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MARINO PASINI

I GIORNI MALEDETTI DELLA RUSSIA.

Ripubblico qui, la recensione al diario di Ivan Bunin “Giorni maledetti” dedicata alla rivoluzione bolscevica che lui visse in prima persona. Ivan Bunin, poi,  riuscì ad uscire dalla Russia, riparo’ a Parigi, e non rientro’ più in terra sovietica.

In “Giorni maledetti” c’è la Russia dei primi vent’anni del Novecento, non diversa dalla Russia di Putin di oggi. Ivan Bunin è stato un testimone, un cronista “sul campo”, ma in Occidente non venne preso sul serio. Il suo diario fu considerato offensivo dai “pellegrini politici occidentali”, e   tenuto in disparte a lungo. Fini’ nei fondi di magazzino.  Eppure, leggerlo, aiuta molto a capire il comportamento, le smanie imperiali e le reazioni del popolo russo;  le bugie che sono state scritte sulla rivoluzione bolscevica, Lenin, Stalin, Trockij, i Soviet; la Russia di oggi.

“C’è una continuità tra la Rivoluzione francese e quella russa, è il Terrore. La ghigliottina o la fucilazione. I giacobini, repubblicani ardenti e intransigenti, nel sinonimo scelto da Bruno Bongiovanni, nel tentativo di ripristinare i diritti universali come la libertà, l’uguaglianza, fraternità e solidarietà, scatenarono i peggiori istinti, spezzando, più che le catene, i legami sociali seminando sangue con cieco furore.

Fu lo stesso Napoleone a riconoscere che ciò che rese possibile la rivoluzione fu l’ambizione.

E cosa decretò la fine della rivoluzione? L’ambizione. La libertà sventolata, l’uguaglianza sbandierata erano solo un pretesto per ingannare la folla. Un pretesto per uno stato di disordine, caos e anarchia e stringere nel pugno le redini di un governo, come ricorda lo scrittore Akeksandr Herzen.

Questo il destino delle rivoluzioni, marcire nell’egoismo delle ambizioni individuali. Eppure, per decenni nel Novecento, masse, politici, intellettuali hanno creduto nelle rivoluzioni, nel ribaltamento sociale, nel “potere al popolo”.

Ivan Bunin (1870-1953)  figlio di antica nobiltà decaduta, poeta, primo scrittore russo a ricevere il Nobel per la letteratura (1933), tra il 1918-20 tenne un diario, una cronaca nei giorni concitati e folli della Rivoluzione russa, la guerra civile per il potere tra i radicali “rossi”, I bolscevichi, e i “bianchi” socialdemocratici, i menscevichi. Il diario venne pubblicato a puntate su un giornale a Parigi, dove Bunin si rifugiò scappando dell’incendio russo, senza mai più tornarci per tutta la vita. Solo nel 1936, in Francia, il diario “Giorni maledetti” venne  pubblicato, raccogliendo i suoi appunti sparsi scritti durante i giorni della Rivoluzione, mentre ogni giorno, anche lui, rischio’ la fucilazione, l’arresto, prima a Mosca, poi a San Pietroburgo, Odessa. Questi “Giorni maledetti” sono un’accusa amara contro il terrore instaurato dai bolscevichi, che disseminarono morte e affamavano la popolazione nei convulsi giorni della guerra civile,  di pura follia collettiva,  e anche dopo quei giorni.  Un diario, il suo, passato inosservato, snobbato in Occidente, dove andava ingrossandosi la fila degli intellettuali pellegrini al santuario russo del “sol dell’avvenir”, dove era partita, secondo loro, la catarsi, l’inizio di un nuovo mondo, più giusto, che aveva liberato per sempre i contadini dalla servitù ai proprietari terrieri, messo alla frusta i borghesi, ridato dignità e potere agli operai, e alla gogna gli aristocratici che vivevano di rendita, ozio, che parlavano francese nei salotti.

