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MARINO PASINI

Perché leggere Sergio Romano

Quando ero ragazzo, urlavo: borghesi siete tutti dei porci! Un insulto stupido. Anche se, a differenza di amici benestanti che urlavano la stessa frase, insultando se stessi, qualche motivo per prendermela con i ricchi, la gente-bene, ce l’avevo. Figlio di poveracci, gente umile e senza un soldo, ero risentito, rancoroso con chi aveva avuto fortuna, benessere, settimane bianche d’inverno e la casa al mare d’estate. Ho imparato, nel tempo, che non tutti i benestanti sono porci. Faticosamente, ho imparato a distinguere. Da giovane non leggevo Sergio Romano. Perchè? Era ritenuto di destra, e io non mi filavo con quelli di destra; anche se in realtà, Sergio Romano era sì un conservatore, ma si considerava un conservatore liberale. Punto. Ma ero  ignorante, più di adesso, e certe distinzioni non le approfondivo. Nato nel 1929, vicentino, Romano iniziò la carriera diplomatica nel 1954. Ambasciatore alla NATO; poi, dal 1985 al 1989 a Mosca. Ha insegnato a Firenze, Sassari, Pavia, Harvard, Berkeley, alla Bocconi di Milano. Legge e parla svariate lingue. E’ stato l’editorialista preferito da Montanelli per la politica, la storia degli altri paesi. Di lui, il vecchio Indro disse: quando gli italiani impareranno a leggere con attenzione Sergio Romano, l’Italia, forse, diventerà un’altro paese, un paese serio. Montanelli aveva ragione. L’ex ambasciatore, oggi novantenne, scrive per “Il Corriere della Sera”.

Gli italiani, dopo esser stati fascisti quasi tutti (eccetto una sparuta, combattiva e perseguitata minoranza), sono diventati antifascisti (di nuovo quasi tutti), votando Democrazia Cristiana, Partito Comunista e quello Socialista. Ma il malcontento, la fine di tante illusioni nel dopoguerra, l’epurazione fatta all’italiana, cioè malfatta, il pericolo bolscevico, la guerra fredda, l’emigrazione di massa, il risentimento, che cresceva, portò ai successi elettori del Partito dell’Uomo Qualunque di Giancarlo Giannini. A differenza di oggi, i qualunquisti (padri, in parte, dei moderni populisti e sovranisti di oggi) furono riassorbiti dalla Democrazia Cristiana e dal Movimento Sociale Italiano, e la protesta qualunquista rientrò nei ranghi. E fino agli anni ottanta del Novecento dilagò la pubblicistica di sinistra. La sinistra (il mio mondo culturale e politico) ha sempre avuto il complesso di sentirsi migliore, superiore intellettualmente, culturalmente, politicamente alla destra. Una saccenteria che si pagherà cara. Negli anni ’70-’80 si faticavano a trovare persone che dicevano pubblicamente: sono di destra. C’erano i gruppettari fascisti, i nostalgici a voce alta (pochi), i terroristi fascio-nazisti infiltrati e sostenuti dai Servizi segreti, c’era la destra cosiddetta moderata ancora maggioranza nel Belpaese (come sempre lo è stata), ma stava silenziosa, imboscata. La cultura, l’arte, la letteratura, eccetto la televisione pubblica, erano in mano e frequentate dalla sinistra. Un amico mi diceva: la destra pensa ai soldi e agli affari, la sinistra alla filosofia e alla poesia. Vero. La destra italiana pensava (e pensa ancora) alle troppe tasse, alla pelliccia per la moglie, o trovare il modo di salire il gradino sociale, non importa come. La sinistra discettava su Kant, lisciava il pelo ai Tupamaros, mentre c’erano operai pazienti nei circoli a bersi i discorsoni degli intellettuali, avanguardia del proletariato. Grazie alle illusioni perdute, al disincanto, ho cominciato a leggere Sergio Romano. Intanto, per l’eleganza senza pavoneggiamenti della sua scrittura; poi, perchè le sue analisi avevano fondamento, lucidità, giustezza, spesso.  Non una parola complicata, non un vezzo, un ricamo intellettualistico, solo il srotolarsi ordinato di fatti di ieri e di oggi affrontati con analisi lucide, realistiche, senza ideologia, partigianeria. Romano, ritengo sarebbe stato un ottimo medico, di quelli che sanno ascoltare con attenzione il paziente, che sono arrivati alla professione dopo  studio e pratica seria, che sanno leggere, e bene, la malattia. Studiosi che non cadono nell’errore, come legioni di opinionisti della domenica, che arrivano alle conclusioni senza documentazione, senza conoscere il lavoro (gli scritti) di studiosi, storici di altre nazioni, i pro e i contro, le lastre della situazione, i pareri autorevoli altrui. Le diagnosi di Sergio Romano sono senza certezze, ma sono opinioni dettate dalla concretezza, dal realismo, lo studio approfondito. La fatica di leggere, di documentarsi. Che comporta lo studio, anche di lingue straniere.

