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ANNA ZANIBELLI

Insulti vintage: come togliersi la soddisfazione senza perdere la classe

Già la politica, il Virus, i rincari e chi più ne ha più ne metta ci fanno incavolare… Se poi incrociamo nel quotidiano qualcuno che si dimostra veramente insopportabile, cafone, inaffidabile, maleducato, non puntuale, chi non si è mai sentito sul baratro di un Niagara di parolacce? Quel ribollire, quello schiumare sotto i nostri piedi di un’onda di scurrilità pronta a sommergere tutto ciò che trova? Capita. La rabbia è un sentimento normale ed è normale che nella vita non si possa andare sempre d’accordo. Ma vi do una bella notizia! Se siete stanchi di parolacce in TV o sui Social, se volete distinguervi dalla massa senza rinunciare a togliervi la soddisfazione, sappiate che l’uso smodato di parolacce le sta inflazionando.
Del resto è anche vero che senza parolacce non ci sarebbe civiltà. I Greci (grandi persone!) per esempio si insultavano imprecando “per l’aglio!”, “per la capra!”, “per il cane!”, e anche noi potremmo, in modo garbato, affidarci ai termini neutri, alle perifrasi, ai giri di parole. Io ne ho sentite di veramente belle: “Quale creatura zoomorfa mi sono inimicato!”  o “se fatichi a far venir fuori un’idea prova con delle prugne” o ancora “resta sulle tue ma, ti prego, scendi dalle mie” eccetera. Un vero e proprio passepartout linguistico di parolacce forbite che creano un gioco psicologico molto sottile ed efficace.
William Shakespeare, il drammaturgo inglese, era in grado di scrivere insulti raffinati. Nel “Re Lear” il conte dice al servo “sgranocchiatore di rifiuti, sordido erede di un sacco di stracci”. Anche Umberto Eco coniava stoccate superbe nella rubrica che teneva sull’Espresso. Perché le offese vecchio stile sono divertenti, spiritose, e sicuramente sorprenderanno la persona a cui sono rivolte facendole capire, al contempo, che non ci potrebbe importare di meno di quello che pensa di noi.
Certo molti di questi epiteti sono in disuso, ma non c’è niente di meglio che sistemare qualcuno senza che questi neanche se ne accorga.
Lazzarone, buzzurro, gaglioffo, zotico, fannullone, malandrino, manigoldo, pusillanime, mascalzone, canaglia, farabutto, minus habens, citrullo, pelandrone, infingardo, mentecatto, villano, pernicioso e potrei continuare, ma so che mi avete inteso.
Per gli analfabeti di ritorno più o meno giovani sembrano termini arcaici e alcuni del tutto incomprensibili, ma se qualcuno ci provoca, ci offende o ci maltratta, sono l’ideale per paralizzarlo con eleganza. Del resto, gli insulti dicono molto di più sulla persona che li pronuncia che su quella che li ascolta e comunque, eleganti o no, una volta pronunciati, non ci faranno sentire persone migliori, anzi.
Di questi tempi difficili è meglio andare d’accordo il più possibile, fidatevi.
Infine, ogni volta che battete il dito mignolo del piede contro lo spigolo di un mobile, vi sfido ad esclamare, con tutto il fiato che avete in corpo, un bel “corbezzoli!”.
Che, a dire la verità, non ci riuscirei nemmeno io.

ANNA ZANIBELLI

05 Feb 2022 in Antropologia

18 commenti

Commenti

  • Non sono d’accordo: perdere la classe fa stare molto meglio. Un bel ” coglione” renderà sempre meglio di tutti i sinonimi o metafore che possiamo elegantemente scovare. Pane al pane vino al vino. Lessico popolare. Secondo me.

    • Si Ivano, concordo, una bella imprecazione scarica la tensione!
      Quanto agli insulti, invece, devo dire, non fanno parte del mio bagaglio! Se provocato, e qui sono in sintonia con Anna, preferisco rispondere con l’ironia!

  • Comunque lettura brillante, piacevole.

  • Sorry Anna, scrittura brillante, e di conseguenza piacevole.

  • Francesco e Ivano… Credo che dipenda sempre dal contesto e dalle circostanze, ma in generale devo ammettere che l’uso della mascherina in pubblico ( in particolare la Ffp2 dove non si vede nemmeno il movimento del labiale)ci possa essere particolarmente d’aiuto nei momenti opportuni 😂🤗

    • Anna, in una riunione informale una collega sanguigna e molto brava dopo accesa discussione mi mandò sonoramente a cagare. Ricambiata immediatamente della stessa moneta. In un Collegio docenti non si sarebbe verificato, ma fu così liberatorio per entrambi che il giorno dopo i contrasti ricominciarono, ma con toni più concilianti. Certo, la stima reciproca permise di superare l’incidente con una bella risata. Nel senso che quando ci vuole ci vuole. Il politicamente corretto ha sdoganato l’ipocrisia delle buone maniere, ma non risolve i dissidi. Poi ad uno sconosciuto non ci si rivolge negli stessi termini perché un cazzotto potrebbe sempre arrivare. E qui non é questione di educazione, ma è fifa di reazioni incontrollate. Quante volte avremmo voglia di un bel linguaggio violento che evitiamo per tante ragioni, ma che voglia di dire quello che si pensa senza troppi orpelli da salotto obbligato. Quando io in altro post dico che i non vax sono degli imbecilli potrei anche camuffare il mio pensiero con un gentile e dialettico linguaggio, ma a cosa servirebbe?

