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MARINO PASINI

Il soldato Sabina Ciuffini, valletta parlante a gettone

La Spezia, Spézia per i suoi abitanti, a differenza della bella Genova, è una città brutta tanto, venuta su in fretta e furia con il suo porto, quasi arrivando a centomila residenti, ma ha da offrire meravigliosi dintorni, da qualunque parte si prende la strada. Il Golfo delle Grazie; le colline; il Magra; la Lunigiana ligure e toscana, Punta Chiappa, Lerici, Portovenere, i due mari, i giorni eroici dei partigiani di Sarzana. Poi, Monte Marcello, Montanelli che passeggiava lungo spilungone dritto come un chiodo a stemperare la depressione, Montale e i suoi ossi di seppia, Mario Soldati a mordere il sigaro, giù, nell’insenatura di Fiascherino, Tellaro; Riomaggiore, gli ulivi, il trenino per le vigne fra la collina e il mare, i sentieri a brigoloni, a serpentina, a scale. I borghi chiusi a pugno sui cocuzzoli. I cremaschi hipsters che campeggiavano sulla spiaggetta di Guvano e lasciavano siringhe ovunque; così partì una spedizione di liguri di Manarola, Vernazza che arrivò con le barche, le mazze da baseball, e furono botte da orbi. Tanto ben di Dio oltremisura che a noi, nella pianura cremasca, non è concesso. A Salvirola, tuttalpiù sforano i forestieri cacciatori bresciani e bergamaschi, che sparano pure ai droni, prendendoli per uccellacci.

Però, si consiglia,  quando una persona è brutta da vedersi, non può certo vivere di rendita senza darsi almeno una pettinata, darsi colore, inventarsi qualcosa, che se non la rende attraente la fa almeno passabile. Così vale per i luoghi.  Spezia? Niente da fare. Più la guardavo, la frequentavo, e meno mi piaceva. Poi, con quella parlata lì, spezzina, strascicata, di chi pare appena svegliato e ancora in bambola, le vocali che inciampano in bocca, la frase stracca, pare di essere in un pezzo di sud nostrano, senza il calore umano, la generosità, anche le astuzie di sopravvivenza del belpaese sudista.

Del resto, la vita è un mistero: solo il Padreterno sa la ragione per la quale i due marmocchi Pasini, maschi, fattisi quasi adulti, mangiagranoturco, polenta e nebbie di pianura, sono finiti entrambi in Marina Militare. Soldati marinai. Ventiquattro mesi l’uno; diciassette mesi, perchè c’era stata una riforma, un’accorciamento, per l’altro. Rifiutare non si poteva; ingiustizia capitata a caso; imprecazioni tante da riempire le tasche. L’Italia militare è l’orgoglio di tutte le destre politiche; fare il