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ADRIANO TANGO

Fiaba persiana

Fiaba persiana: Sadegh il cordaio

Estate, giorni  piovosi, così non mi resta che rovistare fra gli angoli occulti della vecchia casa marina di famiglia, in costiera amalfitana. Gran navigatori i nostri predecessori! Questi fogli ingialliti e slabbrati non li avevo notati. Indubbiamente in carta bambagia locale. Forse avranno un valore… ma son cose che ormai riguardano i miei figli, mi suggerisce il lato pigro, io voglio solo saperne di più, incalza il lato curioso. Caratteri e lingua desueti, tardo latino, ma un po’ me la cavo. Proviamo a leggere: emozionato come un bimbo al suo primo videogame incomincio a scorrere le righe sbiadite:

“Nel nome di  Allah che con Saggezza infinita, scrisse la fiaba che noi chiamiamo vita. C’era taluno, non c’era qualcun altro, oltre al buon Dio non c’era nessun’altro.

Sotto la cupola turchina del cielo viveva un artigiano che cardava la canapa, ma quando con una sua invenzione si arricchì la gente iniziò ad essere invidiosa, e alla prima occasione lo trascinò nel fango, fino a condurlo all’arresto e al giudizio. Il Mufti [giurisperito] così iniziò l’interrogatorio del povero e affranto onest’uomo:

«Sei tu Sadegh … quello che chiamano “il cordaio”?»

«Confermo mufti umilmente sì, Eccellenza.»

«Hai costruito tu questo arnese di fibre ritorte?»

«Certamente, e, con rispetto, ne sono fiero: è stata una mia idea, e l’ho chiamata corda. E robustissima, molto di più delle singole fibre di cui è fatta!»

«Certo, infatti è così robusta che Farid, il nostro miglior cammelliere, con essa ha fatto un nodo e si è appeso a un albero, ed è morto scalciando al cielo! Ti accuso di partecipazione al suo insano gesto e ti demando al kelonter [carceriere] per l’esecuzione della pena capitale con lo stesso nuovo mezzo portatore di morte da te ideato. Che sia d’esempio  a tutti, perché nessuno voglia imitarti.»

Due energumeni lo afferrarono e posero il suo braccio destro e la testa nel carcan [una sorta di gogna], ma prima che serrassero il marchingegno Sadegh implorò:

«Mi è dunque negata la difesa?»

Il mufti lo squadrò divertito, poi proclamò:

«Neanche al più rognoso dei cani cristiani sarà mai negata! Parla dunque.»

Sadegh raccolse tutte le sue forze, invocò l’Altissimo, e iniziò, giocandosi l’ultima carta della sua vita: «Sua Eccellenza certamente sa che il mio nome vuol dire il sincero, mai potrei mentire proprio…» Ma il mufti dava segni di insofferenza per il suo fraseggio pomposo. Cercò di rimediare con argomenti stringenti: «Sua Eccellenza ben conosce Javad il pescatore.»

Cenno di accondiscendente assenso, buon segno. Proseguì: «Per lui ho fatto delle corde, e una l’ha legata al bordo inferiore della sua vela, al posto della stringa di cuoio, chiamandola scotta. La sua barca così è molto più maneggevole! Con altre sottili corde annodate ha poi costruito un’astuzia per la pesca che ha chiamato rete, molto più efficace delle nasse di giunchi intrecciati! Il pescato è divenuto subito molto abbondante, e ben lo sa il Mullah, che ne è ghiotto! Cos’altro si potrà fare, mi chiedo ora, all’Altissimo piacendo, con la mia semplice fibra intrecciata chiamata corda?»

Il Mufti sobbalzò, poi esclamò adirato: «Così ti condanni da solo! Parli di altri nefasti progetti, e proprio del Mullah e di reti mi parli? Il Mullah ha visto in sogno, nel futuro, proprio delle reti; non quelle della tua corda, ma come fatte di pensieri, o qualcosa di simile, e altri marchingegni che servono loro da nodi. E queste saranno portatrici di sventura, della perdita di giovani che in quelle reti che ottenebreranno le loro menti resteranno imprigionati. Hai altre empietà da affermare cordaio?»