“Gli uomini forti, questi personaggi hanno alcuni tratti comuni. Quasi tutti fondano la loro autorità su un concetto radicale ed esclusivo dell’identità nazionale, si atteggiano a interpreti dei valori spirituali della loro comunità storica e ne promuovono la rinascita, considerano le elezioni alla stregua di una certificazione notarile del consenso già conquistato con le tecniche della democrazia plebiscitaria. (..) Alla fine della guerra fredda la dottrina prevalente, al di qua del vecchio sipario di ferro, era fondato sulla convinzione che il futuro del mondo dipendesse dalla combinazione di due fattori: il diritto dei popoli di scegliere liberamente i loro governi e la libertà dei mercati. La dottrina è parsa avere un largo seguito anche in Paesi nell’Europa centro-orientale e in altri continenti. Ma 25 anni dopo constatiamo che le urne non bastano a fare una democrazia, che il potere democratico può essere comperato e venduto, che il tasso di corruzione nei ceti dirigenti è vertiginosamente aumentato, che l’economia di mercato è finita in un tunnel, che la libera finanza ha creato una casta di nababbi, che il divario tra ricchi e poveri è diventato moralmente intollerabile. (..) Non credo che gli uomini forti abbiamo idee migliori (..) ma hanno successo perchè promettono meno chiacchiere, più governo, ordine, sicurezza, Dio, patria e famiglia. Sono antichi slogan che speravamo irrevocabilmente invecchiati. Ma sembrano ancora funzionare. Forse il miglior modo per rispondere alla sfida dei nuovi dittatori è chiedere a noi stessi che cosa non abbia funzionato a casa nostra”.

(S.Romano, Dio, patria, famiglia. Il leader forte piace, La Lettura, 14.12.2014).

Se posso permettermi un consiglio, non leggete le cose che scrivo, che valgono niente; non perdete tempo con i i talk-show televisivi, dove c’è la gara a chi la dice più giusta addosso all’altro seduto di fianco o di fronte, o in collegamento audio. Non perdete tempo in Rete a leggere il commentario che è infarcito di saputelli  e saputelle che non sanno una lingua straniera, che non faticano sui libri, ma pretendono di sapere come va il mondo, la politica. Leggete piuttosto Sergio Romano, i suoi libri,  le sue analisi lucide, semplici, concrete, chiare. Si può non essere d’accordo con ciò che scrive, ma i suoi commenti sono un’esperienza di civiltà, di dialogo vero e serio, contro la barbaria, lo stupidario corrente. E’ tempo guadagnato.

MARINO PASINI

26 Nov 2019 in Cultura

21 commenti

Commenti

  • Mah!…
    Non è meglio un’apripista invece di un analizzatore?
    (Il tempo scarseggia)

    • Signor Graziano, c’è già un bel gruppo maschile e femminile di sovranisti/e apripista; segua loro, ma faccia attenzione a non andare a sbattere: sarebbe un guaio. Se invece non si fida neanche di loro, e forse farebbe bene, ci sono apripista patentati in Val Seriana. La stagione è cominciata.

    • C’è poi anche l’apripista fiorentino che ha smantellato lo Statuto dei Lavoratori e ha proposto una riforma costituzionale la quale, se fosse passata al Referendum, ci avrebbe fatto diventare più simili alla Turchia di Erdogan che ad una democrazia parlamentare. Pare che il populista Salvini non sia stato l’unico a volere “pieni poteri”.
      Chissà cosa ne pensa dell’altro Matteo il buon Sergio Romano.
      Alle sardine meglio non chiederlo nemmeno.