militare era anche segno di virilità maschia, in quegli anni (’76-77), con gli esagitati con simpatia fascista che s’involavano come parà a Pisa, o nel battaglione San Marco a Venezia. L’Italia, paese serio, prese allora una decisione storica ben meditata: tagliò il paese con verticale diagonale neanche precisa, lungo lo stivale, e siccome Crema stava per un niente sulla traiettoria, a destra, Spezia a sinistra, ci furono calabresi che fecero l’addestramento in Liguria, mentre i quattro gatti di cremaschi destinati in Marina, finirono a Taranto, per frequentare l’Addestramento. Nella città pugliese restai con lo stesso cappotto, le stesse mutande camicia calze, per dieci giorni, con una doccia soltanto nel mezzo, e una mattina mi svegliai con il dentifricio sulla testa. Si marciò in borghese; qualche compagno appena conosciuto spariva perchè rispedito a casa, salutando gioioso dal finestrino dell’autobus, mentre noi, come i carcerati, guardavano l’autobus scomparire di lì a un niente, fuori dalla galera, e noi pronti a piangere come bambini. Pensavo alla pastasciutta, ai tortelli di casa, avrei pure recitato il santo rosario con mia madre, o letto per lei il Nuovo Torrazzo, pure gli editoriali feroci contro il sesso fuori dal matrimonio, pur di andar via dall’incubo in cui mi trovavo. Io che mangiavo pane e giornali, non sapevo nulla di ciò che succedeva nel mondo: non un edicola in tutto l’Arsenale, eccetto qualche quotidiano la domenica, nello spaccio del CAR. Per telefonare bisognava uscire dall’Arsenale; dentro, c’erano due cabine telefoniche a gettone, di cui una non funzionante, l’altra con file da paura. E non fu permesso uscire per le prime due settimane. Nei bar, fuori l’Arsenale si cercava il telefono a scatti, ma le code assomigliavano a quelle dei primi giorni dell’attuale pandemia al supermarket, senza distanziamento. Uno attaccato all’altro, come a Pretoria di questi giorni, non per il brodo, ma per una voce amica. E c’era chi la faceva lunga, raccontava la rava e la fava alla morosa, chiedeva alla mamma se a Pesaro c’era il sole. Ma chissenefrega se a Pesaro piove o no, spicciati, coglione. Allora, sotto militare, non avevo la morosa, così chiesi a un amico di Crema il numero di R., la più racchia della nostra compagnia, che aveva un debole per me. Pur di ascoltare una voce femminile, giovane, avrei telefonato anche alle suore novizie, dialogato anche sul dopovita, pur di dare rosolio agli ormoni che mi trafficavano dentro come in certe pigne di formicai.