“Giorni maledetti” fu un’urlo di rabbia inascoltata, un racconto del declino in cui cadde la Russia; un fatto sanguinoso che non sorprese Bunin, che la storia russa brama l’informe , l’irrazionale, il caos, i predoni, i corrotti, fannulloni, i ribelli (i populisti) contro tutto e tutti, i seminatore di ogni sorta di bugie.

Le risse nella vita e nella politica, scrive Bunin, sono un aspetto, non un dettaglio, tipico della storia russa. L’antisocialita’ è controbilanciata dal desiderio del popolo verso l’uomo forte, il pugno di ferro, l’Autorità, che metta un freno all’istinto disordinato, l’eccesso di alcolismo, il governare un paese sterminato,  nel grande equivoco di considerare la Russia uno stato europeo. Ma la Russia ha una larga fetta del suo territorio lontano dall’Europa e imbevuto di cultura e tradizioni asiatiche.

Oggi, leggendo “Giorni maledetti” si stenta a credere a tanta pubblicistica zeppa di superficialità storica, tanta stupidità intellettuale che attraverso’ l’Occidente per lunghi anni, ritenendo quello che la Rivoluzione russa non è stata: una speranza di libertà, uguaglianza sociale, diritti per tutti. E cosa fu, in buona sostanza la Rivoluzione russa? “Una rabbiosa smania di messinscena, di spettacolo, di artificiosita’, di farsa. Si ridesto’ la scimmia annidata in ogni essere umano”.

Ivan Bunin era un conservatore liberale ( che in quegli anni passava per “reazionario”, e lo fu fino agli anni ’70, anni della politica pure nei bignè, nel giudicare chi faceva il bagno nella vasca (era di destra), e chi preferiva la doccia (era di sinistra) . Bunin, si salvo’ dalla fucilazione, forse anche perché era conosciuto e stimato come poeta e scrittore, e aveva vinto premi importanti; e quando capi’ che presto sarebbe toccato anche a lui, riparo’ in Francia, dove durante l’occupazione nazista collaborò con la Resistenza. Innamorato della storia antica della Russia, di Tolstoj, apprezzato da Anton Cechov, si dedicò alla letteratura con racconti e liriche di grande bellezza, con il suo stile personale, carico, come ricorda Marta Zucchelli che ha curato per le edizioni Voland (2021) la traduzione italiana del diario di Bunin. Uno stile ricco di endiadi (parole di uguale significato accumunate in uno stessa frase, per amplificare il senso), e di ossimori (parole contrarie che messe insieme creano uno sconcerto, obbligano a una riflessione).

Il diario di Bunin è percorso da analisi spietate, inchiostro di sarcasmo russo scritto a lume di candela, nel gelo e nei morsi anche della fame, che i viveri scarseggiavano eccetto per i nuovi commissari  del popolo. “Giorni maledetti” è un’urlo lanciato contro finestre sbarrate, a gente che scappa, che fa spallucce, lo deride, non gli crede, lo insulta, minaccia, gente che si nasconde, con la consapevolezza della “bassezza” strutturale e antica del popolo russo; della bassezza ancor peggiore di quelle migliaia di “intelligenty”, gli intellettuali che decantavano il popolo, senza conoscerlo. “Che motivo avrebbero – scrive Bunin – di riunirsi, di protestare, per cosa strepitare e scrivere? Senza il popolo e le sue sofferenze, la vita degli “intelligency” non sarebbe vita”.

I “briganti russi”, gli oligarchi di Putin, come furono quelli di Eltsin, il giornalismo indipendente che in Russia ha spesso pagato con la vita, le minacce, la galera, sono faccende che fanno parte della loro storia millenaria. “L’antica Rus’ non è ancora passata!”. Ghirlande di alloro, (e pavimenti lustri e lusso sfrenato, oggi) su teste pidocchiose, come le chiamava Dostoevskij.

