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FRANCESCO TORRISI

Ritorno si, ma….al futuro!

Ebbene si, il titolo che ho scelto fa il verso al celeberrimo (peraltro ormai datato, 1985!) lavoro firmato dal grande Robert Zemeckis; un po’ è un film che mi strapiace, un po’ lo vedo come buon incipit per questo ….”tornare a rivedere le stelle” di cui si stanno delineando i prodromi.

E se, fase dopo fase, ce la facciamo (come ce le stiamo facendo) ad uscire da questo incubo maledetto, quello che proprio non vorrei accadesse sarebbe ritrovarci nello stesso “mondo di prima” senza avere fatto, facilitati da questo forzato “reset” di tutto il sistema, per lo meno un serio tentativo di riconfigurarlo, questo “mondo di prima”, secondo un nuovo “sistema operativo”.

Prima di tutto l’economia (Cicero pro domo sua? Almeno in parte si!)

Si creda alla “creazione” da parte di una entità particolarmente “illuminata”, o ad una casualità ineluttabile, all’alba dell’umanità, dell’ Economia non c’era traccia.

Ce la siamo inventata noi (più o meno) “sapiens”, è una nostra “creazione” e, in quanto tale, ne siamo responsabili quanto alla definizione degli obiettivi, alla implementazioni degli strumenti con i quali lei opera, al monitoraggio e verifica in itinere dei risultati raggiunti e, quindi, se del caso, ad intervenire per gli aggiustamenti necessari.

La domanda è : quell’Economia così come si era consolidata “A.V.” (mi si perdoni l’impudenza, ma A.V. sta per Ante Virus e l’enormità dell’evento credo la giustifichi!) ripensata con la testa di chi, come tutti quanti noi, si è “fermato” per tre mesi, è strumento che serve davvero a far raggiungere un livello almeno accettabile di “ben-essere” alla popolazione del pianeta ed al pianeta stesso?

Il IV Corso di economia che abbiamo dovuto interrompere alla terza lezione causa l’irruzione sguaiata e venefica del Coronavirus, titolava “Green Economy ovvero Un’Economia Corcolare”, proprio perchè eravamo ben consci (A.V. !!!) dell’esigenza di ripensare la nostra società verso lo sviluppo di un nuovo modello economico, di possibile prosperità, che mettesse al centro la transizione verso un’economia neutrale dal punto di vista climatico, la protezione della biodiversità e la trasformazione dei sistemi agroalimentari, innescando quindi il percorso verso un nuovo modello economico più resiliente, più protettivo, più autonomo, più inclusivo.

La ripartenza che ci sta davanti è un’occasione che non dobbiamo lasciarci sfuggire di mano per introdurre nel nostro sistema economico paradigmi nuovi improntati a una nuova consapevolezza sociale e ambientale.

Lo stesso neo Presidente di Confindustria (!), il cremasco Bonomi, nel suo discorso di insediamento ha dichiarato “ …se vogliamo che l’Italia cambi, dobbiamo cambiare noi per primi, il mondo delle imprese deve trasformarsi, deve capire come coniugare economia con ecologia….”.

Strettamente legato al tema dell’Economia c’è quello delle Imprese, che sappiamo bene quanto si trovino in difficoltà causa questa sosta forzata prolungata. Ora al di la di quelli che possono/potranno essere gli aiuti, gli incentivi per sopravvivenza delle imprese A.V., nel progettare e gestire la ripresa, dobbiamo anche renderci conto che finché l’economia resterà una scienza per massimizzare i profitti, non potremo farvi affidamento per mettere a punto programmi di rilancio e ripresa basato sulla consapevolezza sociale e ambientale! Perciò, mentre le Imprese esistenti proseguiranno nelle loro attività, il Governo (auspicabilmente i Governi dell’intera EU!) dovranno creare sempre più spazio affinché le “Imprese sociali” possano far valere la loro affidabilità ed efficienza.

Questa delle “Imprese sociali” è una suggestione che prendo in prestito da Muhammad Yunus economista e banchiere bengalese (ideatore e realizzatore del microcredito moderno, un sistema oramai ben collaudato, di piccoli prestiti destinati ad imprenditori troppo poveri per ottenere credito dai circuiti bancari tradizionali, che gli è valso il premio Nobel per la pace 2006 ). Nel suo NRP (New Recovery Programme, Programma della nuova ripresa) assegna un ruolo fondamentale a una nuova forma di Impresa detta appunto “Impresa sociale”: un’impresa creata esclusivamente per risolvere i problemi delle persone, un’impresa che non crea un utile personale per gli investitori, se si eccettua il solo recupero dell’investimento iniziale. Una volta rientrati in possesso dell’investimento originario, tutti gli utili successivi devono essere re-immessi nell’impresa.

Chi sono gli investitori nelle imprese sociali? Dove si possono trovare? Sono ovunque. Non li vediamo perché i libri di testo di economia in circolazione non ne riconoscono l’esistenza. Di conseguenza, i nostri occhi non sono abituati a individuarli. Solo di recente i corsi di economia prevedono di affrontare alcune tematiche a questo proposito, quali l’imprenditoria sociale, gli investimenti a impatto sociale, le organizzazioni no-profit e così pure alcune questioni ispirate dalla popolarità globale della Grameen Bank e dal microcredito.

La Sanità . Quasi pleonastico ben consci come siamo di quanto sia stato scellerato smantellare il servizio pubblico della Sanità, in primis quello di primo fondamentale intervento diffuso sul territorio, primo responsabile di tante morti che si potevano/dovevano evitare. I focolai creatisi addirittura ne luogo preposto alla guarigione, gli ospedali, hanno dimostrato tragicamente quanto quei luoghi debbano essere rivisti nella logistica , nei protocolli, nelle movimentazioni dei malati, nella separazione netta di tutto quanto attiene agli infettivi. Affrontare decisamente da subito una seria, efficace rimodellazione della Sanità, proprio a partire da questa nostra, decantata economicamente, Lombardia, è tema di assoluta priorità. I tempi che si delineano, stante lo scellerato assalto alla natura con la deforestazione selvaggia, associato all’innalzamento delle temperature e allo scioglimento dei ghiacciai, ci promettono nuove pandemie che potremo affrontare con successo solo se, ammaestrati da questa da Coronavirus, sapremo con responsabile consapevolezza affrontare olisticamente e risolvere le emergenze che ho su delineato.

 

Da ultimo (last but not least!) un tema che tocca nel vivo (e purtroppo non in positivo per una giunta per la quale nutro grande stima!) la nostra città: la necessità di una profonda revisione dell’incidenza della grande distribuzione nella fornitura di alimentari e beni “di consumo” (bruttissima parola che però, almeno per ora non riesco a non usare!) ai cittadini. Un banalissimo esempio: quando ero bambino, abitavo in via Borgo san Pietro, e nel piccolissimo “quartiere”, attorno alla chiesa c’erano un macellaio, due fruttivendoli, tre drogherie/generi alimentari (ed “altro”), due latterie, un forno/panetteria, due negozi di abbigliamento, un’edicola, tre parrucchieri (due da donna ed uno da uomo), due bar/osteria di cui una con alloggio. Un piccolo nucleo “Cittadino” , autosufficiente (praticamente al max 100 metri, a piedi, ti potevi servire, approvvigionare nel necessario e acquistavi, magari col “libretto”, pagando a fine mese!). Ovviamente dietro ad ognuno di quegli esercizi commerciali c’era una famiglia che ne traeva utile sostentamento anche economico!

Oggi, nello stesso “quartiere”, resiste un solo (dicesi, 1!) unico esercizio di vendita al dettaglio di pane/generi alimentari! Tutto il resto è scomparso, cosi’ come è scomparso qualsiasi barlume di “vita di relazione” nel piccolo quartiere! In compenso la città è pervasa/circondata da un nugulo di market, super, iper ed il numero non accenna a fermarsi, anzi!

Certo la spinta al consumo, diritto dovere di un “cittadino” trasformato in “consumatore”, esercitata con enne mezzi informatici, mediatici e non, è ben altra e il “pellegrinaggio” al super/iper/ mega è atto dovuto da esercitare cmq, a dispetto di effettive necessità, ovviamente supportato dalla fedele automobile!

 

Ora, mi/vi chiedo: siamo disponibili a affrontare seriamente, nel profondo delle motivazioni, animati da un nuovo spirito, dopo il reset da Coronavirus, vecchie “abitudini” economico/sociali, pur del tutto insoddisfacenti nei risultati tangibili reali, alle quali però ci eravamo assuefatti a ciò convinti, da organizzazioni magari sovranazionali, magari mondiali alle quali faceva profitto che ciò avvenisse?

Credo che ai giovani, ai nostri figli ai quali stiamo consegnando un avvenire per lo meno imbarazzante quanto a prospettive non solo di ( non) crescita ma anche solamente di sopravvivenza, il nostro impegno ad un cambiamento radicale, sia atto dovuto!

E allora, la ripartenza in uscita dal Coronavirus, per il “D.V.”, che sia …. “Ritorno al futuro”!

FRANCESCO TORRISI

11 Mag 2020 in Senza categoria

84 commenti

Commenti

  • Analisi superba CR Torrisi!
    Così vasta che va analizzata a piccoli tratti. E partiamo dall’economia in senso lato, che poi tu declini in casi particolari. Bene, i fatti hanno insegnato ai cacciatori di profitto che la loro azione ha causato l’emergenza, sì, ancora in corso nonostante i miei buoni auspici. Bene, tuttavia far capire che non si tratta di una singolarità, ma di un evento destinato a ripetersi a ritmi crescenti di frequenza, causa scongiuri. Piero, ma è solo un esempio, in altra sede ricorda lo scioglimento del Permafrost, che contiene virus del passato pronti a riattivarsi. altro che cospiratori e laboratori!
    Ma gli struzzi, e fra questi i negazionisti, colpevoli quanto quelli del nazismo, ci sono di intralcio.
    Resta il fatto che questi signori a caccia di profitti legittimati dal libertarismo vanno a caccia di fallimenti: far soldi così è autolesivo e distrugge tante vite.
    Facciamoci allora delle domande: Borgo san Pietro che fu può tornare com’era?
    Le bottegucce gestite da orientalii a mlano si affiancano sempre più, e qui? Lo so, rendono sulle detrazioni fiscali, e allora?
    Le risposte vanno poi cercate nel concettto di una nuova individuazioni di limiti invalicabili. Come prer i bambini: “ho detto non si può!”
    Un mondo tornato bambino, abituato a nutrirsi di lecca-lecca, ha bisogno di autorità, purtroppo, ma di autorità basata sull’interconnessione, che generi un’autorità sana, scevra dal concetto malato dell'”uomo forte”.
    L’autorità della democrazia che trovata la via migliore la segue senza tentennamenti.
    Spero che seguiremo questo filone con proposte, non tanto discussioni, sterili diatribe, ma proposizioni!
    Ricordate la Cremascolta migliore che fece arrivare il proprio documento sul fine vita sui tavoli di Roma?
    Questa è la nostra mission!

    • Condivido il tuo auspicio, caro Adriano. Come commentatore saltuario e spesso disattento, non posso che lasciare a chi di competenza, in primis a voi del Consiglio Direttivo, la valutazione su quale sia “la Cremascolta migliore”, per usare le tue parole, nel senso da te indicato tempo fa con la locuzione “dove va il blog”.
      Vedo comunque che di recente torni piuttosto spesso su questo aspetto: la “mission”, i “consensi” e “la gente” che non ho capito dove scappi, rivolgendoti, immagino, anche a noi che ogni tanto commentiamo. Mi sembra più che giusto da parte tua, visto che nel tuo ruolo sei responsabile di diverse cose, a partire dal “branding”.
      Mi permetto solo di aggiungere (e ti prego di perdonare i termini non italiani) che a volte i risultati non vengono solo dai feed-back bottom-up ma anche dai feed-forward top-down, come già ebbi modo, molto sommessamente, di dirti, con linguaggio alquanto “doroteo”, alcune settimane fa.

    • Le botteghe di Borgo San Pietro, caro Adriano, non so se torneranno. Borgo San Pietro è uno dei pochi quartieri dove non ho abitato a Crema. Ho vissuto a Crema centro, Ombriano, Crema Nuova due volte, Castelnuovo, Via Bramante, al Pergoletto due volte, nel quartiere di “S.Trinita” (S.S.Trinità), Viale Repubblica, San Benedetto. Anch’io ho preso l’abitudine di frequentare la grande distribuzione per vari motivi; preferisco acquistare le cose che servono tutte assieme, e mi limito ad andare dal panettiere quasi ogni giorno. Quando avrò disponibilità finanziaria (perchè i dipendenti privati non hanno la fortuna dei dipendenti pubblici che sono protetti e la loro liquidazione è blindata e sicura, mentre a quelli privati può capitare un fallimento di mezzo e i tempi per riscuotere quanto è dovuto a loro diventano lunghissimi: trascorrono anni e anni come attimini); allora cambierò le mie abitudini e sosterrò le piccole aziende di produttori alimentari di qualità. Adesso è un lusso che mi posso permettere solo di tanto in tanto. Insisto nel dire, fino alla noia, che ogni discorso parte sempre dalle esperienze personali e dal portafoglio personale che non è lo stesso per tutti. Una faccenda spesso dimenticata. Questo vale anche per chi ciancia di liberalismo e capitalismo; di queste persone mi piacerebbe sapere che vita hanno fatto, quanti soldi hanno in banca o in posta, se hanno ville, appartamenti di proprietà e quanti, se i loro genitori erano squattrinati o avevano o hanno un bel stipendio. Prima di cianciare di certe faccende, mettere le carte in tavola aiuta a capire, e magari, non a parlare a vanvera. Magari, se si vuol parlare di politica, cosa di cui molti si divertono a farlo, come altri giocano a ramino, sono credibili solo se svuotano le tasche e dicono chi sono e da dove vengono (ma sul serio, non all’italiana). Sennò, ascoltare loro o ascoltare la pioggia, direi che è meglio la seconda cosa.

    • A San Pietro, Marino, ci ho fatto le elementari col maestro Martelli, invece mio figlio e mia figlia ci avevano maestre femmine. Al negozio davanti alla scuola si compravano le bustine con la farina di castagne. Il mio migliore amico era Beppe Bettenzoli, uno giusto, di quelli che, già da allora, non tradiscono. Mi è sempre piaciuta San Pietro, tante cose, tanti affetti, tante risse e avventure, i dispetti alle bambine delle Ancelle, poi una l’ho sposata, e la foto a fine anno, la nostra banda in ultima fila sulla panca, ben al centro, spalla a spalla. Fine dell’amarcord.
      Marino, hai ragione a dire che prima di dialogare bisognerebbe presentarsi, senza millantare. È vero, sapere bene con chi si ha a che fare evita certe ingenuità e credulità, oltre che prese in giro. Però guarda che a Crema si sa tutto di tutti. Per cui, non credo che, per poter condividere en passant et pour divertissement qualche pensiero su questo blog, sia necessario fare tra noi outing di ceto, di censo e di lombi aviti. E poi, risalire ai redditi e alle rendite di genitori e nonni si potrebbe anche fare ma sarebbe tremendamente grossier, nest-ce pas?
      Comunque, tranne forse che in un caso o due da accertare meglio, qui ci si conosce tutti: lo sai che siamo una piccola tribù in un piccolo villaggio. And proud to be. Calcola che qui ci si conta sulle dita di due mani, al massimo aggiungendo, in determinate circostanze, quelle dei due piedi.
      Ci aspetta, Marino, un’impresa molto difficile, quella di contribuire, ciascuno per quanto può, a rimettere in piedi una nazione in ginocchio. La più bella nazione del mondo. E non sarà continuando a sputare nel piatto in cui mangiamo tutti i giorni, o addirittura in quello dei nostri vicini, che riusciremo a farcela. Ma ce la faremo.