Il militare di leva era il prototipo dell’Italia vera. Eravamo divisi in tre categorie, fra gli alibi che non potevano accampare motivi seri per l’esonero: i super raccomandati, spesso benestanti, con cognomi di peso, che scampavano comunque dal Militare, inventandosi una scusa, poi protocollata. I raccomandati (che avevano parenti a Roma, conoscenze, padri capitani d’industria, uno zio prete, qualcuno che conta da corrompere) con una destinazione finale il più possibile vicino casa; e gli “sfigati”, i contaniente, senza santi in Paradiso, che finivano anche a Macomer, in Sardegna, o in Sicilia, fino al termine della naja. Ma una carta da giocare l’avevo. Ero un campione in dattilografia, grazie a mia madre. Oltre alle Segretarie d’Azienda, m’iscrisse a un corso serale di battitura a macchina, due sere la settimana, alle Canossiane, perchè non bisogna stare con le mani in mano, diceva, bisogna essere pronti per il lavoro che verrà. Scrivevo a macchina con dieci dita, anche senza guardare il testo; potevo guardare il cielo, o le mutandine che spuntavano dalla mini di Antonella, una mora di Caperganica, con le gambe infinite come le gemelle Kessler, e commettevo comunque pochi errori. Li sentivo, gli errori, quando toccavo il tasto sbagliato, ancor prima di veder la carta scritta. Così, alla prova per due posti di furiere segretario a La Spezia, copiando a macchina un paginone che trovammo nel tavolino fianco alla e Olivetti, un grosso catafalco con il carrello pesante e i tasti scoperti a semicerchio, consegnai anzitempo, con pochi errori, mentre la truppa picchiava a martello, con due dita, cercando i tasti, come gli ortolani cercano piano nel cesto, le arance polpose per le sciure esigenti. A La Spezia mi attendeva un bell’ufficio, due porte dopo l’Ammiraglio di Squadra dell’intero Arsenale, città nella città: chilometri che non riuscì mai a conoscerli tutti. Capitava di dattiloscrivere pure le carriere di pezzi grossi, e insignificanti, Capitani di corvetta, di vascello, di fregata, Guardiamarina, marescialli di Marina. Schede con il timbro “segretissimo”, che servivano per l’avanzamento: si andava avanti se si era superiori alla media o eccellenti. Tutti, o quasi erano timbrati eccellenti. Tutti con il senso del dovere, del sacrificio, pure con i salami gratis, i doni di noi marmaglia speranzosi di un cinquepiùdue, una vacanzina fuori dalla truppa, a casa. Avevo un orario d’ufficio, niente turni di guardia, e potevo scappar fuori tutte le sere dall’Arsenale. Mi distaccarono, per dormire, con i marinai pompieri: erano la feccia, “la legione straniera” marinaia, esperta in scherzi sadici. Cominciarono le sveglie notturne, due o tre volte al mese, d’improvviso, anche d’inverno. Gavettoni d’acqua gelida, o di fondi di minestra fredda, con killeraggio eseguito dai “pre-nonni di naja”, su ordine impartito dai più vecchi, quelli con dodici mesi sulle spalle, dodici stellette nel bordo del cappello. Assemblee notturne obbligatorie, con la presentazione del regolamento interno “dei nonni”: le reclute possono far colazione entro le ore otto del mattino, non oltre; le reclute debbono spazzare le camerate, a turno; le reclute non possono fumare nelle camerate. E altre limitazioni. Il nonnismo era tollerato dalle autorità. Una sorta di “lezione di vita”, la chiamavano. E una sera mi spaventai di brutto. Sapevo di casi con marinai costretti a rapporti orali, violentati. Qualcuno che si suicidò. La decina di nonnetti erano quasi tutti brilli, annoiati a morte, le loro facce le rivedo ancora, oggi, in altre facce, le stesse espressioni che non dimentico, che si tramandano nelle generazioni dello stupidario, il piacere del piccolo potere ottenuto, il facciociòchemipare, volti che fanno i gradassi in compagnia, anche politica, ma che presi singolarmente sono dei vigliacchi, e in gruppo sono pericolosi, fanno paura.  Obbligarono noi quattro aggregati, a salire nella loro camerata, molto più grande della nostra, e spostarono alcuni letti a castello, mettendo diversi stipetti, armadietti con i tre tagli di grata in alto, in mezzo alla camerata. Ci fecero spogliare, restare in mutande, costringendoci a marciare intorno agli stipetti. Qualcuno di loro aveva la bava alla bocca, sudai freddo. Intimarono a Erminio, il più piccolo di noi, faccia tonda come un cerchio perfetto, capelli nero pece, calabrese di Sibari, che sapeva impagliare le sedie, di entrare nell’armadietto. Lo chiusero dentro a chiave, buttarono nelle grate dei gettoni del telefono e gli dissero: canta soldato, canta femminiello, e se non sai cantare, facci la Sabina Ciuffini, la conosci, la bella che sta a fianco di Mike Buongiorno; dai, imita la sua voce, fai la valletta parlante, fai il bravo, fai la valletta. E giù una risata grassa che mi gelò la schiena nuda.

