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PIERO CARELLI

Cara Elisa

Cara Elisa,

ti vedo correre spensierata sul prato. Non può che essere così: sei troppo piccola per renderti conto di quanto ci sta accadendo.

Magari, quando sarai grandicella, forse già alla scuola media (o come la chiamate voi, in Germania?), ti verrà voglia di sapere come viveva il tuo… gnogno (come oggi mi chiami) al tempo del coronavirus.

 

Una trincea dorata

 

Ti premetto che ho ben poco da raccontarti di me: che cosa potrei fare chiuso ermeticamente, come sono, in casa da oltre un mese?

Sono agli… arresti domiciliari (come dice scherzosamente qualcuno), ma ti confesso, questi non mi pesano più di tanto: la mia interminabile quarantena non ha nulla a che vedere con una prigione.

Una vita, la mia, se la guardo dal mio “particulare” (lo studierai Guicciardini dalle tue parti?), è tutt’altro che triste: è, sì, ritmata dalla routine, ma io continuo a fare ciò che ho sempre fatto nella mia vita, vale a dire a coltivare le mie passioni di sempre (studiare, riflettere e scrivere) con il vantaggio di avere del tempo in più a disposizione.

Ho ripreso, poi, a strimpellare il pianoforte. Non posso, certo, competere con lo zio Ale che è un fine interprete della musica, ma io mi accontento e anche i brani più semplici mi emozionano.

Mi manca qualcosa? Mi manca la passeggiata alla passerella con la nonna Raffaella, all’aria aperta, a contatto con la natura, con la fioritura della primavera, ma posso assicurarti che ora, pur recluso, mi muovo più di prima: ogni mezz’ora (seguo le indicazioni del direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità) mi alzo e mi metto a camminare con passo lesto lungo la diagonale sia del soggiorno che della mansarda (dove c’è il pianoforte a coda dello zio Ale).

La mia, in poche parole, è la vita di un privilegiato. Ci hanno detto che è in corso una guerra per combattere la quale non vi è altro da fare che stare a casa e io, da buon soldato, ho ubbidito. Mi vergogno a dirtelo: sto combattendo una guerra stando sul divano!

Così, ne ho approfittato per colmare alcune mie lacune: sono sempre stato allergico alla geografia e oggi ho recuperato. Ho iniziato pure ad apprezzare la cucina della nonna, ancora più creativa di questi tempi (non ho mai avuto un buon rapporto col cibo). E, last but not least, io e la nonna abbiamo assaporato ancora di più la gioia di stare insieme, riconoscendo le nostre migliori qualità e ironizzando, con un sorriso, sui nostri limiti.

 

In prima linea

 

Come vedi, di me ho ben poco da raccontarti, mentre ho molto da dirti su quanto accade fuori.

La guerra è là. È là che il nemico invisibile colpisce, travolge, scuote. Un ciclone, un vento impetuoso che si abbatte sull’albero della vita e ne strappa violentemente le foglie.

E le foglie cadono. Tante. Troppe. Anche amici miei.

Cadono nelle terapie intensive degli ospedali, nelle case di cura per anziani (una strage!), nelle abitazioni private.

La guerra c’è, Elisa, anche se non ci sono eserciti, non ci sono cannoni, non ci sono cacciabombardieri.

È una tragedia che sta mettendo a dura prova l’intera umanità.

Una tragedia che si consuma in un paesaggio spettrale: spettrali le vie, spettrali le piazze, spettrali le chiese.

Una tragedia che va in scena nel silenzio, un silenzio rotto solo dalle sirene delle autoambulanze e dai rintocchi lugubri delle campane.

Una guerra del tutto insolita, ma la prima linea, comunque, c’è. È lì che ci sono i veri combattenti (non i soldati in pantofole come me!): medici in servizio e medici volontari rientrati in servizio; infermieri in servizio e infermieri volontari rientrati in servizio; medici di base, i primi a correre a casa dei pazienti.

Sono loro i nostri eroi. Sono loro che stanno lottando all’ultimo spasimo. E sono tra loro, purtroppo, molte vittime.

Un nemico imprevedibile il Covid-19 (così è stato chiamato il virus): a volte colpisce senza lasciare traccia, ma quando si accanisce su una persona, è la fine. Ed è la fine più terribile.

Si muore soli. Senza la mano nella mano dei propri cari. Senza un rito funebre.

Una morte surreale.