  • Non so, caro Francesco, se questo tuo tentativo di raddrizzare la barra del timone avrà seguito.
    Mi permetto però, comunque vada, di dirti che apprezzo molto questo tuo rimettere al centro i temi dell’economia reale, dell’imprenditoria, della sanità, del commercio, dell’ecologia.
    Sono argomenti che si possono affrontare analiticamente e quindi con un certo approfondimento, senz’altro meritato. Vediamo come si mettono le cose.
    Per adesso, mi limito a dirti che condivido pienamente il fatto di una costruzione del nostro futuro che tenga conto degli insegnamenti di questa drammatica pandemia e quindi l’impegno a uno sviluppo della nostra società che possa trasformare gli errori di ieri nelle opportunità di domani. Ovviamente, per fare ciò, occorre guardare avanti, non indietro. Soprattutto, a un avanti possibile, non a un indietro inventato, a un futuro realistico, non a un passato fantasy & fiction.
    È vero che historia magistra vitae, che senza buone radici non ci sono buoni frutti, che siamo nani sulle spalle di giganti, eccetera eccetera. Ma credo che oggi valga la pena di alzare lo sguardo dalle nobili ghette e tirarsi su le maniche, chiedendoci “che fare” invece di “come disfare”. Penso che questo sia il momento del coraggio e dell’impegno, non del malanimo e del veleno, il momento degli uomini di buona volontà, non dei seminatori di zizzania, nell’economia reale, nell’imprenditoria, nella sanità, nel commercio, nell’ecologia. Coi piedi per terra, realisticamente. Anche e particolarmente in politica. Altrimenti, soprattutto qui in Italia, continuando a insultarci, ingiuriarci, offenderci e sputarci addosso, cadremo dalle spalle di quei giganti, restando ancora più nani. Oltretutto, “forse nell’ombra già si aggirano giganti, che ancora ignoriamo, pronti a sedere sulle spalle di noi nani”.
    Grazie, Francesco. Vediamo come butta.

    • La tua pacata, ragionata, saggia approvazione, mi rincuora Pietro!
      Il “che fare” invece di “come disfare” è anche il mio di approccio e, almeno …. sem bèle ‘n dù!!!

    • Ci capiamo

    • Perfetto
      e affermo che chi “si porta avanti” verso le visioni del futuro non ne avrà un ritorno sull’onda lunga, ma, dati i tempi del rinnovamento tecnologico attuali, molto più in breve del passato.
      Ad esempio, l’Italia, paese sempre dinamico nonostante i denigratori, ha una quota di energia rinnovabile di tutto rispetto 40% circa!
      Attualmente viene a coniugarsi e risolvere il problema di stoccaggio delle rinnovabili la produzione e utilizzo di idrogeno, secondo lo schema corrente – idrogeno – corrente.
      Ma l’Italia è anche più avanti di altri stati nell’utilizzo dell’idrogeno per usi domestici e piccola industria, mediante la miscelazione diretta negli impianti a metano, per ora che mi risulti in Basilicata al 7%.
      Quest’energia che costa un po’ di più viene a coniugarsi con un’altra eccellenza italiana, per giunta proprio cremasca: l’esperienza di stoccaggio sotterraneo, per ora ad uso metano, ma già in programma anche per l’idrogeno, di cui la STOGIT è leader europea.
      Di più: la prima applicazione dell’idrogeno come combustibile per motori non riguarda sulla vasta scala le autovetture, ma i veicoli da carico, e l’Italia con i suoi porti e la sua posizione centrale nel Mediterraneo fornendo un servizio di distribuzione del gas potrebbe avere una posizione di enorme vantaggio sull’acquisizione di rotte commerciali e scali. Chi si gioca questa carta non rende solo un servizio all’ambiente con l’impatto zero, ma si impone anche come capofila e si spiana il terreno per un futuro che ci corre incontro.

  • Leggo sulla pagine 14/15 del “Fatto Quotidiano di oggi”, settore esteri, un’Inchiesta che titola:
    “Se il Covid fosse un’occasione”.
    Gli autori, Laurence Scialom (economista dell’università Paris-Nanterre, tra le fondatrici del collettivo EconomiX) e Baptiste Bridonneau, (dottorando alla stessa facoltà) , prospettano un nuovissima, radicale ipotesi alla EU: se la Banca centrale europea accettasse di cancellare il debito degli Stati (facendo utilizzare direttamente agli Stati stessi questi soldi) per dar loro più ampi margini di manovra, a finanziare la transizione ecologica?
    La proposta è stata illustrata anche sul quotidiano Le Monde!
    Qualche suggestione dall’articolo: “…..i livelli di debito pubblico oggi sono così elevati che vincolano ogni investimento futuro. Di qui la necessità di lavorare sulla ristrutturazione del debito pubblico…..Cosa accadrebbe se la Bce rinunciasse al denaro che gli Stati le devono e dicesse loro di usarlo per gli investimenti? ….condizionare le cancellazioni dei debiti agli investimenti pubblici è meglio. Si rilancia la domanda pubblica: quale governo non avrebbe voglia di investire a fronte di una cancellazione del debito per lo stesso ammontare?…..Il Parlamento europeo potrebbe stabilire dei settori prioritari in cui investire perché, anche quando a investire sono solo i paesi che beneficiano della cancellazione del debito, tutti ne traggano beneficio.”
    Mi pare davvero un cambio di paradigmi, che apre davvero nuove prospettive alla asfittica politica dell’EU no?

    • Non me la sarei mai aspettata! Un esecizio teorico, ma un bell’esercizio di simunlazione!

  • Un cambio di paradigmi, l’ho chiamato!

  • Già, Franco, un cambio di paradigma, di cultura, della stessa visione della vita.
    Una radicale trasformazione dell’economia non solo in termini di rispetto dell’ambiente ma anche di crescita di un’economia della cooperazione, delle imprese “sociali”.
    Dovrà essere il nostro cavallo di battaglia.
    Sarà questo, a mio avviso, il tema che dovremo dare al nuovo corso della nostra Scuola di educazione all’economia: un ponte tra la Green Economy e la nuova fase che dovremo vivere, la fase della Ricostruzione.
    Sarà dura, durissima.
    Quello che io temo è che dopo la strategia obbligata dell’helicopter money, si tornerà come prima.
    E invece no: dovrà essere lo Stato a elaborare un chiaro disegno di politica economica che preveda incentivi solo se le imprese lo seguiranno.
    Un disegno, anzi, che dovrà essere europeo: l’Unione europea ha già finalizzato ingenti risorse per una riconversione green dell’economia.
    Il rischio che vedo è che si distribuisca tanta liquidità per… lenire le ferite, liquidità che poi mancherà per la riconversione.

    • Non faccio in tempo a scriverti sulla posta che ti ritrovo in Cremascolta. Indubbiamente la tabula rasa è una grossa occasione. La tua opera di evidenziazione delle incongruenze, l’ultima ad esempio in chiave di giustizia fiscale, danno elementi di giudizio a chi non riesca a spulciare tesi idonee.
      Direi che il più grande banco di prova del momento è il tema della raccolta agricola.
      Il pomodoro non si trasforma maturando in un inscatolato da solo, quindi è il punto di giunzione tangibile fra una vecchia economia rurale e la nuova industriale, tutto sommato da promuovere in quanto verde, abbastanza, ma ancor passibile di una riverniciata di un verde più brillante, specie nella componente fertilizzanti e trasporti. Tuttavia si scontrano le esigenze proprio dello sfruttamento vantaggioso dell’effetto tabula rasa con il dato biologico della perdita del prodotto se non si fa in tempo. E il mercato cinese sarebbe ben felice di un fallimento, e a noi resterebbe lo smacco della caduta di un pilastro storico.
      Interessante allora indagare nei “fatti di casa” di un’industria come Mutti, data la sua estensione di interessi sia al nord che al sud, e probabilmente anche una diversa osservanza (senza far accuse di illegalità, per carità, uno che funziona!) della questione fiscale e regolarità delle assunzioni.

  • Noto con piacere che al piano di sotto si parla delle stesse cose. La differenziazione dovrebbe essere fra pratica e filosofia e fra provvedimenti urgenti e linee guida, ma fin quando si macinano idee ben venga l’eco.

  • Hai toccato un punto importante, Piero. Francesco ha esposto alcune riflessioni su diversi temi fondamentali e molto concreti, sui quali varrebbe la pena di dialogare in modo costruttivo. Su alcuni di questi argomenti il punto da te rilevato si sta iniziando a manifestare in tutta la sua rischiosità: l’erogazione di ingenti risorse per contenere le sofferenze sociali ma di scarsi investimenti per il riavvio di una funzionalità economica generale per l’effettiva ripresa.
    Va detto che l’urgenza è oggi quella di alleviare il disagio collettivo, laddove questo si è manifestato. Per cui, una certa prevalenza di spesa in questa direzione, nel breve periodo, è anche condivisibile.
    Ma il criterio di urgenza non coincide con quello di rilevanza. E, da subito, l’esigenza di progettare interventi massicci e robustamente finanziati a favore del nuovo sviluppo dei sistemi economici nazionali e internazionali dovrebbe forse essere maggiormente presente nelle pianificazioni di spesa italiane ed europee. Il coraggio che ci serve non è solo di budget ma anche di visione e progettualità imprenditoriale. La via è abbastanza stretta ma tutto sommato pervia. E il modello di ripresa e di sviluppo potrebbe benissimo essere implementato entro le coordinate geopolitiche attuali, per quanto alterate dagli antagonismi internazionali che sappiamo. Mi riferisco, in questo, anche all’interessante contributo di Bruno Pierri d’una decina di giorni fa (con puntuale commento di Luca Lunardi), oltre che all’incontro con lo stesso autore nel febbraio dell’anno scorso. Uscendo indenni dalle suggestioni del nuovo incombente ripescato statalismo (buona la recente obiezione di Mattia Bressanelli) e di certi neo-luddismi economici arcadico-curtensi, dovremmo riprendere saldamente in mano le politiche d’investimento a medio termine, meglio se in sinergia pubblico-privato, subito dopo le erogazioni per il contenimento del disagio sociale e, soprattutto, al posto delle recenti dilapidazioni economiche intese a favorire le note tresche elettorali a breve termine.

    • Quanto inserito in alto vale anche come risposta per te Pietro.

  • Il Forum Salviamo il Paesaggio sollecita la Commissione Europea alla salvaguardia dell’ambiente e dei suoli, di seguito il testo della lettera che il Forum nazionale ha trasmesso a Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, a Frans Timmermans, Vice Presidente Esecutivo – European Green Deal e a Virginijus Sinkevičius, Commissario Ambiente, Oceani e Pesca.
    “Egregia Signora, Egregi Signori,
    Ci riferiamo al significativo discorso che la Presidente della Commissione Europea ha tenuto lo scorso 16 aprile al Parlamento Europeo, i cui toni hanno destato un esteso coinvolgimento.
    Ora è con rinnovata attenzione che i cittadini europei attendono di trovare la conferma alla volontà e capacità di visione degli Stati membri dell’Unione Europa verso una “ripartenza” basata sull’abbandono delle strade rovinosamente percorse nel passato.
    Perché le parole della Presidente abbiano un seguito nei fatti, si dovranno stabilire obiettivi e parametri di priorità tali che il peso maggiore dell’attuale crisi sia sopportato da chi ne ha le potenzialità in modo da proteggere le fasce di popolazione più demunite e a rischio.
    A questo sforzo di solidarietà occorre affiancare l’altra priorità: la salvaguardia dell’ambiente, il cui impoverimento è da annoverare tra le concause della pandemia. Tale scopo si pone come elemento irrinunciabile e portante della diversa visione di recupero e crescita della nuova Unione Europea.
    Questi due valori di riferimento dovranno guidare le politiche di tutti gli altri settori: sanità, educazione, ricerca, commercio, agricoltura, industria, opere pubbliche.
    Riprendendo il testo del Green Deal for Europe vogliamo attirare la vostra attenzione sull’assoluta necessità di portare il suolo tra gli elementi dell’Ecosistema da proteggere.
    Per evidenziare la gravità legata alla mancata conservazione dei suoli, basta ricordare che già nel 2015 il rapporto della Nazioni Unite sulla Biodiversità indicava nel suolo la provenienza del 40% delle infezioni virali (pag. 134).
    Il Suolo non è ancora tutelato da una specifica direttiva europea ed è sempre più a rischio di degrado e di perdita. I dati più che catastrofici sulla perdita di suolo, nelle sue varie forme, sono riportati nei rapporti ufficiali dell’Agenzia Europea dell’Ambiente
    https://www.eea.europa.eu/data-and-maps/dashboards/land-take-statistics
    https://www.eea.europa.eu/it/highlights/lo-stato-dell-ambiente-in-europa
    Le Nazioni Unite hanno sottolineato la necessità di arrivare entro il 2030 ad un “mondo neutrale al degrado del suolo“ (Obiettivo Sviluppo Sostenibile n. 15). Ma l’accelerazione nel degrado è tale che a quella data – per noi relativamente vicina – la soglia del possibile recupero sarebbe già oltrepassata.
    Ecco perché segnaliamo l’importanza dell’inserimento in tutti i documenti in discussione nelle Istituzioni Comunitarie dell’obbligo immediato di arresto di consumo di suolo fertile, con la certezza che un simile indirizzo non comporterebbe in alcun modo il fermo del comparto dell’edilizia. Al contrario, questa prospettiva è l’unica a coniugare la salvaguardia di ulteriore consumo di suolo con la vastissima attività settoriale indispensabile a recuperare, migliorare energeticamente, mettere in sicurezza l’immenso patrimonio edilizio obsoleto esistente, a proseguire con le opere di ammodernamento e ristrutturazione di edifici e abitazioni in città e borghi rurali così da favorire l’adeguamento tecnologico.
    Nel ringraziarvi per l’attenzione prestata al nostro contributo, restiamo in attesa di un vostro cortese riscontro.
    Cordiali saluti, Francesca Tescari e Mario Catizzone (Membri del Gruppo di lavoro Suolo Europa del Forum) a nome del Forum Salviamo il Paesaggio .

    • Se una cosa del genere ha un futuro concreto viaggiamo nel paese dei sogni. Quanto hai picchiato su questo tasto!

  • Vi spiego il mio “ritorno al presente” ad ogni sorgere del sole.
    Perché anche se pochi lo guardano o lo vedono, il sole sorge e lo fa tutti i giorni. Questa è una premessa che mi sembra importante.