Sadegh sentì il cappio stringer già la sua gola, ma il suo ingegno, reso fervido dalla necessità, decise una mossa disperata, e proseguì, senza enfasi, anzi quasi balbettando: «sua Eccellenza, tutti conoscono i motivi che hanno condotto Farid all’estremo gesto, ma la stessa sorte è toccata, nonostante la bontà dell’Altissimo, ad Amin il contadino, che si è tagliato la gola, e ad Azad, il capraio, che si è precipitato dalla rupe. Non ti pare che la fine di Farid sia stata più pietosa?»

Al Mufti, uomo arcigno ma giusto, scappò un accenno di assenso.

Sadegh, rincuorato, decise per un affondo: «Sua Altezza, quelli che cedono son sempre gli stessi, non importa con che cosa attuano l’insano progetto. Non so di queste reti senza corde sognate dal Mullah, ma le sue parole, le sue visioni, son guidati dall’Altissimo, e ciò sarà quindi sicura sciagura, non dubito certo di Lui e dell’Altissimo. Tuttavia… succede più spesso quando gli animi si confondono perché la grandezza di Dio, dal suo passato, che è per noi futuro, ci scuote alzando le onde che lambiscono le barche che chiamiamo le nostre vite, spesso proprio quando la costa ambita è più vicina; ma le cose poi si sistemano, eppure altri cederanno. Ma saranno sempre gli stessi! La maggioranza, quelli che avranno imparato a legare la scotta alla randa, come Javad il pescatore, fileranno invece più veloci per il porto sicuro nel loro cammino verso Dio!»

Il brusio della folla ora esprimeva il suo favore, mentre il Mufti si arricciava dubbioso la barba.

Sadegh decise per la mossa finale, puntando sul crescente consenso pubblico: «E poi, sua Altezza non ignorerà che sono stati trovati sulla salma segni, come dire, non di sofferenza, come avviene nella morte per strangolamento, ma… di una fine… erotica, sì, di… di… diciamo segni della Condiscendenza Divina che ha così alleviato un timore tardivo per il trapasso imminente.»

E alle risa malcelate della gente si unirono, senza più contegno, quelle del Mufti.

Sadegh fu rilasciato, e subito andò al suo laboratorio e si sdraiò su un cumolo di corde. Euforico per lo scampato pericolo iniziò a riflettere, a ideare.

Aveva notato  che quando tendeva la corda per provarla questa poteva vibrare, se percossa, ed emettere un suono. Questa vibrazione forse poteva essere usata per mandare lontano segnali, e tante corde avrebbero creato la rete di cui parlava il Mufti, quella sognata dal Mullah. Certo, dei giovani potranno caderne ammaliati, si disse, ma saranno comunque gli stessi che ora finiscono a fare i pellegrini errabondi e randagi, gli anacoreti, gli stiliti… e tuttavia quelli che soccomberanno in futuro vivranno meglio, al caldo, sarà forse possibile soccorrerli, tentare di riportarli in sé.

Sadegh si addormentò, portando sulle labbra il sorriso innocente di un bambino, e sognò di misteriose reti vibranti che connettevano il mondo, fra le tre capitali della Persia e oltre, fino ai confini del creato che il buon Dio aveva voluto donare e far conoscere all’uomo.

E questa è la storia della corda, della scotta e della rete, e di Sadegh che fu salvo con tutta l’umanità, passata e futura, al buon Dio piacendo.

Siamo scesi e c’era acqua, siamo saliti e c’era cielo, fino alle prossime fiabe, che Dio vi protegga!”