MARINO PASINI

27 Mag 2020 in ricordi

24 commenti

Commenti

  • Potenza di “le segretarie”, da Taranto a La Spezia, quando “la naia” non era un ….optional!
    E Marino ci fa tuffare ancora una volta proprio dentro il suo vissuto, con una full-immersion che ce lo fa sembrare addirittura nostro!
    La domanda di base: da dove esce questa ….tradizione marinara da chi esce dall’ombelico della padania? C’entrano magari i trecento anni di “venezianità” della …repubblica del torello?
    Il Leone di San Marco che campeggia in Piazza del Duomo?
    Aaaaaah saperlo!

    • Dai, Francesco, non fare finta di non saperlo. A parte gli importantissimi, notissimi esempi storici dei secoli precedenti, ancora nel Novecento ci sono state tradizioni marinare cremasche importanti. Sembra strano ma non lo è per niente. Basta pensarci un momento. All’Arsenale di Venezia si sono formati ufficiali cremaschi ai tempi dei nostri nonni e genitori. Anch’io ho un paio di amici che hanno fatto il Morosini. Vediamo se con Sabina Ciuffini finisce come sempre. Bravo, Marino, un altro spaccato nel tuo stile e con quel tuo solito modo di vedere le persone e le cose.

  • Ringrazio Francesco e Pietro. Mi scuso con gli spezzini, che per fortuna non mi leggeranno, tanto a La Spezia ci vado volentieri, ci andrò presto: hanno delle cozze fumanti meravigliose e un buon teatro civico, oltre tanti panni stesi alla finestra, perchè non tengono balconi, terrazze, attici, giardini, e c’è gente che lavora, che si danna l’anima per vivere onestamente. Ma oltre a qualcuno che mi sopporta, e pure non gli fa schifo ciò che scrivo, camminando tra i Mosi e il Canale Vacchelli (e imprecando contro un gruppo di una ventina di ragazzi ammassati sul bordo della riva del Canale, uno addosso all’altro), uno che neanche avevo riconosciuto per la mascherina d’autorità ben indossata, mi urla: ho letto un tuo blog su “Cremascolta”. Ostrega, non si sa mai, ma qualcun’altro legge e ti sorride, prima di ricacciare su la mascherina e andare per la sua strada. Grazie.

    • Si, Marino, perchè …..”nonostante tutto”, sono in tanti a leggere (magari in incognito, che …non si sa mai!) CremAscolta!

    • Francesco, a proposito di incogniti, ti chiedo per favore un chiarimento. Non ricordo se su questo blog è possibile commentare solo fornendo indirizzo mail, nominativo e password oppure se all’inizio della partecipazione si richiedano anche altri dati che consentano ai soggetti abilitati di accertare la reale identità di chi commenta e di escludere quindi che si tratti di un profilo di copertura oppure utilizzato da altri partecipanti. Nel caso in cui questo accertamento esista e che quindi si sappia con certezza chi commenta, vi risultano attualmente soggetti che commentano con un profilo di copertura oppure utilizzato da altri partecipanti? Grazie.

    • Ieri ho visto con piacere dei ragazzi che si tuffavano nel fiume e si divertivano insieme. Un po’ di normalità in questa atmosfera surreale, senza demenziali mascherine. L’immagine di un pensionato che impreca contro dei ragazzi che si ritrovano senza far niente di male, che impreca cioè contro la vita, contro la libertà, contro il senso della realtà, è veramente tristissima, specchio di questi tempi bui. Spero che quei ragazzi abbiano riso. Fossi stato uno di loro avrei reagito male.

    • Hic sunt leones

    • Coperture???? Oh Pietro, mi starai mica diventando un complottista ….

    • A frequentare questo blog ci si becca il complottovirus.

    • Secondo me Achille Mainetti è una spia del Cremlino inviata da Putin per sabotare la santissima unione europea e farci (anzi, farvi) finire diritti dritti nelle sue grinfie. Pare che il signor Martini, dopo accurate e faticose ricerche, finalmente stia per smascherarlo. Mi sia consentito di raccomandare al nostro coraggioso investigatore massima attenzione ai ristoranti nonché agli spuntini fuori porta. La mascherina non protegge dal polonio.
      Dasvidania.

    • Excusatio non petita, accusatio manifesta.
      Scherzo, naturalmente, signor Mainetti. Era solo per giocare un po’, una cosa proprio scherzosa, del tipo “chi di latino ferisce, di latino perisce”. Avrà notato le cinque parole. E poi, dopo i buoni consigli sugli spuntini fuori porta, vedo che siamo ormai in confidenza. Non sono in molti a prendersela. Mi piacerebbe quindi incontrarla per fare quattro chiacchiere, magari in latino.
      Ave atque vale.

  • Ci contagi tutti, Marino, col tuo stile, col tuo gusto di raccontare, con la tua attenzione alla politica, ma soprattutto al vissuto delle persone.
    L’ho fatto anch’io (ho molti più anni di te) il servizio militare nel ruolo di artigliere (senza mai avere visto un cannone!): lo ricordo con una certa nostalgia non solo per i miei anni verdi, ma perché l’esperienza mi ha lasciato positivamente un segno.
    Le vicende della vita hanno un sapore o un altro a seconda di come si “vivono”. Avrei molto anch’io da raccontare, ma non ho, Marino, il tuo stile.

