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MARINO PASINI

Crema e Ferrara. Il tempo offeso Bassani e la Resistenza

Oggi vivamo un tempo sospeso, causa pandemia, ma ci sono generazioni che hanno vissuto un tempo offeso, tempi cupi. Entusiasmo e decadenza. Tempi vuoti. La piccola città di Crema, per esempio, ha vissuto una nobile storia nei tempi lontani: avuto ruolo, coraggio, spiccata personalità. Ma i luoghi possono morire, rinascere, anche diventare fossili di un tempo perduto. Crema città perse le sue occasioni; fu calpestata; derisa; e si abituò negli anni all’inconsistenza, a raccogliere le briciole lasciate dal capoluogo di provincia, Cremona, mai familiare negli affetti. Oggi, però, c’è chi paventa una speranza: con la pandemia, gli strateghi del progettar urbano si chiedono se le megalopoli, le metropoli, le città ingolfate non siano arrivate a un punto morto, e sia il caso di voltarsi indietro. E’ arrivato il tempo delle distanze: del lontano vicino, dello spazio necessario, del verde salvezza; del rimettere mano, da cima a fondo alle periferie. Questo vorrà dire che saranno necessarie infrastrutture di collegamento, per alleggerire il carico umano delle grandi città: nuovi servizi, più cultura, lavoro nei piccoli centri, meno centri commerciali e più botteghe di quartiere. Ma si potrà tornare indietro? Non credo, anche se questa epidemia ci costringe tutti davanti allo specchio, che ci piaccia o no.

Anche Ferrara, certo più di Crema, ha avuto anni di splendore, con gli estensi, la struttura urbana voluta da Ercole I°: fascinosa, un gioiello, capolavoro architettonico del Rinascimento. Città padana fin nelle ossa, di gente di pianura, fossi e fiumi e biciclette, alla fine del ‘600 cominciò a precipitare, a sfiorire: divenne luogo da spolpare: dependance, vestigia del passato. Giorgio Bassani, come quasi tutti gli studenti universitari ferraresi, ogni mattina feriale prendeva la tradotta ferroviaria che lo portava a Bologna. Quarantotto chilometri, ma il tragitto mica era veloce. Ferrara aveva una linea ferroviaria declassata, marginale. Una meraviglia di città provinciale che ormai contava nella Regione, come il due di bastoni, quando la briscola è coppe: poco o niente: spesso niente del tutto. Crema e Ferrara furono città fasciste. Di mussoliniani moderati, come Crema, gongolanti nel loro doppiopetto che protestavano con il duce, via telegramma per i pestaggi delle squadracce di Roberto Farinacci, il ferroviere del Sud che aveva messo Cremona sotto i talloni; di finanziatori generosi del fascismo agli esordi, come il conte Premoli (a cui hanno dedicato una piazza nella Crema storica). Di fascistoni piccolo e medio-borghesi come è ancora oggi Ferrara; i fascistoni, nipoti di altri seminatori d’odio ricordati da Bassani, in una sua poesia. La grande tradizione europea di fine Ottocento: le storie, le narrazioni, le poesie, l’impegno civile (Emile Zola, Flaubert, Thomas Mann, Verga), e le inquetudini del Novecento, il tempo offeso della barbaria nazifascista, hanno avuto in Giorgio Bassani uno dei suoi massimi esponenti. Bassani ha fatto da ponte, con la sua poesia narrata, da legame tra il romanzo della società industriale, il passato della grande letteratura, ai passaggi tortuosi, le aperture del Novecento. In più: la provincia italiana con le sue frustrazioni e i sogni, e le illusioni; una borghesia italica che stava già cominciando ad elaborarare, negli anni giovanili di Bassani, una mistica della guerra collegandola impropriamente agli ideali del Risorgimento. Le guerre divennero un esigenza dello spirito, che dilagò fra le menti di molti ferraresi (poi entusiastici fedeli del duce), convinti che i sacrifici, anche umani di un conflitto, sarebbero stati la prosecuzione necessaria per una nuova gloriosa Italia, pur se inzuppata nel sangue, febbricitante d’odio.

