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ADRIANO TANGO

Il social dreaming

Il social dreaming

Vi lascio solo il report di “un’esperienza di avvicinamento” a questa nuova forma comunicativa societaria, di difficile inquadramento, perché sarebbe erroneo metterla nel novero delle psicoanalisi o psicoterapie, anche se nasce dalla visione dei sogni, ma son sogni vissuti in comune. L’occasione: vengo a sapere di una seduta organizzata dal mio amico Giancarlo Stoccoro, Psichiatra e Poeta, Scrittore di libri divulgativi e Traduttore di altri e, e… tante altre cose. Del resto è ben noto a Crema, dove è stato anche consulente dell’Ospedale, ed esercita professionalmente, fra gli altri luoghi e interessi. Sabato 22, nell’ambito dei tre giorni di incontri del Sirmione l’International Poetry Festival 2018, ci si vede al palazzo Callas della nota cittadina turistico- termale. Quale miglior occasione? Mentre mia moglie se la gode alle terme, che io trovo costrittive ed estenuanti, posso tranquillamente soddisfare la mia curiosità. Siamo una trentina, anche altri venuti da Crema, e Giancarlo ci dà due nozioni teoriche: in uno spazio temporale chiamato matrice, da mater, quindi un contenitore temporale di 60′-90′, ma che è anche un’ispirazione, un punto di partenza, come può essere un film o comunque un’atmosfera. I partecipanti devono evitare interazioni dirette, quali dialoghi o discussioni, anzi, non debbono nemmeno guardarsi! Stoccoro per facilitare quest’effetto sognante individual-comune usa abbassare le luci. E poi un sogno narrato tira l’altro. Ma a che serve? Rubo una spiegazione a Giovanna Cantarella, dalla IV di copertina di uno dei libri di Stoccoro: “I sogni, condivisi collettivamente, possono acquisire significati che si riferiscono all’ambiente, alla cultura che inquadra le istituzioni che organizzano la nostra vita sociale, darci informazioni che la coscienza individuale ancora non ha afferrato”.

Un aforisma che mi è rimasto nella memoria, sul senso potenzialmente predittivo della tecnica è: “Se i Tedeschi avessero praticato sedute di social dreaming avrebbero saputo in anticipo dell’imminente entrata in scena del nazismo”. La mia sensazione è stata quella di una progressiva coordinazione mental-inconscia fra i partecipanti, un’esperienza simile a quella del gioco con la tavola Onja (ricordate, quella con le lettre e i numeri e il SI e NO e del piattino che “sembra” indicarle per moto proprio, e “sembra” che i partecipanti lo sfiorino appena; entrato in voga come mezzo di comunicazione spiritica, quando lo studiai da giovane mi convinsi che è solo un mezzo di stupefacente fusione mentale che porta a “risposte e racconti coerenti”, trascendenti l’immaginazione di ognuno dei partecipanti: una mente collettiva. I questo caso la mente collettiva è anche sognante, inconscia.

Quando la matrice è colma e si riaccendono le luci si cerca, sotto la guida del conduttore, di tirar e somme, direi come “cercare un minimo comun divisore”, e questo lo si fa ancora collettivamente, seduti in cerchio, ma ben coscienti, attenti e speculativi. Non vado oltre con le informazioni, anche perché privo di autorizzazioni del conduttore, ma per chi ne voglia sapere di più chieda pure, anche sulla mia posta privata (tangoadriano@gmail.com). Vi farò da tramite. E… scusami Giancarlo se ho detto sciocchezze! E così mi è apparso il social dreaming: quando la matrice è colma e si riaccendono le luci si cerca, sotto la guida del conduttore, di tirar e somme, direi come “cercare un minimo comun divisore”, e questo lo si fa ancora collettivamente, seduti in cerchio, ma ben coscienti, attenti e speculativi. Non vado oltre con le informazioni, anche perché privo di autorizzazioni del conduttore, ma per chi ne vogliaa sapere di più chieda pure, anche sulla mia posta privata (tangoadriano@gmail.com). Vi farò da tramite. E… scusami Giancarlo se ho detto sciocchezze!

 

ADRIANO TANGO

29 Set 2018 in Eventi

15 commenti

Commenti

  • Ringrazio Adriano Tango per l’ottima sintesi dopo la sua prima esperienza di Social Dreaming. Speriamo di riportare anche a Crema questo metodo di condivisione collettiva dei sogni.
    Giancarlo Stoccoro

    • Dimmi che fare e l metterò nelle occasioni da preendere al volo per la diffusione: un paio te le ho passate, ma anche quelle sedi non sono proprio il massimo troppa gente e poca intimizzazione)

  • Ti confesso, Adriano, di faticare … volare come sai fare tu: sono molto pragmatico, anche perché anch’io per tanto tempo ho… sognato (l’uomo come dovrebbe essere, la bella politica che non c’è da nessuna parte, l’atteggiamento di ricerca e quindi, di chi non ha certezze…, il saper dialogare e accogliere ciò che è buono in ogni interlocutore disponibile a ragionare e a confrontarsi…).