Tutti i giorni, durante la Rivoluzione era uno scorrazzare di canaglie, assetati di sangue e vendetta, ubriachi che si autoeleggevano “Commissari del popolo”; erano fucilazioni, professori uccisi e proclami sarcastici per le strade: “I borghesi al posto dei cavalli per il trasporto degli oggetti pesanti”. Nelle campagne, le madri usavano tenere buoni i figli mocciosi dicendo loro:”silenzio o ti spedisco a stare con i bolscevichi!”.

Si accusò Bunin di avere nostalgia per la servitù dei poveri, di essere di sangue aristocratico (che era vero), disprezzare le masse, di essere stato troppo duro con “l’ ebbrezza della rivolta sociale” . Ma la lucidità di Ivan Bunin, dei suoi scritti, in verità,  non piaceva per niente alle teste dogmatiche, a chi era disposto a purgare la società, dei nemici della Rivoluzione. Bunin, prima che altri, colse l’irrazionalita’ stessa del popolo, che è anche fatta di invidia e risentimento; un popolo non meno corrotto delle alte sfere, non meno volgare degli esibizionisti del lusso, non meno credulone alla propaganda di falsità che veniva loro propinata. “Il radioso avvenire” dell’Unione Sovietica era una menzogna che non aveva alcun nesso con la realtà. E questa menzogna, il colossale equivoco di una rivoluzione “dal basso”, di popolo, dei poveri contro i ricchi, per più libertà e uguaglianza, determinò in negativo il cammino della sinistra politica nel Novecento, spaccandola fra fautori della Rivoluzione e non; spingendo il mondo conservatore verso lo squadrismo, il fascismo, il falangismo, e altro ismo, come il maccartismo americano. Non c’è dubbio che in Europa, il fascismo sia stato anche una reazione alla paura del contagio dei bolscevichi, il “pericolo rosso”. Lo ha scritto lo studioso tedesco Nolte, provocando l’ira di storici, e studiosi. Si fa fatica ad ammettere anni di speranze calpestate, illusioni marcite, enciclopedie di storia da buttare, ammettere che il  potere sovietico  fu, per la verità, criminale, mentre in Occidente veniva sbandierato come avanguardia, laboratorio di un mondo nuovo. Ivan Bunin, testa europea e cuore russo, odiava ogni totalitarismo, e avrebbe senz’altro visto la corruzione sociale e politica della nuova Russia di Putin, in continuità con la storia russa di sempre, il suo tragico destino di immolarsi in governi autoritari, di false democrazie, in un paese sterminato,  di cultura solo in parte vicina al cuore dell’Europa. Nemico dei conformismi, della militanza ottusa, detestava gli idioti speranzosi che si facevano  gli occhioni con  i canti rivoluzionari come “Bandiera rossa”.

“Giorni maledetti” è uno scritto che narra l’apocalisse che pervase la Russia, in una catastrofe umana e sociale, la fame che regnava sovrana e si fucilava persone ogni giorno. Bunin era un fine poeta, che nell’estate 1916 scrisse questi versi:

Morto il padrone, la casa abbandonata,

Sui vetri fiorisce il verderame,

L’ortica ha avvolto la baracca,

Il recinto, da tempo vuoto, è spalancato,

E per le stalle fumiga il letame…

Calura, tempo di mietitura…Dove vola

Il cane che pazzo attraversa il podere?”

MARINO PASINI

12 Apr 2022 in

15 commenti

Commenti

  • Ringrazio Francesco Torrisi che ha voluto pubblicare qui, su Cremascolta, questo mio “pezzo” dedicato al diario di Ivan Bunin, diario che ho visto citato in questi giorni, online, anche da un giovane giornalista de “Linkiesta”, che dice in sostanza le stesse cose riguardo “Giorni maledetti” di Bunin. Anche Svetlana Aleksievic, grande giornalista, premio Nobel, nel suo racconto d’interviste “Tempo di seconda mano” ricorda l’importanza del diario di Bunin, che purtroppo non servi’ a fermare il delirio ideologico che incendio’ il Novecento, e il cui catarro di fondo circola ancora oggi nella doppia morale “pacifista” che armava i vietcong, ma vorrebbe disarmare gli ucraini.

