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ADRIANO TANGO

Letture estive: Chiaroscuro, Di Tosca Brizio

Solitamente scelgo per le proposte letterarie fra Autori miei amici, non per sostegno promozionale, ma in quanto di quei testi so tutto… o quasi. So per esempio chi c’è dietro lo pseudonimo Tosca Brizio degli Autori di Chiaroscuro: una coppia di amici molto affiatati e preparati, anche professionalmente nel ramo delle investigazioni. E se volete entrare subito nel mondo delle investigazioni,  perché si tratta di un giallo-nero, scopriteveli da soli, io non vi aiuto, anche per dovuti motivi editoriali… vi ho detto già troppo.

Altro motivo: questa narrazione ha un filo conduttore comune con altri romanzi già da me presentati, troppi fili iintrecciati perché non si tratti di una nuova tendenza. Ricordate “Bravi ragazzi” di Francesco Ghilardi,  e Karmel, di Stefania Diedolo? Anche qui si mette a nudo la propria città, svelando anfratti oscuri e cripte segrete, non solo fisiche. Questa volta è sotto il microscopio Torino, e chi scrive sa bene di cosa parla: tutto vero, fin nel personaggio principale, Pietro, esistente, ma liberamente interpretato, criptato ovviamente, e rispondente fin nei connotati e stile di vita (certo, meno avventuroso!) Ma vi è un altro legame con altre mie recensioni, un’altra tendenza nella letteratura contemporanea degli “editori indipendenti”: un pizzico di esoterismo, magia aleggiante, premonizioni, metonimie; state attenti fin dall’inizio: le scoprirete. E nel filone mi ricollego anche a un altro romanzo già da me segnalato, l’opera di Anna Zanibelli che, nel suo “Il mistero del popolo del serpente” ci avvince con misteri protostorici e contemporanei della val Saviore.

Come sempre mi piace stralciare: “Pietro si interroga su questo qualcosa, che in fondo gli permette di decrittare i segni che l’universo tende a mostrare in tempi e in modi non sempre identici. Nel sonno, nella fase dei sogni, situazioni improbabili si affollano tra loro e si mescolano con i ricordi e gli incubi; nella veglia, una visione, un fatto, una parola lo fanno star male in una specie di attacco di panico. Forse è quello che succede agli sciamani?”

In sintesi: Chiaroscuro, Golem Edizioni 2017. Per 143 pagine 14 €, ma molto meno se ordinato tramite Internet Book Shop, o in versione ebook. Sarà bello addentrarsi fra fredde e nebbiose ambientazioni delle vie e bugigattoli torinesi, proposti in stile conciso, quasi scenografico. Magari con il viso protetto da un ombrellone e i piedi al sole, forse rabbrividirete ugualmente per le situazioni “forti”, proposte senza veli. Buona lettura.

 

ADRIANO TANGO

20 Lug 2018 in Recensioni

31 commenti

Commenti

  • Questa lettura ha appassionato anche me. Ambienti suggestivi, personaggi interessanti e ben descritti. Il romanzo scorre veloce!

    • Conosco gli autori abito a Torino pertanto parto avvantaggiata nella lettura ma d’altro canto son anche piu’critica . Ciononostante mi sento di consigliarlo per la scorrevolezza e il coinvolgimento nella trama . Una lettura estiva niente male , una pausa relax ‘gialla’

  • Un lavoro, questo noir fantasy, a quattro mani e due cervelli. Il protagonista ormai ha vita propria e ci porta dove l’istinto conduce lui. Altre storie di Pietro Jackson sono pronte e saranno pubblicate a breve, intanto c’è già, on line, anche un gustoso racconto : “blood session per Pietro jackson” scaricabile da Amazon. Buona lettura!

    • Scrivere a quattro mani non è cosa semplice. Vi è l’incontro e lo scontro tra due sensibilità oltre che possibili diversità di stile. Però è una scommessa, entrambi non siamo soliti perdere le scommesse.

  • Bello, originale! Mi piace molto!! Si fa leggere tutto d’un fiato.

  • Davvero un bel “giallo” intrigante! Perfetto da portare in vacanza per leggerlo in spiaggia.