  • Ubi pus, ibi evacua, dicevano i medici del periodo classico. L’evacua necessita di un’incisione, ma per la psiche evacuare la carica inespressa, prima che monti in vera furia, può richiedere anche la volgarità. Come è vero che donne desiderabili che nel loro lessico rigurgitano a manetta epiteti riferiti ai membri perdono tutto l’appeal. I Greci nel loro teatro veramente Anna facevano ricorso a epiteti talmente scurrili, riferiti a pratiche erotiche e altro, da far arrossire noi a distanza di oltre due millenni. Anzi, li troviamo stupidamente volgari, proprio come tu dici di certo spettacolo attuale. Poi c’è l’ottica: una ragazza d’ingegno e ben educata come Anna trova più pungenti espressioni raffinate, più che quelle grezze, noi bruti maschietti invece… Che gentaglia da stadio che siamo! Brava Anna, usi le parole come le gambe per camminare ormai, d’istinto.

    • Lo volete un segreto? Il CR Torrisi mi fa da balia e mi corregge i frutti della mia polpastrellite ancor prima che voi leggiate! Grazie Franco, sei meglio di una chioccia per me che corro, corro, e non rileggo. Mi impegnerò, prometto, ma vergognarmi… non ci riesco! Come quando, da liceali, i compagni mi chiedevano di andare in farmacia a comperare articoli… imbarazzanti. Non mi creava alcun patema, congenitamente sfrontato! Ubi pus…

  • Si, Adriano fratellone mio, ma …… “non pus ultra”, direi! (con sghignazzo annesso)
    Anche perchè, io stesso non sono del tutto immune dalla tua stessa ….. “malattia” e, ok il cus cus, me gusta mucho, ma il pus pus no è !!!

  • Ragazzi, certo con il politically correct si sta proprio esagerando spesso tollerando l’intollerabile. E…Adriano, non conoscevo questi aspetti inediti dei Greci in tema di volgarità, mi sta crollando un mito…😅!

    • Ma no, ma nella commedia greca si usavano parole di una tale fantasiosa volgarità… e la gente rideva. Non le cito. Ciò non toglie alle tue riflessioni, perché proprio per la straripante volgarità popolana perdevano in incisività. Infatti la gente rideva e nessuno si sentiva offeso.

  • Non ti preoccupare, cara Anna, gli italiani insultano, poi se si tratta di trovare la strada per piazzare i figli, alzare un soppalco, chiedere perdono all’Onnipotente per brutte storie personali e pubbliche, lo fanno, e poi resettano tutto. Per lavoro ho avuto a che fare con diversi artigiani che insultavano, disprezzavano gli immigrati che avevano a libro paga, in nero, a basso costo, e poi ci lavoravano insieme. Come altri italiani tradizionalisti, contrari alle coppie gay, che si dicono cattolici e votano i più allegri viveur, puttanieri sulla piazza. Non siamo seri, nemmeno nell’insulto, se coloro che abbiamo insultato ci fa qualche servizio utile. Insulto vintage o no, è robetta da varieta’

    • Esatto Marino, Una massima che mi fa sempre riflettere è “non sederti mai a tavola con chi parla male degli altri perché, quando ti alzerai, l’argomento sarai tu”…

  • E di classe, gli italiani ne sanno solo delle classi e cilindrate dei Suv.

  • Un mio collega di lavoro, ne ho avuto diversi, e questo, cremasco, era un cattolico dei viaggi a Lourdes, in corriera fin giù, e poi su, a venerare Padre Pio, madonne che piangono, miracoli e paganesimo sfatto che la Chiesa Apostolica Romana accetta e sopporta e fa finta di crederci, per non perdere i fedeli, mi diceva: non parlare male degli altri (anche se poi si fa sempre, magari con sottigliezza democristiana, a bassa voce, con sorrisetti casti e pensieri torbidi). Non parlare mai male degli altri. Mai davanti agli altri, certo. Vengo anch’io dalla campagna, che Crema è campagna rivestita di urbanesimo antico e trapassato, e sono abituato a svicolare “il parlar male degli altri”, parlandone, a volte malissimo, ben sapendo, e importandomi poco, che mi arriverà addosso la giusta ricompensa.

  • “Ricordati di essere sempre la persona meno importante in una stanza”; parlare male degli altri e parlare troppo bene di sé, due lati della stessa medaglia: la mancanza di rispetto. Di chi parla troppo bene di sé é imperativo parlarne malissimo alla prima occasione.

  • Non c’è nessuno che crede di essere il meno importante in una stanza. Pirla siamo tutti; poi ci sono le competenze, le qualità: chi sa giocare a ramino; chi incantare i serpenti, chi borbotta in silenzio. L’umiltà è figlia della povertà. Poi ci sono i palancosi che tacciono, di palanche, per non offendere i poveracci mentre capitano nella stanza. La filosofia è preferibile con uno stipendio solido; con lo stipendio faticoso a tirar sera non c’è filosofia che tenga. Anche la letteratura senza sofferenza la si fa se le poltrone le si ha comode, il conto corrente tranquillo, e vale quanto una cicca con troppi zuccheri.

  • Ho commentato pochi minuti fa Adriano sulla necessità di “socialismo” per la nostra Politica!
    Mi pare proprio una “necessità” ….Trasversale!

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