 

 

 

ADRIANO TANGO

19 Lug 2019 in Cultura

18 commenti

Commenti

  • Bellissima metafora Adriano. Chi è causa del suo mal… ma con una probabile rete salvifica, se ben conosciuta e ben usata. E curiosa la fine erotica dell’impiccato. Non tutti sanno che l’impiccato nel momento dello strangolamento ha erezione e eiaculazione. Del resto nei manuali è una pratica sessuale estrema, mi sbaglio? Ma sono curioso, non avendo mai sperimentato personalmente, alle donne appese cosa succede? Un orgasmo uguale? E scusa la focalizzazione. Tema comunque, oltre questo particolare, che sarà sviluppatissimo. Bravo.

    • Prima la tua curiosità, da cultore della biologia (non solo falegname del corpo umano): il meccanismo dell’attivazione dell’apparato riproduttivo in certi tipi di morte è comune a molte specie. Gli itticoltori per causare l’espulsione di uova e sperma non fanno altro che traumatizzare i pesci con percosse. quindi non c’è distinzione di sesso, né ne fanno i giochi erotici. Nell’uomo è solo più evidente l’eiaculazione.
      Sulla novella l’idea mi è venuta in mente nel fare gli auguri di nozze a un amico, cittadino dell’attuale Persia, Dawood Abbasi, scrittore e altro. La tecnica me l’ha insegnata in una magica notte in un caravanserraglio, nel suo deserto, dove dopo cena non c’era altro da fare che guardar le stelle splendenti e, sdraiati su preziosi tappeti, ascoltar favole. La loro struttura, dall’incipit alla chiusura, è immutabile, il significato metaforico e salvifico è in loro connaturato, motivo di questa scelta espressiva.
      Queste riflessioni seguono a un post di due anni fa, in cui sottolineavo la cessazione dei puntuali suicidi invernali per impiccagione in questa piccola e selvaggia baia dopo l’installazione di un ripetitore che allargava gli orizzonti del mondo tramite internet (specie vedove o adolescenti, con frequenza altissima in una così piccola comunità, fenomeno comune a molte località marine isolate in inverno).
      Fui aspramente rimbrottato, e quindi ci riprovo!
      Perche?, non per attirarmi altri strali, tanto nel 3000 queste questioni saranno pleonastiche, ma per dare una “spinta” al processo innovativo collettivo.
      Grazie del complimento.

    • Adriano sei un inguaribile romantico che sogna il 3000 d.C. come un mondo quasi perfetto dove le tecnoscienze avranno risolto tutti i problemi dell’uomo, che da qui ad allora naturalmente sarà un cyborg onnipotente. Sembra uno pseudomondo alla Philip Dick, ma in versione “optimist”.

      Per il momento le ultime generazioni sono affette da nomofobia:
      https://www.dipendenze.com/nomofobia/

      Ci siamo un po’ tutti, chi più e chi meno, fulminati i neuroni:
      https://www.epochtimes.it/news/il-lato-oscuro-della-tecnologia-wireless/

      Siamo schiavi del Google-pensiero:
      https://www.corriere.it/sette/17_novembre_09/algoritmo-google-social-1bae9656-c2e8-11e7-985a-e44f18aa540b.shtml

      In compenso tra cinque anni potremo “ritornare” sulla Luna.
      A fare cosa, non si sa. Ma in fondo l’importante è partecipare, non vincere.

  • Vedo, Adriano, che hai una fervida fantasia.
    La tua fiaba, indubbiamente, può essere letta in modi diversi (come tutte le fiabe che sono pregne di messaggi simbolici).
    Mi ha incuriosito la lettura di Ivano (solo dalla espressione “scalciava al cielo”).
    Io non ho tanta immaginazione e mi piace soffermarmi sui… suoni, sulla rete di suoni.
    Tutto quanto abbiamo a disposizione (e oggi con le tecnologie abbiamo strumenti più sofisticati) può essere usato o male o bene, contro l’uomo e a favore dell’uomo (della sua dignità).
    E la musica (la rete di suoni)? La musica ha per lo più “unito i popoli” (se facciamo eccezione delle guerre – durante la seconda guerra mondiale la musica americana era proibita mentre veniva esaltata quella tedesca).
    E la musica oggi, grazie anche alla Rete, è oggetto di “consumo” da parte di tutti, non solo dalle élite che per lunghi secoli avevano il… buon tempo di ascoltarla nei salotti aristocratici e borghesi.