  • Mi sento un pesce fuor d’acqua, Adriano, nel vedere tanti lettori.
    E… vi invidio: io continuo a rinviare la narrativa (quanto ci perdo), assorbito come sono dalla saggistica.
    Grazie, comunque, dello stimolo.

    • Non per niente sono medici amici e l’amore per la scrittura ha portato Patrizia e Gianfranco a far coppia in età matura e unire gli sforzi (lui è anatomo patologo, quindi col delitto ci ha vissuto!). Lo rivelo perché si sonoo aperti loro. Anche io leggevo solo trattati, ma ora che sto ripartendo dai classici sai quante frasi magiche mi annoto?

  • Nel merito, non per paggeria, ma per amore di verità : il nostro beneamato, prezioso Presidente, sa coniugare saggistica e narrativa in un mix affascinante al punto che riesce a coinvolgere nalla lettura anche un “ingegnere meccanico con le mani sporche di grasso” come me”!
    Per chi non lo avesse ancora fatto, leggere …. enseguida “Storie e memorie dell’epopea medica”.

    • Troppo buono Ing Capo Redattore!

    • ….. essendo redattore di questo blog, avendone il potere, stavo per correggere quello che era stato un “errore di stompa”, ma poi ho preferito lasciare il (seppur non voluto) neologismo “paggeria”, da “paggio”, qual in effeti sono di Mr President Adriano Tango!

  • concordo riguardo ” storie e memorie dell’epopea medica”, un argomento complesso trattato con la saggezza di chi vuole arrivare a coinvolgere tanti!
    Per quanto riguarda CHIAROSCURO, noi “Tosca Brizio” ci siamo adoperati a camminare , a partire da persona esistente, con un personaggio del tutto fuori da ogni schema . Amiamo Pietro Jackson in modo viscerale e lui continua a muoversi come in un caleidoscopio, vede luci ed ombre diverse, ma connesse tra loro… Altre storie stanno per uscire in stampa e on line

  • Per me che non sono torinese, questo libro è stato come fare turismo in una città che si ammonta di mistero e segreti oscuri, altri due elementi che mi affascinano. Ho molto apprezzato la scrittura dotta ma fluente, elegante e coinvolgente. Un libro da leggere e gustare.

  • Senz’altro Maddalena, che non conosco, sa bene della lunga storia esoterica che accompagna da secoli la città di Torino, e difatti in internet c’è tantissimo materiale. Non ho letto il libro perché non subisco il fascino del mistero, pur riconoscendo che il tema potrebbe essere intrigante. Ma tra tanti plausi io mi sento comunque di esprimere delle perplessità rispetto all’argomento. Perché il genere fantasy che non frequento, se non Magia rossa di Manfredi, legato a Crespi d’Adda, e letto in età giovanile durante un viaggio in Scozia, anche quella terra di fantasmi, potrebbe suscitare delle curiosità che potrebbero essere approfondite, magari in un post apposito. Segnalo comunque questo sito, ma credo che non sia necessario, non senza interrogarmi sulla ciclicità di questo bisogno di evasione da questo mondo terreno:
    https://www.google.it/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://www.misteridellastoria.com/i-misteri-di-torino-citta-magia/&ved=2ahUKEwiMrdHLv7zcAhXhHpoKHZowAIgQFjAAegQIBhAB&usg=AOvVaw3KjbL2ULem0rDUQx_8gKBH, chiedendomi comunque il perché di tanto interesse. Mi interessa davvero. Lei Maddalena, ad esempio perché subisce il fascino del mistero? E perché gli autori ne han fatto soggetto di un romanzo?

  • Oltretutto gli autori sono medici, coppia di scienzati quindi. Forse perché di questa realtà non se ne può più? Che poi per me questa realtà è più misteriosa del mistero.