Mentre la cittadina di Crema nel secondo dopoguerra si rimise in marcia, a fatica, ormai luogo defilato, senza neppure un teatro, poche scuole superiori, mai un poeta vero che abbia saputo raccontarla, Ferrara, ben più popolata, una storia trapassata, ben più importante, di poeti, grandi, ne ebbe più di uno; eppure nessuno come Giorgio Bassani seppe raccontarla, narrarla per quello che era, per quello che è, ancora oggi. Il marchio infame della persecuzione ebraica, le morti assurde, le ombre, l’ipocrisia di una città di provincia, la gioventù spensierata, l’incanto di un luogo che trasuda bellezza, gli amori, la maturità che è tutto nel diventare uomini, gli amici, i misteri.

Impossibile per chi ha letto Bassani, girare per Ferrara senza la sua guida mentale. Ferrara senza Bassani non esiste proprio: è solo un elenco telefonico, traffico, pietra, turisti alla ricerca di un gelato o in fila per entrare al Castello, pensionati a passeggio per tirar sera e targhe ricordo e tombe e chiese. Ferrara senza Bassani è un mucchio di virgole fuori posto nello scorrere indifferente di un luogo, che invece è vivo, pulsa nel suo tempo offeso, perduto, negli scritti di Bassani. Ancora oggi (intendo prima del coronavirus, nuovo spartiacque del tempo) ci sono turisti che arrivano dall’Australia, dal Canada e percorrono Corso Ercole d’Este I° a Ferrara, una delle vie più belle d’Italia, alla ricerca di casa Finzi-Contini, la villa, il giardino: ma non la troveranno mai.  Bassani  inventò la villa dei Finzi-Contini, e ricreandola, seppe renderla più vera della realtà. La consegnò alla Storia. La vedi, la villa, anche se non c’è: il rumore delle risa sguaiate, della gioventù dispettosa e incurante del tempo, il rimbalzare delle palle da tennis, il sorriso triste di Mìcol, la massicciata con la vegetazione che trabocca sul Corso, e che nasconde un silenzioso giardino. E in fondo al Corso, la città s’imbeve d’umida campagna, il silenzio della Certosa incontra il paesaggio della pianura, anfratti dove baciarsi, il girointorno delle mura, fantasmi che ancora  popolano Ferrara seduti sulle panchine, come Geo Josz. “Nell’agosto del 1945 ricomparve a Ferrara, unico superstite dei centottantatre membri della Comunità israelitica che i tedeschi avevano deportato fin dall’autunno del ’43, e che i più consideravano non senza ragione sterminati tutti da un pezzo nelle camere a gas, nessuno, in città, da principio lo riconobbe. Non rammentavano chi fosse, a dire il vero”.

Giorgio Bassani, quando scrisse il suo “romanzo di Ferrara” viveva a Roma, lontano dalla provincia amata e da cui fu respinto, cacciato, come un appestato. Eppure, stando lontano da Ferrara, per Bassani è stato l’unico modo per poter raccontare la sua città, gli anni della sua formazione, il tempo offeso, perduto, i fantasmi, i partigiani fucilati, un podestà ebreo fedele al duce, un luogo di grande bellezza violentato dalla stupidità, la crudeltà, dal passato che cancella, ma non le ferite. Il silenzio atroce degli ultimi anni di vita di Giorgio Bassani. Una città dove i fascistoni non se ne sono mai andati via, che ancora la scorazzano, ne fanno preda, nel silenzio dei suoi monumenti, l’incantevole storia, l’ombra di Geo Josz che bussa alle porte, che tira la giacchetta, che rovescia i bicchieri e disturba i tavoli della grassa borghesia di oggi, padrona di Ferrara.

