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FRANCESCO TORRISI

Foibe “Giorno del Ricordo”

Oggi, 10 febbraio, “Giorno del Ricordo”, così come istituito con la legge 30 marzo 2004 n° 92, ritengo aprire una doverosa riflessione sul tema “FOIBE”, accedendo al sito “Perlasca – IL SILENZIO DEL GIUSTO” https://www.giorgioperlasca.it/ che nella sua sezione dedicata alla “Didattica-Tragedie del XX secolo-Approfondimenti” prende in esame i temi:

      I Giusti – Genocidio Armeno – Gulag – Shoah – Foibe-Ex Jugoslavia – Genocidio Rwanda.

Chi lo voglia potrà inoltre approfondire esplorando il sito, anche e soprattutto rispetto alla affascinante figura di GIORGO PERLASCA – Giusto tra le Nazioni, al quale il sito è dedicato.

Riporto quindi di seguito quanto nel sito citato attinente la tragedia delle “Foibe”:

      Parliamo dell’Istria, penisola tra i golfi di Trieste e del Quarnaro, della Dalmazia, la fascia costiera che dal golfo del Quarnaro scende sino all’Albania, e della Venezia Giulia (Trieste, Gorizia).
La loro storia è italiana, prima romana poi dopo varie vicissitudini veneziana: l’Istria nel 177 a.c entrò nell’orbita romana e nel 27 a.c. Augusto le concesse la cittadinanza romana (ricordiamo l’Arena di Pola). Anche la Dalmazia entrò nell’orbita romana, nel 117 a.c. e fu la terra di quattro imperatori, il più rilevante Diocleziano.
Ambedue, dopo le complesse vicende delle invasioni barbariche, impero bizantino, Sacro Romano Impero evidenziarono un rapporto sempre più stretto con Venezia finché dopo il 1400 le città costiere si unificarono sotto l’insegna del leone di S. Marco.
E le città delle coste istriane e dalmate sotto l’ala del leone di San Marco si svilupparono sul piano commerciale e fiorirono sul piano artistico e culturale. Si parlava il dialetto veneto. Nel 1797 con il trattato di Campoformio Napoleone cedette la Serenissima all’Austria.
Durante i 121 anni della dominazione austriaca le città della costa orientale erano popolate in prevalenza dall’etnia italiana, le campagne dagli slavi.
Il governo asburgico, timoroso delle spinte irredentistiche e risorgimentali, favorì lo spostamento degli slavi, sudditi fedeli, verso la costa, chiudendo anche scuole italiane. Il clero, in maggioranza di etnia slava, fomentava l’avversione verso l’Italia, ritenuta laica e miscredente, in quanto colpevole di aver strappato Roma al papato. E le tre etnie balcaniche, sloveni, croati e serbi, divise tra di loro erano accomunate dal disegno di impadronirsi delle terre italiane.
Durante la prima guerra mondiale molti irredentisti furono alla testa della campagna per l’intervento dell’Italia nel conflitto contro l’Austria.
Basta ricordare Cesare Battisti e Fabio Filzi, impiccati a Trento, Nazario Sauro a Pola.  Anche sotto Venezia queste terre, che già nell’antichità avevano vantato uomini illustri (santi come San Girolamo, autore della “Vulgata”, cioè della traduzione in latino dall’ebraico del Vecchio Testamento, o San Marino che dalla natia Arbe andò a fondare sul monte Titano la città cui impose il suo nome) diedero i natali a letterati, artisti, musicisti, storici ed architetti. Vale la pena di ricordare almeno alcuni di un lungo elenco: l’umanista Pier Paolo Vergerio, il compositore e violinista Giuseppe Tartini, il botanico Roberto De Visiani, che donò migliaia di volumi all’Orto Botanico di Padova, gli architetti Giorgio Orsini detto il Dalmata e Luciano Laurana costruttore del palazzo di Urbino, il pittore Giorgio di Tommaso, noto come lo “Schiavone”.