  • Il tema resta quello di internet che proponevo già due anni fa da questa baia. Ci attende un grande futuro se scamperemo al pericolo della regressione. Vedi Piero, non ci sono storie che tengano, l’informatica non è solo connaturata ai nativi digitali, è l’Umanità intera che era solo in attesa di metterla a punto, e potrei arrivare a spiegazioni stringenti soprattutto tramite etologia ed evoluzione.
    Non è inutile parlarne, non è vero che ognuno resta pro o contro. Passata la paura che ne hanno tutti capiranno che i nostri giovani vanno incoraggiati a prendere confidenza, anzi, integrazione. Ma come per gli impiccati e la corda ci saranno eventi avversi. Ma per il fuoco e l’automobile come è andata? informatica e DNA, almeno dei primati, parlano la stessa lingua: stupefacente!

    • Adriano per il fuoco e l’automobile non è andata un granché bene: siamo riusciti a distruggere un intero pianeta, fai tu. Ne valeva la pena? Siamo più felici?

      Né funziona il discorso “la tecnoscienza è buona, dipende dall’uso che se ne fa”. Quando mai l’uomo ha avuto il senso del limite? Sono balle di consolazione, come “governiamo i fenomeni” o “mi faccio di eroina tanto smetto quando voglio.” Non so se ancora qualcuno ci crede, ma spero di no.

  • Piero, la mia non era un’interpretazione. Mi sono solo soffermato su un particolare. Poi davo per scontato che Adriano con la rete si riferisse a internet, che come tutta la tecnologica e la scienza si può usare male o bene.

    • Concordo su tutto

  • Rita non volevo trascurarti. Le onde vanno eliminate se in eccesso, e giusto è l’allarme tuo e assiduo dell’ottimo Giorgio. La rete non fa altro che amplificare la nostra interconnessione neuronale intrinseca. Anche i motoneuroni soffrono di malattie da sospensione dei meccanismi inibitori (dai comuni tremori alle vere degenerative), e prevede un periodo di aggiustamento. mai visto un bambino sbagliare la mira e cecarsi un occhio con il pollice? Ma l’immagine più stringente è l’automobile. Anche noi siamo provvisti di tools e servomeccanismi vari, e la macchina automobile ne ha sempre di più, e infatti è contestata. Ma fatto sta che, non ricordo da che anno, saranno fuori legge le autovetture senza frenata automatica. Il rapporto morti da malfunzionamento/salvati e enormemente spostato a destra. L’informatica è natura, null’altro.

    • Scusa dimenticavo il terzo punto: “Il motore di ricerca mi conosce: in poche frazioni di secondo ha rielaborato le mie ricerche passate e ha selezionato le notizie che pensava avrei voluto leggere”. Veramente ci mette un paio di giorni.
      Concordo, e ci ho messo poco a scoprirlo. Infatti ora non scelgo, ma faccio domande multiple e non rispondo, poi aspetto che arrivino le proposte, quelle a cui non avrei pensato, e forse sceglierò. Esemmpio che la rete non debba necessariamente impigrire, ma anzi possa aumentare l’nventiva, ampliando gli orizzonti, ed essre manipolata. Del resto da quando esiste l’inventiva è aumentata: le sue applicazioni le hanno inventate gli uomini, giovani uomini spiantati, spesso non addetti ai lavori, ma praticoni, cosa inverosimile decenni addietro.
      Ma crea dipendenza? Sì, come la zappa e l’automobile. Ma sì! scriverò una fiaba su Amin, che inventò la zappa e con esssa si ferì.