MARINO PASINI

24 Apr 2020 in Bellezza

15 commenti

Commenti

  • Un vivo apprezzamento per il tuo testo, caro Marino.
    Ho avuto modo di conoscere la Ferrara “bassaniana” non moltissimi anni fa, dopo le precedenti consuete “gite” ai tempi della scuola e i successivi approfondimenti dell’età adulta. Durante queste ricognizioni “finzicontinesche”, ho conosciuto Luciano Meir Caro, grazie a una comune e bravissima amica di Crema. Complimenti per quanto hai scritto oggi su questo blog. Soprattutto perché domani per gli italiani è una data importante. Anche se, lo devo ammettere, se mi fossi trovato a Crema nei giorni della Liberazione, magari per spirito legittimista e conservatore, forse sarei finito a essere il quinto al campo sportivo, e forse l’unico a meritarlo, di certo più degli altri, di una di loro in particolare. Davanti alla mia porta di casa c’era una lapide rimossa in quegli anni perché forse (non ne sono così sicuro) anche i martiri non sono tutti uguali, dopo ‘a livella.
    Solo una precisazione, però, caro Marino. La vecchia “piasa Sulada”, in lingua nobile “piazzolo della Solada”, è diventata una piazza più grande, anzi una piazza vera e propria e non solo un “piasòl”, perché nel 1855 il conte Carlo Premoli vi fece demolire alcuni suoi corpi di fabbrica e poi donò l’area di risulta (dopo qualche vicenda successiva) al Comune. Un altro palazzo Premoli (oggi Pozzali) l’orna signorilmente a ponente. Il nome viene da questa importante famiglia cremasca, ancor oggi esistente. Il conte Antonio Premoli non c’entra. Scusa la pignoleria, tipica del cremasco non d’importazione, ma sai, ci conosci, noi vecchi “andegari” cremaschi a determinate cose ci teniamo. In risposta a certa storiografia locale non sempre equanime, sul conte Antonio Premoli ha scritto un bell’articolo Guido Antonioli, su Insula Fulcheria del 2017. Si tratta di un autore che, quando svolge ricerca d’archivio e realizza i suoi studi storici, riscuote il mio rispetto e la mia stima.

    • Pietro ti ringrazio, la tua risposta è solida e ricca di annotazioni sulla città di Crema che conosci, certamente, meglio di me. Ti segnalo soltanto che tempo fa, in un’altro “pezzo” dedicato al fascismo nella provincia di Cremona ho citato una lunga serie di testi, di ricerche dedicate all’argomento.
      Non sto a citarli tutti, ci mancherebbe, ma a proposito del conte Premoli, Ercole Premoli (poi di altri Premoli, Carlo, Antonio non so nulla) quale finanziatore generoso delle squadracce fasciste, le fonti sono tante e tutte autorevoli. Da Mimmo Franzinelli “Squadristi: Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922”, ed. Feltrinelli 2003; a Francis J. Demers “Le origini del fascismo a Cremona”, ed. Laterza 1979; a Ugoberto Alfassio Grimaldi e al cremonese Gherardo Bozzetti “Farinacci il più fascista” ed. Bompiani 1972, che cita lo studio di Maria e Giuseppe Strada “Il fascismo in provincia. Nascita e caduta del fascismo nel Cremasco e nell’Alto Cremonese (oddio, dov’è l’Alto Cremonese? Immagino quanto si sollevi da terra: forse qualche millimetro….) ed. Coop. libraria L’Albero del Riccio 1975.
      Questo articolo è dedicato a chi ha combattuto per la libertà e la democrazia di tutti, anche dei fascistoni di ieri e di oggi; alla memoria di Giorgio Bassani, e a Paola Bassani, figlia di Giorgio, docente universitaria in Francia, presidente della Fondazione Bassani, che non è a Ferrara (non a caso) ma a Codigoro.
      Ho conosciuto altri Premoli, i discendenti, un maschio, alto, malinconico, molto simpatico, professore di matematica; Costanza Premoli professoressa di francese; anche Marinella Premoli, insegnante di ragioneria. Li ho avuti tutti e tre alla scuola delle Segretarie di Piazza Trento e Trieste. Con Marinella ho avuto anche sostegno nelle ripetizioni a causa sua, nel Palazzo, di ragioneria, di cui non capivo niente, era una tortura. Mi salvai alla Maturità che raggiunsi con i corsi serali a Lodi, copiando parte della Partita Doppia nel compito d’esame.

