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MARINO PASINI

Ladri di bambini con la mano della santa

 

Santa Teresa d’Avila, una delle icone del tradizionalismo cattolico, morì nel 1582 ad Alba de Tormes, nei pressi di Salamanca, in un monastero delle Carmelitane scalze, e lì fu sepolta. Teresa d’Avila ebbe vita tormentata, soprattutto le notti le aveva parecchio trafficate: colloqui con gli angeli, concerti di cherubini, momenti d’estasi, quattro passi fra i morti del Purgatorio. Quando il suo corpo fu riesumato, perchè ai santi girano intorno anche da morti, ci fu un’analisi accurata, certosina, da parte dei carmelitani dei suoi resti; venne individuata una ferita da puntura nel cuore (la famosa transverberazione, cioè: essendo la santa così vicina a Dio, il suo cuore, l’Onnipotente lo trafisse col suo amore). Graciàn de Dios, uno dei frati che riesumò il corpo, era devoto della santa come pochi e decise di armarsi di seghetto, e con il corpo di Teresa d’Avila non ancora divorato dai vermi (santa o ladra, ai vermi importa niente), tranciò, separò la mano sinistra dal resto del cadavere (el brazo incorrupto), lo infagottò, e con amorevole cura, non essendo egoista di suo, lo consegnò alle autorità competenti di Salamanca. Dopo lunghe discussioni tra frati, arcivescovi, cardinali (le suore no, nelle decisioni importanti contavano e contano come il due di bastoni, quando la briscola è spade), la mano della santa finì a Lisbona.

Con l’avvento della Repubblica (1914) il governo lusitano, per farla finita una volta per tutte con processioni, abluzioni, penitenze, fioretti, novene, pretame e suorame che dettava regole di condotta a tutta la società, che assicurava l’inferno per eretici e peccatori incalliti, decise di distinguersi dai monarchici che gozzovigliavano in privato, mentre in pubblico si mostravano succhiabalaustre, e per interesse grattasottane degli ecclesiastici,  fecero passare una legge che sfoltì gli ordini religiosi, mise il lucchetto a un pò di monasteri. Le carmelitane di Lisbona non la presero bene, pensarono che “la mano santa” non era più al sicuro in Portogallo, e segretamente la portarono in Spagna, a Ronda, comune arroccato su una gola da paura, nella provincia di Malaga, Andalusia. La mano santa, che aveva pure un pezzo di braccio, arrivò su un carretto, nascosta tra sacchi di farina, attraversando prima Puente Nuevo, il ponte di pietra che attraversa la gola, poi, la Plaza de Toros del XVIII secolo, con destinazione un convento di suore. Ma non c’è pace per i santi, nemmeno se trapassati, neanche per le loro reliquie, e “il brazo incorrupto” subì ancora vari passaggi, di mano in mano.

Con la Guerra Civile spagnola che partì, Josè Villalba Rubio, colonnello della scalcagnata milizia repubblican-social-comunista, un pò armata Brancaleone, che faticava a fornirsi di armi, munizioni e aereoplani (solo a metà conflitto, con il governo di Largo Caballero, più legato ai sovietici, fu possibile ottenere carri armati a gittata mobile e qualche velivolo), rovistando in un convento di Ronda trovò “la mano santa” di Teresa d’Avila. Le suore, in ginocchio, lo scongiurarono di non appropriarsi della reliquia, ma il colonnello le zittì, o forse fece di peggio, e infilò la reliquia in una valigia. Nella concitata ritirata, a causa di un poderoso attacco sferrato a Malaga e dintorni, dal contingente italiano inviato dal duce in soccorso dei legionari, i falangisti, i carlisti, i monarchici guidati dal generalisimo Francisco Franco, la mano della santa fu abbandonata, o dimenticata, in una stanza d’albergo. Solo un mangiacristi di repubblicano, pure se alto ufficiale, poteva abbandonare a un incerto destino un reperto così importante. Tornata, quindi, in mani sicure, dei franchisti, la mano di Teresa d’Avila fu consegnata alle suore di un convento di Valladolid.