    • Gentilissimo Ivano Macalli, molto stimolante e arguto il suo intervento a proposito di ” chiaroscuro”! Ci sentiamo chiamati, come Tosca Brizio, ad una risposta , ad una spiegazione. Il perché nelle scelte letterarie è davvero complesso da scoprire e un perché non glielo sappiamo dare. Il personaggio era nel mio cassetto da tempo ( “Ascoltando Coltrane- Neos Edizioni, 2009). Ci voleva qualcosa di più, una salda razionalità, unita alla fantasia. Questa serie di romanzi ed alcuni racconti ( un racconto edito, su amazon, è Blood session per Pietro Jackson) hanno una lunga gestazione, di oltre sei anni. Premetto che oltre a fare il medico, io mi sono interessata in gioventù di ipnosi clinica sperimentale e so bene che esiste uno stato di coscienza diverso che non è sonno, che non è veglia, è simile alla trans ipnotica e si chiama stato di creatività artistica. In questa situazione, si ampliano i canali recettivi e viene attivata la parte destra del cervello, quella più ancestrale e istintiva. Spesso si perde la cognizione del tempo. Franco, il mio compagno di vita e di penna, oltre ad essere stato medico di famiglia è stato anche medico legale. Ecco, non potendo fare figli insieme per sopravvenuti limiti di età, abbiamo prodotto questi nostri romanzi: non sono fantasy, non sono noir, non sono gialli. Molti hanno detto che non sono etichettabili. Ognuno di noi due ha una storia letteraria alle spalle, la mia è più poetica, quella di Franco è più da saggista. Entrambi, già abbiamo ” narrato”.
      Comunque, abbiamo portato avanti l’idea iniziale che il nostro protagonista “percepisca” le negatività che lo circondano . Noi partiamo dal presupposto che lo stato di creatività artistica sia una manifestazione delle capacità cognitive dell’uomo . Da qui, scaturisce la rielaborazione effettuata dalla nostra fantasia, abbondante perché doppia. Narriamo una serie di eventi, sempre inseriti in un ambiente preciso, che abbiamo cercato di descrivere nel loro contesto perché ci piace portare i nostri lettori lì dove la vicenda si compie. Nella fattispecie questo è Torino, ma se le altre storie usciranno e avrà la compiacenza di leggerci, vedrà che ci sono storie ambientate in Toscana, o nella zona dei laghi lombardi, o a York in Inghilterra, o a Parigi. Grazie davvero per l’attenzione.

  • Gentilissima credo che vi leggerò. Grazie anche per gli svelamenti biografici quasi confidenziali della Vostra simbiosi, e il romanticismo di lasciti non solo genetici. A tal proposito, non di creazione famigliare, mi vengono in mente Fruttero e Lucentini, altro sodalizio, nel loro caso solo artistico, col primo a Torino nato, il secondo nella città sabauda morto. Altra lettura naturalmente, un noir, sempre di ambientazione torinese, ma significativa è la conduzione di Urania da parte dei due. Così da intrecciare, mettendo insieme le cose, fantascienza, giallo, e i misteri Della donna della domenica, i vostri, uniti a quelli di Torino. E credo che i natali influenzino non dico le scelte di vita, le personalità, ma anche le storie. Quando si legge anche un fatto di cronaca spesso si conclude dicendo che la vicenda non potesse che svolgersi lì, come se ci fosse un filo ombelicale ad unire vite e cose. Così come da turista si lascia un luogo, una città, portandoci dietro non solo il negativo che il vostro personaggio percepisce, ma anche quelle informazioni che ci accompagnano nel resto del viaggio, magari estranee, fino a snaturarlo. Visito Torino e torno con gli occhi persi in campi d’erica. In occasione della vista alla mostra dei Preraffaelliti di pochi anni fa, e dopo aver scoperto la tragica vicenda di Elizabeth Eleanor Siddal, musa di Rossetti, che una volta riesumata, non sto a farla lunga, tutti notarono che i fulvi capelli le fossero cresciuti anche dopo morta, ecco che dal lungo Po di Torino mi fiondo nelle brughiere inglesi, così che cercando i capelli rossi della sfortunata nelle donne che incontravo, il mistero e fascino di quella tragica modella, morta giovane, mi accompagnò durante tutto il viaggio, aggiungendo mistero fuori spazio e tempo a quanto avevo letto sulla magia, quella giusta, che da sempre aggiunge fascino, anche non credendoci, alla città. Per me Torino quel giorno fu quella ragazza dai capelli rossi che per qualche ora nella capitale sabauda mi accompagnò. Ma qui sto divagando su semplici circostanze che non c’entrano nulla con la curiosità nei Vostri confronti. Un’altra cosa: lei dice che i prossimi vostri racconti avranno luoghi diversi, e probabilmente non a caso, e senz’altro lontani da quegli stereotipi tipo “i liguri sono così, mentre i romani…” a significare quello stato di dormiveglia di cui Lei parla e che sempre ci proietta altrove mescolando sogno e realtà. A me, da sveglio, ha fatto miscelare Torino e i campi di brugo. A significare l’insostenibilità del qui e ora e dello spazio-tempo. Come quando si dice visitando luoghi nuovi: ma, mi sembra di esserci già stato o quello mi ricorda quell’altro. E’ questa la metafisica della realtà, come se non ci fosse bisogno di inventare niente. Tutto è un mistero servito gratis alla nostra fantasia sterile. Basta guardarsi intorno. Grazie ancora per la risposta.