    Io sono un ingenere fallito perché mi sono licenziato da una multinazionale tedesca (dove avrei fatto una carriera di livello), a causa della ovvia insostenibilità delle scelte che mi si presentavano come ricette economiche vincenti, maleducazione compresa. Poi mi sono associato a gente impreparata e lì ho capito chi ero.

    Sono un fallito come insegnante perché ho sempre evitato le connivenze “comode” e sempre dalla parte dei “deboli” alunni. I nostri risultati come insegnanti degli ultimi 30anni sono sotto gli occhi di tutti; non possiamo nasconderci dietro un dito?!

    Sono un musicista fallito perché dopo i miei studi musicali non mi interessava “farmi sentire”, ma “essere ascoltato”.

    Sono un agricoltore fallito perché ho iniziato proprio, mentre tutti facevano affari compravendendo titoli col PC e “guadagnando” senza fatica mentre le tre torri venivano demolite, e io suscitavo l’ilartà dei Manager, allevando qualche capra e seminando prati al posto che mais.

    Sono un genitore fallito perché (dopo 4 generazioni di laureati: fisica, legge, arti militari, ingegneria) non sono riuscito a far “laureare” mio figlio, ma lo ridotto, per quanto amorevolmente, alla professione tra le più, dalla gente, “amata fuori” e “disprezzata dentro” e che praticamente tutti i giovani italiani preferisco delegare agli extracomunitari.

    Siamo talmente falliti che per noi non c’è stato un Prima del Virus, un Durante e un Dopo Virus.
    Siamo sempre stati “uguali”. Nella merda,… fisicamente,… quella vera. Gli eventi atmosferici ci hanno abbattuto alberi per 800 quintali divelto rive di FONA e, scoperchiato edifici in 3 minuti per decine di migliaia di euro. Noi in silenzio con e senza virus abbiamo lavorato in hard-working

    I DPCM sono entrati da un orecchio e sono usciti dall”altro.
    L’acqua, i parti e i germogli non lì hanno potuti sospendere per DPCM. L’attività più sventolata come strategica (durante il virus, non prima) è stata l’agricoltura, anzi i tanto vituperati allevamenti, come se non fossero la stessa cosa, ma non si può pretendere che un Conte o un Salvini lo capiscano.

    Sorridiamo amorevolmente quando osserviamo, là fuori, tutta questa agitazione del Prima e del Dopo.
    Il virus ci ha “risparmiato”, ho forse gli abbiamo lasciato fare quello di cui aveva bisogno per convivere con noi, non lo sappiamo.Che abbia trovato qualche equilibrata resistenza? Non lo sapremo mai. Forse moriremo anche noi.

    Ma facciamo molta fatica e non abbiamo orari, cartellini, domeniche e sabati, ferie. Solo qualche salamelle alla festa di paese (che non ci sarà più, pazienza).
    Sviluppiamo foraggi, impianti di pompaggio, app per l’agricoltura, sorvegliamo proteggendoli, i nostri cani anti-nutria col GPS, ma ci mettiamo a ridere dell’app IMMUNI che non potrà mai discriminare la distanza sanitaria (che guarda caso hanno invece battezzato “sociale”, capito!? Il diavolo si vede nei dettagli).

    Ma adesso basta con i miei racconti, per noi falliti questa è la “sostenibilità”.
    Le speculazioni sul virus le lasciamo ai Colao londinesi e ai Riproduttori_Audio romani.
    Ciao. Buona fase X!!!

    P. S.
    Su Amazon ci sono ottime occasioni per l’acquisto di televisori da 400 pollici in realtà “aumentata”, che, con uno spruzzino, rilasciano patogeni (ma con rapidi tempi di decadimento, s’intende?! ) , per creare esattamente la realtà dei filmati. Sembra di essere nella “realtà” vera, cioè aumenta, ma vera, cioè vera, sì aumentata,… vera, cioè più vera di quella vera o di quella aumentata o più aumentata… si quella vera che però non è aumentata…. Oddio cosa mi succede.??!!. fatemi un TSOOOOO per piacere!!! Un TSO perché odio il teleschermo, aiuto?! ho detto “odio”. Se mi sente Martella del TaskForse (del partito democratico, “sic”)??!!
    Fateme nu’ TSO!!! “i so’ pazzo”!

    https://m.youtube.com/watch?v=Hb7p_2U_xSE

    • Giacomo sei un grande! Mi hai ammesso nel tuo tempio dell’agricoltura e piccola zootecnia, quando, ricordi?, Cremascolta non si era capito bene come dovesse funzionare e andavamo in giro a fare interviste a tema.
      E allora scoprimmo anche che i nostri figli erano amici, e mi risulta lo siano ancora. E nel tuo tempio ho respirato quest’atmosfera incerdibile di tecnologia, musica e fieno tutto sotto lo stesso tetto.
      Senza riserve hai preso carta e penna e ci hai messo giù (c’era qanche Franco) il tuo bilancio aziendale.
      Amico mio, professore dalla parte degli studenti, sei nato, non tramontato, perché con te nasce una nuova “quasi etnia”, i colti agricoltori, intellettuali con i calli alle mani che accarezzano la natura, e sperimentano.
      Certo, a volte sperimentano anche come mettere insieme pranzo e cena, ma non si lamentano.
      E ti assicuro che non sei per niente solo, io che ho ancora l’abitudine anni settanta di dare passaggi ne ho conoscuti tanti.
      E allora, se dobbiamo ripartire, da dove se non da quanto ci sia di più sano, mani che aiutano a veder la luce una nuova verde produzione.
      E già, pertché quel che non dici che i tuoi guadagni si riducono ancora per il rifiuto di utilizzo di schifezze chimiche.
      E quel che non dicono è che se tutti fossero come te e tuo figlio non ci sarebbe coronavirus, non saprebbe dove andarsi ad attaccare!

    • Grazie Jack, da te, che “intellettuale” non sei, perscelta, pur avendo conoscenze, competenze, capacità di elaborazione che non so quanti “intellettuali” potrebbero vantare, un forte (che più forte non si può) richiamo al core, al nocciolo duro della vita sul pianeta.
      Delle volte uno schiaffone in faccia è quello che ci vuole per uscire da una paranoia!
      Se poi il tutto si conclude con quella che ritengo ( e credetemi sulla parola, oramai sapete tutti bene che la mia cultura affonda le sue radici nelle canzonette!) la più belle tra le …. ballate firmate da quel grande di Pino Daniele, almeno per me, siamo davvero al top!
      Eso es, Jack!

    • Giacomo, è chiaro a molti che, tra tanti attuali falliti millantatori di successi, tu rappresenti proprio l’opposto: un uomo che si è realizzato dove, quando e come ha scelto di riuscire, riuscendoci. Dai, con me non scherzare parlando di tuoi “fallimenti”. Se vuoi, puoi raccontarlo al fisco, non a chi è tuo amico.
      Hai dietro di te due famiglie eccezionali e davanti a te un figlio che, da quanto ho capito, è fierissimo di fare l’imprenditore agricolo. Come il mio, del resto, anche se hanno fatto studi diversi. E sai quanto gli straventi abbiano buttato giù alberi a manetta sia dalle vostre che dalle nostre parti, con conseguenze di tutti i tipi (e grazie ancora degli ottimi consigli).
      Riguardo alla musica, quando ti ritieni insoddisfatto della tua vena artistica, pensa a che cosa potrei ricavare io dal tuo clarinetto: solo infami pernacchie.
      Tutt’altro che un mondo in disfacimento, il nostro. Tutt’altro che un inno al dolore. Perché il sole sorge sempre, la terra rinasce sempre e per fortuna questa pandemia non solo non ha colpito la fauna e la flora ma ha addirittura pulito l’ambiente.
      Pianti e onorati i morti, la vita riprende. E le generazioni vanno avanti.
      Il senso della terra non “fallisce” mai.
      Da noi, in campagna, per dire che la calma è la virtù dei forti, si dice anche: bisögna mandà zo amar e spüdà duls. Il resto, sempre più di frequente, è propaganda elettorale. E anche a Crema ci si sta preparando, a quel che vediamo.

  • La ristrutturazione del debito?
    Certo, noi italiani saremmo i primi a beneficiarne: non è il debito pubblico che ci incatena e ci impedisce di spendere quanto dovremmo spendere per la ricostruzione?
    Ma… una solo domanda (da profano): i cittadini che hanno prestato i soldi allo Stato, glieli presteranno ancora dopo avere perduto i loro risparmi?
    Ci perderebbero solo le banche? Ma le banche, oltre che ad acquistare titoli di Stato in proprio, li acquista anche per conto dei clienti.
    Da quello che leggo, sarebbe solo la Banca europea a perderci: la proposta cioè riguarderebbe solo i titoli acquistati dalla Bce.
    E’ così, Franco? Se sì, sarebbe una ristrutturazione molto parziale, ma sicuramente una buona idea: se noi italiani dovessimo scendere anche solo al 100/% (ora arriveremo a 159%), sarebbe una ottima soluzione!

  • Ritratto iperealistico di una societa’ in
    disfacimento. Non sei pazzo, Giacomo, qualcuno ha rovesciato il mondo e noi glielo abbiamo lasciato fare. Siamo deboli, spaventati, impotenti. Proprio per questo motivo il “ritocchino”, la pennellata di verde o di giallo. cioe’ costruire sul marcio, non servira’.

  • Intanto i primi esempi che vengono dalla ripresa non ci fanno certo onore: dalla Campania le carogne dei piccoli di bufali abortiti durante l’epidemia alla ripresa delle attività buttate nel famigerato fiume Sarno, unico ormai inquinatore del golfo, come non si erano mai viste.
    Dal Piemonte truffa cinese sulle mascherine e altri presidi anticontagio importati come contributi umanitari stoccati per vendita a prezzo maggiorato…
    Ma l’ingegno nel contrasto non demorde, con nuove proposte: a Napoli, visto che la zona è sotto i controllo dei satelliti militari, per la densità di insediamenti NATO, un assessore propone una convenzione per l’acquisizione di dati e conseguenti interventi immediati.
    Già, e se poi interviene un probo cittadino a parlare di privacy?
    E allora un parallelo: perché i Greci erano così interessati al problema della giustizia? Perché stavano sperimentando la convivenza in spazi ristretti.
    E allora come loro, stupiti dalla nuova condizione in cui in poche genrazioni si erano cacciati, hanno scoperto che per convivere a contato di ggomito ci vuole aidos (riconoscimento reciproco) e dike (giustizia permeante), noi che questi spazi li abbiamo annullati scopriamo finalmente che ci vuole osservazione reciproca. Una società nuova in cui tutti si guardano in casa a vicenda? Be, non proprio, tuttavia molta più osservazione stretta.
    Brutto?
    In Giappone tutti i cittadini sono poliziotti: le foto segnaletiche messe in metropolitana permettono arresti in una manciata di ore.
    Ops, sto uscendo fuori tema?
    Sicuro? E se la concepissimo proprio così la socetà risorgente, molto più interconnessa?
    Ma se addirittura i cani di Jacky sono sotto controllo GPS!
    Mbè, è un po’ una provocazione, certo, ma il contrasto alla corruzione deve pur essere un caposaldo della rinascita, altrimenti è inutile spargere risorse, poche o molte, a pioggia!

  • È difficile prevedere quanto gli attuali inni a un ripescato statalismo diventeranno provvedimenti legislativi e budget di spesa in questa direzione. Che la scuola, la sanità e altre funzioni sociali che sono alla base dello stato moderno debbano avere centralità e risorse di pubblica valenza, è sempre più evidente dopo questa drammatica pandemia. Ma il resto? Staremo a vedere. Dal Fronte Sovranista Italiano al Partito Comunista di Rizzo, un bizzarro schieramento trasversale sta auspicando un keynesismo di ritorno molto più accentuato di quelli praticati nel secolo scorso. Anzi, di più, quasi uno statalismo potenziato che tracimi dalle sue tradizionali aree funzionali allocate nel potere esecutivo e torni a dispiegarsi nelle “partecipazioni statali”, nei “monopoli”, nelle attività economiche “di pubblica utilità” (i poteri legislativo e giudiziario sono, ovviamente, già di per sé “pubblici”), citando l’IRI, boiardi e “pubblici commis”, persino con qualche esempio corporativo in tema di “grandi opere”. Le schermaglie tra statalisti e liberisti sono solo all’inizio e sarà interessante capire quanto alle parole seguiranno i fatti, cessati gli strascichi emotivi lasciati dalla tragica pandemia e dalle immagini di una sanità pubblica su cui l’elogio del nostro personale sanitario è stato, giustamente, inversamente proporzionale rispetto a quello delle scelte di politica sanitaria degli ultimi decenni.
    In realtà, già oggi il potere esecutivo, con successiva ratifica legislativa costituzionale, può e anzi deve, per ragioni di urgenza, decidere le “linee di investimento” nei vari settori economici che nel nostro paese vanno rilanciati e sviluppati dopo il fermo trimestrale. E puntare sull’industria, sul commercio, sul turismo, sulla cultura o sull’agricoltura è già sin d’ora un modo per attivare una leva keynesiana decisiva. E dentro ogni settore la scelta è ancora più determinante e discriminante. Ecco quindi che, prima ancora dei dibattiti sullo statalismo o sul liberismo, ad oggi ancora piuttosto confusi e abbastanza sprovveduti, già da questi giorni, di fatto, le risorse possono prendere una strada invece che un’altra. Certo, s’intendono le risorse d’investimento, non quello di medicazione del disagio sociale, a volte erogate in modo clientelare ed elettoralistico. Chiamiamole risorse d’investimento strategico e infrastrutturale.
    Stupisce che in molti favoleggino di sistemi economici e modelli sociali più o meno di fantasia, mentre intanto, nella realtà e nei fatti, stanno già succedendo cose e si stanno prendendo decisioni importanti. Il “ritorno al futuro” non è quindi faccenda per anime letterarie e filosofiche, per i favolisti dilettanti della politica, ma è materia in concreta costruzione.

    • Pietro ma un rallentamento generale della cacccia al PIL ce lo vedi? Con il rallentamento degli U.S. forse una razionalizzazione della corsa folle sarebbe possibile. Una citazione in tal senso: “…il tasso di progresso è troppo lento per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile e sarà ulteriormente rallentato dal coronavirus, afferma in una nota Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms… Certo che ci dai una chiave di lettura nuova anche della politica, e anche per non addetti. Stando attenti si possono cogliere diversamente le cose forse, e magari tifare un po’, nel senso di far sentire la cosa più nostra.