  • Pensiero di destra: Crosetto dice che quando in Italia il gas verrà razionato, e che già paghiamo un occhio della testa, la simpatia degli Italiani per Zelensky scemera’. Altro pensiero di destra: forse era meglio un’immediata resa, che significa un popolo oppresso, ma senza morti e distruzione di un intero paese, piuttosto che un allargamento del conflitto, poi magari se ne parla. Sta anche per nascere il problema Finlandia, che confinante con la Russia, o il problema Svezia, che darà filo da torcere a Putin, ma anche a noi. Come la mettiamo in questa ricerca della verità tra narrazioni che non si capisce più chi ha ragione e chi ha torto? Certo, d’acchito un paese usurpato va aiutato, ma ormai l’impressione é che tutto sia stato dettato dall’istinto che non dalla lungimiranza.

  • Marino mi ringrazia e gliene do atto, ma il mio era puramente un ….atto dovuto.
    Mi sono trovato di fronte ad una pagina che andava a sbattere contro la mia ignoranza storica, stratificatasi in decenni di benessere sostanziale di democrazia (almeno formalmente) garantista, almeno per chi, come me faceva parte di quella “middle class” che non era costretta a combattere per …..mettere fuori la testa.
    Mancavano del tutto , o quasi, gli stimoli veri, quelli cogenti, per insinuare il dubbio che quel contesto ben protetto, ben garantito, ben “ammortizzato”, potesse frantumarsi almeno nell’Occidente, in qull’Europa che sembrava consolidarsi come panorama susseguente la sconfitta del NaziFascismo, prima, e la caduta del Muro di Berlino, poi.
    Niente di più sbagliato!
    Un fuoco potente, stava covando sotto la cenere delle rovine di “Berlino distrutta” e del “muro crollato” e, mentre noi qui ci ….”bevevamo Milano”, aspettava solo che il soffio indecente di un testimonial di quell’”ambizione” che descrive così bene Bunin, approfittasse dell’enorme potere che il misero fallimento dell’abortita pretesa evoluzione democratica dell’”Orso russo, aveva messo nelle mani di un monocrate senza scrupoli.
    Ed è stata l”invasione con i carri armati dell’Ucraina, la distruzione sistematica con i missili e i cannoni delle città, la morte, le violenze, le devastazioni che la guerra, ogni guerra, porta in dote con se.
    Quindi poco da ringraziare, Marino, mi sono sentito in dovere di usare un ulteriore mezzo (il tuo bel pezzo su Bunin) per provare a tirar fuori qualche insegnamento positivo da questo orrore nel quale francamente, nella fase finale della mia vita, non mi spettavo assolutamente essere trascinato!

    • Ti ringrazio per l’onestà del commento. Siamo capaci di costruire cattedrali di menzogne sulle illusioni di nazioni, ideologie, e poi, con disinvoltura far finta di niente e passare ad altro. Il consigliere di Gorbacev, Akexander Iakovlev spiegò alla tv russa che tutti coloro che erano stati perseguitati dal 1917, per ragioni politiche sarebbero stati riabilitati. Tutti. Disse anche che durante settant’anni di comunismo sovietico il paese era stato nelle mani di una gang di criminali. GANG DI CRIMINALI. Criminali di ieri, e del governo di Putin di oggi, mi pare, se sbaglio correggimi. È cambiato niente. Deportazioni, massacri, giornalisti uccisi, torturati, oppositori in carcere, nessuna voce libera possibile. Eppure ascolto tanti distinguo, e soprattutto l’odio non verso i criminali russi di ieri e di oggi, ma verso l’Occidente, l’America di Biden, la Nato.

  • E ha ragione un cremasco di origine, fratello del mio amico Vittorio, e cioè l’economista Roberto Perotti, che su “Repubblica” oggi scrive, insieme a Tito Boeri: “un aumento per le spese della difesa…è diventato praticamente inevitabile per ovvi motivi di politica internazionale. Sarebbe preferibile che non fosse così, ma questa è la realtà. Il resto sono orpelli intellettuali con poco fondamento fattuale”.

