ben poco a vedere con il suo stile e con la forza di molti suoi contenuti. I quali, invece, mi pare stiano virando, nell’ultimo periodo, almeno da quanto parrebbe da questo blog, verso una posizione (mi perdoni il dannunzianesimo, che immagino lei deprechi) un poco da “schifamondo”, nel senso più sofferto e meno spocchioso del termine, forse proprio alla luce di una situazione sociale, politica, economica e prima ancora esistenziale, etica, spirituale veramente deplorevole, cosa sulla quale non faticherei troppo a convenire. Mi perdoni l’invadenza di questo che non è certo un giudizio ma solo un tentativo di chiarimento che, dal mio modesto punto di vista, è del tutto a lei favorevole. E, come si diceva aux beaux temps, tanto le dovevo, suo obbligatissimo Pietro Martini.

    • Caro signor Martini, La ringrazio del chiarimento. “Schifamondo”? Non posso negarlo. Per me si è passati da una fase di latenza della ‘peste’ a una fase conclamata. Non parlo certo di questo povero Covid-19, che è solo un cavallo di Troia. Nella prima fase vedevo i pericoli di questa epidemia morale e politica che rischiava di smantellare i nostri consolidati concetti di libertà e di pace sociale. E trovavo sconcertante che altri pensassero di vivere nel migliore dei sistemi possibili, e che continuassero a parlare di progresso mentre i valori fondamentali di una società stavano collassando.
      Oggi, nella fase conclamata, sono sopraffatto dai miasmi di questa peste, dalle sue forme ripugnanti. E purtroppo, temo che il peggio debba ancora arrivare. Quindi, sì: schifamondo. Ma non per il mondo che la natura ha creato, per quello che noi abbiamo rovinato.

  • Mi scusi, signor Mainetti, ma c’è una domanda che vorrei farle. In circa nove mesi, lei ha inviato a questo blog una novantina abbondante di commenti, dei quali oltre un’ottantina sul tema specifico dell’unione europea e della nostra necessità di uscirne, con particolare acrimonia soprattutto verso la Germania (“gerMAGNA”, “crante cermania”, “tedeschia”, etc.) e in parte verso la Francia (“Micron”, etc.). In ciò, lei ha fatto spesso riferimento alla borghesia in senso negativo, con locuzioni del tipo “borghesia ordoliberista”, desumibili anche da diverse fonti sul web (ad esempio, il sito del Fronte Sovranista Italiano). C’è però un’espressione, tra queste sue, che mi incuriosisce particolarmente: “borghesia cotoniera”. Sono note la storia, le vicende, le trasformazioni e le circostanze, all’estero e poi anche in Italia, di questa specifica caratteristica evoluzione produttiva della classe sociale in parola. Forse lei avrà studiato l’importanza del passaggio dall’industria laniera alla nuova produzione cotoniera; la rilevanza economica dei sistemi di tessitura più innovativi; la diffusione delle “filande”, con il loro impatto sociale, anche da noi. Molto si è detto sui “padroni delle ferriere” ma si è anche detto parecchio sui “padroni delle filande”. Tutto ciò, tuttavia, ha rilevanza soprattutto storica, che se ne dica bene o male. Lei però dice “borghesia cotoniera” come se oggi quella fosse la borghesia più rappresentativa, non invece ormai quella finanziaria, bancaria o di altri comparti economici. Anche parlando della Confindustria, lei dice “alias borghesia cotoniera”. Per inciso, signor Mainetti, ho avuto l’onore di frequentare, oltre ad alcuni “padroni delle ferriere” (un paio molto bene), anche alcuni “padroni delle filande” o loro figli e nipoti (compagni di classe e di liceo), a una ventina di chilometri da Crema (lei immaginerà dove), poi in Brianza e nel Biellese. Ebbene, lo sprezzo da lei usato mal si addice, a mio parere, a tale meritevole classe imprenditoriale, senza considerare le trasformazioni architettonicamente pregevoli e socialmente meritevoli, per fini culturali, di alcune di queste ex-filande (in un caso, lei immaginerà dove). Comunque, fuori inciso, si tratta più di storia che di cronaca. Per di più, avendo lavorato spesso con associazioni imprenditoriali, sia territoriali che di categoria, soprattutto con Assolombarda, mi stupisce, a fronte della loro composizione categoriale, che lei identifichi la Confindustria con la sola industria “cotoniera”. Per cui, che significa oggi, per lei, “borghesia cotoniera”? In particolare, mi riferisco ai suoi commenti del 15/11/2019, del 14/1/2020, del 31/1/2020, del 6/3/2020, del 29/3/2020 e del 14/4/2020.