  • Graziano, tu sei un saggio. Sergio Romano, ex diplomatico e penna del Corsera, ha dato di recente alle stampe un libello dal titolo eloquente – “L’epidemia sovranista” – dove dice, in sostanza, che il sovranismo non è una categoria politica ma una patologia contagiosa. Un concetto profondo e illuminante ribadito l’altro ieri da Massimo Recalcati su Radio Capital, dove presentava il suo nuovo libro: «nella mia lettura, che è una lettura clinica, il sovranismo non è solo un fatto politico, ma un fatto psichico». In altri termini, ha continuato Recalcati, «siamo di fronte a nuove malattie, a nuove condizioni di vita psichica soprattutto nei giovani, che hanno come caratteristica il protezionismo psichico. Siamo di fronte a una patologia del confine». Intendiamoci, niente di nuovo sotto il sole, il tentativo di medicalizzare il dissenso è una vecchia conoscenza. Si manifesta quando l’ancien régime invece di capire le nuove istanze sociali parte a caccia dell’infetto.

  • La scelta dell’autore è vitale…
    Mi riferisco alla vita propria…

    In bocca al lupo.

  • “Non credo che gli uomini forti abbiamo idee migliori”… e nient’altro potrebbe esssere aggiunto. Perché tutte le decisioni in poche mani era un buon metodo quando il mondo era un affare facile. Destra e sinistra c’entrano e c’entravano, ma non a livello tecnico, cioè di efficacia, ma di efficienza: chi paga e chi riceve. Chiederò a qualche amico infettivologo a che punto è il vaccino per la sindrome “Uomo Del Monte”. Io, che ignorante ero e meno lo sono, ma in altri campi, su questo gran vecchio dell’analisi politica posso solo dirmi attratto.

    • Può darsi anche che i cosiddetti uomini forti non abbiano le idee migliori, ma al volante dell’autobus qualcuno ci deve pur stare se non si vuole che la gita fuori porta si trasformi in una tragedia. Il caos assoluto, cioè quello che non solo in Italia ma soprattutto in Italia si sta vivendo, può durare qualche settimana, forse qualche mese, ma di più potrebbe rivelarsi letale. E’ intollerabile che ci siano da un anno 11mld. stanziati per la messa in sicurezza del territorio e non si riesca a spenderli perché un pool di burocrati incapaci (speculare ai politici incapaci) nasconde dietro le carte la propria inadeguatezza. Succede proprio perché al volante del bus non c’è nessuno ed è normale, in questi casi, sentire la mancanza del guidatore. Quando mai Leonardo da Vinci ha fatto l’autista? Eppure, nel bene e nel male, di strada ne abbiamo fatta.

    • Gentile Adriano, continuo a darti del tu, se la faccenda sta bene. Non mi sembri affetto, come altri, da partigianeria politica, partitica, quindi la tua voglia di leggere, di capire, la tua curiosità spazia. Quindi non può escludere uno come Sergio Romano. Si può non essere d’accordo con lui; la sinistra politica ha passato una vita a criticare Sergio Romano, i suoi scritti. Solo chi non ha l’umiltà, non sa riconoscere i propri “vuoti”, non sa leggere l’immensa conoscenza storica di Romano, una scrittura di qualità alta, un uomo che ha insegnato nelle università di diverse nazioni, che sa leggere e parlare varie lingue straniere, che ha una frequentazione approfondita della politica estera. Non metterei la mano sul fuoco, ma ho seri dubbi che i sovranisti di oggi, abbiano letto sul serio i suoi scritti, i libri. In fondo al mio “pezzo” c’è una critica dura di Romano alla politica economica delle democrazie occidentali, incluso l’Italia. C’è l’abitudine di leggere tre o quattro pagine di un libro, magari a sbafo, o in Rete, un articolo di giornale, neanche fino in fondo, o fidarsi dell’opinione di un’altro della propria scuderia. Il mio stare a sinistra rifiuta questo pressapochismo. Sergio Romano non appartiene alla mia scuderia, ma continuerò a leggerlo, ad apprezzarlo. Ce ne fossero di conservatori liberali come lui, come fu
      Enzo Bettiza. Gente di valore, che il mix di invidia e saccenteria di oggi, che è esplosivo, non sopporta o non conosce affatto. Una delle più influenti riviste di politica, economia ha scritto che la nuova destra non è un’evoluzione del pensiero conservatore, ma un ripudiò di quel pensiero. Fra loro ci sono pessimisti e reazionari. I secondi, dico io, sono pericolosi. (The new right is not an evolution of conservatism, but a repudiation of it. They are pessimists and reactionaries.). Il pensiero conservatore è pragmatico, realista, mentre “la nuova destra” è zelante in modo agitato, ideologicamente si comporta come se fosseroi nuovi condottieri della verità, cavalier with the truth. (The Economist, 6.7.2019).