  • Inevitabilità dell’acquisto di armi perché tanto il mondo va così. A questo punto lasciamo che la Storia faccia il suo corso e siccome la questione riguardava all’ inizio aolo Russia e Ucraina lasciamo che si arrangino tra di loro. Avere più armi, anche per noi, vuol dire che prima o dopo le dovremo usare, non si sa se da aggrediti o aggressori, e non é di nessun conforto pensare che potremo difenderci. Anche l’Ucraina, armata anche da noi, si sta difendendo, ma a costo della scomparsa di un paese non solo geopolitico, ma umano. Sai che bello. Questo fatalismo a me non piace neanche un po’.

  • Lasciamo che si arrangino fra di loro? Come in Finlandia nel 1939, in Ungheria nel 1956, in Cecoslovacchia nel 1968. E ora l’Ucraina, dopo l’Armemia, il Tagikistan, il Daghestan, la Moldavia, la Cecenia, l’Abcasia, il Kazakhstan, la normalizzazione dall’opposizione in Bielorussia. Che frega a noi? Frega molto, ma c’è chi non lo vuol capire. I polacchi, il Grande Nord d’Europa, lo sanno. I paesi baltici lo sanno. Eccome. L’Europa serve quando va bene al nostro portafoglio

  • Io dico che Putin non si lascerà umiliare. Certo, il rischio che poi si allarghi, lasciandogli vincere la guerra e lasciandolo fare, é altissimo. Ma io non vedo altra soluzione, se non bombardare la Russia intera. Se é questo che vogliamo allora siamo già nelle terza guerra mondiale. Io direi invece che se si riuscisse a ritardarlo di qualche decennio sarebbe meglio. Anche a costo di sacrificare l’Ucraina. Finlandia e Svezia dopo la ricostruzione della grande impero? Entrassero nella Nato sarebbe difficile. E comunque ognuno ha le sue idee e le sue paure. Si possono anche citare i più grandi teoremi geopolitici e storici, ma difficilmente il passato ci aiuta a prevedere il futuro. Ripeto, più tardi é e meglio é. Non sempre il citatissimo De Gregori ha ragione quando dice che la Storia siamo noi, noi la guerra la subiamo, e io non voglio che accada anche da noi che abbiamo impiegato settantanni a mantenere la pace. E quando tra sanzioni a loro e ristrettezze a noi, nonostante le rassicurazioni di Draghi, in molti cambieranno idea. L’uomo é solidale fino ad un certo punto. Siamo realisti.

  • A me questa rigida divisione delle parti non piace neanche un po’ perché non corrisponde al vero. Dire no alle armi all’Ucraina, Zelensky continua a chiederne, fregandosene di eventuali e pericolosissimi altri coinvolgimenti, anche reali, van bene e doverosi controcanto gli aiuti umanitari, non corrisponde assolutamente a posizioni filo-Putin. É sputtanamento ideologico anche solo pensarlo.

  • Ritengo dare un ulteriore contributo nella direzione di meglio delineare la pessima atmosfera nella quale siamo costretti a vivere in questi giorni (pensiero di un laico “non credente”, qual sono: ma come se la sono sentita i “credenti” cattolici apostolici romani, di condividere la “Santa Pasqua” con i “pari grado” che si riconoscono in Kirill, il Patriarca di Mosca che benedice la guerra, ops!, dello “zarputin”?!?) riportando di seguito un bel pezzo di Domenico De Masi dal FQ di oggi dal titolo “Gli oligarchi della tivù sbugiardati dal pubblico”:
    Non è che lo condivida in toto, ma davvero è un punto di vista il suo, che mi ha fatto riflettere:

    “Man mano che passano i giorni della guerra in Ucraina si moltiplicano i sondaggi trasmessi dalle varie reti televisive per rilevare l’opinione pubblica su quanto sta accadendo. Il risultato è che cresce la divaricazione tra ciò che quelle reti cercano di accreditare con le proprie trasmissioni e ciò che “la gente” comincia a pensare con la propria testa. Questi media, pubblici o privati che siano, fanno a gara per dimostrare che Putin è pazzo, ma “la gente” comincia a pensare che sarà pure pazzo, ma di sicuro non è scemo. Questi media gareggiano nell’accreditare un’immagine salvifica degli Stati Uniti, ma “la gente” comincia a pensare che l’America sarà pure esportatrice di democrazia, ma i suoi interessi non coincidono con quelli europei. Questi media gareggiano nell’insinuare che in Russia monta un’ondata di dissenso per rovesciare Putin, ma “la gente” comincia a capire che la stragrande maggioranza dei russi concorda pienamente con le strategie belliche dello zar. Questi media gareggiano nel tranquillizzare i consumatori sulla disponibilità di fonti energetiche anche per il prossimo futuro, ma “la gente” è sempre più convinta che il petrolio e il gas raccattato presso altri dittatori comunque non ci affrancherà dalle forniture russe.

    Da cosa dipende la sfasatura tra l’informazione fornita dagli anchor men dei media e l’opinione pubblica dei cittadini? A mio avviso dipende dall’abuso di potere esercitato dai primi, sottovalutando la qualità intellettiva dei secondi. Inoltre, gli anchor men soffrono di autoreferenzialità come ogni circolo chiuso in cui poche diecine di privilegiati fanno da guardiani al pensiero unico, mentre i cittadini comunque esprimono una pluralità di vedute garantita dall’essere milioni di teste disparate, appartenenti a classi diverse.

    In 24 mesi, tra la realtà incombente della pandemia e della guerra e l’idea che ce ne siamo fatta, si è interposto il filtro distorcente di una ventina di anchor men, oligarchi nostrani dell’informazione che, armati di talk show, hanno imposto il loro punto di vista basandolo sulla propria cultura generica e sull’interesse dei loro padroni. Il metodo manipolatorio è semplice: ogni trasmissione viene articolata in uno o più panel di cosiddetti “esperti” scelti alla rinfusa in un mazzo consueto di giornalisti e politici. Il numero dei partecipanti a ciascun panel deve essere esuberante rispetto al tempo disponibile, in modo che ognuno degli interpellati abbia pochi secondi per esprimere giudizi su questioni cosmiche. Prima che l’interpellato di turno riesca a completare un pensiero, viene interrotto dal conduttore o viene contraddetto da altri partecipanti che sovrappongono il loro dissenso, spesso in tono forsennato, a ciò che si stava dicendo. Essenziale è che, alla fine della messinscena, tutti abbiano parlato senza nulla dire e resti salva solo la tesi che stava a cuore al conduttore, cioè al suo datore di lavoro

    Il sotterfugio sempre più frequentato sta nell’esibire giornalisti in veste di esperti. Quella del giornalista è una rispettabile professione che consiste nella capacità scientifica di raccogliere, vagliare e trasmettere notizie su una vasta gamma di accadimenti. L’esperto, invece, è colui che ha dedicato una vita intera ad approfondire una sola disciplina con qualche necessaria scorribanda nelle discipline confinanti. Ma ora vige il vezzo di promuovere al rango di storico o di geopolitologo o di virologo o di sociologo qualunque giornalista che sia stato impunemente intervistato un paio di volte su questioni di storia o di geopolitica o di virologia o di sociologia.