    • Step by step: il tuo metodo lascerà il solco, il mio magari il vuoto! Oriente e occidente, in sintesi.

  • La mia esperienza del social dreaming, sempre nel contesto del Sirmio Internatinal Poetry Festival, è stata diversa, se non altro da un punto di vista di approccio mentale. Innanzi tutto è stata parziale perché il contesto, a mio avviso, non era dei migliori. Per poter lasciar uscire un flusso di immagini attinte da sogni, bisognerebbe poter entrare in una condizione di astrazione rispetto al contesto, quindi buio, e nessuno a guardarti mentre esterni le tue immagini descrivendole a voce, per togliere imbarazzo e personalizzazione. Purtroppo la sede di questo evento non consentiva una totale astrazione, una completa intimità con se stessi in mezzo agli altri, in più molti cercavano con lo sguardo la “fonte” dei sogni raccontati, rendendo le cose più difficili e i racconti più frammentari e radi. Al di la di questo, ho cercato di chiudere gli occhi e lasciare che i sogni rimasti nella memoria fluissero e mano a mano molte cose che avevo sognato sono tornate a galla. La matrice, come momento temporale di condivisione del sognato è effettivamente un momento in cui piano piani tutti vanno verso una direzione, ma questo è anche un fattore logico, perché come le gocce di un temporale, che partono rade, via via uno dopo l’altra divengono sempre più fitte fino a divenire un torrente in piena che va nella direzione della gravità e del vento. I sogni raccontati di ognuno inevitabilmente evocano ricordi di sogni per similitudine, riportano a galla sensazioni, ma queste sensazioni ci sono state, quindi ecco che si arriva al punto del social dreaming, (per come l’ho inteso io, chiedo perdono per eventuali errori di interpretazione) la scoperta di sensazioni comuni nell’essere umano, che possono essere diverse di seduta in seduta, ma che attingono tutte allo stesso strato di subconscio umano che è parte di una matrice genetica condivisa. Non a caso, le società arcaiche erano solite, tramite lo “sciamano”, raggiungere stati alterati di coscienza tramite il consumo di sostanze psicotrope o attraverso danze estenuanti di gruppo fino a raggiungere la trance in cui, dai nativi del nord america, agli aborigeni australiani, si sperimentavano sogni del tutto simili, facenti parte appunto di una matrice unica che avvicina ogni essere umano nel suo strato più profondo e ancestrale. Questo tipo di matrice in effetti è evocabile attraverso il social dreaming in maniera meno pericolosa, tutto sta nel lasciarsi completamente andare, perché giocoforza di racconto in racconto si finirà col seguire una corrente che nasce proprio dalle sensazioni che suscitano i sogni raccontati via via. Le uniche cose che non ho condiviso, per mia esperienza, sono le considerazioni riguardo il ricordare i sogni e i tempi in cui son stati fatti. Per quanto mi riguarda ho notato che i sogni si dimenticano quasi istantaneamente appena svegli, a meno che non ci si soffermi a ripercorrerli coscientemente appena svegli (cosa che di solito accade più facilmente con gli incubi, per cui poi si ricordano più facilmente), e quando un tipo di sogno è abbastanza usuale, ricorrente, ad esempio quando da piccolo sognavo di non riuscire a reagire a certi pericoli, poi è facile ricondurre questo sogno ad un certo periodo della vita. Quando sono diventato più grandicello e più sicuro di me, quel tipo di sogno è scomparso dalle mie notti quindi oggi posso affermare con certezza che è un tipo di sogno che ho fatto da bambino e la datazione è abbastanza precisa.
    La mia considerazione finale è molto positiva, è stato un bel incontro, purtroppo il luogo non era proprio adatto per raggiungere una completa tranquillità emotiva, in più non è stato subito chiaro cosa si dovesse fare quindi ho faticato ad iniziare con la descrizione dei sogni, inoltre non era chiaro se si dovesse raccontare uno alla volta, a turno, un solo sogno oppure di più come un flusso di coscienza e altri piccoli dettagli che hanno reso la mia esperienza un po’ timida e incerta all’inizio.