      Signor Graziano Calzi, nella mia risposta al suo commento il mio sarcasmo era fuori luogo. Mi scuso.

      Signor Achille Mainetti, Sergio Romano c’entra niente con Matteo Renzi. La saluto.

  • Non sono, Marino, un frequentatore della rubrica di Sergio Romano sul Corriere, ma qualche suo libro l’ho letto: indubbiamente ha un’esperienza internazionale che forse pochi in Italia hanno.
    Non entro nel merito delle sue opinioni, ma sono convinto che abbiamo bisogno di tutelare il patrimonio di idee “liberali” che è stato recepito dalla nostra Costituzione perché di questi tempi rischiamo di perderli (si veda l’intervista del presidente uscente della Corte costituzionale rilasciata domenica scorsa – mi pare – al Corriere).
    Non solo: abbiamo bisogno che al ministero degli esteri ci sia una personalità come Sergio Romano (e invece ci tocca avere un ministro che non ha alcuna “esperienza” in tal senso (non a caso è costretto a pagare consulenze di cui il ministro degli Esteri del governo giallo-verde non aveva bisogno).
    Una perla poi di questi giorni: il nostro Di Maio ha rinunciato di andare al G20 in Giappone perché doveva andare a controllare de visu gli effetti del maltempo in Sicilia (lui, ministro degli Esteri!).

    • Signor Pasini, io non declinerei la questione sulla semplice “voglia di leggere, di capire”, o su curiosità che spaziano o non spaziano, mi fermerei invece su qualcosa di molto più stringente: il tempo. La vita è breve, come lei sa, e l’elenco delle priorità si allunga in senso inversamente proporzionale agli anni che avanzano. Accetti dunque l’idea che ognuno possa riconoscere i propri “vuoti” leggendo “l’immensa conoscenza storica” di qualcun altro anziché di Romano. Il materiale di buona qualità non manca di sicuro per chi lo sa cercare. Immagino che anche lei per leggere il giornalista del Corsera abbia dovuto escludere dal suo orizzonte altre letture, essendo la giornata formata da 24h, per il momento. E non c’è scelta del lettore che non cada là dove già si trova il suo pensiero, per cui uno che sostiene che il sovranismo non è una categoria politica bensì una patologia contagiosa non occuperà mai il mio tempo. Non per “partigianeria politica e partitica”, come dice lei, ma perché davanti a me non c’è la prospettiva di leggere per i prossimi mille anni.

    • Caro Piero, i tuoi commenti hanno una qualità che voglio dire: sono frutto dello studio, e c’è dell’umiltà, nei tuoi ragionamenti, che apprezzo. Noto che cerchi di capire, e sei paziente anche con le posizioni stridenti, di chi ha rabbia, o altro in corpo, e arriva a una conclusione per partito preso. Questo dovrebbe essere un intellettuale vero: prima di tirare delle conclusioni, studiare, faticare, e mai accontentarsi di un parere della propria scuderia. C’è una ragione, personale, perchè ho citato Sergio Romano. Perchè, per me, Romano rappresenta un mondo culturale che ho sempre osteggiato, per partito preso, senza leggerlo con la dovuta attenzione. Non mi sorprende che Romano sia molto duro con i sovranisti d’oggi. E’ il meglio della cultura conservatrice, ma liberale, che si sente attaccata dal sovranismo. Purtroppo, fa parte di una sempre più sparuta minoranza. I conservatori, il grosso, finiranno in bocca alla destra estrema, probabilmente. Sergio Romano detesta i nuovi leader del sovranismo mondiale, da Putin a Trump, da Orban a Johnson, a Salvini, al leader di “Vox” Santiago Abascal. Se si leggono le sue analisi sulla deriva del liberismo, gli errori e le colpe e le debolezze delle democrazie occidentali, si capisce che i sovranisti non sono nati per un caso, per un colpo di vento, ma per colpa della cattiva conduzione dei governi democratici d’Occidente. O le democrazie corrono ai ripari, oppure, come dice Putin diventeranno “ferri vecchi”, obsolete, come sostiene l’ex del Kgb, che solo a guardarlo in faccia, a chi scrive, fa correre brividi lungo la schiena. Ed è vergognoso che abbiamo, come dici tu, un ministro degli Esteri, come Di Maio, totalmente incompetente sulla materia, anche se Antonio Padellaro dice che il giovanotto la sera è uno che studia le lingue straniere, che si sbatte a riempire i “vuoti”, perchè sa di averne tanti da essere delle voragini. Perlomeno studia: speriamo sia vero. Ma gli manca l’umiltà; dire: di questo non so niente, che il mestiere lo faccia un’altro.