    • Gentile Signor Martini, ci tengo a precisare che non ho nulla contro la Germania né contro i tedeschi e che, se ho dato questa impressione, sono dispiaciuto. Non userò più i termini “crante cermania”, “Germagna” o “Tedeschia” che ho utilizzato in senso ironico con l’intento palese di stigmatizzare quanti esaltano oltre misura gli altri paesi, sopratutto la Germania, vedendone solo gli aspetti positivi e, nel contempo, denigrano l’Italia. Ritengo che la Germania (come altri) stia solamente perseguendo i suoi interessi. Qualcuno direbbe “è il mercato bellezza”. Avrà anche notato sicuramente che io non faccio il tifo contro questo governo (ma neanche a favore) perchè ritengo che i problemi macroeconomici del nostro paese non siano attribuibili all’azione di un governo piuttosto che di un altro, bensì alla nostra adesione al progetto europeo, con tutto ciò che tale adesione comporta.
      Per quanto riguarda la “borghesia cotoniera”, che poi è il vero nemico di classe contro cui lottare (non certo la Germania), ho utilizzato un’espressione che mi ricordava le lotte del secolo scorso. Se questa espressione urta la sua sensibilità perchè offende il ricordo dei suoi amici delle filande, da ora in poi parlerò di borghesia compradora y vendedora.
      Saluti

    • Il signor Mainetti parla di “borghesia cotoniera”. Mi fa sorridere. Ho buoni motivi per avercela con chi ha avuto fortuna economica fin da quando succhiava il latte dal seno materno. Avrei potuto farmi venire l’ulcera con l’invida, il risentimento, il rancore, oppure chiedere permesso ed entrare nelle Brigate Rosse (magari per rubare il Rolex a uno dei capi brigatisti che aveva la fissa degli orologi dei borghesi cotonieri); oppure ancora, militare nel “Partito del Popolo” contro le storture del capitalismo, buttando nel cesso il mio inutile voto come è capitato a queste signore e signori. Magari, mi poteva bastare, rammentare cosa capitò in una elezione francese, dove si presentarono nove liste a sinistra del Partito Socialista di Lionel Jospin. La sinistra, così divisa, non andò al secondo turno, e quegli imbecilli della sinistra radicale (nove liste, ripeto) finirono per votare al secondo turno Chirac, per non far vincere Jean Marie Le Pen e il suo Front National. Ho molto rispetto per la borghesia. Non tutti i borghesi sono cotonieri; non tutti gli industriali sono degli sfruttatori (anche se ce ne sono, è indubbio), come non tutti gli operai sono brava gente. Ne ho conosciuto diversi di operai (ci ho vissuto in mezzo, e da lì provengo) che se avessero avuto soldi, tanti soldi, avrebbero fatto il giro intorno alla piazza del paese per far vedere a tutti la Ferrari rossa fiammante. Ho sempre desiderato essere un borghese, con qualche soldo per non dover pensare troppo ai soldi, avere un buon conto in banca. Ci sono borghesi come Ambrosoli, che era di fede monarchica, e come Berlusconi, che non so che fede abbia. Quando Ambrosoli fu ammazzato non ho visto neanche uno di quegli imbecilli della sinistra radicale a portare un fiore davanti alla sua abitazione. Non una piccola manifestazione, non una lacrima per uno come Amrbosoli, ma per il lontano Chiapas, che neanche sanno dove si trova sulla cartina geografica, sì. Ci sono poveri che adorano gli ultraricchi, e sono molti. Ho un grande rispetto per la borghesia seria, onesta, non sbruffona, gli industriali che sgobbano in fabbrica con gli operai (e ce ne sono). Ho un grande rispetto per il denaro, che nella vita conta parecchio averne abbastanza. Per sentirsi più liberi. Ma il signor Mainetti è fermo ancora alla borghesia cotoniera, all’Europa che è solo dell’èlite, dei finanzieri dei Soros (presenza immancabile). Forse i fondatori dell’Europa comunitaria avevano esagerato con la storia degli Stati Uniti d’Europa, con la solidarietà che in politica è sempre un pò freddina (e non solo in politica), e non è da tutti: gli egoismi non mancano mai: nemmeno fra i populisti di destra e di sinistra, anzi lì in mezzo abbondano.
      Studiando il tedesco, ieri ho scoperto una nuova parola (il dizionario tedesco ha circa centomila parole più dell’italiano, è superabbondante di parole). E’ Zweckgemeinschaft, che significa “unione per interesse”, cioè un’associazione dettata da interessi non del tutto convergenti ma che si possono convergere in qualche modo, per ragioni pratiche. La parola non ha, in tedesco, una connotazione negativa. Lo si dice anche per persone che giocano a tennis fra di loro, e magari non sono neppure amici. Così è l’Europa comunitaria “una unione per interessi”, che con modestia, e paziente lavoro si può riuscire a far convergere. La politica è questo, credo. Ma ai radicali di sinistra mica si accontentano di questo. Mica si divertono. Preferiscono l’impossibile.