    • Chiusa informativa finale finale per ….palati fini.
      Bravo Pietro…..al solito, la classe nn è acqua!

    • Caro Marino, guarda che “Cremasco e Alto Cremonese” era una delle definizioni usate allora per indicare il territorio assegnato alla 1ª Brigata in modo più completo. Infatti, la zona assegnata comprendeva quasi tutto il cremasco ma anche Castelleone, Soresina, Pizzighettone, Casalbuttano, Azzanello e altre aree limitrofe. Dico quasi tutto il cremasco perché Rivolta d’Adda, Spino d’Adda, Pandino, Dovera e altre fasce a ovest erano sotto comandi partigiani lodigiani o milanesi. La 1ª Brigata sarà poi chiamata Brigata Follo, dopo l’uccisione di Francesco Follo. Il Raggruppamento Brigare Garibaldi Ferruccio Ghinaglia comprendeva quattro Brigate. Oltre alla 1ª Brigata Follo c’erano la 2ª Brigata Cerioli, la 3ª Brigata Ruggeri e la 4ª Brigata Ghidetti, distribuite nel territorio provinciale (a volte si trova la Brigata Follo citata come 4ª ma dopo alcuni chiarimenti a livello di Raggruppamento Brigate fu normalmente numerata come 1ª). Il Diario Storico della Brigata, presso l’Archivio di Stato di Cremona, è fonte di informazioni fondamentali per studiare quegli avvenimenti. Il Comandante della Follo era Rinaldo Bottoni (“Sandro”) e il Commissario Luciano Vettore (“Marco”). Le principali attività di contrasto all’occupante da parte della Follo avvenivano soprattutto a est e a sud del cremasco, nelle zone di Romanengo e Soncino, nelle aree intorno a Castelleone e Soresina o in altri luoghi come Pizzighettone, Casalbuttano e la fascia lungo l’Oglio. Quando le cose a Crema si mettevano male, i partigiani veri che c’erano in città (pochissimi) si rifugiavano a Casalbuttano oppure presso uno dei primi partigiani del cremasco, Attilio Maffezzoni, a Romanengo, sul Pianalto oppure giù verso il Civico. Da poco tempo i resti di Maffezzoni, testa caldissima e coraggioso come un leone, sono stati riesumati per scadenza dei termini dalla tomba nel cimitero di Romanengo. Quando vado al Naviglietto, passo dalla via intestata a lui e ogni tanto penso a quei tempi.

  • Visto che siamo in tema di conoscenze, ricordo anch’io uno dei rampolli della famiglia Premoli: Gianfranco (se non mi sbaglio), un amico sincero, un giovane fine, educato, senza puzza sotto il naso.
    Un caro amico che un incidente stradale si è portato via.

    • Si padron Piero, Gianfranco, fratello minore di Momolo, per gli amici Chicco, squisita, intelligente, sensibile persona, alla quale non potevi non voler bene.
      Grazie per avermelo ricordato, sarà nei mie pensieri stanotte prima di addormentarmi!

    • Piero è lui: è Gianfranco il Premoli il professore di matematica, se ben ricordo, alto, fine, delicato, l’andatura un pò spersa nelle nuvole, un tipo che mi stava un mucchio simpatico, l’aria malinconica, deceduto in un tragido incidente stradale. Certo lui, con quel fare fine, pieno di pudore,mai e poi mai avrebbe potuto finanziare delle squadracce fasciste. Metterei le mani sul fuoco, per quel Premoli.
      Ne approfitto per ringraziare Franco per la fotografia, che mi piace assai. Sono pigro; mi vanno bene tutte, e comunque non avrei potuto sceglierla migliore.