    • Ivano ho sottolineato nella recensione che questo aspetto, unito a un bisogno di mettere a nudo il lato “colposo, vergognoso” delle proprie città, l’ho riscontrato in varie opere di scrittori che hanno per vari motivi deciso di sottopormi le loro fatiche, e gli altri che ho citato sono di Crema, di età molto diverse. Forse il filo conduttore che tu individui, la noia del reale, può convincere, o forse c’è tanto che noi vediamo e non raccontiamo, ma riusciamo a narrare a un ascoltatore anonimo, il lettore, perché chi scrive è in uno stato di realtà alterata. Non a caso sono i bambini a serbar memoria di certi “fatti” vissuti in circostanze particolari, come la morte imminente e successivo ritorno alla realtà, mentre l’adulto li rimuove, li censura. E non faccio eccezione, non come bambino, come scrittore!

    • chi scrive è l’altra metà di Tosca Brizio. Scrivere a quattro mani non è esercizio semplice e richiede senso di prossimità, comunanza di conoscenze, complicità e sopratutto voglia di scommessa. Il nostro tentativo è una fusion fra tre generi: noir, fantasy e poliziesco. Il primo e il terzo godono di una contiguità, il secondo tende ad esplorare quanto di irrazionale esiste fra l’espressione creativa dell’artista e un certo mondo che sfugge alle regole codificate dalla ragione e succede perché deve succedere. Il bello della scommessa è che non amo particolarmente nessuno dei tre generi, anche se presi singolarmente. Allora perché cimentarsi in questa impresa? La ragione più semplice è che amiamo non cosa si scrive ma il come si scrive. Esiste o non esiste una aristocrazia della scrittura? Lungi da noi il vanto o la superbia, sarà il lettore che scoprirà l’effettivo successo.

  • Altro ricordo legato a Torino, alla letteratura e ai misteri: La sirena di Tomasi di Lampedusa, Lighea in prima edizione. Che senz’altro Lei conosce. In un vecchio caffè del centro, popolato da “esangui ombre…”, un limbo lo definisce in seguito lo scittore, le confessioni tra il vecchio professore e il giovane giornalista, e il soccombere da parte del vecchio, all’impossibilità di amori reali dopo l’incontro, tra reale e surreale, con la Sirena. Niente dopo quell’incontro sarà come prima.

  • Signor Brini, la scrittura come esercizio stilistico? Non è un po’ poco? Se così fosse avrei qualche difficoltà ad avvicinarmi ai vostri libri. Perché ho sempre creduto che un buon libro fosse l’insieme di forma e contenuto. Anzi, io forse ho sempre privilegiato il secondo rispetto alla prima. E se anche dicessi che la forma è contenuto credo che nessuna delle due componenti escluderebbe l’altra. Ma forse non ho capito. Se così fosse chiederei umilmente scusa.