Corpi deposti nelle bare così come sono, nudi o in pigiama. Bare, in alcune aree, ammassate prima in una palestra e portate via poi da camion militari, senza l’ultimo addio.

È quanto sta accadendo, Elisa, non la scena di un dramma.

È quanto sta accadendo con particolare virulenza in Lombardia dove abitano i tuoi nonni: è qui che il virus uccide più che in qualsiasi parte del mondo (in rapporto alla popolazione).

Voi in Germania, vivete tutto sommato in un’isola felice. Il nemico invisibile, è vero, colpisce anche lì, ma in misura decisamente minore. Siete stati più fortunati? Di sicuro eravate più preparati ad affrontare un’epidemia di tali proporzioni e l’avete gestita con una strategia più mirata a contenere i contagi (non a caso avete ospitato nelle vostre terapie intensive pazienti sia italiani che spagnoli). Quello che avete realizzato è una sorta di quadratura del cerchio: un numero contenuto di vittime, limitazioni alla libertà di movimento inferiori rispetto alle nostre, più attività economiche rimaste aperte.

 

Segnali di un mondo che cambia

 

Fuori dalla finestra, Elisa, vedo un mondo che crolla.

Un mondo di carezze, di abbracci, di strette di mano. Un mondo con i suoi riti collettivi: le vasche, il caffè in piazza Duomo, gli aperitivi al bar, la gioiosa festa dei bambini al San Luigi (ti ricordi la tua altalena preferita?).

Ma fuori vedo segnali di un mondo che nasce.

Una nuova modalità di lavoro, una modalità che tuo papà, lì in Germania, pratica da tempo ed è per questo che può permettersi di stare più vicino a te mentre lavora: lo smart working. Un’opportunità (naturalmente, laddove è possibile) che noi italiani iniziamo ad apprezzare solo oggi, grazie al coronavirus.

Una nuova modalità di scuola: non più studenti assiepati in un’aula con una cattedra in posizione dominante, ma studenti e insegnanti che fanno lezione online a casa loro.

Non è certamente la scuola ideale, anche perché non tutti i ragazzi sono dotati di un pc o di un tablet, ma solo un ripiego che consente agli studenti di non essere abbandonati in un’ora così tragica, un’ora in cui hanno particolarmente bisogno di comprendere bene (magari, con un approccio multidisciplinare) quanto sta accadendo all’umanità e di non interrompere – dati i tempi lunghi di attesa per un ritorno alla normalità – il loro percorso formativo.

Ti confido un sogno che coltivo da tempo, quello di una scuola rovesciata: lezioni online a casa e compiti a scuola. Vale a dire il momento di “trasmissione del sapere” a casa e il momento “laboratoriale” a scuola; l’acquisizione degli strumenti di base di ogni disciplina a casa e le applicazioni/esercitazioni a scuola; una didattica che fa perno sulle “piattaforme” digitali (interattive, che prevedono una costante verifica di quanto è stato appreso) a casa e una didattica che si fonda sulla “relazione umana” a scuola.

In altre parole, la scuola, libera (o parzialmente libera) dall’onere di trasmettere informazioni, dovrà essere sempre più un luogo di lavoro, di ricerca, di creatività (individuale e collettiva), di lettura critica del nostro tempo e di un’assunzione corale di responsabilità nei confronti della comunità, non dimenticando mai che la tecnologia è e sarà sempre un puro “strumento”.

Magari, quando leggerai questa lettera, il mio sogno sarà una realtà o, magari, si sarà trovato un modello migliore.

 

Flash mob

 

Quello che sto vedendo a causa e grazie al Covid-19 è un mondo che sta cambiando profondamente.

Vedo, Elisa, tanta solidarietà: squadre di medici e infermieri che sono arrivate dalle più svariate parti del mondo (a Crema sono giunti i cubani). Una solidarietà interessata come quella della Cina, della Russia e della Turchia? Non lo so: certamente, i più accorrono con sincero spirito di solidarietà.

Vedo un esercito di volontari, giovani e meno giovani che danno un supporto non solo psicologico (andando a fare la spesa o in farmacia) a persone in quarantena o ad anziani soli.

Vedo tanti gesti di amicizia e di incoraggiamento come i flash mob dai balconi (ne ho visto uno anche della Germania rivolto a noi italiani) che esprimono un rinnovato bisogno di sentirsi una comunità.

Vedo una contrazione consistente, a causa della minore circolazione di autoveicoli, dell’inquinamento e dell’emissione di gas serra: un bel regalo del coronavirus a beneficio della nostra salute e dello stesso pianeta.