Quando girò la voce che la reliquia di Teresa d’Avila era in terra spagnola, gli ufficiali franchisti che già facevano la posta intorno al caudillo per accreditarsi, lo avvertirono immediatamente. Il generalisimo, il Jefe, il Capo dei capi, il comandante, caudillo, il condottiero di Dio che stava combattendo una crociata contro gli infedeli e i bolscevichi convocò, seduta stante, una segretaria e le dettò una lettera urgente da consegnare al cardinale Isidro Gomà, che era un ecclesiastico di peso (anche fisicamente), un tradizionalista convinto che la Spagna andasse purificata dai comunisti e dagli atei. Gomà, tra l’altro, fu uno dei cardinali che nel conclave del 1939 contribuì all’elezione del “papa di ghiaccio”, il papa che tacque durante i rastrellamenti degli ebrei, Pio XII. La lettera di Francisco Franco, in sostanza diceva: “ho un vivissimo desiderio di conservare personalmente la Reliquia, per continuare a venerare, e nello stesso tempo, imploro Teresa di Gesù che stenda la SUA MANO negli ardui compiti della pace, così come farà in quelli della guerra”. Il cardinal Gomà rispose calorosamente alla lettera del generalisimo. “La sua rinuncia a privarsi della “mano santa” è la prova della sua intensa fede cattolica e del convincimento che la sua è una crociata santa contro gli infedeli. Le chiedo di non abbandonarla mai, tenerla sempre ovunque vada”. Anche in vacanza. Un talismano utile, un portafortuna. Uno scacciaguai. Franco l’avrà sempre con sè, anche quando tirò la lenza durante la pesca d’altura, o nelle frequenti battute di caccia. Per meglio posizionarie la reliquia santa si fece fare un inginocchiatoio a due posti da un artigiano, così, con dona Carmela, sua moglie, s’inginocchiavano insieme recitando il santo rosario. La moglie che era una cattolica molto devota, era convinta del ruolo divino del marito. Francisco Franco il rosario lo recitava tutto (non si limitava solo a baciarlo come certi sovranisti odierni, prima e dopo lo Spritz, o durante un comizio), anche se in lettere private, il caudillo ammetteva di annoiarsi a morte, nell’andazzo della voce cantilenante. Ma la preghiera del rosario era il viatico necessario per la gloria, per un nuovo Siglo de Oro, il secolo dorato della Spagna imperiale.

 

Cacéres, Estremadura. Ad agosto sembra di stare dentro a un pentolone vuoto, dimenticato sul fornello acceso. Nel palazzo medioevale costruito nel 1513 per il matrimonio di Isabel de la Cerda e Garcia de Golfin ci sono quattromila metri quadri di superficie e un numero di stanze spropositato. Francisco Franco, nonostante non fumasse, il poco alcool, per niente attratto dai bagordi, dalle signore malmaritate, amava il lusso, e quel palazzo di Cacéres, appena lo vide lo volle per sè, per trasferirci, da Siviglia, il quartier generale, con l’avanzata franchista che prometteva bene. Dal balcone amava arringare la folla che sostenevano la guerra contro il governo repubblicano, cercando la stessa padronanza, il piglio decisionista del duce italiano, anche se il caudillo, di suo, era tutt’altro che portentoso di stazza e presenza di spirito. Era bassino, cicciotto, il ventre prominente, una faccia tonda come una mela, il doppio mento a piena sacca, una voce flautata e sottile “da femminuccia” (come scrisse in una lettera, un generale, che fortuna sua non finì tra le mani del caudillo). Eppure Franco sapeva essere un uomo risoluto, vendicativo, spietato con i nemici interni ed esterni. Il generalisimo ebbe una sola figlia; era afflitto da una malformazione al prepuzio che pare gli rendesse l’accoppiamento un pò penoso, ma il sesso non era in cima ai suoi pensieri. Un giornalista che parlò con l’urologo personale di Francisco Franco ha scritto che il caudillo era anche monorchide, ossia con un solo testicolo, ma di questo non ci sono conferme al riguardo.

Comunque la guerra finì bene per il caudillo, i rivali interni sparirono dalle scene, o furono fatti sparire, e cominciò una dittatura con tutti i sacri crismi, sovranamente spagnola, e con “la mano santa” a benedirla. Finalmente, Francisco Franco, che leggeva solo di cose militari, qualche paginetta di storia, e provò a imparare l’inglese senza riuscirci, potè dedicarsi alle sue passioni: il calcio alla tv, il golf, e l’amatissima caccia.

In tre giorni, 16-18 ottobre 1959, Franco e altre ventotto persone, tra cui la moglie, in una battuta di caccia uccisero 4608 pernici. La strage raccontata con toni entusiastici dalla stampa spagnola, è stata immortalata con una fotografia che ritrae, oltre la combriccola dei buontemponi autori della strage, il caudillo che sorride, in tenuta alpina, cappello tirolese, e calzoni alla zuava,  ai piedi suoi e della combriccola è steso l’enorme letto di pernici accoppate.