    • Caro Adriano, il PIL si chiamava in maniera diversa ma c’era anche negli stati nazionali dei secoli scorsi, persino negli imperi dell’antichità, solo che lì era più difficile accertarlo. Ovviamente, ogni realtà istituzionale ricomprendeva nel suo PIL elementi diversi rispetto a oggi. Ma popoli e territori, se retti da un potere munito di effettività, hanno sempre avuto un PIL, un avanzo primario, un debito pubblico. Le tavolette di Hammurabi sono nate per censire ricchezza, non per ispirazione mistica. Quindi, decidiamo subito se stiamo parlando di questo mondo umano reale, di questa realtà umana vera oppure se vogliamo entrare in un libro di Tolkien e giocare a Gandalf e Mordor. Non basta immaginarsi sigfridi per pretendere di vivere in un mondo nibelungico. Soprattutto perché il PIL entra nei conteggi di bilancio, insieme all’avanzo primario, ai costi e investimenti, per determinare il debito pubblico. E questo, in modi e con meccanismi diversi, succede sin da quando esistono strutture sociali stabili, agricole e allevatoriali, cioè da 9.000 anni fa, quando abbiamo finito di correr dietro agli uri. Per cui, smettiamola di scandalizzarci parlando di come va questo mondo nelle cose e nei fatti, come se fosse un mondo diabolico, rifugiandoci nel sogno di presunte acque sante economiche, frutto solo delle nostre pulsioni esistenziali. Il “ritorno al futuro” diventa il castello di Camelot solo per chi si crede, nel mondo d’oggi, un reincarnato arturiano: tu fai lancillotto che io faccio parsifal, lui magari tristano. Qui ed ora, ci sono 80 miliardi spesi in questa realtà economica italiana, spesi bene o male, che arrivano presto o tardi, ma dentro questo perimetro di regole e meccanismi operativi generali vigenti nel mondo reale, al quale sinora nessuno ha trovato alternative se non raccontando dell’economia di Topolinia o Paperopoli. Questi 80 miliardi, che corrispondono a tre manovre annuali in tre mesi, sono solo l’inizio. Occorrerà pensare al futuro strategicamente, con competenza e coraggio, cose che questa classe politica, tra maggioranza e opposizione, pospone al tornaconto elettorale a breve termine. “Ritorno al futuro” significa evitare di devastare l’ambiente con uno sviluppo sostenibile. Come, con quali progetti specifici? Significa rimediare agli squilibri sociali ormai intollerabili, Come, con quali azioni concrete? Significa smantellare una burocrazia paralizzante, ridando velocità ed efficacia agli interventi pubblici. Come, con quali drastici provvedimenti? Significa abbattere il debito, divenuto oggi ancora più enorme a causa di questa tremenda pandemia. E via dicendo. Per cui, Adriano, il “ritorno al futuro” non è un ritorno ai nostri sogni rivoluzionari di gioventù o ai nostri sogni donchisciotteschi di senilità. È un “ritorno alla realtà” dopo tanta fiction economica e tanta fantapolitica.

  • Il ragionamento sulle imprese sociali non torna. Dici “Un’impresa creata esclusivamente per risolvere i problemi delle persone… “.
    Le imprese che risolvono i problemi delle persone esistono già, sono tutte le imprese che vendono qualsiasi bene (offerta), rispondendo ai problemi delle persone, che si manifestano come domanda nei mercati. Un bene venduto genera utilità, ovvero un beneficio per chi lo compra, perché gli risolve un problema. Per beni che non interessano a nessuno non c’è domanda, quindi anche l’offerta è destinata a sparire (a meno di non sussidiare chi li produce).
    Poi aggiungi “… un’impresa che non crea un utile personale per gli investitori, se si eccettua il solo recupero dell’investimento iniziale.”
    Un impresa che non fa utili, non fa valore aggiunto, che è quella cosa che serve a fare gli investimenti e a pagare le imposte (tra cui lVA, guarda caso Imposta sul Valore Aggiunto). Se nessuno fa valore aggiunto come paghiamo gli ospedali, le infrastrutture, i servizi in genere, che per loro natura (o per come anche giustamente abbiamo scelto che sia) sono in perdita?
    Dal punto di vista del Paese, possiamo vedere il PIL come la somma dei valori aggiunti di tutte le imprese. Per questo è un buon indicatore dell’andamento dell’economia a livello macroeconomico. E’ chiaro che da solo non spiega tutto; per esempio possono esserci imprese che fanno profitto e altre che perdono. Però non è inutile.

    • Mattia, credo che almeno tuttto il blocco inziale del tuo commento 14 mag si riferisca direttamente al mio post, laddove, prendendo in prestito da Muhammad Yunus, ho introdotto il tema delle “Imprese sociali”. Quindi, per meglio chiarire, in relazione a quanto nel tuo commento:
      Io ho introdotto il tema Aziende Sociali, dicendo: “….Ora al di la di quelli che possono/potranno essere gli aiuti, gli incentivi per sopravvivenza delle imprese A.V., nel progettare e gestire la ripresa, dobbiamo anche renderci conto che finché l’economia resterà una scienza per massimizzare i profitti, non potremo farvi affidamento per mettere a punto programmi di rilancio e ripresa basato sulla consapevolezza sociale e ambientale! Perciò, mentre le Imprese esistenti proseguiranno nelle loro attività, il Governo (auspicabilmente i Governi dell’intera EU!) dovranno creare sempre più spazio affinché le “Imprese sociali” possano far valere la loro affidabilità ed efficienza….”
      Mi pareva chiaro quindi che in nessun modo le “Imprese sociali” potessero essere pensate cone sostitutive di quelle “classiche”, quelle che “generano reddito utile” per gli investitori, con tutto quello che ne consegue, eccimancherebbe!
      Le nuove Imprese, propugnate da Yunus (il cui operato peraltro si è sviluppato, con grande successo, in contesti nei quali le finalità dell’operare economia risultavano totalmente finalizzate esclusivamente al profitto , ignorando totalmente anche ogni parvenza di attenzione al “sociale”) come in …..epigrafe, punterebbero a realizzare obiettivi di natura sociale: riduzione della povertà (ad esempio, beni alimentari di qualità a prezzo ridotto ), assistenza sanitaria per i disagiati (es. polizze di assicurazione sanitaria a prezzi contenuti), giustizia sociale (es. procurare energia elettrica a zone non allacciate/mal servite alla rete nazionale), sostenibilità ambientale (es. riciclo di rifiuti ).

  • Faccio riferimento ai calcoli che ero tenuto a fare come gestore pubblico per rispondere (Mattia, Pietro principalmente) e chiarirmi contemporaneamente le idee.
    Ovvio innanzitutto che un sistema di calcolo ci vuole
    Il PIL rappresenta lo stato di salute economica come capacità di produzione/erogazione di beni e servizi.
    Corrispettivo medico il DRG: effettiva erogazione di cure calcolata su un sistema a punteggio (che poi si trasformerà in soldoni sborsati dallo Stato).
    Quanto DRG per Crema? Secondo un budget regionale pesato sui fabbisogni secondo un paniere di parametri: età media, mortalità infantile, frequenza di patologie… e riportato alla consistenza numerica e per fasce di età del bacino d’utenza.
    Oltre il budget pattuito non c’è rimborso per l’Azienda Ospedale, ma restano i costi.
    Tuttavia negli obiettivi annuali i Direttori Generali (corrispettivi degli Amministratori Delegati) chiedevano ai Direttori (ex Primari) una superproduzione del 12% in media per poter battere cassa in Regione.
    Primo elemento di malattia gestionale: la corsa fra le Aziende Ospedale pronte alla scalata per poi fagocitarsi, quindi aziende drogate di iperproduzione. Questo nel privato ha portato a illeciti quali gli interventi inutili, non per guadagni illeciti personali, ma per accontentare Direttori generali che fan sentire agli operatori il fiato sul collo. (Si certo, una certa quota per compartecipazioni chiamate premi di raggiungimento di obiettivi e il nero sulle mazzette delle ditte sui prodotti consumati ci sono, ma qui siamo, nel secondo caso, alle manette, mentre stiamo cercando di analizzare il sistema base e le sue disfunzioni).
    Quindi si verificava a consuntivo se io tenevo in buona salute la popolazione in base alle cure prestate, secondo il criterio di salute come raggiungimento di un buon equilibrio nell’incidenza della malattia.
    La graduatoria di qualità sanitaria degli stati del mondo da parte dell’OMS, che ci vedeva al sesto posto e ora al decimo, funziona grosso modo alla stessa maniera ma con diversi indicatori.
    Quindi se io splafonavo sul budget o era mal calcolato questo o avevo creato valore aggiunto. Ma siccome l’ipersalute non esiste avevo sbagliato o frodato io, operando gente non ne aveva bisogno.
    Certo, poi c’erano i ripianamenti interregionali, la corsa all’accaparramento del Terrone che valeva di più di un Cremasco in quanto fuori budget perché pagava lo Stato e non la Regione. E già emergono quindi le malattie del sistema, e mi andava bene, perché in questa caccia avevo l’occasione per la visita mensile alla casa alla baia, tuttavia che qualcosa non quadra è lampante.
    Ma la critica attuale al DRG è proprio nella qualità, nella determinazione di cos’è la salute, una questione di fliosofia.
    Sistema paese: chi ha stabilito il fabbisogno di PIL? Se si calcola il PIL sul valore aggiunto si ammette implicitamente che il fabbisogno individuale sia in crescita o che il paese è in crescita numerica. In tutti e due i casi il paese è fuori controllo, viaggia allo sbaraglio, è troppo lontano da un buon equilibrio, fattore in natura sempre penalizzante.
    Terza ipotesi: devo creare valore aggiunto per pagare i debiti. Questa è la nostra situazione, quindi va bene. Ma quando li avremo pagati? (Un sogno).
    Come per la salute, scelti bene i parametri del benessere, calcolati i bisogni per la soddisfazione della richiesta e in base a questo dato calcolato il fabbisogno di PIL, il punto di equilibrio che si sposta sempre un po’ più lontano, in stile Tantalo, è malattia mentale assimilabile alla bulimia, quindi richiedente cure.
    Tuttavia siccome la malattia investe l’intera umanità ci crea un problema di autosvalutazione se non partecipiamo alla corsa. Evidente che al traguardo arriveranno tutti cavalli col cuore scoppiato, ma di questo non glie ne frega niente a nessuno. E allora taccio.
    Tuttavia non taccio se vado verificare questa bulimia di che si nutre. Pianeta terra.
    E allora no, quello è anche mio, è anche di miei cari, e chi ne abusa mi fa direttamente del male, altro che l’economia gira e stiamo tutti un po’ meglio!
    Se qualcuno mi chiede se ho cenato con Grillo dico che la mia posizione è almeno molto più antica nel contesto della mia vita. Se, mi chiedete se in questa visione c’è un residuo sessantottino rispondo sì, il meglio del succo del discorso storico.
    In poche parole quindi tecnici sì, ma anche filosofi al governo. E il politico?
    Un direttore d’orchestra che modula di volta in volta a che strumenti e con che impatto dar voce.
    Ma se un direttore d’orchestra pretende per un’opera seimila flicorni, per voi che fine farà?
    Trump avrebbe almeno buona compagnia.

    • Stupendo, illuminante affresco il tuo Adriano, come solo può fare chi “ha fatto” (e tanto!) per davvero per la comunità!
      Un solo appunto, consentimelo, nel finale laddove ti fai la domanda “E il politico”?
      E ti rispondi ” Un direttore d’orchestra che modula di volta in volta a che strumenti e con che impatto dar voce”. Beh fratello, a mio parere, questo è il compito del “GOVERNO”, che è pur composto (almeno in buona parte) di politici, che però, sono investiti della responsabilità precipua ,appunto di GOVERNARE, e di farlo per tutto il Paese e non solo per chi li ha votati/eletti.
      Al “Politico” il compito di fare responsabilmente da interfaccia tra il cosidetto “popolo” (magari anche sovrano, toh!) e il Governo..

  • Mi fa grande piacere essere in ….buona compagnia:
    “Ripartiamo dai quartieri autosufficienti
    Se vogliamo imparare da questa tragedia bisogna cambiare la vita nelle città. Creare un rapporto diverso con la natura. Devono smettere di crescere occupando suolo permeabile, si devono porrei l problema anche di rigenerarsi al loro interno. Serve una grande opera di verde e forestazione. Serve la visione di una città che lavori su un sistema arcipelago di quartieri autosufficienti, potremo dire “borghi”. È una visione molto importante. Le città nell’Ottocento erano dei luoghi di grande concentramento voluto. Negli ultimi decenni queste strutture collettive sono andate in crisi e  con l’ultima pandemia avranno un epilogo. La città dovrà funzionare più per quartieri, con servizi che vanno dal commercio, all’istruzione, alla cultura, all’economia e alla sanità. Accessibili tutti in 10 – 15 minuti. Accessibili con massimo 400 – 500 mt di distanze da percorrere.”
    Firmato STEFANO BOERI architetto.
    E scusate se è poco!

    • Quando ho scritto sull’argomento non avevo consultato urbanisti, ma si arriva da quasiasi ottica alle stesse conclusioni. In assenza di guerre di invasione e con un buon riscaldamento l’aggregazione non ha senso e solo rischi. Ciò che facevano i Romani contro il rschio incendio è ora valido per altri rischi.

    • Irrealizzabile, improponibile un quartiere che comprenda tutto. Sarebbe una frammentazione di servizi che costerebbe molto di più che non ora. Scuola, sanità, cultura contengono i costi, e rendono, nella grande fruizione. Va meglio una dislocazione occupando suoli abbandonati e “desertificando” quelli con troppa concentrazione umana. Che significa ripensare tutto il tessuto economico, ma anche sociale. Oltre che culturale.

    • Adriano, in realtà dal punto di vista urbanistico la maggiore densità abitativa offre grandi vantaggi, soprattutto in termini di efficienza energetica e trasporti. Dello stesso avviso sono le teorie economiche, per cui l’aggregazione delle imprese è un’esternalità positiva.

    • Francesco, forse non ho capito “il senso di Boeri per i borghi” e quindi sono andato a ripescare l’intervista. Mi sembrava di aver capito che Boeri dicesse di tanti borghi-quartieri autosufficienti all’interno delle città. Da lì il mio commento di ieri delle 16:52. Ma rileggendo bene credo ora di aver capito il contrario. Boeri non parla di grandi città frazionate con tutto a portata di mano, dall’istruzione, alla cultura, alla sanità, al lavoro in modo da avere meno spostamenti, ad esempio. Boeri cita dei numeri relativi ad altri borghi, quelli già esistenti fuori dai perimetri delle grandi città. E dice quello che si sta dicendo da anni. Molti piccoli paesi, magari zone morfologicamente disagiate o difficili, sono stati abbandonati negli anni o demograficamente ridotti per mancanza di lavoro o servizi. Ne sono stati censiti circa 5800 sotto i 5.000 abitanti e 2300 in stato di abbandono. Credo che Boeri, parlando di borghi, intendesse proprio quelli. Più precisamente l’architetto parla di adozione di questi borghi da parte delle città metropolitane, una sorta di consorzio con vantaggi fiscali, incentivi…in modo da spingere i giovani a recuperare questi luoghi abbandonati. Le nostre colline sono piene di questi bellissimi paesi abbandonati che recuperati riporterebbero vita, magari turismo e lavoro. Naturalmente questi luoghi dovrebbero essere messi insicurezza di territorio – sarebbero posti di lavoro, e si dovrebbe potenziare il trasporto pubblico, e altro, senza farla troppo lunga. Intanto in Garfagnana, in un piccolo paese, Lucignana, è stata aperta dopo decenni una piccola libreria, aperta con un crowdfunding come tentativo di portare vita e cultura in un piccolissimo centro spopolato. Un sogno certo che riesca a sopravvivere, ma un segno di altre possibili ripartenze. In verità Boeri non racconta e consiglia niente di nuovo. Sono tantissimi. o pochi, dipende, gli esempi raccontati dalla cronaca di giovani che ritornano alle loro terre inventandosi un nuovo modo di campare, tra orti e animali da allevare e lana da tessere, magari con tutte le innovazioni tecnologiche. E finalmente via dalla pazza folla. Non me ne voglia Marino con i suoi miti, ma di fatto la densità demografica di una grande città non è più sostenibile da un punto di vista ambientale e magari sanitario. E poi immaginiamo di aprire le finestre il mattino e trovarci di fronte un sole che nasce dalle colline verdi di boschi. E magari qualche animale, senza emozionarci se i cinghiali scendono a Genova, se i daini gironzolano tra i negozi e gli orsi sconfinano e le anatre galleggiano nelle acque della fontana di San Babila. Potrebbe andar bene anche per i pensionati. Se così fosse Boeri mi troverebbe d’accordo.