E vedo, infine, attraverso i video da cui siamo tutti inondati, una vera e propria esplosione di creatività, di ironia, di azzeccatissime imitazioni.

 

Gli occhi del cuore

 

Quando saremo fuori dal tunnel? Chi lo sa? Forse, ci sarà bisogno di mesi, tanti mesi. Mesi in cui uscire di casa sarà un rischio, in cui continueremo a fare la coda davanti ai negozi e a tenere le debite distanze, in cui indossare la mascherina diventerà un’abitudine.

Quando potrò riabbracciarti? È saltata l’occasione di marzo, è saltata la Pasqua e forse salterà anche l’appuntamento di Natale.

Mi manchi molto.

Quando leggerai questa lettera, quasi sicuramente sarò diventato una stella. Se scruterai il cielo, forse mi vedrai: una stella piccola piccola, quasi invisibile, ma se mi cercherai con gli occhi del cuore, mi riconoscerai.

Uno dei miei sogni? Che voi tedeschi, che tanto avete ricevuto dall’Unione europea (qui in Italia sono molti che hanno il dente avvelenato con voi: lo capirai), dimostriate di essere più solidali con i Paesi più colpiti e quindi più in difficoltà.

Sogno, naturalmente, che la tua generazione riesca a fare un po’ meglio della mia: noi di disastri ne abbiamo fatti tanti, anche per imprevidenza.

Magari, voi saprete, memori della lezione del Covid-19, costruire una nuova globalizzazione: la globalizzazione della solidarietà, la globalizzazione della “cooperazione”.

Una globalizzazione che punti a rimuovere le cause delle disuguaglianze sociali, attenta al “grido dei poveri” e al “grido della terra”.

Un abbraccio, Elisa!

Tuo… Opa Piero.

 

Crema, 19 aprile 2020

 

PIERO CARELLI

19 Apr 2020 in Attualità

19 commenti

Commenti

  • Bella testimonianza. Elisa la conserverà per sempre.
    Ma non metterle troppi sogni in testa …. che poi, se non s’avverano ci rimane male.

  • Grazie, Rita.
    Mi sono messo nell’ottica dell’iniziativa del Centro Ricerca Galmozzi, quella cioè di raccogliere testimonianze a futura memoria.
    Non so se Elisa, che ora non ha ancora due anni, leggerà la lettera. Io, naturalmente, da nonno (tu sei nonna e sai quale legame abbiamo con i nipotini), me lo auguro.
    Ho provato ad essere sincero, non nascondendo le mie debolezze, e raccontando quel poco che sto facendo, grazie a questi… arresti domiciliari (col tempo che avremo a disposizione – la mia fascia di età sarà l’ultima a riacquistare un minimo di libertà di movimento – mi auguro anche di esplorare un po’ di quel mondo letterario di cui tu sei una fine cultrice).

    Dopo il video di Anna Lopopolo (lei è un’artista e ha usato il linguaggio suo consono), la mia è una testimonianza… prosaica, realizzata cioè con l’unico linguaggio che mi è familiare, quello delle parole.

    Siamo i due apripista.
    Magari altri blogger avranno voglia di raccontare il proprio vissuto, ricorrendo, naturalmente, al loro linguaggio: pittorico, musicale, video ironico…

    • Ti capisco. Io l’anno scorso ho scritto addirittura un saggio dando seguito al filone di «narrativa di preparazione». A cosa? All’Inizio che presto succederà alla Fine della Storia. Ho pensato che Nell’Era delle menti obnubilate dalla tecnologia raccontare storie NON fasulle poteva essere un atto profondamente rivoluzionario, capace persino di contraddire l’attuale processo di disgregazione.
      I giovani automi sanno come l’umanità è arrivata al punto in cui si trova? No. Hanno consapevolezza del cammino percorso? No. E allora cominciamo daccapo, dalla Storia delle Origini, che raccontata a «discendenza sfalcata» (nonni-nipoti) può colmare qualche lacuna.
      Dopotutto l’Inizio e la Fine di un percorso si assomigliano.
      L’azione rappresenta senz’altro un valore aggiunto per quanto riguarda l’apprendimento, ma infrange anche uno dei tabù contemporanei: la vecchiaia, collocata nel regno degli hobby anziché nel tempo della lentezza e delle produzioni di qualità. Tu continua a raccontare, e molla i sogni ai tuoi nipoti, a ognuno la sua parte.