    • Rispondo a quel signor, Livio Cadè, che ce l’ha con il pensionato, cioè io, che si è arrabbiato con un gruppo di una ventina di giovani ammassati a bordo Canale, seduti a terra, che tra l’altro bloccavano il passaggio di chi cammina o frequenta il Vacchelli in bicicletta. Solo nello Stato di New York, in queste settimane (l’articolo è del 23.5, l’autore Pam Belluck, il titolo del “pezzo”: “Pain flowing through me like lightning”, pubblicato dal “New York Times”) hanno segnalato 136 casi di ragazzi, molto giovani, che sono finiti in terapia intensiva per il coronavirus, alcuni di questi sono deceduti, altri l’hanno scampata dopo aversela vista molto brutta, con dolori bestiali in tutto il corpo, e diversi ragazzi sono stati salvati per un pelo, dopo più settimane in ospedale, sperando che non abbiano conseguenze per il resto della loro esistenza. Questo signor Cadè, che inneggia alla libertà giovanile, in questo caso, difende un comportamento scemo, che con la libertà c’entra niente. Piuttosto, vada a leggersi l’articolo che dovrebbe essere rintraccibile anche online.
      Nella passeggiata, quel giorno ho incontrato altre due ragazze sedute a terra distanziate un paio di metri, l’una dall’altra, che conversavano. Ci sono gli sciocchi, che rischiano grosso, e quei giovani molto meno sciocchi. La “sua libertà”, signor Cadè è un falso diritto. E’ solo una sciocchezza per dar aria ai polmoni.

      Ringrazio Piero. Sono ben contento che ti sembra decente ciò che scrivo. E’ una piccola vittoria con quel maestro, alle elementari che sul librettino di fine scuola scrisse che ero consigliato per le Professionali, per i miei strafalcioni grammaticali, che insistono, e perchè perdevo tempo “per la musica beat”. Aveva ragion su tutto. Ero parte di un gruppo finto musicale che in quinta elementare, alle De Luigi, “suonava” con due chitarre finte senza corde, un batterista con il fustino Dixan. Il nome del gruppo? “Mary (cioè io) and the Customer”. Non ricordo dove l’abbiamo pescato. Non sapevo niente d’inglese. Non sapevo neppure che Mary era nome femminile. Ci siamo esibiti una sola volta sola davanti a tutta la classe, il maestro e forse anche il preside. Il repertorio? “Deborah” di Fausto Leali e “Il contadino” dei Corvi. Deborah, o mia Deborah….Scusami Piero, ma era già scemo allora.

    • Ero già scemo allora, anche “Mary”, cioè io. A te, Piero rispondo e ti leggo volentieri. Sei una persona seria. Un peccato non averti avuto come professore. Avrei imparato qualcosa. Forse anche il signor Cadè, avrebbe avuto bisogno di un insegnante come te.

    • Fermo restando quanto dici, Marino, mi permetto di far presente che è successo spesso in passato e succederà anche in futuro che, non appena la bella stagione si presenta, le sponde del canale, i greti del fiume e altri luoghi luoghi del genere vedano gruppi più o meno numerosi di ragazzi ma anche di persone non più giovanissime che formano crocchi e a volte ostacolano il passaggio. Per cui, anche a prescindere dai recenti fatti sanitari, quelli che si mettono di traverso sulla pista del canale, chiudono gli occhi e sentono le cuffiette non sono mai mancati.
      I metodi per risolvere il problema sono diversi, a seconda che si arrivi a piedi, con una bici molto pesante di cinquant’anni fa o su un cavallo di cinque quintali, da soli o in una mezza dozzina. Direi però di non drammatizzare. Se sono i ragazzotti delle nostre parti e non altri, in fondo sono come noi ai nostri tempi.
      Giro parecchio in campagna e mi sembra che tutto sommato si trovi gente a posto e ben diversa da quella di altre realtà geografiche, soprattutto di certi contesti metropolitani, magari degradati, multietnici e criminali.
      Teniamoceli cari, questi giovinottazzi in libera uscita. Magari vengono da una settimana di tornio.