  • Amico Marino, fuori tema, quando realmente ero un’autorità scientifica, più fuori Crema che in patria, ma anche qui non c’era male, non capivo perché la gente non mi desse del tu. Il mio aiuto mi fdisse poi chiaro che mettevo la gente in imbarazzo con il mio “ma danmi del tu!”, ma fuori Italia era così. Quindi mi offendo se non mi dai del tu e non m chiami per nome. Ora poi che sono un pensionato! Impegnato, ma sempre un pensionato. Chiuso l’iinciso.

    • Caro Adriano, la butto lì: per qualcuno è difficile darti del “tu”, non soltanto per l’età non più da ragazzino, ma perchè sei un medico. E più il luogo dove sei stato medico è piccolo, più la deferenza, la ritrosia alla confidenza amichevole cresce. Il medico è una persona importante; mio nonno diceva in dialetto a mia madre: “va dal dottore, lui sa le cose, sa quello che c’è da fare”. E’ passata tanta acqua sotto i ponti, ma credo che ci sia ancora un pò di difficoltà nell’approccio con i “professori delle medicine”, i chirurghi. Non parliamo poi dei Primari ospedalieri. Anche i medici, forse perchè assillati dai pazienti, a volte sembrano tenere la distanza. Ti capita che mentre stai parlando d’altro, subentra il tipo, o la tipa che dice: avrei un dolorino qui, un osso fuori posto, lei ha tempo domani che vengo a spiegarle il problema? Quindi, penso che un medico, un pò come il commesso del Brico è costretto a camminare (in Ospedale, o in azienda) con la testa bassa, perchè se la alza, viene subito aggredito. Come commesso dal ferramenta, questo mi capitava, e con un colpo d’occhio capivo che mi stavano puntando, quindi scantonavo. Tu, non so. Quando collaboravo con l’Adelphi, ricevevo pacchi di “manoscritti” di avvocati, anche magistrati, insegnanti di scuola media, scrittori della domenica frustrati e convinti di non essere compresi dalle grandi case editrice, e costretti ad autopubblicarsi le loro storie, con la sfilza del curriculum, che serve a niente. Quanta spazzatura ho letto! Quasi tutta carta da riciclare. Non ricordo di aver letto un dattiloscritto o computerscritto di un medico. Questo lo posso dire.

  • Signora Rita R., lei legga ciò che vuole. Si accontenti pure di qualche riga di Sergio Romano, ci mancherebbe. Ci sono sovranisti che hanno necessità dello psichiatra? Può darsi. Non mi sembra che Nigel Farage segretario del Brexit Party, Boris Johnson dei Tories, Donald Trump e altri capi sovranisti di estrema destra, come direbbe mia mamma, hanno tutti il giudizio che dovrebbe avere una persona importante, un politico, che ci governa. Qualcosa stride. Mi sbaglio? Può darsi. Ma lei crede di no? Creda ciò che vuole. La vita è breve: si diverta pure con Alexander Dugin. Da mezzo ebreo, non dico niente. E lasci stare Robert Lowell. Scrivere lettere (anche mail) è sempre pericoloso. Si tira la giacchetta di un autore che non credo vorrebbe accomunarsi con Alexander Dugin. Lowell scriveva belle poesie, lo lasci in pace.

    • Per correttezza, è probabile che la signora Rita R. intendesse, nella citazione del suo commento Amy Lowell, non Robert Lowell. Di Amy Lowell, o di altri “Lowell” non so nulla. Robert Lowell, invece fu un grande poeta (1917-1977), americano, ma visse quasi tutta la sua vita in Inghilterra. “Quell’insperato giorno d’aprile in Irlanda / viziato dal sole, annunciato il giorno prima / dai dai cavaturaccioli dell’eterna / neve vorticante che si scioglie e muore, e infanga il pascolo dipinto di verde / e lo stesso verde…/ Poteva anche sembrare / che ci godessimo la grande svolta della nostra vita / mano nella mano con sorrisi dolci / garbatamente sminuendo la nostra disfatta rovinosa..”. Prime strofe della poesia “Ultima passeggiata”, scritta nell’anno della sua morte. Una delle sue ultime strofe è: “Cristo / fammi morire di notte / con una parvenza delle mie facoltà / come la luna piena che se ne va”. Adelphi ha pubblicato la sua corrispondenza con la poetessa Elizabeth Bishop, dal titolo “Scrivere lettere è sempre pericoloso” (2008).
      Sui giornali:
      Pietro Citati, Elisabeth e Robert, amor di terra lontana. Corriere della Sera, 25.2.2014
      Enzo Siciliano, Lowell e il rasoio del Papa, Repubblica, 18.9.2003
      La collezione completa dei suoi poemi è uscita negli USA, edita da Straus & Giroux, 2003. Una parte delle sue poesie sono state tradotte in italiano, edite da Guanda .