    • Leggo di una trentina di piccoli paesi lombardi, comunità montane, con zero contagi. Tra Bergamo, Brescia e Sondrio, vicinissimi all’epicentro dell’epidemia sono,questi paesini potrebbero rappresentare nuovi modelli di vita e sviluppo. Se interessasse potrei fare un riassunto dell’articolo per raccontare ad esempio che un panettiere di Caravaggio si è trasferito in uno di questi paesi con la famiglia dove produce aceto, succhi e marmellate. Ritorno sull’argomento dopo l’intervento di Boeri, indubbiamente cittadino metropolitano e del mondo, che facendo l’architetto difende tutta l’urbanizzazione possibile, anche se con distingui democratici, ecologici e ambientali. Dire poi che il suo bosco verticale risponda a queste istanze a me sembra solo eufemistico. I suoi boschi, replicati un po’ in tutto il modo, tecnologici perchè le gru issano le nuove piante e terriccio, con irrigazione all’avanguardia, mi sembrano non molto distanti, se noi nei prezzi assurdi a metro quadrato, dai tanti balconi e terrazze che allo stesso modo, magari con più fatica, svolgono la stessa salutare funzione. Tutto questo per dire che le grandi città saranno sempre causa di tutti i danni ambientali contemporanei, per non parlare ancora di questa epidemia e del distanziamento sociale difficilmente realizzabile. E non sarà certo l’incentivo ad acquistare biciclette nel nome di una mobilità sostenibile che usciremo dalle nostre vecchie abitudini. Certo, piantare qui tutto ed andarcene, se non in vacanza, comporterebbe una rivoluzione culturale dalla quale siamo lontanissimi. Ma io no vedo altre soluzioni se non distribuire la popolazione italiana anche nelle zone abbandonate di cui è piena l’Italia. Piuttosto che infognarci sempre di più in questa stramaledetta Pianura Padana.

    • Scusate, un po’ sgrammaticato. Ma ero solo al primo caffè.

  • Penso, Francesco, che il tema della cosiddetta “impresa sociale” vada calato nel contesto storico, sociale ed economico in cui oggi ci troviamo. Per me hai fatto bene a toccare questo aspetto. Infatti si tratta di una cartina di tornasole, di una prova del nove significativa del tipo di organizzazione collettiva in cui storicamente ci si trova. In un contesto come il nostro, al quale, piaccia o meno, oggi non esistono alternative complessive credibili e che deriva dal precedente liberalesimo costituzionale politico e dal precedente sistema capitalistico imprenditoriale borghese, esistono infatti piena tutela giuridica, libertà d’espressione pratica e apprezzamento sociale per entrambe le modalità con cui l’iniziativa economica privata si manifesta: quella delle imprese e delle società aventi fini di lucro e quella delle forme associative senza fini di lucro, tra le quali spiccano pure quelle indicate da Yunus ma che proprio da noi in Occidente, e molto in Italia, e moltissimo a Milano e in Lombardia, e in modo evidentissimo a Crema, hanno da sempre saputo canalizzare, in modo encomiabile, capitali, lavoro e risultati verso la solidarietà sociale, il sostegno alle fasce deboli della popolazione e il contenimento degli squilibri sociali. Basta conoscere un po’ il nostro codice civile e la storia dei precedenti codici civili e di commercio per trovarvi conferma in termini giuridici, cosa non da poco in un mondo in cui spesso la barbarie passa proprio dall’inciviltà giuridica. In termini di effettività pratica, da secoli questo modo di fare “impresa sociale” è in Occidente ottimamente praticato, mentre proprio altre culture, soprattutto orientali (ma so che il termine è un po’ troppo generico), risentivano ancora di impalcature feudali, dittatoriali, teocratiche e peggio ancora. Per cui, siamo noi a fare la lezione, non a subirla.
    Quale è stato il problema, negli ultimi decenni, anche ma non solo in Italia? Chiamiamolo “turbocapitalismo”, chiamiamola “finanziarizzazione”, fatto sta che l’equilibrio tra lo sviluppo economico basato sull’imprenditorialità con margine di profitto e la solidarietà sociale basata sulle organizzazioni no profit si è incrinato. E giustamente tu richiami l’attenzione su Yunus, così come io potrei richiamarla sulla tradizione lombarda o su quella cremasca in particolare. Quando la società diventa brutta, sporca e cattiva, l’egoismo lascia il posto alla generosità. Soprattutto, la virtù al vizio. Ecco quindi che uno dei possibili “ritorni al futuro” può proprio consistere in questo ritorno alla solidarietà sociale. Lo Stato ha per sua natura fini sociali di questo tipo (o dovrebbe averne), secondo i vari dettati costituzionali del nostro Occidente. Purtroppo, sappiamo come vanno le cose. Ecco allora che proprio questo “ritorno al futuro” della solidarietà sarebbe doppiamente prezioso. Già il volontariato ne è un esempio bellissimo. E in campo sia laico che religioso non mancano ottimi esempi. Qui non c’entrano né la maggioranza, né l’opposizione. C’entriamo noi, per primi.

    • Cheddire Pietro, caro amico, se non sottoscrivere parola per parola quanto hai commentato!
      Adesso, liberi di accusarmi di ciceroprodomosuismo, (è diventato di gran moda coniare pseudo-neologismi ad effetto, ed io ….mi adeguo!) ma anche il solo nostro tempo che stiamo dedicando a questo blog non è un piccolo esempio del dedicare risorse di privati cittadini, in modo laico e totalmente volontario, al sociale , alla comunità?
      Personalmente credo proprio di si!

    • Mi scuso, ovviamente dovevo scrivere “la generosità lascia il posto all’egoismo”, non il contrario.
      E poi, Francesco, scusami per il pistolotto finale ma tutte le volte che ho a che fare con le iniziative benefiche milanesi poi, per qualche giorno qui a Crema, da borghese liberale moderato mi prende, come dire, una punta di socialismo umanitario, cosa che sia Marx, sia Bakunin, sia Evola (si scrive Guénon ma si legge Evola), sia Dugin hanno già disprezzato e che, tuttavia, ogni tanto mi prende. Chiedo scusa anche di questo.

    • Esatto, c’entriamo noi per primi. E difatti “quando la società diventa brutta, sporca e cattiva, l’egoismo lascia il posto alla generosità” INDIVIDUALE, non certo collettiva. Non si spiega, altrimenti, cosa ci facciano tante persone in fila davanti al monte dei pegni, senza contare quelle che si rivolgono agli strozzini direttamente. Nessun’altro è riuscito a dare loro i soldi per la spesa o per l’affitto?
      E’ fattuale che nessuno sta fornendo risposte concrete a 10 milioni di poveri, né al crollo dei consumi, né all’emorragia di posti di lavoro, né all’assenza totale di progettualità in ambito industriale, commerciale e infrastrutturale. Ci vorrebbe un governo con i fiocchi, ma l’Italia probabilmente non ne ha mai avuto uno.
      Per come la vedo io, stiamo scivolando sotto una dominazione straniera, con tutti gli annessi e connessi che una sudditanza comporterà. Una condizione, del resto, che ci è alquanto congeniale, visto che nella Storia non abbiamo fatto altro che passare da un protettorato all’altro.
      Al momento non vedo scenari alternativi, a parte il “si salvi chi può” individuale che funziona sempre, e che personalmente andrò avanti ad applicare. Ma questa è un’altra storia.

  • No matter, Pietro, son sicuro che, cmq, tu anche se “leggermente infettato” (absit qualsiavoglia iniura covidiana, neh) saresti “portatore sano”!!!

  • Posto, cara Rita, che la frase, da me tempestivamente corretta, è “la generosità lascia il posto all’egoismo”, per cui da lì parte ogni possibile considerazione, mi sembra che il venir meno, negli ultimi decenni, di forme di solidarietà sia individuali che collettive sia comunque qualcosa di non positivo per la nostra comunità, per cui in questo convengo pienamente con te. La mia, Rita, è però solo un’opinione soggettiva basata su informazioni ed esperienze personali o tutt’al più limitate ad ambienti sociali specifici ed a contesti economici determinati. Insomma, troppi ricchi, pochi signori. Non ho approfondito bene questa materia e non posso quindi suffragare questa mia opinione con dati statistici ed elementi probanti sicuri. Magari, negli ultimi decenni, le forme di solidarietà sia individuali che collettive sono aumentate e sono io ad avere una percezione errata del fenomeno. Però, mi sembrerebbe strano, visti i risultati che pure tu indichi. Va anche detto, tuttavia, che forse, al di là della solidarietà di origine privata, potrebbe, anche e soprattutto, essere venuta meno una certa funzione sociale delle istituzioni pubbliche. E questo aprirebbe, drammaticamente, tutto un altro discorso.
    Il problema è che aumenta il numero dei poveri e aumenta la massa critica della povertà sociale, mentre intanto il numero dei ricchissimi è stabile e però aumenta la massa critica della loro ricchezza. Per alcuni questo è un male originario del capitalismo borghese. Per altri ne è solo una distorsione controproducente. Ciò posto, “il ritorno al futuro”, in questo campo, dipende da noi come persone singole, come membri di associazioni, come componenti di entità comunitarie, come esseri viventi che si sentono parte di una realtà umana unica e indivisibile, strettamente legata al senso della terra e consapevole di un unico destino comune. Tanti recenti lutti e dolori possono insegnarci a essere uomini più forti e più giusti. Tutti possiamo oggi, grazie alla nostra libertà, dimostrare la forza e la giustizia che un tempo possedevano i Cavalieri: prouesse, finesse, largesse. Coraggio, retto sentire ed educazione, generosità. Da questa generosità, che non conosce confini di ceto, può nascere una grande solidarietà civile. Per questo, Rita, ho detto che tutto parte da noi.

    • Caro Pietro, anch’io mi sono accorto dell’equivoco e naturalmente ho tratto le mie conclusioni. Rita ne approfitta sempre, anche quando capisce o per a, pur di sostenere le sue tesi e tirare acqua al suo mulino. Secondo me non legge tutto con la dovuta attenzione. Sarò stato offensivo?

    • Caro Ivano, mi permetto di dire che, con quello che abbiamo letto in questi ultimi mesi sul blog, la tua preoccupazione di essere stato offensivo mi sembra un “castigato timor d’educanda”. Sai che mi piace segnarmi le cose e archiviarmele. D’altra parte, e lo dico in generale, forse è meglio che ognuno, se vuole e se lo ritiene corretto, in questo faccia eventualmente autocritica davanti allo specchio, senza criticare troppo gli altri. Chi è senza peccato scagli la prima pietra.

    • Pietro sono perfettamente d’accordo: troppi ricchi, pochi signori. Anche se andando avanti di questo passo la cosa non sarà più vera poiché la classe media, ex-borghese e/o benestante, si avvia irrimediabilmente verso l’estinzione. Tra non molto ci sarà da una parte uno sparuto capannello di ultra-mega-miliardari, dall’altra una massa planetaria di poveracci che cercano di tirare a campare alla meno peggio.
      Più in generale credo di essere meno ottimista di te. Non so se i recenti lutti ci hanno insegnato qualcosa (non a noi due, è ovvio), e non so neanche se “tutti possiamo oggi, grazie alla nostra libertà, dimostrare la forza e la giustizia che un tempo possedevano i Cavalieri ….”, eccetera. Ritengo, anzi, che l’uomo non sia mai stato spaventato e succube come lo è adesso, e credo che andando avanti si chiuderà a riccio.
      Magari mi sbaglio, ma penso che un ipotetico ritorno al futuro non consista più nello stabilire se la specie umana potrà sopravvivere (il Covid passerà), ma se potrà farlo senza ridursi a un’esistenza indegna di essere vissuta, e le prospettive attualmente non sono incoraggianti. Solidarietà e condivisione dei valori all’interno di piccoli gruppi saranno sempre possibili, ma la massa umana in quanto tale mi sembra ormai compromessa.

    • Mi sembra una valutazione un poco pessimistica, la tua, ma forse sono io un po’ troppo ottimista.
      Ho detto “tutti possiamo oggi”. Che in molti purtroppo non vogliano, siamo d’accordo. L’esempio cavalleresco è da ascrivere al mio senile donchisciottismo.
      Non sono mai stato un cantore delle folle umane e ho anzi spesso diffidato degli interessati incensatori delle virtù popolari. Però forse la capacità di qualche personaggio illuminato potrebbe proprio essere quella di espandere la solidarietà e la condivisione dai piccoli gruppi a scenari più vasti. Non lo so, sono solo pensieri a voce alta, senza pretese o illusioni. Se però fosse possibile, ci vorrebbero ottime capacità progettuali ma anche molta, moltissima emozione. Se invece di tutte le emozioni negative e velenose sparse sinora (la continua conflittualità, la costante ricerca del “nemico”, l’esasperazione dei toni e dei modi) se ne condividessero di positive e costruttive, diciamo pure entusiasmanti, magari appassionanti, forse si potrebbe passare dall’impatto positivo parziale a un’azione positiva più generale. Non sto parlando di affabulazioni e propaganda ma della forza dell’esempio e della motivazione sincera. Questo, ovviamente, per l’ambito privato. Ma sarebbe magnifico se accadesse anche in ambito pubblico. Bene, fine del sogno. Grazie, Rita, per questi tuoi commenti.