  • Caro Marino, vedo che conosci molto bene la materia. I libri che citi li ho tutti, sono tra le letture che con molte altre ho dovuto riesumare e rivedere per un articolo che feci tre anni fa su un fattaccio dell’immediato dopoguerra. Tranne uno, sono anche poco faziosi, cosa non sempre facile in questa storiografia. Se vai all’Archivio di Stato di Cremona, sulla Resistenza in provincia, nel cremasco e nella nostra città (resistenzialmente neghittosissima, a detta dei commissari politici partigiani), puoi trovare una quantità notevole e interessantissima di documenti originali d’archivio, di sorprendente interesse. Giuseppe Azzoni, cremonese, di nota estrazione politica ma (il “ma” lo metto io, altri metterebbero un “e”) bravissimo ricercatore e studioso di queste cose, ha contribuito a dare un certo ordine sistematico e una migliore reperibilità a questa documentazione. L’ANPI ha conferito all’Archvio un suo importante fondo storico e ti assicuro che chi ha la pazienza di guardarci dentro con attenzione può trovare cose di sicuro interesse, molte delle quali poco conosciute, tanto che certe pagine di quella storia, anche per la città di Crema, potrebbero essere riscritte.
    Chiaro che parlassimo di due Premoli diversi. Tu Ercole, io Antonio. Ma di Antonio ho parlato perché a Crema è stato quello più ingiustamente accusato e perché fu il più importante. Infatti il bel saggio di Guido Antonioli si intitola “Antonio Premoli: il Podestà del buon governo di Crema (1934-1942)”. Comunque, anche su Ercole certe accuse mi sono sembrate eccessive. Ma non è questa la sede per approfondire la cosa e, ovviamente, non sarebbe la data giusta, visto che oggi la ricorrenza è di un certo tipo.
    Ho conosciuto Chicco da ragazzi, lui era più vecchio di me ma facevamo il filo a due sorelle (lui ha avuto meno fortuna). Marinella Premoli è una gran signora e ogni tanto la incontro ancora.
    In realtà, ho citato il palazzo Premoli ma si tratta del vecchio palazzo Patrini, acquistato dai Premoli solo nella seconda metà del Settecento.

    • Caro Pietro, sei una miniera d’informazioni serie e importanti. Invece di ciancare sulla fine del mondo, o punzecchiare sulle strategie che “bisognerà-mettere-in-campo”, o “portare-avanti”, contro la Troika; aspettare novità dai dischi volanti; oppure lunghe diatribe filosofiche che credo fanno scappare nuovi potenziali lettori, e commentatori del blog (che raramente superano le dieci persone fisse), come se “Cremascolta” fosse una sorta di Huffington Post due, de’ nualtre, tu e altri due o tre su questo blog sapete parecchie cose che riguardano Crema e il Cremasco, e che sarebbe buona cosa, penso, raccontarci più spesso su questo blog. E’ mai possibile che non sappiamo niente di Spino d’Adda? di Vailate; i partigiani di Capralba? Delle tante famiglie nobili che fanno di Crema una cittadina zeppa di nobiltà? Possibile che non si possa parlare della collezione d’arte Stramezzi che ha dei pezzi unici, purtroppo privati? C’è un piccolo centro storico a Crema che è un gioiello (e lo dice un amante della metropoli); con tante piccole grandi storie da raccontare. Perchè non lo si fa, praticamente mai? Su questo blog ho provato a raccontare non poche storielle, magari annoiando a morte, ma ci ho provato, e più volte ho chiesto come mai i cinquanta comuni che fanno da corona intorno a Crema e che sono il suo territorio neanche esistono su questo blog. Eppure, come popolazione, i cinquanta comuni del cremasco surclassano Crema. Che fanno? Che si fa a Bagnolo, a Vaiano? Si sta solo davanti allo schermo come in Nuova Zelanda? Guardano solo Rete 4? Oppure potrebbero essere potenziali lettori-commentatori di questo blog? Che si fa a Quintano? Qualcuno conosce la storia della fabbrica del Marchese Corti di Pieranica? Della fabbrica del ghiaccio Bonizzoni, con un Bonizzoni boy con simpatie giovanili neofasciste? E il cavalier Manenti, l’Arvedi di casa nostra che voleva l’Istituto musicale a Ombriano dove correvano i daini? Sono storie già raccontate che mi sono perso? E’ provincialismo non raccontare faccende nostre, non parlare o scrivere in dialetto, oppure è provincialismo grezzo spaccare il capello in quattro in una discussione sulla fine del mondo, in un paesone, quale è il nostro, che ha un trenino monorotaia che deve interrompere la sua corsa a Casaletto Vaprio, per far passare l’altro che arriva, come se Crema fosse un paesino scozzese, con il passingplay, lo spazio stradale per far passare l’auto che s’incrocia, mentre si discetta se dobbiamo farci buddisti o sdraiati sulla linea di Vladimir Putin.