    • Se in tutto il mondo aumentano a dismisura i centri di riabilitazione per i nativi digitali, forse c’è un problema. L’informatica non è affatto natura, funziona con il sistema binario, e non mi risulta che il cervello animale sia stato strutturato in quel modo.

      Qui si tratta di consapevolezza: maneggiamo una bomba, sappiamolo.
      Speriamo che esploda nelle mani di qualcun altro.

  • …il guaio è, Rita, che questa bomba la diamo (meglio: genitori totalmente incoscienti di ciò che fanno, la mettono) in mano a bambini di due anni e in un qualsiasi smart ci trovi tutto, anzi, più facilmente ci trovi subito la la Mexxx che più Mexxx non si può!
    Noi “grandi” abbiamo qualche possibilità di usare il mezzo in positivo, e il mezzo ha potenzialità enormi (ricordo con tenerezza i sacrifici economici di mia mamma per acquistare, a rate, il dizionario enciclopedico Treccani!) ma chiunque sia ….sprovveduto (la stragrande maggioranza) non si può salvare.
    Danni ….incalcolabili!!!
    Inutile piangere sul latte versato, c’è già abbastanza acqua dentro!

    • Proprio cosi’: la stragrande maggioranza non si puo’ salvare. Prima li macellavano in guerra, adesso gli spappolano il cervello. Inutile dire che la seconda che ho detto e’ un’operazione immensamente piu’ redditizia. E’ il progresso.

    • Il bambino imparando a camminaare rischia, ma ha vicino un adulto. Per ora la situazione è quella di adulti che hanno minor dimistichezza di cammino dei bambini. Il processo di ridigitalizzazione a ohni genrazione deve essere progressivo come tutti gli apprendimenti. Quando tre generazioni saranno sufficientemente immerse nel mondo informatico non ci saranno più pericoli. l’informatica è connaturata al cervello evoluto, perché i tools lo abbiamo già dentro, già sappiamo lavorare in multitasching (ch o K?). E’ lo stesso con l’auto, i cui comandi ci sono copnnaturati: la leva del cambio è equivalente a un ramo. Io lo capisco subito perché sono molto allenato in etologia, biologia, evoluzione. Perché tre gemnrazioni proprio? Perché in tre genrazioni i caratteri genitoriali si fissano. Ma i bambinoi nel loro genoma già hanno elementi ereditari di conoscenza digitale. E’ così, è stato doimostrato per i gusti alimentari. Fidatevi e abbiate fede.

  • Una fiaba persiana, caro Adriano, che utilizza la modalità narrativa della favola invece di quella della spiegazione razionale ma che tratta un tema fondamentale: quello della conoscenza, in particolare della conoscenza scientifica.

    Spesso le contrapposizioni dialettiche sulla credibilità o bontà di un fatto scientifico dipendono, più che dalle argomentazioni proposte, dalla sottostante impostazione concettuale generale. Anche nel caso della corda di Sadegh e dell’allunaggio (o non allunaggio), molto dipende dal funzionamento del rubinetto di cui si è dotati. Si può avere un rubinetto a getto pieno o col contagocce. Con innumerevoli situazioni intermedie.

    Si tratta del rubinetto gnoseologico. La gnoseologia è quella parte della filosofia che riguarda la conoscenza umana, anche come relazione tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto. L’epistemologia si riferisce in particolare alla conoscenza scientifica. La filosofia della scienza ne rappresenta una manifestazione. A seconda del grado di apertura del rubinetto che si ha (o si sceglie di avere), il flusso conoscitivo del reale è più o meno abbondante o limitato, credibile o illusorio, affidabile o ingannevole.