  • Rispondo a Pietro M: chi commenta usa un “nome” ed un indirizzo “@”, nulla rispetto alla reale identità personale (se vuole fare il furbacchione!). Nei casi veramente estremi si potrebbe solo risalire all’indirizzo IP pubblico, che è un indirizzo univoco che permette di identificare un dispositivo (il pc usato) all’interno della rete di internet .
    Y nada mas!
    Mi auguro di non aver suscitato …..torbidi appetiti!
    Rovistando un pò in bacheca al proposito , mi è affiorato un fatto realmente accaduto, al limite del divertente. Arriva un commento nel Nov ’19 (ad un post di Piero Carelli) di questo tenore, pepele pepele:
    “Mi chiamo Ted Volan, vengo dall’Italia. Mia moglie ed io siamo sposati da circa 7 anni. Siamo stati felicemente sposati con due figli, un maschio e una femmina. 3 mesi fa, ho iniziato a notare uno strano comportamento da lui (sic!) e alcune settimane dopo ho scoperto che mia moglie sta vedendo qualcuno. Ha iniziato a tornare a casa tardi dal lavoro, non si preoccupa più di me o dei bambini, a volte esce e non torna nemmeno a casa per circa 2-3 giorni. Ho fatto tutto il possibile per risolvere questo problema, ma tutto inutilmente. Ero molto preoccupato e avevo bisogno di aiuto. Mentre stavo navigando su Internet la scorsa settimana, mi sono imbattuto in un articolo che suggeriva che il dott. Sallam può aiutare a risolvere i problemi coniugali, ripristinare relazioni interrotte e così via. Quindi, ho sentito che avrei dovuto provarlo. L’ho contattato e ha fatto un incantesimo per me, e mi ha detto che mia moglie tornerà con 24 ore (ndr: non credo si riferisse al quotidiano economico!), che miracolo mia moglie è venuta da me e si è scusato per i torti che ha fatto e promette di non farlo mai più. Da allora, tutto è tornato alla normalità. Io e la mia famiglia viviamo di nuovo felici insieme .. Tutto grazie al dott. Sallam. Se hai bisogno di un lanciatore di incantesimi in grado di lanciare un incantesimo che funzioni davvero, mi ha detto di condividere la testimonianza su Internet affinché le persone conoscano le cose buone che ha fatto, ti suggerisco di contattarlo se hai bisogno di qualsiasi tipo di aiuto, Il dottor Sallam può offrire qualsiasi tipo di aiuto come, la cura di tutti i tipi di malattie, i casi giudiziari, l’incantesimo di gravidanza, la protezione spirituale e molto altro ancora … Non ti deluderà. Contattalo Chiamate dirette e chat di WhatsApp: +27748693869. Email: sallamgreattemple77(at)gmail.com”
    Vuoi saper che indirizzo di posta elettronica era associato a “Ted”?
    Lo stesso indirizzo mail del fantomatico dott. Sallam riportato alla fine del commento!
    Chissà se qualche ….sallam ci ha abboccato?