  • Buongiorno! Mi “intrometto” in questa diatriba perché con tutta probabilità parlate entrambi, in questi scambi di vedute, linguaggi razionali, talmente razionali che viaggiate in parallelo senza incontrarvi. Lei , mi permetta, perché stuzzica l’orgoglio degli autori con voli pindarici teorici, senza aver letto il testo e Franco perché vuole far notare il fatto per cui a volte siamo stati contestati come Tosca Brizio: linguaggio ricercato. Lui ne fa, giustamente, un vanto, anche perché la parte della cura dei particolari linguistici è pressoché tutta sua, ma non scritta come sterile esercizio ma con il piacere e l’amore, l’amore c’è sempre in quello che si fa altrimenti non avrebbe senso, amore grande e rispetto nei riguardi della nostra lingua italiana. Io rappresento la parte più fantasiosa e passionale, inventiva, poetica descrittiva, ma in realtà le nostre scritture si embricano e, come un tappeto persiano per raggiungere un piacevole effetto davanti, dietro è pieno di nodi. Io dissento dal mio collega di penna, come lui ben sa, sui gusti letterari. Io sono onnivora, entrambi di sicuro ammiriamo i noir perfetti di Scerbanenco e siamo onorati di essere stati segnalati dal nostro editore proprio per il premio Scerbanenco. Di sicuro, anche ” Brizio” le risponderà. Abitiamo lontani e i suoi ritmi sono diversi dai miei che sono ancora in attività lavorativa… Anzi, ora devo aprire la porta ai miei pazienti. Buona giornata e, se ne avrà voglia, buona lettura…E poi ne riparliamo.

    • Ho ordinato il vostro libro che però non avrò prima di dieci giorni. Grazie e a presto.

    • gentilissimo Ivano, ho parlato di aristocrazia della scrittura non di esercizio stilistico. Sono due cose diverse e non equazione tanto meno coincidenza. Il petrarchismo ha ingessato la lingua italiana per qualche secolo e le composizioni poetiche perfette nello stile erano vuote di contenuti e non a caso coperte dall’oblìo. I Promessi sposi hanno creato un esercito di manzonisti bollati come stenterelli dal Carducci e per un quarantennio nessun narratore di calibro europeo . Ho parlato quindi di una cosa diversa dall’esercizio stilistico e la vera sostanza dell’aristocrazia della scrittura la si può trovare nelle considerazioni sul punto di Italo Calvino. I linguisti hanno trovato una buona corrispondenza di sensi fra significante e significato, Bachtim dal profondo della Siberia ha sviscerato lo stretto rapporto fra spazio e tempo inserendo nel dibattito sulla narrazione il cronotopo, cosa non molto diversa dalla formula di Albert Einstein E= mc2, Walter Benjamin aveva previsto negli anni trenta del secolo breve per l’opera artistica con l’avvento della riproducibilità industriale un marker distintivo nella così detta “aura” , che è tutto tranne che qualcosa di razionale.. Il mio non vuol essere sfoggio di erudizione , ma una necessaria precisazione in un mondo dove la letteratura è diventata di consumo, un prodotto industriale insieme con altri prodotti sui banchi degli store, dove l’elementare simbiosi fra contenuto e forma espressiva latita e Franco Briz.sequenze narrative hanno come obiettivo unico il ritorno economico.
      Ho letto che leggerà il nostro libro, mio e di Patrizia, creato quindi su un doppio binario, come del resto è ossimorico il titolo Chiaroscuro, nonché la trama pur essa doppia, cosa di non frequente reperto in narrativa; la curiosità del lettore è attivata perché il doppio non finisce lì.
      Con il mio attestato di stima. Bizio,

  • Caro Gianfranco, vi leggerò con aumentata attenzione.

  • Ma che bel ponte letterario!