Altri se ne aggiungeranno nei secoli XIX° e XX°, quali il grande Niccolò Tommaseo, letterato, politico e patriota: e nella fitta schiera dei patrioti va ricordato a Trieste Guglielmo Oberdan.  Dopo la prima guerra mondiale il trattato di Rapallo nel 1920 assegnò all’Italia, l’Istria, Zara (unica enclave in Dalmazia), le isole di Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa e dichiarò Fiume Città libera. Nel 1924 Fiume tornò definitivamente all’Italia con la parentesi dell’impresa di Fiume di Gabriele D’Annunzio.
Nel periodo fascista gli scontri tra nazionalismo italiano e slavo si acuirono. Indubbiamente sin dall’inizio abbiamo varie leggi tese alla italianizzazione forzata: nel 1923 la legge Gentile stabilisce che nelle scuole non vi sia spazio per le lingue minoritarie, nel 1925 si proibisce l’uso delle lingue diverse dall’italiano nell’amministrazione pubblica, nel 1927 vengono soppresse le organizzazioni culturali, ricreative e culturali slovene e croate.
Con Regio decreto del 1927 venne imposta l’italianizzazione dei cognomi anche se non trovò mai piena applicazione.
Provvedimenti illiberali certo ma inseriti in un contesto di un mondo che non rispettava le minoranze (dalla Francia, alla Germania, alla Romania, Ungheria e alla stessa Jugoslavia), a parte la parentesi felice dell’impero austro-ungarico.
E venne il dramma delle Foibe: cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo. È in quelle voragini dell’Istria che fra il 1943 e il 1947 sono gettati, vivi e morti, quasi diecimila italiani.
La prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano, affamano e poi gettano nelle foibe circa un migliaio di persone. Li considerano “nemici del popolo”. La vicenda di Norma Cossetto è emblematica e diventerà un simbolo di quel periodo terribile.
La seconda nel novembre del 1944 a Zara. Dopo l’8 di settembre del 1943 la città venne occupata dai tedeschi. Tito chiese agli anglo americani di bombardarla per una presunta rilevanza militare del piccolo porto commerciale, che in effetti non aveva, e in un anno fu sottoposta a 54 bombardamenti con oltre 4000 morti.
Il 1 novembre 1944 quando già i tedeschi abbandonarono la città, i partigiani di Tito entrarono in una città distrutta ed inerme. Subito iniziarono le esecuzioni degli italiani, fucilati o affogati, perché lì foibe non ce ne sono… ma vi è il mare.
Ma la violenza aumenta nella primavera del 1945, quando le truppe di Tito occupano Trieste, Gorizia e l’Istria e si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le Foibe e ad andare nei campi di concentramento ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini. È una carneficina che testimonia l’odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti e gli italiani. Anche 39 sacerdoti vennero uccisi. E si leva la forte voce del Vescovo di Trieste e Capodistria, Monsignor Antonio Santin.
La persecuzione prosegue fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, viene fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia.
Ma il dramma degli istriani e dei dalmati non finisce.
Il 10 febbraio del 1947 l’Italia ratifica il trattato di pace e la fascia costiera dell’Istria (Capodistria, Pirano, Umago e Cittanova ) passa sotto amministrazione jugoslava (zona B); il resto dell’Istria, Fiume e Zara passano in maniera definitiva sotto sovranità jugoslava. La fascia costiera da Monfalcone a Muggia va sotto amministrazione alleata (zona A) mentre Gorizia e il resto della Venezia Giulia tornano sotto la sovranità italiana.
Trecentocinquantamila persone si trasformano in esuli. Scappano dal terrore, non hanno nulla, sono bocche da sfamare che non trovano in Italia una grande accoglienza. La sinistra italiana li ignora: non suscita solidarietà chi sta fuggendo dalla Jugoslavia, da un paese comunista alleato dell’URSS, in cui si è realizzato il sogno del socialismo reale.
La stessa classe dirigente democristiana considera i profughi “cittadini di serie B” e non approfondisce la tragedia delle foibe.