    • Grazie, Francesco. Lo avevo infatti dedotto per altra via ma mi serviva una vostra conferma sicura.
      Alcuni blog seguono questa scelta. Molti invece richiedono, anche per limitare i cross-claquing e altre tecniche di condizionamento dei contenuti, in particolare nei processi di powershift e takeover su certi social, un’identificazione preliminare e certa dei partecipanti, secondo il principio “clandestina iniusta praesumuntur” (Cerv. Scae., 73, 2).
      Tramite indirizzo IP, pubblico o privato, direi soprattutto statico o dinamico, le modalità di rilevamento cambiano. Sull’identificazione del dispositivo e quindi, diciamo così, del resto, “silentium aureum est” (reg. jur. comm.).
      Naturalmente la mia era solo una domanda senza alcuna ragione specifica. Qui su CremAscolta ci conosciamo tutti e la domanda era solo accademica. Trovo anzi che sia giusto non fare come se ci fosse la Stasi e, soprattutto, non diventare complottisti persino in questo. Sei stato molto gentile a fornirmi questa risposta così veloce e così precisa, dedicando il tuo tempo a questa mia curiosità, espressa ovviamente in generale riguardo a questo blog.
      Anch’io avevo letto di Ted Nolan e del suo lanciatore di incantesimi. Non credo che ne abbiamo bisogno.
      Chiedo scusa a Marino per il fuori tema e gli rinnovo il mio apprezzamento per il suo scritto. Grazie, Marino!

  • Rispondo al fustigatore della libertà, alias Marino Pasini. La notizia da Lei riportata è una tipica balla di regime. Si informi, La prego, prima di dire sciocchezze. Lei parla con irresponsabile leggerezza di “136 ragazzi, molto giovani, che sono finiti in terapia intensiva per il coronavirus, alcuni di questi sono deceduti, altri l’hanno scampata dopo aversela vista molto brutta, con dolori bestiali in tutto il corpo ecc.”. Questa è una totale falsità. Ho letto l’articolo cui Lei fa riferimento e dove si parla di un ragazzo di 14 anni affetto da sindrome di Kawasaki. Questa sindrome (sindrome infiammatoria pediatrica, se vuole può leggere qui http://www.ospedalebambinogesu.it/malattia-di-kawasaki1#.XtAKJVUzZhE) non ha alcun nesso col coronavirus, benché alcuni abbiano cercato di farlo credere. È invece scritto nello stesso bugiardino di alcuni vaccini che la vaccinazione può avere, tra gli effetti collaterali, proprio questa sindrome. Questo è dimostrato, un legame col coronavirus invece no. Ma oggi, si sa, bisogna creare il terrore per il Covid-19, e quelli come Lei sono i soggetti più psicologicamente vulnerabili e più funzionali per la trasmissione della psicosi collettiva. Come ho già scritto più volte, ma non ho la presunzione che Lei mi legga, il coronavirus, nella fascia tra 0 e 20 anni, si è rivelato totalmente innocuo. Si informi, La prego, prima di spararle grosse. E poi, se vuole, continui a sfogare la Sua insensata paura su dei ragazzi, continui a sognare i suoi incubi popolati di virus assassini. Mi creda, il comportamento scemo non è quello di quei ragazzi.

  • Non è grave che alcuni ragazzi si siano buttati nel fiume, ma è grave che questo fiume sia il Serio, con le sue acque non certamente invitanti, come non lo sono quelle del canale Vacchelli, dove tutte le estati, frotte di ragazzi, e anche adulti, ahimè, si buttano dal Ponte a ridosso della ferrovia in prossimità di Santo Stefano. Se poi penso che questo mare dei poveri è destinato ad incrementarsi credo proprio che non dovremo preoccuparci solo dei pipistrelli, ma di infezioni ben più nostrane.

