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ANNA ZANIBELLI

ALL’ OMBRA DEL CAMPANILE

Crescere all’ombra di un campanile è un privilegio di pochi. Io, per esempio, sono cresciuta sotto quello della fotografia (scattata da Andrea Mancastroppa), nel mio paese di Trigolo.
In un paesaggio di pianura il campanile è tutto. E’ un punto di orientamento, un simbolo topografico religioso e civico. E’ proprio il campanile a determinare la divisione e la differenza dei paesini. In qualunque centro abitato ci si appresti a entrare, esso ci da il benvenuto e spesso regola la vita paesana per mezzo del suo grande orologio che, collegato alle campane, scandisce le nostre giornate.
Fin dal Medioevo i conflitti e le baruffe si sono svolti all’ombra delle alte torri campanarie, da sempre simbolo di vanto e di appartenenza degli abitanti. Da qui deriva il termine “campanilismo”, ovvero l’attaccamento alla propria città, ai suoi usi e alle sue tradizioni e, di conseguenza, una sorta di rivalità con i centri vicini. Qualcuno lo interpreta in senso negativo, per me si tratta solo di un simpatico gioco che, preso con il giusto spirito, può regalarci aneddoti imperdibili.
Chi infatti non ha mai sentito qualche detto in dialetto che, riferendosi ai paesi limitrofi, ne dice peste e corna? Di rimando i vicini di casa rincarano la dose. Certo le rivalità sono meno gravi e patologiche rispetto al passato, in cui vi erano faziosità da cui neppure il sommo Poeta fu immune. Resta però simile l’origine di certi luoghi comuni, stereotipi,  la visione di una parte avversa come qualcosa da denigrare e irridere.
Come funziona dunque la legge dei piccoli centri abitati collegati tra loro da piccole strade di campagna, costellate da fossi e campi coltivati? Cos’è, in breve, quel fenomeno sociale che noi chiamiamo “campanilismo”? La legge che governa il campanilismo è semplicissima: ciò che è esterno al paese è al di sotto del proprio livello. Molto nasce dalla fantasia dei nostri nonni e bisnonni. L’ironia di chi, passata la giornata nei campi, si riuniva la sera per tramandarsi racconti di paese. L’usanza di inventare storie, episodi o situazioni comiche accadute a fantomatici abitanti di questo o quel villaggio che, nell’immaginario collettivo, finivano per identificare e qualificare inesorabilmente tutti gli abitanti di quel luogo.
In particolare nei nostri paesini di campagna è usanza chiamare gli abitanti dei centri vicini con nomignoli sbeffeggiativi dialettali. Nel raggio di pochissimi chilometri cambiano anche le variazioni del dialetto: sono diversi gli accenti, le vocali aperte o chiuse, e ogni realtà possiede così un’unicità linguistica irripetibile.
Il campanilismo che ricordo io, ci ha visti tifare le nostre squadre di calcio dell’oratorio nei tornei estivi, ci ha visti ammassati sulle gradinate della palestra per sostenere la squadra di basket o di pallavolo. Si è amplificato con i carri di carnevale, le sagre e feste di paese, i pellegrinaggi, gli eventi particolari, ecc.
Credo che il campanilismo caratterizzi la peculiarità e l’orgoglio di un’identità storica e geografica ben precisa. La cultura di persone vissute in questi Comuni per secoli. Rappresenta la dignità dei nostri paesini che, per quanto minuscoli, possiedono importanti usanze e ideali. Un sano campanilismo è rispetto per le nostre origini e la nostra storia. Non a caso sono sorti innumerevoli gruppi Facebook “Sei di….Se…”relativi a quella vita di paese che è solo nostra, come un linguaggio in codice nato da un desiderio di appartenenza e condivisione.
Prendiamo il campanilismo con benevolenza dunque, e un pizzico di ironia. Perché tanto, poi, lo sapete come va a finire? Che basta veder giocare la Nazionale Italiana di calcio, basta che l’Italia sia protagonista di qualche grande evento, davanti a lutti e anniversari importanti, che i campanilismi smettono di esistere perché accresce il nostro senso di appartenenza nazionale. L’attaccamento alle rispettive tradizioni infine, si trasforma in sincera amicizia e solidarietà quando ci si trova, con altri italiani, in terra straniera. In fondo Dante, dopo aver spiegato meglio di chiunque altro i tratti che ci caratterizzano, ci ha lasciato un formidabile fattore unificante che è la lingua italiana e ci ricorda: “fatti non foste a viver come bruti”.