    Da sempre, i diversi rubinetti in dotazione hanno portato a una gamma infinita di modelli conoscitivi riguardanti non solo la scienza ma anche tutto il reale (o irreale) nel suo complesso. Dalla caverna di Platone, con le ombre di una realtà ben poco conoscibile, al buddismo mahayana con la sua sunyata o vacuità, dove il mondo fenomenico è illusorio e impermanente, c’è solo l’imbarazzo della scelta per chi è di rubinetto stretto o addirittura chiuso. Per non parlare di certe rivisitazioni guénon-evoliane o del buon vecchio velo di maya à la schopenhauerienne. Lo stesso concetto vale per chi, al contrario, è di rubinetto largo o addirittura spanato a manetta, vista l’offerta sconfinata di progressivismi, positivismi e scientismi sempre più mediaticamente invasivi.

    • Da entusiasta quale mi riconosco, chiaro Pietro, non posso non appassionarmi alla realtà del dilagante pluralismo di rubinetti che si sta creando. La visione plurale può preludere alla visione comune. Certo, necessitano assestamenti che, nella spontaneità iniziale della rete non erano immaginabili. Mi spiego: ho già detto che la realtà della visione che emerge da dati informatici è insidiosamente manipolabile, e in un sistema tumultuosamente autopromuovente si dispone di scarsi anticorpi. Ma possibile che nessuno mi contesti questo dato di fatto e tutti parlino di giovani con il cervello in pappa? Di metodi per raggiungere questo degrado i giovani ne hanno tanti comunque, e come diceva il cordaio sono sempre gli stessi, che ricorrerebbero ad altri metodi, ed è giusto studiare tutte le strategie per non perderli. Anche da quest’osservatorio marino immerso nella natura vedo le psicosi giovanili come fenomeno giunto a livelli percentuali allarmanti del resto, e la rete non c’entra proprio niente; abbiamo tanto da imparare, troppo per prendere abbagli, per confondere la mantiglia col torero!
      Ma torniamo alla manipolazione della realtà. Il fenomeno è comune a certe educazioni settorialmente orientate, anche a fin di bene: certi docenti, certe letture, certi amici…
      Tuttavia il dato è così allarmante da ricordarmi i fenomeni di massa naturali del contagio di istinto di fuga. Basta appunto una finta fuga di notizia e questa prende il volo, come mai era successo prima. Ma questo fenomeno riguarda solo la rete? No, è solo un epifenomeno di un mondo ormai globalizzato ma privo di una gestione centralizzata, o meglio, in preda alla lotta per il predominio, ed ecco che i contendenti noti, oppure occulti, si possono armare di questa formidabile arma manipolativa (anche senza voler credere alla voce che Trump vi abbia fatto ricorso a piene mani). E allora perché sono così disposto a correre il rischio di subire disastri nella fase di assestamento? Semplicemente per la mia fede nell’uomo collettivizzato, che è di più che un uomo sociale. Proprio io che sento la solitudine come bene essenziale, come l’aria che respiro? Beh, forse proprio un individualista è in grado di vedere l’errore di questo punto di osservazione ed azione sospeso a mezz’aria. Non abbandonerò lo studio del fenomeno, leggendo, ma soprattutto chiedendo, con fede particolare nei professori e nei giovani.
      Il tuo amico entusiasta Peter Pan

    • Certo, Adriano, lo “studio del fenomeno”. Ma questo è già un approccio galileiano. I Cremonini di turno, però, non guarderanno nel tuo cannocchiale, transustanziati dal loro noumeno. Ovviamente, una certa ammissione dei “fenomeni”, considerati più o meno veritieri, resta ferma per evidenti motivi di sopravvivenza quotidiana e di non soccombenza operativa. Per cui, c’è un livello oltre il quale negare il reale o fraintenderlo troppo comporta rischi notevoli. Se mi butto sotto il treno mi gioco la vita. Se applico l’agricoltura del non fare a un’impresa agricola superiore a qualche ettaro mi gioco il podere. In certi casi la teologia camuffata da filosofia della scienza s’appisola. Per fortuna.