  • Piero la tua capacità di essere allo stesso tempo dolce e tecnico nelle predizioni mi affascina e mi fa sentire contento della scelta che hai fatto nel darmi la tua amicizia di fratello maggiore. Io cerco negli spiragli di luce del futuro, attendendo segnali dal mio intuito, tu sembri passeggiarvi. Io cerco ponti con i miei nipoti, invento giochi, scrivo libri di fiabe, ma mi sembra una scalata tecnica, tu hai una congenita autostrada di semplice affettività che già ti unisce alla piccola Elisa. Tranquillo, la vedrai leggere e scrivere e comporre poemi, e magari suonare il tuo pianoforte a coda di cui ignoravo l’esistenza, ce ne sarà tutto il tempo.

  • Bello, Rita e Adriano, almeno ogni tanto liberarci dal mondo della politica e parlare di noi, dei nostri affetti, delle nostre debolezze, dei nostri nipoti.
    Non ho nulla, Rita, da insegnare alla mia Elisa: ho solo espresso l’auspicio che “la sua generazione” riesca a fare meglio di noi (forse, non ci vorrà molto). Lei, quando sarà grandicella, sarà libera di scegliersi la sua vita.
    Leggo che tu, Adriano, avendo dei nipotini più grandicelli, arrivi a scrivere anche dei libri di fiabe e a inventare dei giochi per loro: chissà se io ne sarò capace. Ma ognuno, Rita, Adriano e io, prova a esprimere il suo affetto come gli viene spontaneo.
    Il mio cruccio è che sono già troppo avanti negli occhi per vederla grandicella.
    Ma la vita è una ruota: i nonni se ne vanno (ho scritto alla mia Elisa che quasi sicuramente che allora sarò diventato una… stella piccola piccola) e i figli e i nipoti scriveranno la loro storia.
    Una confessione: mi ha fatto bene, tanto bene (all’anima) scrivere questa lettera. E’ stata un’occasione per guardarmi dentro e guardare fuori di me con altri occhi.

    • Piero, obiettivamente, mica per darti sostegno, ci sono tutte le premesse per cui tu possa seguire Elisa almeno fino agli studi superiori. E poi tut ti vedi come una stella, io lascerò un buco nero!

  • Tu, Adriano, hai un’umanità straripante.
    La mia è molto più contenuta.
    Ma ognuno è se stesso, con le sue luci e le sue ombre.
    Mi sono messo nell’ottica di una ragazzina delle medie: da qui l’immagine di una stella piccola piccola, quasi invisibile (visibile solo… con gli occhi del cuore)..
    La tua, sì, che sarà visibilissima!

  • Una domanda, Ivano.
    Tu sei un artista: non sarebbe una bella cosa che tu lasciassi, di questa nostra stagione attuale, una memoria pittorica?

    Se ti può interessare, in un gruppo WhatsApp a cui partecipo, si sta progettando una mostra ad hoc a Locarno.
    Noi di CremAscolta siamo più… casalinghi, ma perché non realizzare qualcosa di bello?
    Io mi sono limitato a usare il mio linguaggio di parole, ma tu hai un alltro linguaggio molto più incisivo.

  • Caro Piero, ringrazio, ma io non aderisco preventivamente. Le commissioni, diciamo, non sono un frutto spontaneo. Soprattutto in un momento come questo in cui ci vorrà del tempo per metabolizzare quanto accaduto. Il risultato o partecipazione sarebbe un po’ la narrazione di quanto sta accadendo e non andrebbe oltre la cronaca. Anche se difficilmente questa epidemia porterà chissà quali stravolgimenti dentro di noi. Io credo che dopo questa esperienza non saremo né migliori né peggiori, saremo solo rafforzati in quello che siamo: il cinico sarà più cinico, lo scettico più scettico, il solidale più solidale e via discettando. Io ormai non dipingo da anni e ancora non vedo questa necessità, a conferma forse di quanto vado pensando. Anche se non escludo che qualcosa possa accadere. Se mai succedesse, e vedessi in me un uomo nuovo, e se fossi ancora in tempo utile, credo che potrei accettare il tuo invito, anche se questa frammentazione di iniziative, ricorda che avevo proposto un album di fotografie di Crema deserta, seguita da una bella descrizione di Marino del suo paesaggio domestico, non ha avuto sviluppi, almeno qui. Eppure una sintesi si poteva cercare. Poi è arrivato il Centro Galmozzi, poi è arrivata Anna, poi la tua lettera a Elisa, adesso arriva Locarno dopo che sezioni di giornali tutto questo l’hanno già documentato con tutte le forme espressive, dalla fotografia ai video, ai concerti in streeming, alla pubblicità dedicata. Per dire cosa alla fine? Semplicemente che mi ci vorrà del tempo per ricominciare a dipingere, per uscire da questo vuoto creativo. Leggevo qualche giorno fa un’intervista ad uno scrittore che raccontava che dall’inizio dell’epidemia non era più riuscito a scrivere una riga. Io non scrivo “righe” da anni. Grazie.