    • Alla chiamata al MES di Konfindustria (spero che la K non offenda nessuno) hanno risposto prontamente sia il filibustiere Berlusconi che suo figlio adottivo Piermatteo Renzi, seguiti a distanza dallo stato maggiore del PD per bocca dell’immarcescibibile Professor Romano “Disastro Colposo” Prodi. La Konfindustria, con l’adesione dell’Italia all’ennesimo imbroglio (al-ghabna in arabo, qipiàn in cinese) potrà continuare indisturbata a depredare il paese, delocalizzando nei paesi dell’est (ash-sharq in arabo, dongfang in cinese), spostando le sedi in Olanda per non pagare le tasse (ad-daribat in arabo, shuì in cinese), comprimendo sempre di più i diritti dei lavoratori (al-‘ummal in arabo, gongzuòzhe in cinese), privatizzando i servizi pubblici e svendendo i pochi asset rimasti (und so weiter). Ecco “l’unione di interessi”. Le conseguenze nefaste della crisi (al-azma in arabo, weiji in cinese) le pagheranno, come sempre, i lavoratori e la classe media (o ciò che ne rimane), per i quali è stata ventilata anche l’idea di una bella tassa patrimoniale. Il caposardina Mattia Santori, ospite qualche sera fà di Lilli Bilderberg Gruber, ha lanciato l’idea geniale di chiamare questa tassa “contributo di solidarietà”. Ovviamente non una parolina da parte del nostro Robin Hood sull’evasione fiscale e sui paradisi fiscali, sui finanziamenti pubblici alle scuole private e alle cliniche private, sui diritti dei lavoratori (und so wieter). L’elitismo più spietato travestito da buonismo e promosso da un movimento di plastica (maddatu lada’iniyya in arabo, sùliào in cinese) creato a tavolino per anestetizzare le anime belle della “sinistra” liberal.
      Ma’a salama
      Zài jiàn
      auf Wiedersehen

    • Grazie, signor Mainetti, per la cortese risposta. L’espressione “borghesia cotoniera” non urta affatto la mia sensibilità. Tenga presente che quelli della mia età non si sono mai lasciati urtare né dalle spranghe, né dalle calibro 9, figuriamoci dalle parole. Soprattutto se da adolescenti militavano in qualcosa di differente dall’azione cattolica e dai boy-scout. E poi, cinquant’anni fa non mi urtava il “borghesi ancora pochi mesi”: infatti oggi eccoci qua, sani e vegeti (e tralascio di rammentare chi abbia vinto o perso, per non dire in quanti “pochi mesi” siano scomparsi gli altri, passando dalla parte vincente della barricata, magari con qualche accorata pubblicazione memorialistica sui “formidabili anni” puntualmente traditi).
      Il caro ricordo di quei miei amici, anche di quelli dell’imprenditoria tessile, resta del tutto impregiudicato da qualsiasi nostra corrispondenza, anche perché, oltretutto, sono ormai tutti morti.
      Resta il fatto curioso di questo utilizzo di una definizione qualificativa di un elemento attuale secondo il senso di un significato pregresso: “borghesia cotoniera”, nel 2020. Una cosa abbastanza strana e inusuale. Ma ovviamente non mi permetterei mai di esprimere alcuna valutazione in proposito. Tutti siamo liberi di utilizzare il lessico più desiderato e ritenuto più acconcio. La mia domanda era solo per capire il perché e lei molto cortesemente me lo ha indicato. Una definizione basata sulle “lotte del secolo scorso”. Mi permetta di aggiungere, anche e soprattutto del secolo ancora precedente. Un po’ come qualificare oggi Casini e Lupi definendoli, che so, “sanfedisti del Sillabo”, tanto per ricordare le “lotte ai tempi del non-expedit”. Ma ripeto, va bene, va benissimo. L’importante è capirsi. Grazie ancora.
      P.S. – Sulla “lotta di classe”, è un piacere trovare ancora qualcuno che ci creda. Naturalmente, lei ben saprà che negli ultimi decenni è stata fatta al contrario, con evidenti risultati. Ma questo, per fortuna, sfugge ai profeti della società liquida, anzi gassosa, non ci sono più destra e sinistra, le classi non ci sono più, la società è globalizzata anche all’interno, eccetera eccetera.

    • Ma che fantastico quadretto di famiglia, Achille! Iperrealismo politico. Se dobbiamo prenderlo sotto la coda, facciamolo almeno in nome dell’arte. Sono d’accordo.

    • Caro Marino, la “unione per interesse” (ma guarda che Zweckgemeinschaft significa anche “unione per obiettivi”, “comunità con gli stessi fini”) è sempre stata una delle anime dei vari Reich. Bismarck ne era un campione. Ma anche un’altra anima, quella della “unione nello spirito” (o “comunità spirituale”), da loro è molto forte. Entrambe si sostengono vicendevolmente e, da buon conoscitore dell’epica, della letteratura e della filosofia germanica, sai bene quanto il connubio sia stato a volte meraviglioso, a volte esplosivo. In ogni caso, è un insieme di “forze”. E proprio questa “grande forza”, sia proveniente dal Nutzen, dal proficuo, dal vantaggioso, sia scaturente dal Geist, dallo spirito, dall’anima, è il risultato storico che, ciclicamente, si ripropone, sotto forme diverse, provenendo da quelle contrade così diverse dalle nostre, ogni volta stupendoci, fin dai tempi del “furor” di Tacito. E ciò è, al tempo stesso, per l’Europa di ieri, di oggi e di domani, una grande ricchezza ma anche un grande, a volte grandissimo, problema. Un’operazione storica colossale che dimostra questa “grande forza” di popolo e di nazione (e di Reich) è quella della riunificazione tedesca di trent’anni fa. Loro la realizzavano a costo di enormi sacrifici, mentre noi in quegli anni bruciavamo le nostre bandiere e insultavamo il nostro inno nazionale, ascoltando le sconcezze di chi voleva fare dell’Italia un pastrocchio cantonale di campanili e di cortili, una Svizzera dei poveri, divisi e intenti a darsi dei ladroni, gli uni contro gli altri. Sui motivi storici e istituzionali di queste differenze e conseguenze, immagino che ciascuno di noi abbia le sue idee.