confini

Il 5 ottobre 1954 con il “Memorandum d’intesa” la parte amministrata dagli Alleati (la cosiddetta zona A) viene restituita all’amministrazione dell’Italia.
E’ l’atto che permetterà, il 26 ottobre dello stesso anno, il ritorno definitivo di Trieste alla madrepatria.
Il 10 novembre 1975 con il trattato di Osimo, nelle Marche, il’allora Ministro degli Esteri Rumor firmò la cessione in via definitiva della zona B alla Jugoslavia.
Per quasi cinquant’anni il silenzio della storiografia e della classe politica avvolge la vicenda degli italiani uccisi nelle foibe istriane. È una ferita ancora aperta perché ignorata per molto, troppo tempo.
Solo dopo sessant’anni l’Italia con la legge 30 marzo 2004 n° 92 ha riconosciuto ufficialmente questa tragedia istituendo il 10 febbraio come “Giorno del Ricordo”.

FRANCESCO TORRISI

10 Feb 2021 in Senza categoria

5 commenti

Commenti

  • Diciamo che senza il nazi/fascismo le foibe non ci sarebbero state, diciamo che senza l’attentato di via Rasella non ci sarebbero state le fosse Ardeatine. Innocenti da tutte le parti come in tutte le guerre che non guardano in faccia nessuno. Siamo da entrambe le parti in tema di rappresaglie, giuste o sbagliate, indipendentemente dagli storicismi. Francesco, intervengo qui, ma incollando un mio commento di stamattina in quota all’altro tuo post sulla Memoria a significare come il giudizio storico ancora adesso, a distanza di anni non conceda un approccio neutrale a condannare quello che semplicemente chiamerei malvagità umana. Non per esserea arrivato prima, sia chiaro.
    “Ricordiamo anche che oggi 10 febbraio è il giorno del ricordo delle vittime dei massacri delle foibe, vittime delle ideologie del secolo scorso, intanto che leggo su un blog di becchini e no vax che Liliana Segre è una cariatide, e che una signora amante degli animali, più degli uomini e delle donne e dei bambini, e che dedica la sua memoria solo alle persone care e ai cani che l’hanno lasciata, degli altri magari vittime di crudeli ingiustizie chissenefrega, invita la nostra Senatrice, dati i novant’anni, a ” farsi vaccinare per prima, visto che si fida tanto di quella scienza che mi pare fosse molto amata e praticata in certi luoghi recintati germanici…..e che risparmiò lei oltre 80 anni fa. Ah, la coerenza di certi personaggi è davvero commovente. La loro umanità poi è a dir poco agghiacciante. i loro profili psicologici riempirebbero intere biblioteche”.
    Boh, vai a capire i parallelismi.” Anzi, si capiscono benissimo in perfidia e disumantità.
    E forse Francesco l’immagine che hai messo in copertina non rende giustizia di come avvennero questi massacri. Legati tra di loro con filo di ferro sull’orlo delle foibe solo i primi della fila venivano ammazzati trascinando nel baratro tutti gli altri che sopravvissuti allo schianto sarebbero morti in terribile agonia legati a cadaveri in putrefazione. Come si fa a concepire tanta crudeltà? E’ per questo che sono ricorso ad altra voce per denunciare, operazione inutile, l’indifferenza dei tanti che ancora oggi minimizzano o ridicolizzano quanto di più terribile è stato concepito dal de-genere umano.
    Viviana mi suggerisce questa citazione: la Storia insegna, ma non ha allievi (Ingeborg Bachmann). Ancora oggi gli studenti migliori finiscono in carcere, in Turchia, Russia, Libia, Egitto, Arabia Saudita, Cina, Myanmar.
    I somari rimangono liberi.

  • La condanna servirà? Punti di nn ritorno da evitare come scogli affioranti. Ecco a cosa servono le vedette.

  • Ingeborg Bachmann, scrittrice e poetessa tedesca, ormai dimenticata e che Foa’ e Calasso pubblicarono tra i primissimi libri del raffinato catalogo Adelphi. Fece una brutta fine, lei così fragile come le foglie d’autunno, autrice anche di radiodrammi, fumava troppo, e se non ricordo male morì a causa di un incendio provocato da una sua sigaretta, una delle tante che riempivano il posacenere e la sua insonnia. Ma potrei sbagliarmi.
    Delle foibe sono anni che voglio documentarmi seriamente, e continuo a rimandare. Ho di Raul Pupo “Il lungo esodo” e mi appresto ad acquistare di Eric Gobetti un suo libro sull’argomento. Ma ho trovato illuminante, anche se laterale alle foibe il bel racconto autobiografico di Enzo Bettiza (giornalista che scrive bene come pochi della categoria) “Esilio”, che parla della sua famiglia patrizia di origine spalatina. Se si legge “Esilio” si entra dentro quel mondo istriano-dalmato cosi’ affascinante. Perfetto come introduzione alla polemiche e vendette dei titini, l’opportunismo dei fascisti di oggi, ricordando il maltrattanento e peggio di questo, degli italiani d’Istria. Quando mi sarò documentato potrò esprimermi; ora no.

    • No Marino, non ti sbagli, Ingeborg Bachmann morì nel suo letto per un incendio provocato dalla sua sigaretta. Quanto al resto mi conforta L’amaca di oggi di Michele Serra. Poi magari ne riporto alcune righe anche perchè a sostegno del mio pensiero espresso ieri.

  • Anche se l’argomento non interessa a nessuno, come se scrivere la Storia non fosse importante. Avevo detto che avrei ricopiato un articolo di Serra e lo faccio con queste brevi righe: “Si può parlare della spaventosa tragedia delle foibe senza inquadrarla nel suo periodo storico, ovvero senza parlare del precedente disegno fascista di “italianizzazione” forzata delle popolazione slovene, definite “allogene” anche se quella era (anche ) casa loro? Certo che si può. Lo ha fatto il Tg2 di ieri, con ben due servizi giustamente pietosi e solidali con le vittime del più volte citato comunismo titino. Ma con zero riferimenti a quanto l’Italia di Mussolini aveva messo in atto, in quelle terre, in omaggio alla supremazia della “razza italiana”.
    “C’è ancora chi parla di quella tremenda pagina strappata dal suo libro, come di un efferato e inspiegabile crimine genocida maturato nel dopoguerra. Peccato, perchè le autorità italiane e slovene hanno già stabilito, come dire ufficialmente, che qualcosa di sbagliato e di violento era già accaduto, su quell’incerto confine, anche prima. E se questo qualcosa certo non giustifica la ferocia indiscriminata della rappresaglia, la deportazione e l’espropriazione di migliaia di italiani innocenti, in parte però la spiega, la inquadra e pone le basi per una rilettura comune, non di fazione o di Nazione, di quella strage. Parlare delle foibe e di comunismo senza parlare di nazifascismo, della Seconda guerra mondiale, di occupazione italiana, serve giusto ad accontentare gli umori di una parte politica. Non ad onorare la storia e la memoria”.
    Sull’isola di Cherso, Quarnaro, in Croazia, dove ho passato molte estati, gli anziani parlano dialetto veneto. Curioso all’inizio, senza saperne un cazzo, ma dopo un minimo di studio, quell’accoglienza simpatica in un nostro dialetto ha subito assunto una connotazione colpevolizzante. I giovani giustamente non lo parlano più.

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