    • Non prendertela, Marino. E mi permetto di consigliarti di non fermarti alle apparenze. Vuolsi così colà dove si puote. Conosco queste dinamiche. Direi quindi di essere grati alla Redazione per l’ospitalità e l’amichevole considerazione che ci sta concedendo su questo blog. E grazie a te per il tuo apprezzamento. Sappi che da parte mia vale il reciproco.

  • Entro tardivamente e mi limito a una considerazione urbanistica. La soluzione, chiamiamola antivirale, non è nel piccolo centro, che ha la sua bellezza proprio nel centro storico, insanabile, ma nella costruzione del nuovo centro a lato del piccolo e non in modo espansivo circonferenziale. La costruzione in verticale e a blocchi, dato il numero di abitanti della povera terra, è l’unica proponibile, ma con vaste aree-strade tipo barre spegnifuoco, in modo che il blocco infetto sia isolabile. Bruttino vero? Nessun problema, tanto nessuno farà niente.

  • In tempo di vacanza mi sono preso il tempo per ri/leggere il bel testo di Marino ed i commenti successivi e mi e’ scappata un’amara riflessione sulle ingenerose, cattive, ignoranti (etimo!) critiche al blog e alle persone, portate a piu’ riprese da Bruno Cordani questa settimana.
    Mi sono chiesto: ma quella persona legge? Sa leggere? O non vuole leggere e preferisce esercitare la nobile arte della “masturbazione” (di chi si guarda allo specchio beandosi di se stesso!)?
    Che magro godimento il suo, signor Bruno!

    • Grazie Francesco. Non ho mai detto di essere uno scrittore, perché non ho le qualità. Anche se, il colmo dei colmi, con Ena Marchi e Laura Lepri, all’Adelphi, collaborai per due anni a leggere i testi degli altri. Insegnanti, magistrati, e altri fior di ex-studenti di buone scuole. E il disprezzo che ho ricevuto, per come scrivo, mi fa sorridere. Uno “che scrive un pessimo italiano” che giudica la scrittura , la narrativa altrui. Ci rido sopra.

  • E a proposito di Crema e Ferrara. Credo, Francesco, che sono due luoghi che hanno alcune cose in comune. Una linea ferroviaria, per entrambe declassata. Le zanzare. La pianura. Il granoturco. Un passato di personalità, e un presente vivacchiando sulle belle architetture del passato. E l’odore di provincia, per noi cremaschi, rispetto a Ferrara, di provincia profonda, e che affonda.

    • Per il correttore di bozze Pasini. Si scrive “credo che SIANO due luoghi . . .”. Il sig. Pasini non sbaglia i congiuntivi solo perché ne ignora l’esistenza.

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