  • Faccio i miei complimenti sinceri al signor Mainetti per l’ottima conoscenza di varie lingue complesse, come l’arabo, il cinese, anche il tedesco mi sembra, tutte lingue belle toste. Ho citato una frase in tedesco, non per fare saccenteria (il tedesco non lo parlo, e neanche riesco a leggerlo, per ora), ma perchè la trovavo pertinente alle diatribe sull’Europa. Se posso permettermi, signor Mainetti, ma ignori questa mia, se preferisce, trovo che lei ha ottime, eccellenti conoscenze di varie faccende, ma c’è un astio, una rabbia, forse un carico di risentimenti che strabocca nei suoi ragionamenti, con attacchi ossessivi verso il capitalismo, l’Europa comunitaria, la finanza, Soros, e altre nemici supoi che ho diemnticato, che partono in quarta ogni volta. Lei si dice un socialdemocratico. Mi sorgono alcuni dubbi. E’ vero che con l’arrivo di Renzi in Italia, anche Tanassi, forse, parrebbe esser stato un estremista del pensiero, ma quando lei scarica la sua rabbia politica mi rammenta i ciclostili dei testi che battevo a macchina tanto tempo fa, per borghesi della sinistra radicale, che allora si chiamavano estremisti di sinistra. Anche allora c’erano i Grandi Nemici del Proletariato; e giù dettati di come si vincerà il Mostro che è il Capitale. Tutta roba, poi, ciclostili, enciclopedie, voti buttati di partitini (tantissimi) che ha dato aria ai polmoni, fatto vincere elettoralmente la destra, riempito la noia, e poco altro. E gli stessi borghesi così estremisti che mi dettavano i loro dettati, nessuno di loro si è poi sporcato le mani nelle fabbriche tanto adorate.
    Ne approfitto per complimentarmi con Pietro Martini, per l’ottimo scritto in risposta al signor Mainetti. Pietro Martini maneggia la lingua italiana, con uno stile che può sembrare d’altri tempi, ma la qualità è alta. Da frequentatore delle Segretarie, riconosco al volo chi non ha frequentato la mia scuola sventurata, e ha avuto ben altra educazione scolastica, e ne ha tratto profitto, perchè non sempre così succede.

    • Mi scuso per alcuni salti nella battitura della settima riga, che nella rilettura non c’erano, almeno così ricordo. Speri che la frase riesca comunque comprensibile.

  • Marino, Pietro, Achille (strettamente in ordine alfabetico) vi prego, continuate a ….dare aria all’intelligenza, come state facendo, (che, se occorre, si fa un salto su Wiki che è sempre li aperta in rete per tutti noi del pueblo ……. meno attrezzati) in questi tempi di alti ragli che salgono al cielo, è solo un piacere leggervi!!!!

  • Grazie Marino, grazie Francesco, per i vostri apprezzamenti.
    A proposito dei tuoi “dubbi”, Marino, per ora mi limito a trovare interessante negli interventi del signor Mainetti vari elementi, tra i quali l’accostamento tra posizione socialdemocratica e invito alla lotta di classe con attacco alla borghesia, tra la socialdemocrazia e l’identificazione del Partito Comunista di Marco Rizzo come unico partito oggi votabile (23/11/2019), per citare solo alcuni spunti. Il collegamento tra il riformismo sociale socialdemocratico (ma non arriviamo a Tanassi, dai Marino, fin lì magari no) e l’approccio rivoluzionario marxista-leninista (vedi La Riscossa) merita attenzione. Ma forse è questione che richiede maggiore esperienza politica di quanta ne abbiamo. Intanto, Marino, incassiamo l’apprezzamento che Francesco ci invia. Dopo il nostro reato di difesa germanica, conforta.

  • Ti segnalo, Livio, l’intervista apparsa oggi su La Provincia rilasciata dal filosofo Ermanno Vinciguerra: è in pienamente in sintonia col tuo punto di vista (così, almeno, ho colto).

    • Grazie della segnalazione.

  • Che cosa posso aggiungere di fronte a… tal tenzone? Sono rimasto letteralmente sorpreso (felicemente sorpreso) nel leggere dei commenti di alto spessore!.

    Il nodo dei nodi – fai bene a rimarcarlo, Achille – è l’Unione europea e non può che essere così, tanto più in una situazione di emergenza come quella attuale.
    Tu stesso, Achille, scrivi che uscirne ora sarebbe disastroso e in effetti lo è.

    Scrivevo in questi giorni che la nostra Unione non è una comunità di valori, ma di “convenienze” (è quanto è riassunto nel termine tedesco rievocato da Marino).
    Chi mai l’ha pensata come una comunità di valori è un’anima bella (questo non significa che non ci siano valori come le comuni radici culturali…).

