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ELENA CUCCIATI

Ubi “THE MAJORS” minor cessat

I paesi Ue hanno votato lunedì 27 novembre a favore del rinnovo dell’autorizzazione del glifosato per cinque anni.  Decisivo è stato il voto positivo della Germania, che precedentemente aveva proposto un rinnovo per otto anni. Non è mia intenzione entrare nel merito delle questioni politiche che hanno determinato questo voto: voglio solo ricordare i pareri espressi dalla comunità scientifica in proposito del glifosato. ll primo parere è arrivato nel 2015 dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), che lo ha classificato come “probabilmente cancerogeno per l’uomo”, citando i risultati di numerosi studi pubblicati. A novembre del 2015 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha espresso una sua valutazione, basata non solo su studi di letteratura scientifica ma anche su studi prodotti dall’industria, in contrasto con la conclusione della Iarc, affermando che “è improbabile che il glifosato costituisca un pericolo di cancerogenicità per l’uomo”. Un’ inchiesta, condotta dal ‘Guardian’, ha svelato che nella relazione presentata dall’ Efsa  nel 2015 le pagine relative al rapporto tra glifosato e cancerogenicità sono uguali a quelle presentate dalla Monsanto per ottemperare all’obbligo di denuncia di non tossicità dei propri prodotti, che, peraltro, non richiede il supporto di alcuno studio scientifico, ma è basata solamente su dati statistici. Successivamente ( o conseguentemente ?) a marzo del 2017  è arrivata l’ultima analisi dell’ Echa (Agenzia europea delle sostanze chimiche) che considera l’erbicida non cancerogeno. Come denuncia Greenpeace, “il voto odierno sul glifosato è un regalo alle multinazionali agrochimiche a scapito della salute umana”.

In questo dibattito si inserisce la diatriba tra i maggiori produttori italiani di pasta industriale e la Grano Salus, che riunisce i produttori di grano duro del Sud d’Italia. In breve, i primi rivendicano la necessità di utilizzare grano duro estero, principalmente canadese e ucraino (paesi in cui non è richiesta la tracciabilità delle materie prime), per produrre pasta con marchio italiano, in quanto la nostra produzione sarebbe insufficiente sia quantitativamente sia qualitativamente. E per quanto riguarda la comprovata presenza di contaminanti, la loro presenza sarebbe comunque inferiore ai limiti previsti dalla legislazione della UE. Qualche settimana fa il tribunale di Roma ha rigettato il ricorso presentato dagli industriali e li ha condannati al pagamento delle spese legali. Sulla questione è intervenuto Paolo Barilla, affermando che” si sta dando molta enfasi a qualcosa che non è un rischio” e che “se noi dovessimo fare un prototipo di pasta perfetta, in una zona del mondo non contaminata, senza bisogno di chimica, probabilmente quel piatto di pasta invece di 20 centesimi costerebbe due euro”. (Tanto per capire: intende dire che adesso fanno la pasta in zone contaminate e ricorrendo alla chimica e quindi meglio pagare le spese legali mettendo a tacere i piccoli produttori e continuare a produrre come stanno facendo? : nota della scrivente).

A proposito di Canada, va ricordato il CETA ( Comprehensive Economic and Trade Agreement)  stretto dai paesi UE  con il Canada, che porterà benefici solo alle grandi majors  globali che in tal modo non avranno più bisogno del TTIP, visto che Trump l’ ha accantonato,  per aggredire salute pubblica, beni comuni e servizi di interesse generale. Tale accordo lascia la massima libertà di azione ai grandi gruppi economici privati  attraverso la liberalizzazione e la de-regolamentazione di ogni attività delle imprese canadesi e quelle statunitensi o messicane che in quel paese abbiano una sede ( praticamente di quasi tutte ). Ogni progetto politico a tutela della salute pubblica , ad esempio la limitazione dell’ impiego di sostanze chimiche e agro- tossiche, sarà di fatto assoggettato al vaglio e alla minaccia di ritorsioni dei gruppi industriali controinteressati , magari proprio i colossi del ‘junk-food’ e del ‘fast-food’, ‘Big Tobacco’ o ‘Big Pharma’e del governo canadese. A questo non propriamente consolante quadro si aggiunge di fatto la legittimazione della contraffazione dei prodotti ‘Made in Italy’. La tutela dei nostri marchi consiste, secondo loro, nell’obbligatorietà  di indicare sulla confezione la provenienza di un prodotto dal nome straniero (per esempio: Taleggio Made in Canada) oppure di inserire accanto al nome stesso delle diciture quali ‘tipo’, ‘stile’, ‘imitazione’ ( Taleggio style).Un piccolo lavoro per i pubblicitari, la scelta del font giusto e la scritta ‘obbligatoria’ si trasforma in un decoro superfluo, non degno di attenzione.

Sul CETA si è tenuto venerdi 1 dicembre a Crema  presso la sala di Santa Maria in Porta Ripalta un incontro, introdotto dall’on. Franco Bordo. I giornali locali ne hanno riferito – ma non annunciato -, e Cremaonline ha anche pubblicato una foto del pubblico presente. Ho contato 13 persone per 4 relatori! Ma forse mi sono sbagliata. Se tra i lettori di Cremascolta ci fosse qualcuno che vi ha partecipato e potesse farci una sintesi di quanto emerso sarebbe interessante per avere un quadro più completo dell’ argomento. Un abstract degli interventi da parte dei relatori è chiedere troppo?

ELENA CUCCIATI

04 Dic 2017 in Ambiente

2 commenti

Commenti

  • Non sono riuscito a partecipare, nonostante la serietà dell’argomento. Anche in questo campo si nota l’aggressività della concorrenza: simultaneità di inziative, magari apparentemente più appetibili. La cosa è seria ma la risposta è drastica: si cambia dieta, perché il grano è buono con tutto il suo chcco intero nelle minestre, e la pasta è un’invenzione dei tempi in cui i raccolti di sementi ammuffivano o erano mangiati dai topi, non un prodotto della natura. In termini più ampi si boicotta il mercato, che è l’unica via per far sentire loro il fiato sul collo.
    Tracciabilità a partire dal chicco!

  • Un intervento, il tuo, documentatissimo.
    Abbiamo tutti bisogno di “studiare” come fai tu se vogliamo davvero evitare semplificazioni da bar.
    Sto leggendo l’ennesimo libro del Premio Nobel Joseph Stiglitz (La globalizzazione che funziona) che sottolinea ancora una volta – in sintonia con la tua documentazione – la pesante pressione delle lobbies sui negoziati dei politici.
    Siamo al clou dei problemi: l’economia condiziona sempre più la politica e, viceversa, la politica si fa sempre più a servizio degli interessi delle corporation.

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