    • Diciamo che è stata un’iniziazione parziale, come un petting profondo e non un rapporto completo (ma che paragone), ma l’idea l’ha data. Sui limiti, concordo, ma non solo per la sala, e anche Giancarlo ha detto che non sono generalmente proprio ideali quelle che trova, ma anche il contesto: passare dal cicaleccio diffuso e plurilingue, gelateria e puzza di hamburger a un’esperienza intimistica? diciamo che l’occasione c’era e Giancarlo non l’ha lasciata cadere in fondo al lago. Io, se non l’ho goduta fino in fondo, ho almeno riempito parzialmente un vuoto culturale.

  • Bisogna ricordare che la matrice dei sogni condivisi è sia un contenitore che un processo che, come ben sottolinea Adriano, richiede tempo. Solitamente ogni matrice dura un’ora e mezza e alla prima ne segue almeno un’altra di pari durata. Va aggiunto che l’iniziale silenzio in sala associato a un vissuto di straniamento, che può essere per alcuni fastidioso, è assolutamente normale e ben conosciuto per esempio a chi ha esperienza di analisi. Ciò che conta è arrivare alle libere associazioni, a creare connessioni e stabilire legami senza preoccuparsi troppo di ricordare i propri sogni ma stare nel processo. Questo è capitato anche a Sirmione dove, per forza di cose, il tempo era molto limitato.
    La difficoltà sottolineata da Andrea Burato di salvaguardare un setting adeguato (nelle matrici le sedie sono disposte a fiocco di neve oppure la sala è oscurata) fa parte di quel vissuto di cui sopra (straniamento, depersonalizzazione, ricerca di una regia più forte, bisogno di controllo) e rientra nel processo.
    Nel dialogo (assente Adriano Tango per forza maggiore) abbiamo parlato anche di questo. Spero si possano creare presto nuove occasioni per riprendere a sognare insieme.

  • Grazie Giancarlo per l’impegno che mostri nel seguire la discussione. Infatti il messaggio email arriva solo all’autore del post per i nuovi interventi: ciò vuol dire che ci entri volontariamente nel poco tempo che hai. Sì spero di poter contribuire a creare situazioni simili, ma il limite resta sempre l’appropriatezza dei locali. Poi la gente, prima di mettersi a nudo, e non sono tutti “senza pelle” come me, si chiede cosa ci guadagna, dove si va in mira. Insomma, dobbiamo discuterne ancora, ma vedrai.

  • Anch’io ho partecipato attivamente all’esperienza di social dreaming condotta a Sirmione dal dr. Stoccoro in occasione del festival di poesia. Spero di ripeterla, perché non mi sono fatta l’idea di un’esperienza una tantum, ma di una pratica da adottare.
    La disposizione mentale ottimale per un social dreaming non si improvvisa. Servono esperienza e forse un gruppo affiatato per aderire alla propria emotività ed esprimerla (e questo è solo il primo passo, poi c’è la capacità di ascolto della voce collettiva).
    L’espressione dell’Es nel SD non avviene in modalità protette o controllate: non fra sé, non in forma d’arte, non in stretto vis à vis con un professionista tenuto ad un codice deontologico, ma si espone all’ascolto di numerose persone sconosciute che potrebbero commentare o giudicare. A Sirmione i partecipanti hanno rivelato tutti sensibilità e intelligenza, ma ne ho avuto certezza solo alla fine.
    Ad una primissima esperienza è facile che si attivino forti autocensure o confronti razionali fra immagini proprie e altrui; l’adesione al flusso dei sogni risulta così parziale. La matrice stessa ne resta condizionata.
    Tuttavia nei momenti di migliore abbandono al susseguirsi delle immagini (e ce ne sono stati alcuni) ho provato eccitazione intellettuale, come di fronte ad una scoperta. E lo era.
    Ritengo dunque il SD una pratica, una crescita nella capacità di ascolto di sé e degli altri come di una voce sola, un imparare a camminare all’indietro.

  • Mi interesserebbe sviluppare lo studio dell’aspetto non solo psicologico del SD, ma anche sociologico/psicosociologico. Un’alta gamma di matrici si presta alla comprensione della mentalità collettiva: ho trovato situazioni storiche e ideologiche sullo sfondo comune di diverse immagini, soprattutto nelle paure. Interessante e inquietante!

    • È molto interessante questo scambio e condivido molto di ciò che ho letto. Ma soprattutto ritengo importante la leggerezza con cui si può partecipare a esperienze come questa. Il compito di farne uno strumento è di chi conduce, il compito di ottenere risultati è di chi chiede tale dispositivo (il “committente”) per qualche motivo particolare. Per tuttti gli altri solo il vantaggio e la bellezza di poter non pensare a tutte le “utilità” che detto prima, è lasciarsi andare all’affiorare dei sogni così come arrivano, come si ricordano, come si ridisegnano nel racconto, senza scusarsi o sforzarsi di trovare una logica o un senso. I sogni si fanno proprio per nassondere il senso.
      A Sirmione c’ero anch’io

    • Ne parlavo proprio ieri con Stoccoro: troveremo il modo. Comunque l’atmosfera si è rilassata rapidamente, ci è scappata anche qualche risatina!