  • Gianfranco, senz’altro Lei non conosce il conio del Capo redattore Francesco: “Il cazzeggio di qualità”, almeno si spera. Altrimenti è il sostantivo e basta. Quindi mi permetta, senza ombra di irriverenza, uno spunto di riflessione in più. Tutto questo dopo un confronto in casa che porterebbe a riconoscere che Lei la lingua italiana la conosce. Però io qualche contestazione mi sentirei di esprimere. Anche se forse qualche accademico della Crusca mi smentirebbe immediatamente. Però, si sa, la lingua è sempre in continua evoluzione con le sue regole e i neologismi che crea. Il tema è la figura OSSIMORO “. La ragione più semplice è che amiamo non cosa si scrive ma il come si scrive. Esiste o non esiste una aristocrazia della scrittura?” Caro Ganfranco, confesso, e Lei stesso riconoscerà, che partendo da questa affermazione il lettore sia mosso da benevola curiosità che naturalmente avrà modo di valutare. Ovvio che le aspettative non saranno deluse. Invece, se mi permette, vorrei dissentire sul significato di ossimoro o semplicemente interrogarmi. Secondo me Chiaro scuro è un’antitesi, non un ossimoro. In verità, non avendo ancora letto il libro potrei alla fine definire tale il vostro libro o personaggio, faccio delle congetture, ma non il titolo. Secondo me un ossimoro non vede contrapposti due elementi che rimangono comunque distinti, ma è una figura retorica che ne contempla due, come potrebbe essere il vostro scritto che alla fine coniuga le due diverse personalità che si esprimono a quattro mani, ma alla fine diventando due. In verità ossimoro e antitesi si somigliano e qualsiasi definizione si presterebbe per forza a scaramucce verbali che non porterebbero da nessuna parte. Ma tant’è, dal momento che si sta parlando di lingua…Quindi non insisto. Però, dopo un po’ di ricerca mi sovviene quel quadro di Magritte dove ad un parco immerso nel buio con una domestica lucina fa da sfondo un cielo chiarissimo di nuvolette assolutamente diurne. Ecco, se Magritte avesse chiamato il suo dipinto Chiaroscuro gli avrei fatto notare che non ha rappresentato un ossimoro, ma un paradosso. Di fatto i due tempi, il giorno e la notte sono ben distinti. Quindi il vostro titolo potrebbe anche essere definito un paradosso. Ma ora sospendo il giudizio, perché partendo dal libro si sta procedendo in analisi di testi da blog che indubbiamente non fanno onore , per la velocità di stesura, almeno solitamente, alla letteratura. Come altrettanto, da un purista come Lei, mi sarei aspettato nel suo ultimo commento che scrivesse non ” Ho letto che leggerà il nostro libro”, ma “Scrive che leggerà il nostro libro”. Insomma avrei evitato la ripetizione. Dimenticavo, e poi chiudo, con un ultimo esempio: Dottor Jekyll e Mr. Hyde è un ossimoro, come un ossimoro è il suo sodalizio con Patrizia e il vostro pseudonimo. Per dire cosa? Che un ossimoro per essere definito tale bisognerebbe di un neologismo capace di includere contemporaneamente i due opposti. Ha presente il film Lucida follia della Von trotta? Chi inventa un termine che riassuma sostantivo e aggettivo? Si farebbe prima. E questo varrebbe naturalmente per tutti gli altri ossimori. Del resto Lei è un anatomopatologo, abituato ad indagare e risolvere anche gli aspetti più misteriosi tra apparenze diverse. Esattamente come quando si indagano una lingua e le sue regole. Naturalmente mi scuso per questo cazzeggio, che non so se di qualità, ma è tutta colpa del nostro clima padano che mal invita ad uscire. Abbiate pazienza.

    • È sabato, un giorno ideale in cui dedicare uno spazio al cazzeggio… Il mio non è certo di qualità, ma non importa…Perché comunque qualche parola voglio spenderla anch’io in proposito, pur se scontata magari. Rileggendo le annotazioni di Ivano e di Franco, non ho potuto fare a meno di constatare un gioco di parole e di contrasti apparenti tra persone diverse. Il fil rouge dialettico si è fatto interessante ed io dal mio “angolino poetico” voglio ricordare che di contrasti apparenti si nutre da sempre la vita e di conseguenza l’ossimoro è sempre stato pane per i poeti, dalla ” bianca oscurità” di Pascoli allo “immoto andare” di Montale. Ed io che di poesia ho una infarinatura, ho amato e amo scrivere, come riesco, di ambienti, di situazioni, di persone, di sogni, di amori, di arte,…ossimorici: apparenti nitidezze e tensioni sotterranee o, viceversa, tensioni apparenti e nitidezze sotterranee. Credo che il protagonista dei nostri racconti, Pietro Jackson, sia un personaggio così, già dal nome, già dalla sua origine familiare e, poi, oltre. Che ne dice Franco? Che ne dice Ivano? Al di là delle diatribe sulle sottigliezze e sulla etimologia della parola, ovviamente, (non ho una laurea in lettere come ha Franco oltre a quella in medicina)…ma solo qualche reminiscenza classica e tanta voglia, sempre, di imparare.