    • Caro Pietro, sinceramente tutta questa conflittualità io non la vedo. Mentre i toni sono costantemente smisurati nel mainstream, che ha bisogno di tenere alta la tensione per auto-alimentarsi, altrimenti non avrebbe ragione di esistere. Ormai siamo al commento del commento, al botta e risposta tra cronisti (tutte star) di fazioni opposte, e quando per curiosità si va alla fonte si scopre immancabilmente un’altra cosa.
      Il primo dei buoni propositi per un sano ritorno al futuro dovrebbe essere dunque l’eliminazione capillare del chiacchiericcio mediatico, che oltre ad essere inutile nuoce gravemente alla salute. Valutiamo solo ciò che sentiamo con le nostre orecchie e vediamo con i nostri occhi, visto che la tecnologia ce lo consente.
      E mi sembra che già lo stiano facendo in molti. Ottima cosa. Basti vedere cosa è accaduto con il recente “caso Cunial”, interpretato dai più zelanti servi del padrone (Repubblica e il Fatto Quotidiano in primis) come “vilipendio al Capo dello Stato della deputata no vax” (insulto massimo) e sbugiardato sui social da tanti onesti cittadini che ascoltano, guardano e tirano le loro conclusioni.
      Ma le registrazioni sono a disposizione di chiunque e tutti abbiamo potuto osservare il fegato della Cunial, che di sicuro non è Churchill ma con il suo intervento è salita un gradino sopra i suoi colleghi codini seduti in Parlamento. Ha sparato a raffica, apparendo a tratti un po’ sconclusionata, questo sì, ma cribbio che verve. Finalmente una scarica di frecciate in mezzo al piattume melenso generale.
      “Andrà tutto bene”, ma chi ci crede?
      E qui passo all’affermazione di Livio, che si chiede perché “dovremmo condividere emozioni positive e costruttive in un momento come questo?”. Ha ragione. La Storia è un’alternanza di quiete e di tempesta, e oggi il momento ci chiede di agire. Il discorso troppo pieno di roba della Cunial ha avuto esattamente questa funzione: riportare l’azione in un Parlamento dormiente che invece dovrebbe essere sveglissimo. Il succo del discorso, filtrato e depurato, è che lo scientismo dogmatico sposato dal governo rappresenta la “vera epidemia”, quella che sta uccidendo il Paese, la sua economia, le speranze dei suoi cittadini, soprattutto dei più giovani. Davanti a uno scempio del genere cosa dovremmo fare, guardare e tacere? Rassegnarci perché “there is no alternative”? Ma chi l’ha detto? Lo dicono loro, gli interessati, è per loro che non ci sono alternative al biglietto vincente che hanno pescato nel bussolotto. La fortuna passa una volta, ma non ripassa mai.

  • Rispondo al signor Martini che chiaramente allude a me e mi consiglia di fare autocritica senza criticare gli altri.
    Signor Martini, non me ne frega nulla degli insulti che ricevo e il “castigato timor d’educanda” mi sembra leziosaggine inutile. Mi interessa portare elementi di realtà – non allucinatori – al discorso. Se qualcuno mi dà del paranoico deve dirmi anche perché e dimostrarmi dove ho dato informazioni ‘paranoiche’. In caso contrario è un insulto gratuito e non lo accetto.
    Non capisco per altro la Sua pudica lagnanza contro la conflittualità. Dovremmo condividere “emozioni positive e costruttive” in un momento come questo? Non dovremmo vedere che siamo gravemente minacciati?
    Le emozioni positive le ho quando ascolto buona musica, leggo un buon libro, faccia una passeggiata nel bosco. Ma se si parla dell’attuale situazione sociale e politica e di questa “terribile pandemia” (sic!) non posso che sentirmi indignato e rabbioso.

  • Carissimi bella discussione.
    Purtroppo star dietro a tutti i settori in una normale giornata non mi è possibile, rispondo a tutti al mattino. Per Mattia: e chi ha contestato la città? Dico che le separazioni fra blocchi devono essere come Ferancesco li indica, tali da fare della città un aggregato scindibile facilmente. Io precisavo che non ci sono più i motivi difensivi che le hanno fatte addossare entro le mura, ma lo sviluppo verticale è la nuova base per rendere possibile questa inaccettabile densità umana. Se poi ci aggiungiamo una certa autosufficienza energetica e alimentare siamo al top.
    Come tema generale segnalo i provedimenti tinti di verde del decreto, che mi lasciano ben sperare che la spinta al rinnovamento non si sia arrrestata.
    Segnalo inoltre l’incongruenza con cui con astuzia o faciloneria vengono somministrati dati dalla televisione. Esempio: ieri qualcuno parlava di centinaia di contagi nel Cremonese al giorno, ma se non arrivano a quanti segnabili sulle dita!
    Il tono dell’umore percepitodai discorsi negli incolonnamenti mi sembra buono, e sento parlare anche di nuove assunzioni, cambi di lavoro. Insomma la vecchia ruota scricchiola ma gira!
    Certo, se ruotasse nella giusta direzione!
    Pietro, amico mio, delegittimata da te la citazione di Esiodo, che portavo a sostegno della necessità di denatalità che già i Greci avvertivano, me ne consenti una di Protagora?
    “Non mancarono neppure quelli a cui assegnò come nutrimento la carne di altri animali; ma per questi stabilí un numero ridotto di riproduzioni, di contro al numero abbondante di quelli che da essi venivano divorati” e come divoratori noi… non solo carne, perfino i sassi! Ma non pensare che questa sia una picconata contro la famiglia tradizionale, tuttavia, pur avendo dato al mondo due figli, sono contento che la curva stia assumendo un andamento ellissoidale.

    • Non mi sarei mai permesso di delegittimare una tua citazione, come amico e come Presidente. Ho solo aggiunto un mio personale contributo per tentare solo di “storicizzarla” un poco, nulla di più.
      Niente da eccepire su Protagora.
      Sono d’accordo con te: che tu ed io abbiamo messo al mondo due figli ciascuno (in realtà il grosso del lavoro l’hanno fatto, come ben sappiamo, le nostre mogli), non ci impedisce di esprimere opinioni ellittiche o d’altra varia forma sulla popolazione umana.
      Sugli allevamenti intensivi, sarebbe interessante capire quale “ritorno al futuro” si potrebbe ipotizzare.

  • Rita, il mio ultimo discorso verteva palesemente e unicamente sulla possibilità di azioni di solidarietà pubblica oppure privata, in quest’ultimo caso individuale o collettiva (distinzione oltretutto introdotta proprio da te, direi opportunamente). Ed era solo uno scampolo del più vasto discorso fatto a seguito del post di Francesco sui possibili modi di fare un “ritorno al futuro” in determinate aree da lui indicate.
    Che oggi la conflittualità in Italia e nel mondo sia diffusa è opinione mia e di altri. Chi non lo crede la pensi pure diversamente. Massimo rispetto per chi non ce la vede.
    Altrettanto palesemente ho detto, di preciso: “lo dico in generale, forse è meglio che ognuno, se vuole e se lo ritiene corretto, in questo faccia eventualmente autocritica davanti allo specchio”. In generale e se lo si vuole, non per qualcuno in particolare e per forza. Anche la citazione evangelica, si può condividere o meno. Nessun problema.
    Nel complesso, Rita, penso di aver dimostrato abbastanza a sufficienza, anche negli ultimi mesi, di non correre troppo dietro a certi “chiacchiericci mediatici”, come tu molto opportunamente li definisci. Per cui è senz’altro un grande piacere per me condividere ora esplicitamente tutto quanto tu dici a questo proposito, in particolare nelle prime sette od otto righe del tuo ultimo commento, dopo aver prima ancora espresso nei fatti questa mia piena condivisione.

    • Signor Martini, Lei ha risposto al signor Macalli – il quale diceva “sarò stato offensivo?” alludendo evidentemente alla critica che io gli avevo rivolto – dicendo che chi parla di offese dovrebbe guardarsi allo specchio e fare autocritica (lo dice perché Lei segue il blog, si segna e archivia tutto). E io ho creduto, ingenuamente o per presunzione, che Lei alludesse a me. Non ho visto che Lei parlava “in generale”. Bene, basta spiegarsi. Archiviamo anche questo.
      Sulla conflittualità, non è che non la vedo, è che la ritengo una necessità fondamentale in questo momento.
      I bei discorsi sull’armonia e la concordia li lascerei per tempi migliori.

    • La ringrazio per il chiarimento, signor Cadè. Cortese e signorile come sempre. In effetti, lei ha ragione su un punto: io rispondevo al signor Macalli e avrei dovuto collegare la domanda del signor Macalli all’altro vostro scambio di opinioni a seguito di un diverso post, però non l’ho fatto. Adesso ho capito. Questa mia disattenzione può aver contribuito a ingenerare l’equivoco, di cui quindi mi assumo parte della responsabilità, fermo restando l’accordo sull’archiviazione.
      L’armonia, in effetti, sarebbe in questo momento storico più un’illusione che una concreta possibilità, a tutti i livelli (escluso quello musicale e, forse, artistico in genere).
      La concordia, invece, non lo so. A volte la considero una cosa un po’ più pratica e concreta rispetto ai miti ottocenteschi che la celebravano con la “c” maiuscola, diciamo una sorta di concordia minor, in cui potrebbe avere un ruolo anche la nostra buona volontà. Ma non ho pretese argomentative in tal senso e quindi cercherò, in proposito, di limitarmi alle mie prassi quotidiane e alle mie relazioni personali. Anche perché, lo confesso, più questa situazione generale va avanti, meno la capisco. Sarà l’età. Anzi, ormai ci capisco proprio poco e se dovessi andare a votare rischierei una scheda nulla, scrivendoci per distrazione Camillo Benso di Cavour.

  • Dimenticavo, grazie Pietro per le belle parole, ma in effetti vista così la citazione di Esiodo si potrebbe dire più dettata da malumore familare verso il fratello farabutto, che tuttavia cita spesso, quindi doveva anche tenerci al suo affetto. Quella di Protagora di cui ho citato l’inizio è invece veramente stringente, in quanto in seguito affferma: “provvedeva a questa distribuzione equilibrata, facendo in modo che nessuna specie rischiasse l’estinzione.”, come noi rischiamo, dicono. Fatto sta che, rinchiusi nello spazio ristrettto delle polis, con il terreno dilapidato dal disboscamento continuo per far navi e altro, questi poveretti dei nostri illustri predecessori hanno affrontato i nostri stessi mali attuali, pestilenze comprese,e per queste ultime giunsero alla nostra stessa conclusione che si alimentavano di dissesto urbano.

    • Dissesto urbano. Ecco un altro possibile “ritorno al futuro”, caro Adriano. Non ho compreso molto dei vari provvedimenti del governo (anzi, quasi niente) ma mi sembra che stia per arrivare un meccanismo per le ristrutturazioni edili legate all’efficientamento energetico (termine spaventoso ma l’ho letto da qualche parte) e ad altro del genere. In pratica, il 110 per cento di erogazione. Non si risolverebbe il problema delle strutture metropolitane ad alveare ed a topaia, ma forse investendo più nelle ristrutturazioni dell’esistente, invece che negli ennesimi capannoni e condominietti alle perse, si canalizzerebbero risorse economiche più in quella direzione del ripristino che verso un ulteriore sregolato consumo di suolo. Addirittura, sarebbe bello poter contare su investimenti per la riqualificazione della cosiddetta archeologia industriale. C’era stata una bellissima giornata a Crema su questo tema, mi sembra il 15 maggio 2015, in cui s’erano dette cose molto interessanti. Forse avevo anche fatto una breve relazione alla redazione. Va bene, mi fermo. Fine del sogno.
      (Ma quanti sogni si possono fare “ritornando al futuro”!)

  • A Pietro: “L’ecobonus prevede detrazioni per specifici lavori di efficientamento energetico e tutela ambientale pari al 110% per le opere e gli impianti di ristrutturazione immobiliare su case e palazzi”. Non mi sembra ci sia il rischio di cementificazione di nuove aree.

  • (Forse qualcuno ha capito che sono triste e insoddisfatto a causa dei miei “fallimenti”, ma ha capito male. Io sono soddisfatto e fiero dei miei fallimenti. Forse non ero stato chiaro.)

    Commento come posso, non me vogliate:

    Aiuto!!! Quando sento parlare di PIL, Debito Pubblico e compagnia bella non capisco più un cazzo. Scusatemi se non posso fornire un contributo reale. Vorrei tanto, ma come faccio? Mi mancano le basi. So fare delle cose spesso utili e interessanti che restano nel cuore dei giovani, come il funzionamento di un motore asincrono o l’utilità degli integrali. Ma se mi parlano del “Divorzio della Banca Centrale…” non riesco più a capire. Come fa la gente come me a dare una mano per migliorare il Debito Pubblico se ha cercato tutta la vita di “non fare debiti” ? Magari dico una stupidaggine.
    Me li hanno fatti fare a mia insaputa?
    Nel senso che mentre mi davano lo stipendio d’insegnante, non me lo meritavo e ero una zavorra per la società? Credo di sì! La scuola faceva schifo.
    Io sono stato un fautore di questo disastro non scagliandomi con tutte le mie forze contro colleghi, presidi e ispettori fancazzisti. Appunto un insegnante fallito.

    Ma veniamo al dopo virus:

    Certo posso capire che chi ha tenuto chiuso per tre mesi, può aver perso quasi tutto. Bisogna aiutarlo. Potrebbe venire a lavorare qui con noi, ma come facciamo se si ferisce o si schiaccia un braccio sotto il trattore come è capitato a me? Come facciamo a pagargli le ferie se nemmeno noi le facciamo ormai più, da 30anni?
    Eppure qui di lavoro c’è ne sarebbe tanto.
    Magari qualche funzionario dell’agenzia delle entrate che perde il posto potrebbe venire qui a mungere oppure ad aiutarci a pulire la stalla. Che ne sò, un prete che gli tolgono lo stipendio viene qui a tagliare le piante, un magistrato che non avrà più lavoro dopo il coronavirus ci aiuta a chiudere i buchi sulle strade.
    Un segretario comunale disoccupato, che con la forca ci da una pulitina alle alghe dei fossi, poi sta lì di notte con le zanzare a curare che l’acqua non si fermi. Una cosa del genere. Solo quelli che perdono il posto, s’intende!!!
    “Ce la faremo”?

    • Signor Giacomo, ho letto con piacere il suo intervento. Non deve vergognarsi né rattristarsi per i suoi fallimenti perchè essi fanno parte della vita. Solo chi non fà nulla può evitare i fallimenti. Per quanto riguarda la scuola, la propaganda neoliberista punta a svilire e a denigrare agli occhi dell’opinione pubblica il ruolo di chi lavora nei settori che si vogliono privatizzare e/o smantellare. Un’altra tattica della propaganda neoliberista è quella di instillare sensi di colpa nell’opinione pubblica. Se la scuola non funziona più da anni, non è certo colpa degli insegnanti, come vogliono farci credere. La colpa è delle classi dirigenti che, per tutelare i loro interessi e quelli dei loro padroni (la borghesia vendedora y compradora), hanno deciso di distruggerla.
      Per quanto riguarda l’economia, essa non è altro che un’ancella della politica. L’economia non è una scienza, come lo sono la matematica o la fisica, per intenderci. Non c’è il giusto o lo sbagliato, tutto dipende da quali interessi si vogliono tutelare. Da mesi scrivo su questo blog e cerco (inutilmente) di fare passare questo concetto. Riforme come la separazione della Banca d’Italia dal Tesoro, non a caso, vengono realizzate solitamente nei mesi estivi o quando l’opinione pubblica è “distratta” da altre vicende, nel silenzio complice dei mass media. A volte, addirittura, si realizzano senza nemmeno consultare il Parlamento.
      Io non sono in grado di dire se ce la faremo. Sicuramente non ce la faremo se non ci liberiamo al più presto dei vincoli economici che ci hanno imposto e non recuperiamo la nostra sovranità, perchè senza di essa non ci può essere, per il nostro paese, né rilancio economico né democrazia.
      Distinti saluti

  • Caro, Giacomo, ti ricordo come un prof che ha dato tanto alla scuola, più di quanto richiesto dai… protocolli (come si suol dire oggi). E poi, con la vulcanica personalità, sapevi stimolare i ragazzi, ben oltre le tue materie tecniche.