  • Un aspetto che non è emerso è che la pratica credo che, oltre a costituire una sorta di sonda sociale, abbia un vantaggio personale come scuola di disinibizione. Fra inviti alla privacy, allarmi di violazioni, perbenismi vari, vivamo tutti in modo cupo. Almeno un sogno, in quanto prodotto di una mente nosrtra ma non sotto controllo volontario e censure connesse, lo possiamo così raccontare con animo candido!

  • Si possono condividere i sogni, possono i sogni entrare in contatto tra di loro, sino a stabilire una trama ed un intreccio dai contorni che sfumano l’uno nell’altro? Può un sogno andare alla ricerca di un sognatore, o di più sognatori che diventino veicolo inconsapevoli di un messaggio? Il sogno ci appartiene e noi ne siamo dimora. Può essere vero anche il contrario: il sogno è la nostra dimora e noi apparteniamo a lui. Associo il sogno ad una rappresentazione teatrale, in cui i protagonisti interpretano ruoli interscambiabili e la raffigurazione di immagini interne diventa improvvisamente reale e si fa narrazione parziale, incompleta e ci lascia con le gambe all’aria. Il sogno dettaglia e racconta, e le regole deragliano dalle coordinate del tempo e dello sapzio. Il sogno è colata lavica ed informe, a volte. In altri casi ha la precisione di un arco che centra il bersaglio. Sognare insieme è possibile, basta eludere le resistenze, o perlomeno cercare di lasciare che si aprano brecce che consentano uno scambio fluido e naturale.
    Nella splendida cornice di Sirmione, sabato 22 Settembre, ho avuto modo di sperimentare il Social Dreaming” per la seconda volta, guidata, insieme ad altre persone, dal Dott. Giancarlo Stoccoro.
    Le luci soffuse ed il graduale abbandono di una certa comprensibile ritrosia nell’esporre parti di sè, attraverso l’esperienza personale ed intima del sogno, hanno favorito un progressivo abbandono e un clima di comunanza solidale. Sogni che appartenevano a periodi remoti della mia vita si sono improvvisamente affaciati alla soglia della coscienza e hanno ripreso corpo, sorprendendomi. Dove li avevo lasciati? Quale forma di comunicazione e di linguaggio avevano usato per destarmi e provare ad indicarmi la strada? Durante la sessione di social dreaming le domande sorgono spontanee, ma prevale l’ascolto di sè e dell’altro. Il controllo esercitato dal processo di razionalizzazione dei vissuti verrà in seguito. Quando si sogna insieme, a mio parere, le domande diventano marginali e prevale il desiderio che muove e sollecita l’operazione di rispecchiamento e di richiamo. Il sogno dell’altro somiglia ad un’ eco, ad un riflesso che si fa voce e richiamo. Si entra in una dimensione tanto fugace, quanto consistente. L’evitamento del contatto oculare permette una comunicazione più libera e sciolta dai bavagli della censura, in cui la voce onirica assume le sembianze di un’onda che avanza e si ritrae, trascinandoti con se’. E all’interno di quell’onda ci si immerge. L’incontro è profondo: un tuffo in acqua. Quando si riaccendono le luci i sogni ritornano nel cantuccio dove abitualmente li confiniamo. Si riprende padronanza della realtà. Intanto li abbiamo risvegliati dal sonno e soprattutto abbiamo dato loro la possibilità di incontrarsi, di dialogare, di accostarsi, di riconoscersi, di rincorrersi e di ritrovarsi.

    Grazie per questa esperienza di -sogno condiviso-, all’amico Giancarlo e al resto del gruppo che vi a ha preso parte.

    Eleonora

    • Condivido, ma mi attendo molto di più da future esperienze. Giocava contro di me l’idea perturbante del cell. acceso e di mia moglie che poteva chiamarmi. Bisogna spegnerli! La prossima volta saprò cosa attendermi. Circa il sogno sognato in due, con riscontro al mattino dopo dalla constatazione congiunta e coincidente con la controparte, per me è stato stupefacente: al minimo un fenomeno telepatico-onirico..
      Ma stupefacente è pensare che l’essere vivente, qualsiasi essere vivete, dorme da quando la vita esiste, ma di un fenomeno che abbiamo sotto gli occhi ancora sappiamo poco!

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