  • Caro Pietro, non ho nulla contro ragazzi e ragazze che si tuffano nel canale Vacchelli. L’ho fatto anch’io, e avevo la loro età. Come loro, non c’era niente di meglio del Vacchelli, nel cremasco, per darsi una rinfrescata. Nel nostro piattume, con un fiume Serio solo di nome, e la Palata Menasciutto. Nel cremasco, d’estate, chi restava a casa, quando il caldo pestava, quando pesta, era ed è un tormento, o almeno, non un piacere. Fare della poesia del canale Vacchelli è come raccontare che Mino Reitano è un cult della canzonetta. Se si vuol scherzare, va bene, va bene tutto.
    Quindi, perchè ho detto a quel gruppo numeroso di giovani, appiccicato, francobollato a terra: sapete che rischio state correndo? che se uno, a sua insaputa, non come quel ministro famoso, è positivo al coronavirus che succede? E’ un guaio o non è un guaio per quei ragazzi? E’ un guaio o no per i loro cari? E’ un guaio per tutti. Se uno lavora al tornio, e non può permettersi una piscina privata, o una seconda casa al mare, ma c’è una pandemia in corso sta attento come chiunque altro. E lo dice uno che mentre altri facevano ancora il Classico era al lavoro alle Costruzioni Metalliche Specializzate (poi SIB) di Bagnolo Cremasco; non ha inquilini in affitto (e poi si lamenta comunque); non ha una seconda casa al mare, e ha cominciato a lavorare quando altri, anche in questo blog, ancora erano a metà degli studi. La povertà è una brutta faccenda di suo, la redenzione non esiste, e commuove solo chi povero non è mai stato.

    • “sapete che rischio state correndo?” NESSUNO

    • Mi correggo: correte il rischio di prendere una multa assurda.

    • Sì, ho capito, caro Marino. Lo dicevi a loro ma non per te, lo dicevi per il loro bene.
      Io invece ho un po’ deviato sul fatto che, da sempre col bel tempo, ci sono persone che ostacolano il passaggio.
      Cosa che a volte ha infastidito la mia spicciola “libertà” del momento, in questo caso quella di passare proprio in quel punto, invece di deviare, per soli due metri, a capezzagna del campo a fianco.
      Il tuo era un discorso altruista, il mio un po’ meno, per quanto venato di tolleranza, magari pure con una punta di sufficiente condiscendenza. Grazie per aver chiarito i termini della cosa, come sempre con molta cortesia. Merce rara.
      Parlando di povertà, sei stato molto efficace. La povertà è una brutta faccenda. La redenzione non esiste. La povertà commuove solo chi povero non è stato.
      Personalmente, penso che la redenzione consista nel lavoro. Nel lavoro equamente retribuito.
      Dirlo in questo periodo può sembrare difficile. Ma è stata la cosa che ci ha consentito, quando ben sviluppata, di uscire da periodi ben peggiori. Con umiltà e onestà. Merci rare.

  • Caro Pietro, vuoi sapere cosa ne penso del tuo commento? Che è serio e umile e lo apprezzo. Mi scuso per certe durezze che mi appartengono. Non ho sbagliato ad avvisare quei ragazzi sul Canale, a prendermela con il loro assembramento, ma dopo che a Milano, oggi, aver visto “i gilet arancioni” capitanati dal generale Pappalardo, che urlavano “libertà” ripetuta come un mantra, decine di volte, e farmi risate amare, questi personaggi con gilet arancioni mi hanno ricordato, in peggio, gli arancioni di una setta religiosa che aderì in massa al Partito Radicale, quasi mi scuso con i giovani cremaschi. Al confronto di questi nuovi “arancioni”, nemmeno olandesi, circa un centinaio, quasi tutti senza mascherina, che hanno preso in prestico il colore arancione, che è il colore nazionale e calcistico dell’Olanda, che ricorda oggi, il mondo populista olandese che ce l’ha con i “lazzaroni” italiani, i giovani a bordo canale, almeno, non dicevano sciocchezze. Stavano zitti. Ragazzi che volevano solo socializzare in uno dei pochi posti rinfrescanti che ci sono nel cremasco. Ho protestato con loro e detto niente a questi “neo-arancioni”, che mi facevano sorridere, con amarezza. Almeno, quando Berlusconi parlava di “libertà”, contro i paletti statalisti dei socialdemocratici, traducendo dall’italiano in italiano, si capisce cosa intendeva dire il Cavaliere nazionale. Lo capiscono anche i sassi che purtroppo sono muti. Ma questi gilet arancioni, da dove arrivano? Sappiano produrre tante di quelle “belle” cose, che serve un nuovo Totò.

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