    In quanto comunità di convenienze /interessi/vantaggi, non è un’entità eterna: rimarrà in piedi finché tali vantaggi rimangono.
    Ora – come è noto – oggi sarebbe un suicidio lasciare la nostra casa comune
    – nel momento in cui abbiamo una Bce che sta svolgendo il ruolo di fatto di prestatore di ultima istanza (lo sta facendo infinitamente di più della Banca d’Italia prima del divorzio – il sogno dei sovranisti);
    – nel momento in cui le regole del Patto di stabilità sono saltate,
    – nel momento in cui non c’è più il divieto degli aiuti di Stato,
    – nel momento in cui si sta lavorando per fare del Mes qualcosa che non è più Mes (se il summit dei capi di governo lo confermerà);
    – nel momento in cui si sta mettendo in piedi un Recovery Fund (che poi risponde a un Plan) che dovrebbe mobilitare almeno 1500 miliardi.

    Che cosa farebbe l’Italia (con una previsione di -9 del Pil) oggi senza lo… scudo europeo?

    • Piero, l’Italia farebbe quello che ha sempre fatto prima del 1848 e dopo il 1922: Franza o Spagna purché se magna.
      Farebbe quello che oggi alcuni vorrebbero che facesse: in bocca alla Russia o in bocca alla Cina.
      Che l’Unione Europea sia piena di magagne e si sia purtroppo costruita sulla bottega e non sulla spada, lo sappiamo tutti.
      Che l’Italia possa, per quanto conciata come è oggi, sfidare tutto e tutti in una giobertiana rigenerazione morale e civile degli italiani, francamente piacerebbe anche a me. Ma mi piacerebbero tante cose. E non basta dire alfierianamente volli, e volli sempre, e fortissimamente volli. Non bastava nel 1783, non basta oggi.
      Qua siamo ancora ai tromboni di fra’ diavolo.

  • Ho scritto, Achille, l’ultimo commento a difesa della tua asserzione, che cioè oggi uscire all’Unione europea per noi italiani sarebbe disastroso.

    I paradisi fiscali dentro l’Europa (su cui la Farnesina sta preparando un dossier) sono una delle dimostrazioni che la costruzione di una “casa comune europea” è ancora alle fasi iniziali: siamo partiti da un “mercato comune” e poi, step by step, abbiamo aggiunto dell’altro (dai fondi europei – che spesso noi italiani riceviamo ma poi non siamo in grado di spendere – al progetto Erasmus…).
    Ora, i paradisi fiscali (che, è vero, drenano risorse anche dall’Italia) esistono perché non siamo ancora arrivati ad avere una “politica fiscale comune”.
    Siamo di fronte a un vero e proprio salto da compiere perché siamo in presenza di una perdita di sovranità nazionale che non tutti, per ora, se la sentono, di accettare, ma la strada da percorrere è questa: altrimenti continueremo sempre ad abbaiare alla luna.
    Posso sbagliarmi (ma non vedo alternative), ma io credo che l’opinione pubblica possa e debba esercitare una forte pressione dal basso sulla nostra classe dirigente.
    In altre parole, gli altri step della casa comune dipendono anche da noi.

    • Signor Carelli. I paradisi fiscali dentro l’unione europea sono la dimostrazione che questo progetto non sta in piedi, che ciascuno persegue i suoi interessi, anche in maniera sleale, e che noi siamo il vaso di coccio dentro questa cosidetta “casa”. Gli olandesi con il dossier della Farnesina si puliranno il naso (per non dire altro). La “politica fiscale comune” non può esistere tra paesi che hanno economie (e culture) profondamente diverse (per non dire incompatibili).
      Quindi, secondo lei, noi dovremmo rimanere e farci fregare (per non usare un altro termine) dall’Olanda (e dalla Germania) finché non avremo raggiunto la fantomatica “politica fiscale comune” ? Ammesso che si possa raggiungere e, sopratutto, che anche gli altri lo desiderino. Le rammento che, in un precedente commento, lei stesso ha ammesso che, per la realizzazione di questo progetto (ammesso che lo si possa e/o voglia realizzare), potrebbero volerci decenni. Nel frattempo cosa facciamo? Io non voglio morire per Maastricht.
      Ho grande rispetto per le sue opinioni ma io, la sovranità nazionale (o ciò che ne resta), non ho alcuna intenzione di perderla. Anzi, voglio riconquistare quella che abbiamo perso (e non è poca). Francamente non vedo alcun vantaggio nel trasferire la sovranità del popolo italiano nelle mani di un’entità transnazionale che risponde alle banche, alle agenzie di rating e alle multinazionali e che persegue politiche economiche e sociali incompatibili con i dettami della Costituzione Repubblicana (sto abbaiando alla luna?).
      P.s. Sull’Erasmus stendiamo un velo pietoso.
      Saluti

  • Vengo a sapere che tutti gli Stati della Ue, anche quelli dell’Europa del Sud che hanno subito le forche caudine della troika, hanno avallato il Mes senza condizioni (finanziamenti finalizzati esclusivamente alla sanità) con l’unica eccezione degli italiani.
    Come mai? La Grecia, il Portogallo, la Spagna sono diventate masochiste o in Italia il problema (vedi Cinque Stelle, Lega e Fratelli d’Italia) ha assunto una coloritura ideologico-politica?
    Perché mai dovrebbero farci schifo 36-37 miliardi da investire nella sanità (non vi è dubbio: abbiamo avuto tanti morti perché non eravamo preparati ad affrontare una epidemia del genere) a un tasso di interesse che ci farebbe risparmiare 400 milioni?