Il furto di bambini, sottratti alle madri, fu iniziato durante la dittatura franchista e divenne una vera e propria industria di Stato. Fece da battistrada alle sottrazioni di bambini di genitori o quartieri storicamente “rossi”, dell’Argentina di Videla, del Cile di Pinochet. Trentamila casi durante la dittatura franchista; e il sistema, ormai rodato, durò a lungo, fino agli anni Novanta. All’inizio erano famiglie di militari franchisti con moglie sterile; negli anni, andò bene chiunque, basta che pagassero. Non avere figli al tempo di Franciso Franco al potere era considerato una maledizione; poi, bisognava dare ai giovani una giusta educazione cattolica e tradizionalista, tenendo lontano il “marcio” della modernità. Tra ospedali e cliniche furono centoventisette le strutture coinvolte, che si dettero da fare per sottrarre figli alle madri naturali, con il concorso di medici compiacenti, suore, e notabili. C’erano pure intellettuali a benedire la faccenda, come le teorie di Antonio Vallejo-Nàjera, eugenista e psichiatra, che sosteneva che il comunismo era una sorta di malattia mentale. Così l’incolpevole Teresa d’Avila, e il suo “brazo incorrupto” servì come scudo a una dittatura dura e spietata, all’affare dei “ninos robados”, bambini sottratti alle madri naturali. Lo stratagemma più usato era: il bimbo, o la bimba, venivano subito portati via alla madre, dicendole che erano subentrate complicazioni e il nascituro era nel frattempo deceduto. Alle madri, quasi tutte gente povera, veniva poi impedito di vedere per l’ultima volta il bimbo (considerato morto) perchè, si diceva loro, per evitare ulteriore strazio, lo avevano subito seppellito. Ancora oggi, sono diversi i procedimenti giudiziari in corso, le persone che cercano di ricostruire le loro origini, quelle a cui furono forzatamente, e segretamente sottratti.

 

Hugh Thomas, Storia della Guerra Civile spagnola, Einaudi, 1963

Paul Preston, Franco. Caudillo de Espana, Debolsillo, 1993

Paul Preston, Idealistas bajo las balas, Debolsillo, 2007

Marco Cicale, Eterna Spagna, Neri Pozza, 2017

H.R. Southworth, Conspiracy and the Spanish Civil War: the Brainwashing of Francisco Franco, Routledge, 2002

MARINO PASINI

23 Set 2019 in Mondo

10 commenti

Commenti

  • Al solito gustosissimi e ricchi di rimadi storico/biografici/antropologici i tuoi, Marino!
    E non mancano a piè di pagina i riferimenti per chi stimolato dal tuo ….affresco voglia saperne ancora di più!
    Grazie davvero, anche per il “cambiamento d’aria” che fa solo bene al blog!

    • Ti ringrazio. Non tutti sapevano del furto dei bimbi, della strage di pernici così orgogliosamente vantata, ma Francisco Franco era un sovranista, forse meno gozzovigliatore di altri sovranisti, e molto legato alla propria patria, ai rosari, e provò a impedire che la Spagna diventasse una nazione moderna, ma gli andò buca, nonostante ancora oggi, i nuovi neo-franchisti, sparsi nel mondo vanno per la maggiore, sempre in grande difficoltà quando c’è da imparare una lingua straniera.