    • Tutti leggiamo ciò che vogliamo, lei incluso, signor Pasini. Confesso, comunque, di non riuscire a seguirla e non dubito che la cosa sia reciproca. Sta per caso dicendo, come Romano, che i politici di destra avrebbero bisogno dello psichiatra? Spero per lei di no. Mi sfugge anche il nesso tra Dugin, uno dei più interessanti interpreti moderni del “dasein”, e la sua personale condizione di ebreo. Gli sta dando per caso dell’antisemita? Ma lei sa chi è Dugin, l’ha mai letto, o parla per sentito dire? Bizzarra anche la raccomandazione di non citare tizio o caio quando lei non perde occasione per fare il surrogato di wikipedia. Guardi che in questa piazza le citazioni non sono proibite, basta scrivere la fonte e non si va in prigione.

  • Senta, signora Rita R., penso che lei ha tutto il diritto di pensarla come vuole, e di esprimere la sua opinione, e come dicono i liberali seri, tutti coloro che credono nella democrazia, è giusto sbattersi per permettere che chi la pensa diversamente non venga impedito di esprimere la sua opinione, anche se molto diversa dalla mia, anche se opposta. Le dico che metà del mio tempo la passo a criticare gente, politici, intellettuali, commenti di gente di sinistra, o “cosiddetti di sinistra”. Bertinotti, D’Alema, Renzi, Craxi, Napolitano, il Pci, Il Psi, Il Psdi, Mitterand, Blair, Erri De Luca, Lotta Continua, il manifesto, Adriano Sofri, e potrei andare avanti come i rotoloni Scottex. Non importa a nessuno, certo, ma è una cosa che faccio da sempre, ancor prima di criticare coloro con cui non convidivo neanche le unghie dei piedi. Anche su questo blog. Lei faccia una cosa, se vuole parlare con il sottoscritto: faccia altrettanto: passi metà del suo tempo ad arrabbiarsi, come il sottoscritto con coloro che rappresentano il suo mondo politico, li critichi duramente; poi, forse, ci sarà modo d’imbastire un dialogo. La saluto.

    • Guardi signor Pasini che qui l’unico arrabbiato è lei.
      Io mi sto divertendo, augurandole nel contempo una buona lettura.

  • E’ così, Marino, che si dovrebbe fare: evitare il conformismo dei social, continuare a conservare la propria indipendenza di giudizio pur all’interno di un chiaro orientamento politico.
    Tutti dovremmo seguire tale approccio, ma oggi, nella stagione delle opposte e contrapposte “fazioni”, non è più di moda.

    Il mio metodo? Passo metà del mio tempo ad “ascoltare” i punti di vista degli altri: ho imparato molto e ho continuamente messo in discussione me stesso.
    Non ho la pretesa che altri seguano la stessa strada. Per me è salutare e penso che lo sia per tutti coloro che non ritengono di avere nessun Verbo in tasca.

  • Io, Romano ho avuto la fortuna di ascoltarlo, dal vivo in tre occasioni e, devo dire, mi ha impressionato (in positivo, malgrado una mia iniziale ….ritrosia/pre-giudizio da appartenenza politica) per la chiarezza dell’esposizione, per la lucidità delle analisi, supportate dalla dovizia di esperienze dirette internazionali.
    Averne di “teste liberal” come la sua; soprattutto oggidì, assordati come siamo dai “ragli” che si alzano fragorosi senza ritegno e vergogna!
    Io, non sono un gran lettore, ma mi hai fatto venire la voglia di leggerlo, Marino!

    • Chiedo scusa, è già la terza intromissione, l’ultima, per oggi. Ringrazio Francesco Torrisi. Anch’io, come ho già detto e scritto avevo pregiudizi nei confronti di Sergio Romano. Pregiudizi dettati dall’ ignoranza, di chi scrive. Ho voluto scriverci su per farne, in qualche modo, ammenda a questo.

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