ANNA ZANIBELLI

24 Giu 2021 in Antropologia

13 commenti

Commenti

  • ….ma per seguir virtute e canoscenza!
    Eso es, e oramai, oggidì è più probabile che seguano “virtute e anoscenza” quelli che vivono all’ombra di un campanile piuttosto che all’omba di un “social”!
    Io il campanile di Borgo San Pietro ce l’avevo a 25 metri davanti alla finestra di camera mia e i suoi rintocchi scandivano l’inizio e la fine della mia giornata.
    Poi sono ….diventato grande ed i contesti attorno a me si sono susseguiti in modo cangiante assai.
    Pero’ , ora, ….venuto a sera, avendo cercato di seguir virtute e canoscenza ( sekund kum furma, ovviamente!) quando sono nell’orto, o trabasco in giardino, il campanile di Santa Maria Rotonda, è ritornato a scandire i tempi con amicizia, e il suo orrendo carion (azzecca random un paio di note su quattro!) mi annuncia che è la metà del giorno e lo fa, per tutti quelli che abitano Ripalta Arpina, così come il rintocco lento e ripetuto annuncia che qualcuno se ne è andato.
    Si, Anna, fossi e campanili sono l’dentità socio storico geografica di noi “bassaioli padani”, eso es!

  • Io vivo sotto il campanile di Trigolo e,in queste notti d’estate, in cui capita di dormire con le finestre aperte, ci si sveglia al suono delle campane. A me personalmente piace moltissimo. Come adoro anche i campanili in inverno, quando fanno capolino tra la nebbia, nel nostro suggestivo paesaggio padano.

  • Il campanile anche come il sole e la stella polare. Paese, gente, dopo un percorso lungo il canale, Izano, verso Salvirola, quando poi il tracciato diventa disagevole per una bicicletta non campestre, poi il Todeschino, i campi di granturco ad interrompere la vista , poi il gran caldo che se mi viene un infarto non mi trova nessuno, e la sterrata che sembrava non finisse mai, vecchio esploratore di città. Finché lo svettare di un campanile, proprio quello di Trigolo. Evviva, sono salvo. Anna, il suo articolo migliore.

    • La ringrazio tanto Ivano! E non rischi l’infarto per il gran caldo nella campagna Trigolese, mi raccomando. Piuttosto le tengo in fresco qualcosa e, se passa all’ombra del nostro campanile, mi faccia un saluto! 🤗

  • 🤗

  • Alle radici del discorso ci vedrei uomini con la clava su due fronti opposti di un canalone, di un’isola.. Non è denigratorio! Voglio dire una radice così antica da essere semplicemnte inamovibiole. Ma si potrebbe anche tornare più indietro alla territorialità dello scipmpamnzè. Se pensiamo a un isola come Capri, come la descrive Axel Munthe, medico scrittore norvegese qan do la scoprì a inizio ‘900! Sui due versanti dell’isola gli abitanti di Capri e Anacapri… e un odio feroce, tanto da vietare matrimoni misti, a costo di una nefasta segregazione genica. E tutto intorno il mare.Ma questa situazione ci dice altro: Axel acquistò San Michele, la riempi dio reperti da Egitto e da suoi scavi dei tempi dell’Imperatore Tiberio. La popolazioone lo accolse e lo coccolò, sopèrattutto le isolane, nonostante avesse issato la banidiera norvegese, che ancora svbentola. Morì in Norvegia, rasserenato solo dalla vista di un biglietto del treno che lo avreebbe consdpotto fino all’imbarco per Capri.
    E allora ecco per me la ricetta del sano campanilismo con trasversalità: cittadini del mondo all’ombra del proprio campanile! Del rewsto, Franmco ricordi? al concorso letterario di Cremascolta proposi il tema “All’ombra del mio campanile”. Già, proprio io che non l’ho mai avuto ne sento la nostalgia.