    Tuttavia, quando gli eventi comunicati sono complessi e gravi come quelli attuali, si mette in moto tra “la gente” un meccanismo di autonoma elaborazione delle informazioni per cui l’ignoranza sapiente dell’opinione pubblica travalica la sapienza ignorante degli anchor men. Un aspetto particolarmente grave dell’attuale patologia informativa consiste nell’occultamento sia delle cause che hanno portato alla situazione presente, sia dei disastri cui stimo andando incontro e dei rimedi sbilenchi che gli stiamo opponendo. La carenza congiunta di grano e di fonti energetiche promette a tutto l’Occidente un prossimo futuro di fame per molti e di impoverimento per quasi tutti. Ciò comporta che masse pauperizzate accumuleranno un rancore esplosivo traducibile in sovversione autoritaria o in incremento democratico a seconda del colore delle forze politiche capaci di egemonizzarle e convogliarle. Dio non voglia che, nel frattempo, Le Pen conquisti la presidenza in Francia e Trump la riconquisti in America. A quel punto, Pandemia e guerra in Ucraina ci appariranno disgrazie minori. Ma di questo non si parlerà o ne parleranno i giornalisti, promossi esperti sul campo.”

  • Dire che i russi la pensano come Putin, con quelli che non la pensano come il criminale sanguinario che sono scappati all’estero in questi giorni (un numero che supera, come abitanti la città di Brescia), quelli che hanno giustamentr paura ad esprimersi e quelli che hanno subito il lavaggio del cervello, lo segnalano diversi osservatori. Anche Hitler e Mussolini avevano sondaggi a favore impressionanti. Anche quando massacravano in Grecia, in Africa, in Europa. Quindi di cosa stiamo parlando? Piuttosto il sociologo Domenico De Masi è il signore che disse che per parlare con Putin serviva il “domatore da circo” Silvio Berlusconi che avrebbe saputo domare la belva. Una stupidata pazzesca. Andate a cercare questa dichiarazione di De Masi che ho ascoltato in diretta in TV. Siamo diventati tutti esperti. Sociologhi, filosofi, opinionisti, giornalisti con il culo sulla sedia. Andate a parlare con i cronisti sul campo in Ucraina, italiani, francesi, inglesi, americani, spagnoli. Le loro cronache si possono leggere.
    Parlate con i russi scappati dalla Russia; con gli ucraini a cui hanno ammazzato il padre passandogli sopra con un carro armato. Noi parliamo a vanvera

    • Ho scritto al volo. Scusatemi gli errori, che non ho corretto

  • Albertina Soliani, vicepresidente Anpi, dilaniata dal problema morale di inviare armi all’Ucraina dichiara: ” prima di inviarle si possono fare altre cose di natura politica. Il dilemma di fornire arni attraversa la nostra coscienza. Tuttavia una difesa armata io ritengo sia moralmente accettabile. Bisogna certo disarmare l’aggressore”. Moralmente accettabile, appunto, sta qui la questione. Fino a che punto é morale? Un tanto al chilo, due razzi, invece di tre, un carrarmato invece di due? Una cautela, dei dubbi, contro quelli della verità in tasca, come se fosse un derby, ma qui non é una partita di calcio, una visione generale e lungimirante dovrebbe indicare la rotta. Capisco quindi le diverse anime che compongono l’Anpi pur denunciando tutti le atrocità perpetrate da Putin.

  • Sì, c’è imbarazzo e confusione crescente da noi con il culo sulla sedia. Quante armi inviare in Ucraina? Quando sono troppe? E poi, tutti a fare gli opinionisti. A contarla la guerra degli altri. A parte quei pochissimi studiosi di storia Russa che hanno vissuto in Russia, che studiano da anni quella nazione, la sua cultura, e parlano russo, ci sono gli inviati sul campo. Basta leggere questi e quelli. Ci sono giovani reporter italiani, francesi, americani, inglesi che da più di un mese spiegano, raccontano. Che ci frega di Travaglio, Orsini, Maria Giovanna Maglie, Pierangelo Buttafuoco, il Dibba, i complottisti, i sovietici dell’ANPI come Pagliarulo. La verità è che a tutti noi piace pontificare, me compreso. Ne sappiamo una mazza. Ascoltiamo i bravi storici come Anne Applebaum, Helene Carrere d’Encasse, Robert Conquest, gli inviati sul campo. Ma a noi piace girarla sui nostri interessi. Fossimo ucraini o finlandesi parleremmo diverso.

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