  • Grazie, caro Piero, per questa che è una lettera a Elisa ma, mi sembra, anche un messaggio a tutti noi.
    Quello che hai scritto è un esempio di grande dignità, di notevole misura, di prudente speranza.
    Devo ammettere che mi riconosco poco nelle tue aspettative sul grido dei poveri e sulla solidarietà, come in altra sede ci siamo già detti. Per tutto il resto, mi hanno molto impressionato le tante cose che ho scoperto di condividere nel tuo scritto. Tante cose che sto vivendo anch’io, quasi in comune con te, pur essendo noi materialmente lontani.
    Il vivere di nuovo ogni giorno, così tanto, con la propria moglie, essendo i figli già grandi e fuori casa. Un tempo prezioso, alla nostra età. Un tempo ritrovato.
    Il sentirsi un po’ colpevolmente trincea dorata e privilegiata, dietro una linea del fronte su cui ogni settimana abbiamo perduto persone care, in famiglia o tra gli amici. Una trincea abbastanza in retrovia, protetta e vigilata, mentre dalla prima linea continua ad arrivare l’eco d’una battaglia tutt’altro che vinta.
    Lo scoprire nuove cose, nuove attività, nuovi modi di essere e di fare. E nel frattempo perdere abitudini e situazioni non essenziali se non anche inutili o persino dannose. Pensare. Riflettere sull’essenziale e prepararsi al dopo, quando metteremo in pratica quello che abbiamo imparato, scegliendo e scartando, cancellando con un frego di penna parecchia roba e gente, per dedicare il tempo opportuno a ciò che merita e a chi lo merita.
    Il disintossicarsi, fisicamente e mentalmente, dai veleni. Quelli noti e quelli sottotraccia. Certe animosità, certi rancori, certe biliosità. Riconoscere le cose avvelenate e nocive, le persone velenose e dannose, le situazioni contaminate e pregiudizievoli. E liberarsene. Vade retro. Rien ne va plus. Game over.
    Anch’io, come sai, ho una nipote. Spero la prima di molti. Il futuro. L’ho vista due mesi fa, aveva otto mesi e ora ne ha dieci. Anch’io come te sono un buon soldato. Rispetto la disciplina, la bandiera. Mantengo le consegne, senza sceneggiate. Io e mia moglie sappiamo che lei sta tentando i primi passi, forse anche i primi accenni di parole, però non siamo con lei. Non è in Germania, è molto più vicina, in campagna coi suoi genitori. Ma certe lontananze prescindono dal chilometraggio.
    Grazie, Piero, per questa boccata di ossigeno su CremAscolta. Perché oltre all’ossigeno in terapia abbiamo imparato in questi mesi che anche altri ossigeni ci sono necessari.

  • Piero, siamo quasi “gemelli”, come permanenza sul pianeta, e allora, chissà che non accada che diamo luogo ad una “stella doppia”, quando giungerà quel momento; per me sarebbe davvero un bella, fascinosa prospettiva (che proietto parecchio avanti nel tempo neh, intediamoci!), chennedici?
    Quanto alla tua lettera alla nipotina, Elisa ha ……”na fortuna de niente”, ad avere un “Opa Piero” come te!!!!
    Big abrazo

  • Ti ho solo solleticato, Ivano.
    Non volevo coinvolgerti in mostre collettive (c’è un team che la sta organizzando), ma solo darti una semplice spinta a lasciare una traccia della tua arte.
    Ma è naturale che l’arte deve avere una… ispirazione (come si diceva una volta) e quindi non si può… commissionare.