  • Mi sembra che da parecchi anni, Piero, il “discorso sull’Europa” impegni molti partecipanti a questo blog, in vicende dialettiche testimoniate da un archivio ricco di informazioni, in parte ancora on line, in parte allora copiabile, nei suoi risalenti post e commenti, sui dischi fissi degli interessati a costituirsene memoria d’archivio. Basta una rapida scorsa per ordinamento di titoli e qualche campionatura mirata per averne conferma. Oggi, col tuo post “I have a dream”, che diciamo subito significa “Io ho un sogno”, tu riprendi in modo ammirevole e pazientissimo questo “discorso”, ponendolo in abbinamento, non solo cronologico ma anche logico e argomentativo, con la situazione della pandemia ancora pienamente in corso, nonostante il riduzionismo del business in fregola e il negazionismo, esplicito o malcelato, delle ben note chiese antiscientifiche e no-vax.
    Che cosa ci siamo già detti, Piero, mille volte? Diecimila cose diverse. Ma qualcuna più spesso delle altre. Tra queste, ce n’è una su cui mi sembra possiamo convenire con il signor Mainetti. Insieme ad altre tre. Quali sono? Rivediamole. La premessa è che così non si va da nessuna parte, in Europa e nel mondo. Ieri i “blocchi” geopolitici erano altri. Oggi sappiamo quali sono e forse non è impossibile intravederne ulteriori. Ciò premesso, l’Europa “unita e indipendente” potrà esistere solo se, presto o tardi, le quattro cose che si diceva saranno realizzate. Se no, si sarà sempre a metà del guado. Tra ‘l gnàc e ‘l pitàc. Primo. Un un’unica forza militare e di intelligence. Basta panciafichismi. Secondo. Un’unica forza diplomatica. Senza diplomazia si prendono solo sberle, persino dai capitribù. Terzo. Un unico sistema fiscale. E bravo il signor Mainetti: come non essere d’accordo? Attenzione, fiscalità in senso lato: imposte dirette e indirette, regimi contributivi, tassazioni varie, eccetera. Quarto. Un unico sistema monetario. Questa è l’unica cosa che oggi esiste. Ma servono innovazioni e correzioni notevoli. Facile? Per niente. Ma senza questi quattro pilastri i muri crollano e il tetto casca giù. Ci sarebbe da aggiungere un quinto elemento, quello di un’unica unità di crisi europea per la gestione delle varie emergenze: sanitarie (ecco il collegamento con questa pandemia); migratorie (problema immenso ma, agendo con decisione, risolvibile); di legalità (le mafie e la criminalità organizzata si battono solo uniti); sociali (la lotta alla povertà non si fa con un’elemosina tra un campanile e un cortile); inoltre, molto altro ancora. Quindi? Semplice. O si comincia a costruire questa realtà, mattone dopo mattone, e allora possiamo sperare di cavarcela. Altrimenti, se si continua a distruggere quel poco che c’è, cominciamo pure a imparare il russo o il cinese, perché ci servirà. Magari l’arabo, perché al peggio non c’è mai fine.

  • Caro Achille, non ho nessun argomento per convincerti che l’impresa riuscirà. Gli Usa hanno impiegato un secolo e mezzo prima di arrivare a una Unione “politica” (con un bilancio federale che è di gran lunga più pesante di quello europeo) e hanno combattuto addirittura una guerra.

    Non si arriverà mai a una politica fiscale comune?
    Non lo so: quanti “mattoni” si sono messi (che tu li condivida o meno, non ha importanza: vedi che non ti va neppure il progetto Erasmus – sulla base dell’esperienza di mio figlio, posso dire sono bene) che nessuno avrebbe immaginato prima, anche solo l’abbattimento delle barriere doganali, anche solo i fondi europei…?

    Chi mai avrebbe immaginato che sarebbero caduti i tabù degli ultimi tempi (quelli che ho elencato ieri)?
    Piacciano o non piacciano, gli scatti in avanti ci sono stati in tempo di crisi.
    Ora, chi avrebbe immaginato che – dopo decenni – oggi potrebbe nascere un Fondo europeo che emette titoli europei e che raccoglie prestiti per un bilancio comune europeo a favore di una “ricostruzione europea”?

    Tutto, poi, dipende dall’osservatorio da cui si vedono i passi in avanti: c’è chi vede il mezzo bicchiere pieno e chi il mezzo bicchiere vuoto.

    Fiducia o no su un’Europa da costruire, oggi – lo ammetti anche tu – uscire sarebbe disastroso. E allora, non sarebbe il caso di lavorare al fine di rafforzare il nostro “potere contrattuale” mediante l’arte della diplomazia (quale altra?)?

    Un’ultima osservazione: tu non vuoi perdere la tua sovranità nazionale e come pretendi allora che l’Olanda perda la sua sovranità nazionale in ambito fiscale?

    La politica è fatta di piccoli passi e – lo ripeto – ogni partner rimane in Europa finché “conviene” dopo di che i popoli (nel nostro caso il parlamento) decidono se vale la pena credere alla possibilità di recuperare vantaggi o no (come pensi tu).

    E la politica è l’arte più difficile: nessun’altra la batte!