    • Gentilissimo Ivano, eccomi di nuovo. Ho letto con estrema attenzione quello che Lei scrive. Alcune precisazioni iniziali. Non sono un purista, non amo la rigidità, anche se attualmente un po’ attenuata, dell’Accademia della Crusca e non amo la sciatteria di certe prose ove la adeguatezza del lessico è improbabile e certi sbandamenti sintattici improponibili. Credo che vi sia una esigenza: come ha già detto Patrizia la lingua richiede rispetto. Non intendo una lingua ingessata, ma una lingua viva, aperta a neologismi che la quotidianità conia, ai contributi dal dialetto, all’utilizzo di un sermo vulgaris, a dirla con Cicerone, nei dialoghi fra le persone, tenendo conto che l’uso di un linguaggio farcito di termini desueti, pur corretto sul piano dell’ortodossia grammatico-sintattica, nel lettore ingenera una fastidiosa sensazione di artificiosità. Nei nostri romanzi e racconti i personaggi parlano il loro linguaggio quotidiano, diverso a seconda della loro collocazione sociale. In “Chiaroscuro” un personaggio parla nel suo dialetto d’origine e nell’ambito della malavita abbiamo utilizzato il gergo dei malavitosi.
      Sul punto ossimoro e antitesi. Ho per lei un aneddoto personale. Faccio tra un mese 81 anni e a 78 mi sono laureato in Lettere presso l’Università di Bergamo, summa cum laude.
      Esiste all’ingresso una prova idonea obbligatoria per stabilire il grado di preparazione delle matricole. Divisa in varie sezioni si accerta sulle competenze acquisite, sulle conoscenze di base, sulle eventuali lacune, che devono essere emendate attraverso percorsi di insegnamento aggiuntivi con un controllo prima di iniziare il cursus degli esami. Nella sequenza dei quiz ce n’era uno di particolare interesse per quanto riguarda le figure retoriche. I termini in questione erano: chiaroscuro e il chiaro e lo scuro. Le risposte esatte erano ossimoro per il primo termine e antitesi per i secondi. C’è una ragione precisa. la fusione dei due aggettivi ha generato un sostantivo che può significare una tecnica pittorica o uno stato di penombra e non un contrasto fra luce e buio. Il secondo rilievo con appuntata la correzione: Non sono d’accordo. La sequenza secondo la sua versione contiene la ripetizione dello stesso soggetto nella principale e nella subordinata, nella mia i soggetti sono diverso l’io nella prima e il lei nella seconda. In comune hanno il lemma leggere declinato uno al passato e l’altro in un probabile futuro. Quello che dà fastidio nella lettura è la ripetizione ravvicinata della stessa parola. La realtà è che l’io ha letto e il lei leggerà.
      Ultima precisazione: non sono stato un anatomopatologo, ma un medico legale. Il primo attraverso l’osservazione necroscopica o una autopsia cerca di precisare una causa di morte, il secondo esperito questo primo tempo esamina gli eventuali ulteriori agganci sub specie legis.
      Scritto in un pomeriggio dove il ” meriggare pallido ed assorto” è solo una ipotesi improbabile e il ” cazzeggio” una altrettanto improbabile via d’uscita.

  • Grazie Patrizia, e vediamo se Franco commenta.

  • Bene, precisazioni importanti. Come dice Patrizia anch’io imparo volentieri e quindi accolgo con piacere il suo contributo. Magari non del tutto d’accordo, continuo a pensare che un verbo ripetuto due volte, anche se con declinazioni e persone diverse, non stiano molto bene. Quanto alle forzature linguistiche ne apprezzo a volte in Erri De Luca ad esempio, ne capisco meno magari in Gottfried Benn quando scrive, ma forse la traduzione è meno efficace dell’impatto in tedesco, che : “Stava ancora ritta in silenzio, quando gli accadde l’oliva”. Chissà mai cosa voleva dire, e non mi convince certamente l’interpretazione che vuole la dolcezza della parola, in italiano nel testo, e in corsivo nella traduzione, contrapposta per ragioni “emozionali” a tutte le consonanti tedesche. E mi fermo qui, la mia erudizione si sta esaurendo, e lascio spazio ad eventuali altri contributi. A dopo aver letto Chiaroscuro, attaccati.

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