    Leggo i tuoi suggerimenti. Mi sembrano di buon senso in un “mondo che non c’è”, ma siamo tutti convinti che nessuno dei… colletti bianchi farà i lavori che tu fai. Tutti preferiranno prendere il reddito di cittadinanza o di emergenza finché sarà possibile. Il nostro, Giacomo, è un Paesi di “diritti”, ma non di “doveri” (il dovere, in primis, di guadagnarsi la pagnotta!).
    No?

  • Tra i numerosi spunti, Francesco, che ci hai offerto, c’è anche quello riguardante le modalità di commercializzazione di prodotti e servizi per canali di vendita e sistemi distributivi.
    È materia da analisti economici e non da zuzzurelloni mediatici ma proverò ugualmente a esprimere qualche considerazione in merito. Lasciamo per ora da parte le vendite dirette o per corrispondenza o via media (tra cui quelle delle deprecate “multinazionali”). E parliamo di beni di consumo, dove il termine “durevoli” lo lasciamo abbastanza in sospeso. Siamo quindi all’ormai notissimo confronto, anche nella più oscura e sperduta provincia rurale, tra esercizi commerciali al dettaglio e grande distribuzione. Non a caso, associazioni e federazioni sia datoriali che sindacali si sono già divise il terreno nel raccogliere la massa critica dei due schieramenti. E sappiamo quali siano e quale forza abbiano.
    Il punto è: questa drammatica pandemia avrà conseguenze rilevanti in questa partita? Una partita che ha dietro importanti filiere, indotti, catene del valore e realtà imprenditoriali diffuse.
    Tu citi i negozi di Borgo San Pietro e da lì parti per la tua riflessione. Ebbene, adesso la clientela avrà maggiori attitudini di ingresso e di spesa nel “negozio” o nel “supermercato” (o “ipermercato”)? E per quali ragioni? Oppure non cambierà nulla?
    In questo caso, il “ritorno al futuro”, verso quale “futuro” potrebbe “ritornare”?
    Da giorni si parla tantissimo, spesso con più buona volontà che competenza economica, delle imminenti riaperture e di quelle già avvenute con tutele e cautele varie. Ma quanto la propensione di spesa potrà adesso cambiare in conseguenza di quanto avvenuto in questi ultimi mesi? Qui bastano pochi punti di market share per determinare nuovi equilibri e nuovi assetti commerciali.
    Mi permetto infine di dubitare della visione, che ogni tanto emerge, per cui il “negozietto” sarebbe frequentato dai meno abbienti e le grandi catene dai più benestanti. Non lo si dice esplicitamente ma ogni tanto sembrerebbe così. Personalmente, non lo credo. Ad esempio, a Crema, guardiamo a certe “boutique” alimentari e alla loro clientela. E poi guardiamo alle masse multietniche che affollano certe mega-realtà. Di consumo e consumatori sempre si tratta. Cambiano le tasche.

    • Pensavo anch’io il contrario: in certi negozi, senza fare nomi e cognomi, vai quando decidi di trattarti bene e sei disposto a spendere quello che c’è da spendere, mentre al supermercato di solito si dà la caccia alle offerte. Personalmente, comunque, sono favorevole al fatto che il prodotto di qualità abbia un prezzo adeguato. Fare le cose come si deve costa, ed è giusto che chi s’impegna venga premiato.
      Da massaia, noto comunque che il rapporto qualità-prezzo sta migliorando.

    • Infatti sarebbe forse meglio distinguere i due aspetti: quello del livello economico e sociale della clientela che va in determinati negozi da quello, che pure Francesco ha ben indicato, della rete stabile di relazioni umane locali che attraverso i negozi di quartiere si può (forse, non è sempre detto) sviluppare e conservare meglio che nelle strutture commerciali misurabili in ettari. Va anche ammesso che esistevano e forse esistono ancora piccoli esercizi commerciali a prezzi bassi e con offerta qualitativa mediocre. Ma a Crema non ne vedo molti. Per cui, d’accordo sulla possibile spersonalizzazione dell’acquisto nella grande distribuzione (forse, non è sempre detto, anzi, gli eventi di “socialità” sono sempre più curati) ma ci andrei cauto sulle correlazioni tra il canale di vendita e il sistema distributivo, da un lato, e il livello economico degli acquirenti, dall’altro.
      Comunque, a Crema, tranne chi fa quella volta delle spese periodiche di volume e di ingombro incompatibile, ci sarebbe di bello che, in tutti i negozi e in tutti i supermercati e gli ipermercati esistenti sul territorio comunale, si potrebbe andare a fare la spesa in bicicletta e, nel centro storico, ovviamente anche a piedi.
      Mi sa che su questo “ritorno al futuro” della bici si potrebbe essere d’accordo sempre più in tanti.
      Adesso poi pare che facciano persino delle bici “elettriche”, per chi ha bisogno della “pedalata assistita”.

  • Pietro, entro nel merito del tuo commento con un fatto concreto, un accadimento di stamattina:
    per acquistare gli stupendi formaggi caprini del “IL CAPRINO DI SONCINO” (così ….accidentalmente si tratta degli ottimi prodotti del figlio di Giacomo, Filippo e della sua gentil compagna di vita e di lavoro!), come da loro indicazione mi sono recato al MERCATO AGRICOLO di CREMA (che, dopo la sospensione per covid-19 del 13 marzo ha ripreso le sue attività) , al (bruttissimo ma efficiente) “Mercato coperto” .
    Li, due volte al mese (più il 31 maggio “E’ TEMPO DI FRAGOLE E CILIEGE” e il 28 Giugno “FESTA DEL MELONE”, e il 26 Luglio “ANGURIA CHE PASSIONE”, e il 27 Settembre “FESTIVAL DELLA ZUCCA, finendo gli extra al 25 Ottobre con”SALAMINI E FAGIOLINI DEI MORTI” !!!) si crea un punto vendita pubblico “multi purpose” per una iniziativa alla quale hanno aderito 12 produttori agricoli del Cremasco uniti in Associazione “Le Terre del Cremasco”.
    Odore di nuovo, odore di giovani entusiasti del loro lavoro, senza altoparlanti che ti rincoglioniscono a decantare ciò che vogliono tu compri anche se non ti serve!
    Ecco, Pietro, questo che ho praticato stamattina è un bell’esempio di “ritorno al futuro”!

    • Caro Francesco, in famiglia siamo già estimatori dei formaggi di Giacomo e di suo figlio e della sua compagna.
      Qualche mese fa abbiamo visto a Soncino il suo allevamento e la sua azienda agricola, che Giacomo ci ha fatto visitare. Non ho mai visto tante capre insieme in vita mia, tutte ben ordinate e curate.
      Con lui, comunque, Laura e io siamo amici già da quasi mezzo secolo fa.
      Davvero ottimi prodotti. Quindi, un ottimo “ritorno al futuro”, hai ragione, Francesco.
      Grazie comunque per i riferimenti che cortesemente mi hai indicato.
      Anche le altre opportunità che hai citato ci vedono affezionati fruitori. Io mi fido di mia moglie che provvede a tutto, dagli acquisti alla somministrazione familiare, anche perché in queste cose l’unica parte in cui riesco bene, da sempre, è l’esercizio della mandibola.
      Sul mercato coperto, so che anche signore e minori leggono il blog, per cui no comment.

  • Da qualche giorno stiamo assistendo, nei comportamenti quotidiani delle persone che vediamo intorno, più che a un “ritorno al futuro”, a un “ritorno al passato”, clamorosissimo. Chiaramente, abitando in questa piccola città e in questa grande campagna, l’osservatorio è quello che è. Resta la mascherina, ultimo segno di una paura ormai passata, anche questa tolta subito, a piedi, in bici, a cavallo, in auto, non appena girato l’angolo. D’altra parte, certe attività che implicano una respirazione non da divano & telecomando rendono la mise alla Jesse James impossibile.
    Non parlo dell’aspetto economico, che sarà pesante, anche se in misura diversa, molto diversa, per noi italiani e pure per noi cremaschi, che viviamo ancora, qui in città, in una società molto gerarchizzata per ceto e censo.
    Parlo della voglia di tutti di riprendere la vita di prima. Esattamente quella di prima, in tutto e per tutto, niente escluso, anzi con qualcosa in più, per rifarsi, per recuperare, per mettersi in pari. E parlo di come in effetti diventi difficile immaginare che si passi dal consumo alla penitenza, dal prodotto interno lordo al sacrificio interno netto (salutamassorata), dall’economia di mercato e d’impresa all’economia di cenobio e di romitaggio, dalla socialità, dalla convivialità, dall’amicalità al respingimento, alla misantropia, all’isolamento.
    I livelli di polveri sottili stanno risalendo. In centro i parcheggi selvaggi imperversano di nuovo. I supermercati si stanno riempiendo come prima e più di prima, così come le boutique alimentari del nucleo storico. I bar adesso si riempiono sia dentro che fuori, perché il il plateatico vince sul virus. Barbieri con prenotazioni per un mese abbondante. Palestre con boom di reiscrizioni. I cremaschi sono sempre loro, quei meravigliosi, incoscienti, intemperanti personaggi che in Terraferma Veneta avevano il record dei festeggiamenti e degli omicidi a carnevale e il record di conventi dentro le mura per andarci poi in penitenza. Il virus? E chi se lo ricorda? E dire che da noi ha colpito duro, durissimo, quasi ogni famiglia ha avuto morti, intubati, lutti, dolori, tombe in più da visitare nel solito giro al cimitero.
    Va bene così? Sarà solo lo sfogo collettivo dopo la clausura e poi vedremo? Oppure non va bene per niente? Qualcuno ci capisce qualcosa? Ci sarà sotto il solito complotto dei perfidi vaccinatori collettivi, magari dei nefandi tracciatori dei nostri movimenti? Mah, chissà.
    Guardate fuori che sole che c’è oggi. E io sto qui a scrivere? Vi saluto, ci vediamo in giro, a spasso, la vita è bella e quando il governo ci dirà quanti soldi vuole per pagare i debiti, vedremo. Tanto, siamo nei debiti dal 1876. Colpa di Depretis, Cairoli, Crispi, Giolitti, Mussolini, De Gasperi, Togliatti, Craxi, Berlusconi, Renzi, Grillo, Salvini, non è mica colpa di noi cremaschi.

  • https://www.informazionesenzafiltro.it/reddito-di-cittadinanza-braccia-donate-allagricoltura/
    Devo dedurre che la maggioranza di questo blog sia di orientamento grillino. Si è posto in queste settimane il problema della regolarizzazione di cittadini stranieri da impiegare in agricoltura. Soprattutto dal Marocco stanno arrivando in questo giorni voli charter di mando d’opera, pare specializzata nella raccolta do ortaggi. Perchè negli anni hanno avuto modo di imparare il lavoro, cosa che i nostri beneficiari del reddito, per inesperienza, e pare per poca scolarizzazione, mi vien da ridere, non hanno fatto, e quindi non possono essere impiegati. Tutti i marocchini, anche gli indiani, evidentemente sono laureati in discipline agricole. E lasciamo stare i navigator in panne, inesperti e nulla facenti. Ma evidentemente va bene così. E’ giusto che noi italiani stiamo seduti sul divano mentre quei poveracci si spaccano la schiena.

    • Che questi blog abbiano maggioranze diverse mi sembra chiaro. Come sempre, conta anche lo spazio che si lascia alla minoranza.
      Il reddito di cittadinanza e la quota cento sono stati i due risultati, principali ed esemplari, di quel governo durato quindici mesi, quindi sopra la media di durata di tutti i governi dell’Italia repubblicana, con i suoi più che deleteri 461 giorni in cui si era detto di “lasciarli lavorare”.
      Per certe cose non è necessario attendere, dopo un secolo, il giudizio della Storia. Basta attendere, dopo un anno, il giudizio della Cronaca.
      E così sarà pure per questa pandemia e per gran parte delle cose che si sono dette e scritte in proposito, compresi i corollari sulla dittatura, sulle macchinazioni e sulle violazioni dei diritti.
      Gran cosa avere traccia scritta di ciò che ciascuno esprime e dibatte.
      Tempo al tempo.

  • Pietro, non ho capito il significato delle prime due righe del tuo commento qui sopra.
    Espliciti meglio il tuo pensiero? Ti riferisci al blog o fai considerazioni di tipo generale?

  • In generale, Francesco, infatti ho usato il plurale, o ritieni che ci siano più CremAscolta?
    Sarebbe un blog pirandelliano, magari meglio ancora, una tipica offerta del tipo ne apri uno e ne leggi due.
    Ovviamente, nel “mio pensiero”, posto che conta ben poco in proposito, il generale comprende il particolare, anche sulle cosiddette maggioranze e minoranze, che poi in genere, su questi social-media d’ambito soprattutto territoriale, salvo eccezioni, non sono di solito di coloritura politica nazionale ma spesso di frequentazione personale locale.
    Anche per questo, sull’orientamento “grillino”, aggiungo che mi spiace dissentire da Ivano. Anzi, direi proprio tutt’altro, anche in base al numero e al contenuto dei commenti di questi primi cinque mesi dell’anno e alle varie dinamiche tipiche di queste realtà, per quanto tracciabili. Però non so che modulo statistiche usiate, per cui non so nemmeno in consiglio direttivo con quali criteri svolgiate le solite valutazioni associative in sede propria (conosci i meccanismi di queste associazioni meglio di me).

  • Pietro, orientamento grillino voleva significare il disinteresse verso i lavori possibili e appunto le misure grilline per uscire dalla povertà. Mi sembra che un tempo per uscire dall’indigenza si cercasse un lavoro. Ecco, in campagna c’è, però importiamo mano d’opera dal Marocco, e noi continuiamo ad elargire sussidi gratis. E siccome l’argomento era stato diffusamente trattato, ora mi stupisco che nessuno faccia questa semplicissima associazione. Tutto qui. Compresa la deduzione.