    • Quindi, se ho capito bene, lei sogna gli stati uniti d’europa? Non sono stupito, questo è il sogno proibito di tutti gli europeisti. Secondo lei è possibile che un paese sovrano, la Germania ad esempio, ma anche l’Irlanda, piuttosto che la Bulgaria, un giorno (magari settimana prossima o fra un secolo e mezzo), senza colpo ferire, con la semplice firma di un trattato, rinunci alla sua identità, alla sua storia, alla sua bandiera e alle sue istituzioni, per diventare come il Connecticut o l’Alabama? E magari, già che ci siamo, rinunci anche alla sua lingua? E’ possibile uno scenario del genere? E’ mai successo nella storia? E, sopratutto, è auspicabile questo scenario? Quale sarebbe il fine di tutto questo? Quali vantaggi avrebbero i cittadini di quel paese da questo sviluppo?
      Mi permetto di ricordarle che, noi italiani, le guerre le abbiamo combattute contro le cosidette “unioni politiche” e per conquistare la sovranità, non per cederla. Abbiamo fatto il risorgimento per distaccarci dall’impero asburgico e la resistenza per liberarci dal giogo nazista. Nei secoli scorsi diverse potenze si sono alternate nel tentativo di unire/sottomettere l’Europa (con la guerra ovviamente) ma tutti i tentativi sono miseramente (e tragicamente) falliti (e ci sarà anche un perchè). Gli unici che sono riusciti nell’impresa sono stati (guarda caso) i nostri antenati che, portatori di una civiltà superiore (non solo sul piano tecnologico e militare), unificarono l’Europa sotto l’Impero Romano. Ma questa, Signor Carelli, è tutta un’altra storia. Tutta un’altra storia.
      Saluti

  • Sui quattro in ingredienti necessari, Pietro, concordo.
    Una politica di difesa comune era già in nuce nei primi anni, ma poi, la… sovranità nazionale francese (che era super-armata) l’ha bocciata.
    L’impresa più dura sarà una politica fiscale comune: troppi i paradisi fiscali da abbattere!

    Io non sono né ottimista né pessimista, ma… realista. So che è uno slogan, ma io non credo e non ho mai creduto a una certa retorica europea: si tratta di costruire, passo dopo passo, un mattone.
    L’emergenza attuale è un’occasione d’oro per far fare un passo avanti: non sono molto addentro a queste cose, ma credo che un Recovery Plan (e non sono Fund) potrebbe diventare realtà a breve, forse anche per quest’estate.
    Non è poi un caso che la Bce stia facendo quanto i sovranisti hanno sempre chiesto: che l’Italia uscisse dall’Unione monetaria e che la Banca d’Italia facesse il prestatore di ultima istanza.
    Piccoli passi, ma giganti per le istituzioni europee: la Bce non ha questi poteri e non a caso il rappresentante tedesco ha bocciato questa apertura.

    • Piero ma non sei ancora stufo di cantare “I have a dream” e di parlare al condizionale? Ripetete una bugia mille volte e diventerà verità? Temo che non funzioni così. Oggi intanto, come avrai visto, nel Parlamento Europeo si è consumata l’ennesima giornata di ordinaria follia. Tutti contro tutti, ognuno per la propria strada. E quando dici che “gli Usa hanno impiegato un secolo e mezzo prima di arrivare a una unione politica”, dovresti anche specificare che per trovare la quadra hanno dovuto poi superare una guerra di secessione che è costata miliardi di dollari (di allora) quasi un milione di morti e invalidi permanenti a volontà. Forse non è il caso di ripetere l’esperimento. Tanto più che “le due Americhe” ci sono ancora adesso. Ci vogliono secoli per fondare una civiltà, quando bastano.

    • L’idea per cui passo dopo passo, chissà in quanto tempo, si arriverà a fare dell’UE la terra promessa mi sembra un misto di messianismo (cioè di fede) e di darwinismo (cioè di mitologia scientifica) applicati alla politica. Io credo che questa specie di UE resterà quello che era fin dall’inizio, un pericoloso dinosauro, finché non si estinguerà.

  • “Per un’Europa libera e unita”, il Manifesto
    I padri fondatori
    dell’UE
    Spinelli al Parlamento europeo, poco tempo dopo l’adozione da parte dello
    stesso del suo piano per un’Europa federale nel 1984.
    afferma che un’eventuale vittoria sulle potenze fasciste sarebbe
    stata inutile se avesse condotto a nulla di più che all’instaurazione
    di un’altra versione del vecchio sistema europeo di Stati-nazione
    sovrani, semplicemente uniti in alleanze diverse. Ciò avrebbe solo
    condotto a un’altra guerra. Il Manifesto proponeva la formazione di
    una federazione europea sovranazionale di Stati, il cui obbiettivo
    primario consisteva nel creare un legame tra gli Stati europei che
    impedisse lo scoppio di una nuova guerra. Altiero Spinelli.
    BASTEREBBE RIPARTIRE DA LI’.

    • Ma siamo nel bel mezzo di una guerra!!! E non per colpa dei temibilissimi “Stati-nazione sovrani” ma grazie all’ottusità delle socialdemocrazie europee. Neanche Marx è riuscito a realizzare il suo sogno (decisamente più strutturato), figurarsi Altiero Spinelli. I sogni hanno questa caratteristica: non si realizzano quasi mai.