      Tuttavia, più in generale, sia il trionfalismo scientista, sia il negazionismo antiscientifico derivano proprio dai rubinetti gnoseologici ed epistemologici individuali impostati su opposte tarature. Se la realtà, bene o male, la conosciamo davvero e quindi possiamo metterci mano, ecco il fervor d’opre e d’ingegni, ecco le magnifiche sorti e progressive, ecco il “seguir virtute e canoscenza”, fino alla più ingenua credulità. Se invece la realtà non è davvero realtà, se “i sensi”, le sinapsi neuronali e la corteccia cerebrale ci ingannano, se contano solo la trasfigurazione metafisica, l’afflato mistico e l’illuminazione spirituale, ecco la perenne diffidenza verso il mondo visibile, ecco la negazione della scienza, ecco l’ostinato scetticismo verso tutto ciò che non sia superno ed eterno, fino alla più drastica chiusura verso l’esperienza quotidiana a favore di quella sovrannaturale.

      Anche sulla corda di Sadegh e sull’allunaggio, oltre che su parecchie altre cose, caro Adriano, conta quindi il rubinetto conoscitivo in dotazione. Che poi, di questi tempi, parlare di filosofia, gnoseologia ed epistemologia sia sconsigliabile, è un altro discorso. Conosciamo le filastrocche del nuovo conformismo mediatico, sui “paroloni” dei “professoroni” e dei “radical “chic”, che frequentano i “salotti”, leggono i “giornaloni”, inventano “complessità” quando invece tutto è “semplicità”, fanno il gioco delle “lobby”, vanno in vacanza “a Capalbio”, “rubano il pane” al “popolo italiano” e via dicendo (la filastrocca è lunga, la conosciamo tutti a memoria, si recita come un tempo “oggesudamoreacceso”).

  • “…rubinetto conoscitivo in dotazione”, bella metafora, ma nei miei ultimi due post, se apri o chiudi il flusso il vettore resta sempre opposto: per la luna si cerca ogni appiglio, si confuta ogni controprova, pur di screditare questa tappa miliare, perché tale resta; per la rete dovremmo invece allenarci al rifiuto, e lo sappiamo, ma non lo facciamo. Proprio qui , nelle acque nuovamente cristalline dai depuratori in poi, dove Ulisse giocava a fare il solletico alle Sirene, ieri è volata di bocca in bocca una bufala lanciata da signore che in spiaggia, pessimo gusto, attingevano alla rete : al capo che chiude la baia i rilievi danno livelli di inquinamento inauditi! Ma quando, a che ora e quale giorno? Il discredito si è sparso veloce, e stupido. Ovvio che quando i ricchi porci con grosse imbarcazioni svuotano i depositi fecali delle stive ci sia un picco, ma presto disperso! Voglio dire, non serve mentire, basta spogliare la notizia dalla contestualità!
    Ma noi, che sapevamo solo quello che ci dicevano POCHE FONTI E NON CERTO IMPARZIALI, non abbiamo tutto da guadagnare da questa fonte di notizie spalmabili perché diffuse e superficiali, tendenziose ma fortunatamente contraddittorie? E tutto questo girovagare alla ricerca di porti sicuri dell’informazione, che emerge solo da continui confronti, non è forse una ginnastica per le nostre sinapsi tale da far cambiare l’anatomia stessa del cervello, che si arricchisce di connessioni che in tutto rispecchiano internet? Non è questo il progetto involontario, partogenetico, di un’Umanità aumentata? E non è forse questa l’anticamera della collettivizzazione? A questi valori istintivamente tendo, su questi fondo le mie speranze per l’Umanità, e poi tornerà l’approfondimento, perché l’uomo gode nello scavar cunicoli, prova ne sia l’attuale tendenza ad allarmanti iperspecializzazione; quindisi sta correggendo la rotta su una pericolosa deriva. E allora Pietro, lettori tutti, se non approvate comprendete almeno i miei motivi di concessione di fiducia. I risultati… li ho sotto gli occhi! Una splendida generazione, ragazzi, anche qui, che lavorano alacremente e con creatività, sia pur con un occhio al mare e uno allo schermo. Fidatevi, e date loro apertura di credito.

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