    • Grazie della precisazione, Ivano. Tutto molto chiaro.
      E sul fatto evidentissimo che non convenga, percependo il reddito di cittadinanza, accettare un lavoro, in particolare quello che oggi potrebbe essere svolto in agricoltura, evitando i charter marocchini, ormai non ci sono più dubbi e la realtà è sotto gli occhi di tutti. Questa misura economicamente costosissima per le casse statali, che era stata conclamata come finalizzata a favorire l’occupazione, si è risolta da questo punto di vista in un fiasco totale, in un fallimento completo. Quanto ai cosiddetti navigator, è stata la figuraccia dentro la figuraccia. Per non parlare del reddito di cittadinanza concesso a mafiosi, cani e porci ogni tanto scovati dalla guardia di finanza. E questi ancora pretendono di governare. Anche la quota cento, millantata come l’apriti sesamo per l’occupazione (“un nuovo occupato per ogni pensionato”) e pure costosissima per il nostro bilancio nazionale, si è rivelata per quello che era, che è e che resterà fino a quando non ci si porrà rimedio: una guitteria elettoralistica e una guapperia politica, con zero risultato pratico e zero valore occupazionale. E questi probabilmente tra non molto torneranno al governo. Speriamo che almeno mantengano la promessa dei seicentomila clandestini da rimpatriare, che nel primo giro di giostra avevano toppato alla grande.
      Hai fatto bene a fare questa associazione, Ivano. E sul fatto che nessun altro l’abbia svolta, sai meglio di me che di solito si ruggisce prima di essere smentiti dai fatti, non dopo. Lo ripeto, il tempo è galantuomo.

  • Finivano gli anni ’50 (parlo del ‘900 neh!) ed a seguito di sopravvenuto, fortunoso conseguimento “a ottobre”, di “Maturità scientifica”, in tre amici ottenemmo inopinatamente il permesso di un viaggio (in treno nè!) in Germany , a trovare un comune amicone compare di malefatte, la apprendente l’arte dell’ orologeria.
    Una volta sul treno, emerse che uno dei tre compari confessò di non aver ricevuto una lira dal padre.!
    La cassa comune ne risultò mortalmente ulcerata.
    Per metterci una pezza, una volta a casa dei “tugnit” (così li chiamava amabilmente mio padre), era tempo di raccolta della frutta, lavorammo (in nero, noi ….bianchi, ma allora di “neri” in Germany, davvero pochetti!) per fare un pochetto di cash, così come era usuale per molti studenti in quel contesto.
    Nella ricca, consumistica Italy, nemmeno un pò razzista, tanto consumista anche negli acquisti di tutto ciò che non serve proprio a nulla (vedi l’arredamento della casa di Lulù/Volontè in “La classe operaia va in pardiso” di Elio Petri) i lavori stagionali, di sgobbo duro sotto il sole, oramai “tradizionalmente” vengono sbolognati, in nero, tramite caporalato, giust’appunto ai neri, in condizioni di para-schiavitù!
    Il tutto nei decenni, con il silenzio/assenso di chi, sinistra/destra (più destra che sinistra!) ci ha (s)governato.
    A me pare che, 5*/PD governanti, anche grazie al pianto di una Ministra assai poco ….. “garfagnica”, il problema sia emerso e, magari non al meglio, sia stato affrontato con un abbozzo di regolamentazione para/civile.
    Certo si può/deve fare molto meglio e di più, però, mai si comincia…..

  • Non so se sia un “ritorno al futuro”, un “ritorno al passato” o un’andata altrove e chissà dove. Ma di certo da questo fine settimana siamo tutti tornati, in città, alla situazione precedente al virus, in tutto e per tutto, con in più un’impennata dinamica di comportamenti e di esuberanze molto evidenti e ben superiori a quanto accadeva in precedenza. Oggi le vie sono piene di gente, i negozi e i bar pure, tutti a entrare e uscire dappertutto, dovunque si muove una folla di pedoni, biciclette e auto particolarmente folta e rumorosa. Persino le mascherine, ultima lontana reminiscenza di un recente passato ormai rimosso, sono un fatto di moda, di ultimo grido, con colori, fogge, trovate innumerevoli, portate nei vari stili personali, con altezze, inclinazioni, invenzioni di collocazione facciale fantasiosissime. Ci hanno tolto il carnevale, noi alla maschera personalizzata non rinunciamo. Persino i cani (ma dov’erano tutti questi cani, a Crema?), un numero sterminato di cani delle razze e taglie e tosature più improbabili, passano eccitati e smaniosi trascinando i loro umani referenti al guinzaglio. In questi fine settimana sono intervenute, a buio inoltrato, varie vetture della forza pubblica per cercare di limitare gli assembramenti e le masse, soprattutto di giovani, in stazionamento notturno con birre e sigarette non sempre di monopolio. Una delle più belle piccole piazze del centro storico, dietro il Duomo, era invasa da una quantità enorme di gente vociante e sbevazzante nonostante i divieti affissi dal municipio in diversi punti della piazza. Urla, clacson, improperi dalle finestre dei residenti, una sarabanda diabolica. Del virus nessuno sa più niente, ricorda più niente, vuol sapere più niente. Un’ondata liberatoria, inarrestabile, travolgente. Anche di giorno, anche nei meno sgarzolini e più stagionati cremaschi, c’è un senso di vitalità e di slancio che spinge a divertirsi e a spassarsela. Il bel tempo aiuta, gli arretrati di voglie e di desideri pure, tutti in giro in un incessante nomadismo a comprare e consumare e poi daccapo, come molle compresse a riprendere spinta e impulso dopo la costrizione. Non si sa come saranno superate le difficoltà economiche di molte famiglie, le crisi di molte realtà, a volte la mancanza di lavoro. Cose che esistono ma che vengono quasi coperte e ignorate, forse solo in apparenza, da una città che sembra rinata, rinatissima, allegra e contenta di ciò che è, che fa, che vive, in clamoroso recupero di attività, agitazione, voglia di esserci. Non è un “ritorno”, è una “esplosione”. Al presente, a questo incredibile presente, che più presente non si può. Difficile, impossibile, capirci qualcosa. Difficile, impossibile non farsi coinvolgere e godersi la città, la città più viva e brillante che mai.

    • Pietro, per ….dovere di cronaca: stamattina sono tornato a fare acquisti (formaggi, uova, verdura, miele….) al quindicinale mercato Domenicale, Agicolo di Crema, dove propongono i loro prodotti agricoli, fuori dai giri della grande distribuzione, direttamente, i produttori agricoli dell’Associazione “Le Terre del Cremasco” e mi sono trovato tra persone civili, educate, conviventi senza aggressività, nel rispetto delle regole, facendo la coda quando c’era da farla, nel rispetto dei presidi atti a non coinvolgere in modo indesiderato il vicino con “umori” personali (magari latori di perfide conseguenze virali del tutto indesiderate!), senza tante menate, mettendo da parte stupidi ego et similia!
      Si perchè, magari non è la maggioranza, ma ci sono anche cittadin con la testa sulle spalle, ai quali piace darsi delle regole di viver civile e rispettarle, in una Crema che è anche , anzi soprattutto, una città bella e civile, con un bravo Sindaco (donna, brava e anche bella!), dei bravi Assessori, che si danno da fare al meglio per il bene della città! Una bella iniezione di fiducia, dai!!!

  • Riprendono le conferenze! A numero chiuso, certo, ma si riparte, e un pezzo di vita ritorna. Esperienza sconcertante invece in banca: sede periferica e ometto la banca. Non si apre manco a calci. Ma io ho il numero! “Pronto, sono tal dei tali, devo fare un’operazione ma è chiuso”.
    “Certo ttale dei tali, la sede dove è ad aspettare riapre il 26, ma può venire in centrale con appuntamento”
    “Bene mi dia l’appuntamento!”
    ” Il 27 le va bene?”
    “Grazie, allora spetto che riapra questa il 26”
    Il paese riparte, ma senza soldi i tasca, nemmeno per chi deve solo monetizzare un assegno…

    • Adriano caro, dopo le cure assidue e convergenti elargite con generosa continuità a me ed a chi altro abbia deciso di avvalersi dell’opportunità, dalla premiata “Rita&Livio” amalgameted, non ho dubbio alcuno che l’origine del tuo male sia esclusivamente da attribuire all’ometto, ducetto et similia, che sta guidando il Governo (da operetta) in carica.
      Fattene una ragione!

  • Chiusi in ….. gloria gli Stati generali di Villa Pamphilj, alle viste l’incontro/confrono con le forze politiche della “minoranza”, tra una settimana si potrà leggere il Piano di rilancio e capire concretamente cosa il Governo intende fare, quali “cantieri” si a/ri apriranno mer rimettere in moto quanto i tre mesi di stop forzato da pandemia hanno bloccato.
    A questo proposito mi è sembrata tanto sensata, quanto concreta, la proposta del nostro (è Cremonese e l’abbiamo avuto graditissimo ospite nella stra-affollata serata di apertura della III^ edizione del Corso di economia!) Carlo Cottarelli, riportata dal Fatto Quotidiano di oggi della quale, di seguito estratto significativo:
    “…..Gli interventi che dovrà proporre il governo dovranno avere priorità temporali….se si vuole fare
    bene serve un impegno politico, bisogna puntare su poche e realizzabili. Ora al Paese ne basterebbero tre:
    – la riforma della giustizia civile con un nuovo codice degli appalti; una riduzione effettiva della burocrazia in tutto il suo apparato;
    – una spesa per investimenti pubblici. Ma non parlo di grandi opere! Ora è tornato di moda il ponte
    sullo Stretto di Messina. Sarebbe un errore: quei finanziamenti potrebbero andare alla manutenzione di altri ponti e strade e alla messa in sicurezza delle scuole.
    – C’è, poi, la necessità di investire nell’impianto del sistema sanitario non perché si debba fare solo per necessità a causa di una pandemia, ma per aumentare la qualità dei servizi.
    Sono proposte che certamente attirano meno la politica: inaugurare una linea ferroviaria per i pendolari, come
    la Mantova-Cremona (ndr: o la Cremona-Crema-Treviglio- Milano!!!), non è così attraente come una grande opera. Eppure per l’Italia mille interventi piccoli sarebbero meglio di poche opere faraoniche.
    C’è un problema di concretezza che va sempre valutato…….La vera rivoluzione è un’altra: muovere più velocemente gli investimenti…..”
    Personalmente “sposo” in toto questa impostazione di grande concretezza del “Direttore dell’Osservatorio
    sui conti pubblici italiani” e confido davvero che il Governo Conte, pur tra le numerose difficoltà che anche la precaria situazione politica contingente (elezioni regionali comprese!), lo impegnano e condizionano, le faccia proprie, per il bene nostro e del Paese!

    • Confido nella retta via, e non ho che da guadagnarci sia come sìngolo cittadino che come adepto al sistema Italia. Mi sembra tuttavia così “strano” assistere alla diatriba della riduzione IVA sì, no, o a ritmo alterno come le luci dell’albero di Natale, e poi mi trovo di fronte un Paese che ha addirittura dei dubbi sull’abolizione del contante (e di mio agiungerei anche della privacy, ma so che sono esagerato).
      Iniziamo dai ladri dico! Sì, e dal ladro che ci ripara questo o quello, che ha cura dei capelli come del sistema idraulico virile, non faccio esclusioni di categoria. Ma sapete quanto scenderebbe il costo del lavoro a livello industriale? Certo, in piccola scala magari inizialmente si spende di più.
      Inoltre, certo, fin quando scherzosamente dei Comuni si permettono di stampare moneta… Scherzosamente? tanto serve per scambi d’opera interni? Lo Stato deve esserci in tutto e su tutto! Per questo una volta era considerata legittima l’alternanza tirannide/democrazia. Per questo abbiamo meno argomenti da opporre a certe forze politiche assolutamente prive di capacità gestionali, financo di conoscenze, che fanno programmi da operetta, ma che possono fare la voce grossa basandosi su argomenti che dovrebbero essere marginali, anomali!
      Già, perché fare il tiranno adesso è difficile, servono le competenze, non è come una volta che bastava una ghigliottina e una sala torture, perché se anche ogni cittadino iniziasse a fare a puntino il suo dovere, devi dirgli come orientarsi, una questione di mission e di vision, e quelli non saprebbero da dove iniziare; altrimenti li vorrei. E la premiata amlgamated l’hai tirata in ballo tu, e mi dispiaciuto aprire un dissenso, ma l’insensatezza no, altro che diritto di opinione! Proviamoci, prendiamo di mira un singolo punto e battiamo su quello.
      Ma il movimento d’opinione per l’onestà gestionale è troppo ingenuo?

  • Cottarelli anche sul mio giornale, oggi, con un articolo autografo. Uomo di onestà intellettuale fuor del comune per un personaggio del suo spessore. Indicandole tre strade per uscire dall’impasse economico in cui il virus ci ha cacciati, non Bill Gates, non i grandi complotti ebrei, Cottarelli pur esperto economista si muove con grande cautela, insinuando salutari dubbi superabili solo se “la lentezza con cui la pubblica amministrazione si muove quando deve spendere direttamente, soprattutto per gli investimenti” si desse un’accelerata. “A questo punto la semplificazione burocratica è essenziale”. E qui parlava di investimenti statali e grandi opere, sanità,
    scuola. Affrontando poi le altre due strade percorribili, taglio dell’Iva o del cuneo fiscale, si pone comunque delle domande.
    Rispetto al cuneo conclude chiedendosi se il taglio, in busta paga, si tradurrebbe in aumento dei consumi. Non dà una risposta certa. Vale anche per il taglio dell’Iva che traslato sui prezzi avrebbe un chiaro vantaggio rispetto al cuneo fiscale perchè realizzabile in fretta. In questo modo Cottarelli dice che questo avrebbe un effetto immediato sui consumi, ma anche qui pone margini di incertezza. “La distribuzione al dettaglio passerebbe davvero il taglio dell’Iva sui prezzi, con la necessità di rivedere i listini prezzi, i menù dei ristoranti,eccetera?? E sempre in una situazione di grande incertezza, le famiglie aumenterebbero molto i consumi di fronte a un calo dei prezzi?”
    Conclude, potendo essere una misura temporanea, “che ci sarebbe poi la difficoltà politica di riportare l’Iva al suo livello corrente, per la paura che questo possa portare a un crollo dei consumi.
    Insomma, il suo articolo continua con questo tono, e a me, dopo averlo letto,ha preso un grande scoramento constatando il vicolo cieco in cui siamo finiti. E allora a me pare che i nostri politici, litigiosi, indecisi non abbiano altra strada da percorrere che una sola: spendere, spendere, spendere, ma che lo debba fare anche il cittadino è scontato vincendo paure che portano a mettere da parte per il futuro, nostro e dei nostri figli, dimenticando che il futuro è già qui. Ma questo l’ho già scritto anche ieri e a nessuno è parsa evidentemente una buona idea. Ma io insisto: i soldi in banca servono solo alla banche. I consumi invece servono per pagare l’affitto del negozio, del ristornante, il fornitore, i dipendenti, per far sì che tutto ricominci a girare. Mai come ora il termine filiera è appropriato. E nessuno è escluso.

    • Si, Ivano, hoi ragione, è la legge che governa la “civiltà dei consumi”. Non mi piace, il mio obiettivo di medio/ lungo periodo è uscirne, gradualemnte, sensatamente, sostenibilmente decrescere, ma allo stato (ops!) consumare è necessario per ripartire.
      Non dimenticando però, ed io personalmente mi impegno a farlo, che l’obiettivo di medio e lungo periodo è altro! Ed è difficile, perchè se ce l’hai addosso, la gioia, la smania del consumare, non te ne liberi facilmente! E’ una ….”scimmia” perversa!

  • Francesco, qui e ora siamo nella merda. Per un futuro sostenibile poi ci sarà tempo, ma mai come ora c’è bisogno di concretezza. 😭

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