    • Scrivo a tutti in questo commento, così si risparmia spazio. Ringrazio Adriano Tango per i suoi complimenti, dire che non m’importano sarei un ipocrita.
      Ringrazio Ivano Macalli e Pietro Martini per i loro commenti sempre interessanti. L’articolo di oggi di Michele Serra su “Repubblica”, che lui ha letto, segnala il libro di Viola Ardone, Il treno dei bambini, edizione Einaudi, con la sua grande qualità di giornalista qual’è.
      Piero Carelli, con cui condivido le origini povere, ha scritto che c’è dell’umanità in quello che scrivo. Volevo soprattutto quello, e se ci sono riuscito, allora è valsa la pena.
      A Elena Mariani dico che non tutti i ricchi che sostengono le gretine sono ipocriti. Non tutti la pensano come Trump, per farla breve. La stampa di destra si impegna a fondo per sostenere questo, perchè per loro gli onesti forse non esistono, siamo tutti tartassati, e il mondo si divide in sgobboni e lazzaroni, in chi ce la fa e chi no. Può darsi che hanno ragione loro, che siamo tutti ipocriti, soprattutto se nascono col paltò, oppure no.
      A Francesco Torrisi dico grazie per la pazienza, per avermi corretto molti strafalcioni, le sgrammaticature, e aver creduto che certe cose che scrivo è giusto pubblicarle.
      Al signor Cadè gli dico che mia madre era devotissima, tanto da mettere una bottiglia sotto il lavandino e farla benedire da qualche santo in Paradiso. La bottiglia restò lì per un bel pò. Non le faceva neanche la polvere. Così, caro Cadè, un bel giorno, essendo un incallito mangiacristi l’ho svuotata; mia madre, una donna che si ammazzava di fatica per tutti, buona e onesta come poche. Lo ammetto, non ho cuore per la devozione fuori di testa. Nonostante la lettura di Sergio Quinzio, Hans Kung, Don Primo Mazzolari (i diari), Georges Bernanos (tutto), Carlo Falconi, e persino un libro di una suora, Margherita Marchione che era come bere l’olio di ricino, il suo libro.
      Per qualche mese stacco la spina con “Cremascolta”; ho molti libri in arretrato da leggere, e le mie stupidaggini, il più delle volte comportano un lavoro di qualche giorno, per riassumere i vari scartafacci, i documenti, ecc., e voglio leggere in tedesco, quindi devo studiare, perchè sono uno sgobbone, nonostante sono di sinistra, cioè un difendi lazzaroni.
      Ringrazio ancora.

  • Sono stato in Spagna nel 56 con i miiei genitori. Non abbienti si inventarono il campeggio, grazie anche all’esperienza militare di mio padre. Incoscienti direi, perché spesso era campeggio libero, ma ho il ricordo vivdo di queste terre arretratetoricamente, di questi contadini che la sera, considerandoci dei senza tetto, venivano ad offrirci pane stantio e ospitalità. Il ricordo emerge da questa pagina di Marino spontaneo. Viene spontaneo il nesso con i recenti fatti di sottrazioni di minori, ma veramente non so come comporre il legame.
    Sempre bravo comunque

    • Adriano, a me il legame sembra chiaro. Un tempo erano i franchisti a sottrarre i minori alle loro famiglie naturali. Oggi a rapire i bambini sono i nuovi neo-franchisti. Paragonare i franchisti a quelli del PD (il partito di Bibbiano, come diceva Di Maio) è un’ipotesi paradossale, discutibile, ma audace e interessante.
      Mi sorprende però che, implicitamente, si dia ancora tanta importanza alla maternità e alla famiglia biologica. Non era solo un meschino retaggio della nostra cultura?
      Sorvolo sul solito tentativo di ridicolizzare la devozione religiosa. Questione di sensibilità personale.

  • A proposito di sottrazione di minori segnalo un libro, storia vera, di Viola Ardone (Einaudi Stile libero) che racconta “l’affido di massa organizzato nel dopoguerra dal Pci e dall’Unione donne italiane: i bambini meridionali strappati alla miseria e affidati a famiglie dell’Emilia rossa”. IL libro, documentato su storie vere di questa terribile deportazione filantropica contrappone, è “utile ricordare” che “negli stessi anni, e fino al Sessanta, gli americani misero in piedi, con il Forest Parents, una gigantesca e ammirevole operazione di “affido a distanza”che permise di mantenere agli studi, però rimanendo nelle loro famiglie, decine di migliaia di bambini italiani poveri”.

    • In cambio di cosa?
      Un’affermazione deve andare dall’inizio alla fine, non può fermarsi a metà.

  • Una frase di Teresa d’Avila:
    “Sappiamo di avere un’anima,perché l’abbiamo sentito e perché ce l’insegna la fede,ma cosi all’ingrosso,
    tanto è vero che ben poche volte pensiamo alle ricchezze che sono in lei,alla sua grande eccellenza e a Colui che in essa abita”.

  • Non capisco la domanda. Però per onestà intellettuale mi è sembrato utile informare. Non conosco, o posso immaginare in cambio di cosa, ma non vorrei scadere nel solito complottismo. A fin di bene? O semplicemente ho messo a confronto due tipi di intervento.

    • Nessun complottismo, è la Storia: il “liberatore” non è San Francesco d’Assisi, non “libera” in cambio di nulla, senza una precisa strategia, né “fa studiare” ciò che vogliono ai liberati. Non per niente l’Italia è tuttora il Paese più americanizzato d’Europa (abbiamo perso la guerra senza onore, a differenza della Germania). Funziona così dall’alba dei tempi.

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