  • Mi fa piacere che tu condivida, Piero, il fatto che senza l’unificazione della forza militare, della diplomazia, della fiscalità e della monetazione, oltre che di un’unità di crisi contro le emergenze sanitarie, migratorie, criminali eccetera, il progetto europeo non possa che restare nelle condizioni attuali, così desolanti. Il “mattone dopo mattone” va visto però in termini molto concreti e pragmatici. Se si tira alle calende greche, campa cavallo. Come sempre, solo lo spirito di necessità (che da buon filosofo tu conosci nelle sue esplicitazioni e gradazioni) potrà accelerare questo processo verso un’Europa unita, indipendente, forte e degna delle sue radici e delle sue tradizioni. Oggi questo stimolo è ancora lontano. Se il mondo resterà in questa frammentazione e confusione, continueremo a restare frammentati e confusi anche noi europei. Se, invece, dovremo lottare per non diventare una provincia alla periferia di qualche impero asiatico camuffato da benefattore o di qualche mafia slava camuffata da potenza amica o di qualche potentato arabo camuffato da finanziatore disinteressato, allora non resterà che combattere o soccombere. Molto semplice. Come sempre, nella storia. Messi con le spalle al muro, toccati sia nella tasca che nello spirito, o lotteremo o ci sottometteremo. E, anche lottando, potremmo perdere. Certo, sarebbe un peccato, dopo millenni di civiltà e cultura come le nostre, finire in pasto a certa gente. Però, Piero, a volte conta sì la vittoria, però ancora di più conta l’onore. Se dobbiamo diventare una colonia governata da qualche mandarino comunista, gangster spregiudicato o terrorista rifatto, che almeno, prima, si combatta con onore. Ovviamente, tutti uniti. A volte il “consenso sociale” e le “unioni d’interesse” non sono spinte storiche sufficienti. A volte è “per la forza e con la forza”, con la “violenza ordinata e finalizzata”, come dicono la dottrina e gli studiosi di queste materie, che si creano gli stati, gli imperi e, eccoci al punto, anche le federazioni e le confederazioni. Il resto, appunto, è sogno.

  • Rita, ho parlato della guerra in questione: non ho la pretesa che tu legga tutti i miei commenti.

  • La tua preoccupazione, Pietro, è una ragione in più che dobbiamo lavorare per rendere più forte l’Europa, non indebolirla.
    Del resto (tu di storia ne sai più di me), all’origine di tutto, nell’immediato dopoguerra, era avvertita l’esigenza di non umiliare la Germania, ma anzi di favorirne la ricostruzione perché era fondamentale di fronte alla minaccia sovietica avere una Paese economicamente forte nel cuore dell’Europa.

    Che Russia, Cina e Turchia, in questi giorni (ma da tempo) stiano dimostrando una… solidarietà interessata, non vi è dubbio.

    Io continuo a insistere: qualsiasi grande impresa può essere costruita solo mattone dopo mattone.
    Ora, nelle ultime settimane, se uno guarda senza paraocchi, il crollo di tabù decennali e se guarda il fatto che il parlamento europeo ha votato una risoluzione che impegna l’Unione a “indebitarsi” (chiedendo prestiti) per la “ricostruzione” europea, come fa a non vedere qualche piccolo (o grande?) passo avanti?

  • La questione Europa non l’ho posta io, ma so che è sempre il nodo dei nodi.
    Ecco (per chi non ha avuto il tempo di leggere le mie sequenze) il mio punto di vista:
    1. L’Unione europea non è un feticcio;
    2. E’ nata come comunità di interessi;
    3. In quanto comunità di interessi, se i partner europei ritengono che che non siano più i vantaggi in questione, è sempre possibile scioglierla;
    4. Che mi risulta i più critici nei confronti dell’Europa chiedono “più Europa” (ad esempio gli eurobond…) e non meno Europa;
    5. Che mi risulta nessuna forza politica presente nel parlamento europeo si pone come obiettivo l’uscita dall’Unione (e neppure dall’Unione monetaria);
    6. Oggi, quindi, non esistono le condizioni per uscire dall’Unione;
    7. Questo non esclude che alle prossime elezioni politiche ci siano forze maggioritarie anti-europee;
    8. Se questo accadesse, sarà appunto il parlamento che è “sovrano” a decidere (oggi come oggi non è possibile ricorrere al referendum, ma non è escluso che una maggioranza qualificata cambi l’articolo della Costituzione che lo vieta).
    9. Nel frattempo che fare?
    10. E’ conveniente per l’Italia rifiutare alcune decine di miliardi (solo i 36-37miliardi del Mes senza condizioni – sempre che sia confermato dal summit dei capi di governo di giovedì prossimo – ci farebbero risparmiare circa 400 milioni di interessi) messe a disposizione dell’Italia (tra cui cassa integrazione europea, recovery bond, acquisto dei titoli di Stato da parte della Bce)? Lo decida il parlamento.

    Personalmente (ma a nessuno interessa la mia opinione personale): io non solo né europeista acritico, né anti-europeista acritico.
    Sono un… pragmatico materialista: guardo solo alle “convenienze”.

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