  • I Comuni sono sorti appunto per superare le divisioni all’interno di un territorio. Sono stati unificanti, almeno nelle intenzioni. Ma le contrade sono rimaste, vedi Siena, anche se poi si festeggia tutti insieme.

  • Campanili e campanili, e municipi, anche a Ripalta Guerina, che sono più i pioppi lungo il viale a elle che gli abitanti; più gli invitati a un matrimonio alla trattoria Toscanini che i ripaltaguerinesi. Casaletto Vaprio e Trescore Cremasco sono divisi da una strada larga una decina di metri, quanto basta per farci due municipi. E cosi si moltiplicano gli incarichi, le scartoffie, le liti.
    Qualcuno ha scritto che manca una storia approfondita, della vita quotidiana delle compagne padane della Bassa, della grande massa contadina. Si sa poco!; non abbastanza. La Storia lì è monca. Mancano i diari, le testimonianze: purtroppo molti erano analfabeti; parlo dell”Ottocento, dei primi anni Novecento, prima delle leghe contadine. Manca un lavoro d’indagine come “Il mondo dei vinti” di Nuto Revelli, dei contadini langaroli. Ci sono saggi scritti da borghesi liberali come Jacini, di Casalbuttano, che viveva in un grande palazzo, non certo una vita dura la sua.

  • C’era un mondo nella nostra civiltà contadina di pianura e di scritto è rimasto poco. (Ricordo la prima volta che ho visto “L’albero degli zoccoli” di Olmi, bellissimo! )
    Io ho solo memoria di qualche proverbio, filastrocca, aneddoto raccontato dal nonno, e sui campanilismi c’era davvero da ridere.
    Fonti scritte poche dal mio albero genealogico, a parte una vecchissima ricevuta che attestava l’acquisto di bachi da seta da parte di un mio antenato, trovata per caso in un’antica cassapanca che ho fatto restaurare.
    Non vi dico lo stupore!

  • Storicizzare é fondamentale, fosse un paese, un popolo, un singolo. Io ne ho scoperto l’importanza ormai da quasi vecchio. Senza enfatizzare, senza l’ambizione di entrare nella Storia con la s maiuscola, io alla mia vecchia età sto caricando su Instagram tutta la mia vita pittorica, senza aver esposto quasi mai niente. Lasciare qualche traccia dovrebbe essere l’imperativo categorico di ognuno, lasciare una minima traccia, senza scomparire nel nulla il giorno del funerale. Del resto non si fanno figli anche per quello? Che poi nessuno se ne faccia niente della nostra Storia é altra questione. In tutti i casi la Storia siamo noi…E anche molti storici la pensano così, anche prima di De Gregori, magari Ginsburg, ricostruire partendo dai piccoli avvenimenti perché tutti rappresentiamo un piccolo mattoncino nella costruzione del “creato”. Non é forse un modo per esorcizzare la paura della morte? Accidenti, più si diventa vecchi e più la paura aumenta, almeno per me.

  • Ad esempio le vecchie fotografie. Alcuni, ordinati, li dispongo in ordine cronologico su ordinatissimi album, altri come faccio io, raccolte in disordine in una vecchia cartella di pelle nera. Quando le riguardo a molti protagonisti non riesco a dare un nome, circostanze, data. Sbagliatissimo. Le didascalie sono importanti. Ne ho trovata una pochi giorni fa pubblicata su Istragram dal Centro Galmozzi. Soggetto: le lavoranti ai telai del Linificio. La foto risale probabilmente alla fine degli anni quaranta o primissimi cinquanta. Tra queste lavoratrici ho ritrovato mia madre. Foto prontamente stampata per sorella e nipoti. Nostalgie ed emozioni di un vecchio diranno i giovani, di certo l’avessi ritrovata trent’anni fa l’emozioni sarebbe stata diversa.

  • Bello! Non sapevo di questa vita pittorica! Chissà le soddisfazioni…
    Io ho recentemente composto un quadro assemblando tutte le vecchie foto della mia famiglia, dagli antenati di cui si ha memoria fotografica fino a oggi. Veder appeso in casa questo collage di immagini ingiallite dal tempo mi da un senso di protezione e appartenenza. Credo che sia importante conservare la memoria delle nostre radici, siamo strettamente collegati a chi è venuto prima di noi e, come dice una bellissima citazione “si viene da dove si va”

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