    • Scusa Piero, non volevo essere maleducato. Difatti ti ho ringraziato per aver pensato a me. Solo che come altre volte sono partito in quarta finendo col raccontarti del mio rapporto conflittuale con quello che avrei voluto, da giovane, diventasse il mio lavoro. Cosa che non è stata. E va bene così. Per questo sono sempre abbastanza critico nei confronti della dinamiche tipiche del mondo dell’arte, parola grossa e spesso usata a sproposito, alle quali un tempo mi sono adattato, ma che ora non faccio più. Senza mai escluderlo del tutto come possibilità. Per questo, se mai concludessi qualcosa, non avrei problemi a contattare il tuo gruppo. Grazie ancora.

  • Grazie, Pietro. Mi fa piacere che anche tu abbia condiviso il tuo vissuto (personale e familiare).
    Una volta tanto – e questa poi è un’occasione unica – è il caso di liberarci dalle… tenzoni politiche e mettere in… comunione la nostra intima umanità, le nostre scoperte che abbiamo fatto in questi giorni di clausura (o di bunker dorato), la riscoperta dell’essenziale, la ritrovata gioia di stare insieme. E poi… la lontananza anche per te della nipotina, il non poter esserle vicina in una tappa importante della sua vita come quella dei primi passi.

    Leggo, come te, diverse interviste in questi giorni e vedo con piacere che il privato diventa pubblico (il privato “buono” – non quello – mi dicono dei social), i nostri sentimenti, le nostre emozioni.

    La tragedia ci sta dando una lezione.
    Il “grido di poveri” – l’auspicio che esprimo in chiusura della lettera (come sai, ho citato la Laudato si’), forse continueremo a non ascoltarlo, mentre ho più fiducia che ascolteremo con più attenzione il “grido della terra”.
    Ho la sensazione, infatti, che i tempi siano più maturi (anche se nell’ottica di papa Francesco sono profondamente intrecciati).

    • Grazie a te, caro Piero. Davvero, “la tragedia ci sta dando una lezione”. Variabile, chi più chi meno. Ma si avverte, almeno nella media.
      E poi, non se ne può più di polemiche, recriminazioni, veleni. Un continuo denunciare, lamentarsi, seminar discordia.
      Non so quanto saremo capaci di metterla a frutto, ma questa è veramente, hai proprio ragione, “un’occasione unica”. Per la nostra generazione, forse proprio l’ultima.

  • Grazie, Franco, per la tua attenzione.
    Hai sempre… brillato tu e brillerai (il più possibile lontano nel tempo) anche lassù.

  • Ciao Piero sono Claudia, la ragazza di uno dei tuoi tanti nipoti, Andrea. In questo momento difficile, mi hai regalato una grande emozione nel leggere questa breve testimonianza. Elisa si ricorderà di suo nonno Piero e di quanto era speciale. Grazie per avermi fatto commuovere, le tue parole sono preziose più di quanto tu possa credere. Aspettando di poter rientrare nella mia casa cinese, vi mando un abbraccio d’amore, sperando di rivederci presto, a te e a Raffaella.

  • Un’occasione, Pietro, che non possiamo permetterci di perdere.
    Un’occasione, come scrivi tu, per riscoprire l’essenziale (e come scrive bene Patrizia de Capua col splendido saggio letterario-filosofico che ha pubblicato sul sito del Caffé filosofico), per riscoprire la nostra “comune fragilità umana” e la nostra responsabilità nei confronti delle future generazioni e per capire che solo “insieme”, unendo tutte le energie intellettuali, al di là di maggioranze e opposizioni, al di là di egoismi nazionali (prima gli italiani, prima gli olandesi, prima i tedeschi, prima i finlandesi, prima gli austriaci…).
    L’occasione per renderci conto che siamo tutti sulla stessa barca (che non sia un semplice slogan).

  • Grazie, Claudia, per l’attenzione che hai dedicato a delle sensazioni di un nonno.
    E’ un momento difficile, questo, per tutti, ma è anche un’occasione per riscoprire emozioni,la nostra autenticità, la nostra genuinità.
    Se tu ti sei commossa per la mia lettera alla nipotina, io mi sono commosso per la vostra (tua e di Andrea) iniziativa di solidarietà: siete diventati un ponte tra la Cina – dove avete coinvolto i vostri amici – e Crema. Questa è un “fatto” che vale immensamente di più delle mie “parole”.
    Siete voi giovani il futuro e da come vi muovete, ci fate ben sperare.
    Io ho espresso l’auspicio che la generazione di Elisa riuscirà a fare un po’ meglio (non ci vuole molto) della mia. Voi continuate a percorrere la vostra strada, la strada della “solidarietà umana”.
    La generazione di Elisa vedrà un buon esempio.
    A presto, ma… quando?

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